25 luglio 2010

Di porte che sanno mangiare da sole

Una mano stringe la bacchetta e rimane sollevata sopra la testa, per frazioni di battuta. Come un oggetto lanciato in aria, che arriva al punto più alto della sua parabola e rimane fermo lì, esaurita la spinta iniziale, aspettando che altre forze facciano il loro corso. Manca poco prima che si abbatta sul timpano, con scarsa convinzione, con l'indolenza richiesta dalla canzone. Messe sullo spartito, quelle parole in italiano scritte in bella calligrafia, piene di grazie. Senza fretta. I faretti motorizzati si mettono a roteare di luce viola, a riconquistare l'attenzione di chi, in piedi di fronte ad un palco, si perde in fantasie inevitabilmente tangenziali. Un ecosistema, là sotto, popolato con fauna di disinteresse e flora di comatoso sbigottimento. Decine di corpi impegnati a traspirare, in gruppetti. Una stessa cosa con nomi differenti è fonte di confusione. Fossero molecole di acqua la si chiamerebbe tensione superficiale. Ma questi si chiamano essere umano l'un l'altro e allora questa cos'è? Paura? Abitudine? Gravità emozionale? In qualsiasi momento potrebbe entrare in sala una spedizione di speleologi, tenendo in mano torce di legno fiammeggianti, a rischiarare il cammino. Lo speleologo entra sempre con la testa bassa e inarcando la schiena. Lo speleologo, con la sua torcia, darebbe fuoco a tutto il vapore di alcol che campeggia su queste teste. La speleologia, come suonare la batteria, è distruzione.

18 luglio 2010

Agli alberi non importa

- Lo sai cosa mi piace dei numeri? Che vengono sempre uno dopo l'altro. Che sono così inequivocabili. Che non hanno bisogno di mistero per essere affascinanti. Si sa già quale sarà il prossimo numero, ma è nelle combinazioni che ci si può sbizzarrire.
Ti racconto a cosa penso quando non penso a niente. Mentre fuori è troppo pomeriggio per fare qualunque cosa. Mentre te ne stai in ginocchio sul letto e cerchi di dare una forma al tuo cuscino. Una forma qualsiasi. Adesso sembra un piccolo mammifero. Io stavo guardando te. So che non è necessario specificare che sto parlando solo dei numeri naturali. So che stai ascoltando, perchè non dici nulla.
- E nonostante tutto, non sono insostituibili. Se un giorno qualcuno rubasse tutti i 6 del mondo, non ci sarebbero grandi sconvolgimenti. Chi si dovesse trovare a contare, passerebbe direttamente dal 5 al 7, senza provare alcun rimorso.
Devo aver detto qualcosa di imperfetto. Sei passata dal silenzio-ti-sto-ascoltando al silenzio-sto-per-farti-una-domanda. C'è un codice morse anche per i silenzi. Un silenzio breve, due silenzi lunghi. Il problema sono le pause.
- Non stai dimenticando qualcosa?
- Cosa?
- Non pensi a chi abita al civico numero 6? Non troverebbe più la strada di casa! E i bambini di 6 anni? Destinati ad avere la stessa età per sempre! E quelli in viaggio, che si trovano al km 6 di un'autostrada? Senza possibilità di andare avanti o indietro! La loro unica salvezza sarebbe trovare uno svincolo in quei mille metri. Uno di quelli che porta ad un paesino sperduto tra le colline, con un nome improbabile tipo Poggio Pipetta. Dovrebbero inventarsi una nuova vita lì, mettere su casa, invecchiare e morirci.
Mi stai facendo sentire un tiranno, e la sensazione mi intriga. Ma sono io che ho strappato la trama delle vite di queste persone, rimaste intrappolate in mezzo al 6? Provo a recuperare.
- Non possono esserci solo cose positive intorno al 6. Magari c'è un uomo che sta cadendo da un palazzo e si trova a 6 metri da terra. Quando il 6 scompare, ha salva la vita. Se per ogni 6 buono scompare anche un 6 cattivo, l'equilibrio dell'universo è preservato.
- E le coppie che si sono conosciute il giorno 6? Si vogliono ancora bene dopo?
- Non lo so. A questo non ho pensato.
- Credo che sentirei la mancanza del 6. Mi piace il 6, è un bel numero. Non bello come il 4, ma bello.
Il tuo cuscino è volato via, a qualche metro dal letto. Ti stendi accanto a me e allunghi un braccio sul mio petto. In cielo passa una nuvola che non assomiglia a niente.

04 luglio 2010

Non voglio dirti cosa fare con le tue ginocchia. Voglio solo ricordarti che indicare non è buona educazione.

I re barbari adoravano i gioielli, soprattutto quelli verdi, e odiavano i test di trigonometria. Ci facevano sopra disegni di soli e rune. I genitori dei re barbari non permettevano loro di tenere telefoni cellulari, perchè temevano che potessero distrarsi mentre andavano a cavallo ed essere disarcionati. Allora i re, per ripicca, ogni volta che davano fuoco all'abitazione di un povero contadino, lasciavano sulle macerie fumanti un gatto vestito con una tunica bianca. Quando i re barbari si sposavano, le mogli erano molto belle e i re molto grassi. Dopo qualche anno le mogli diventavano molto grasse e i re allora andavano in guerra. Quando tornavano dalla guerra portavano in dono alle loro regine scatole di cioccolatini e musicassette. Tutti i gioielli del bottino li tenevano per sè, soprattutto quelli verdi. Le regine passavano le ore ad ascoltare le cassette dei duran duran e a provarsi nuovi vestiti. Le vecchine per le strade raccoglievano spezzoni di nastro magnetico; li cucivano insieme, li remixavano e poi li rivendevano, il giorno del mercato, sui loro banchetti di legno. I giovani si tenevano per mano perchè avevano solo le mani. I re barbari, oltre alle mani, avevano grossa considerazione e quindi si tenevano anche in grossa considerazione. I re barbari non tenevano le regine barbare per mano, per timore che queste sfilassero loro dalle dita gli anelli verdi. L'epopea dei re barbari si concluse quando fu inventato il tè. L'invenzione del tè permise agli uomini di creare i country club e i campi di golf, dai quali i re barbari furono presto esclusi a causa del loro parlare ad alta voce e del loro vezzo di usare bulbi oculari umani al posto delle palline da golf.