09 marzo 2006

Sciarada

Le parole mi massacrano. Le parole mi pigliano per la gola, si scagliano su di me tutte insieme. Quella mi tiene fermo, quella mi ruba le scarpe e mi svuota le tasche, quella mi sputa addosso, mentre una, la più cattiva di tutte, mi pratica una incisione parietale, infila una cannuccia nel mio cranio ed inizia a succhiar via materia pensosa. Infine, una volta sazia, sutura lo squarcio con la cicca che non ha mai smesso di masticare durante tutto l'intervento. Non so perchè mi fanno questo. A me poi, che pensavo di poterle controllare. Non sono mai stato un padrone sfruttatore; al massimo un padre severo ma amorevole. Ma tanto ormai non importa più. Di me rimane solo l'involucro inebetito che si trascina da una finestra murata all'altra. A farmi compagnia ed ad assistermi solo quelle di loro più fedeli, le più semplici tra le parole, quelle che non hanno mai voluto giocare con me, ma forse mi sono ancora grate perchè in tutto questo tempo non le ho private del loro senso. Ora c'è quella parola che mi imbocca, anche se non provo più lo stimolo della fame. Quella che mi mette a letto, anche se il giorno e la notte non sono più distinguibili. Quella che mi veste, anche se il senso del pudore non so più cosa significhi. Quella che mi racconta storie del passato e fantastica con me sul futuro, anche se io non la sto veramente ad ascoltare, perché lo scorrere del tempo assomiglia allo stesso fondale riciclato più e più volte per scene diverse. Ma in fondo uguali. Il set di questa messinscena è una città fantasma, abitata da fantasmi che si nutrono dell'illusione di poter ancora influenzare il mondo dei vivi. Ed è per questo che inventano parole nuove e le abbandonano al mondo, sperando che qualcun altro le accolga. Non si curano della loro educazione, della loro istruzione, di insegnar loro la differenza tra il bene e il male. Mi esortano in coro a fare altrettanto: "Dopo ti sentirai meglio". Non capiscono che non appena evocano il mostro di fango del "dopo", un golem uguale e contrario prende vita, quel "prima" che ai miei occhi appare mille volte più grande e terrificante. Ora che le parole sono lontane e ricercate, il posto che hanno lasciato vuoto è assordante. Non ho mai capito se è il vuoto a succhiare verso di se il pieno, per invidia, o il pieno a lanciare se stesso nel vuoto, per vanità. Ma so che appena parole inutili saturano l'aria, è l'ora di affacciarsi alla prossima finestra.

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