10 aprile 2021

L'arbitraria felicità del simbolo

Non appena mi accorsi di star dormendo sotto un ammasso di nuvole, la mia testa prese a girare dolorosamente. Per quanto schiacciassi le mie guance contro il cuscino, per quanto infilassi le braccia sotto di esso, tentando di morderlo con le mani. Le mie unghie si piegavano dal verso sbagliato e la pelle dei polpastrelli ci si arrotolava sotto, come la nuca di un uomo calvo che attende un mazzo di chiavi gettato dal terzo piano. La cosa che più mi dava fastidio era non essere protetto dalla simmetria del mio volto. Pensavo alle mie pupille come a buchi poco allenati. Quelli con la pelle piu' macchiata si sdraiavano sulla schiena dei pelle-uniformi, strusciavano le guance sulle loro magliette sollevate, si spingevano fino a dove gli consentiva il silenzioso accordo di stare bene. Alla fine odiavo me stesso, lo si poteva intuire da certe posizioni fetali. Da certe posizioni fatali. Non credo di aver capito fino in fondo quanto fossero importanti i cuscini, la moquette sporca e quelle torsioni della schiena, che potevano derivare solamente da una specifica invidia per i felini. Accettavo passivamente le distorsioni, morfologiche e temporanee, di starmene addosso. Se solo non ci fossero state quelle nuvole, sopra di me.