02 marzo 2006

Mi tappo le orecchie con le mani ed urlo, perché non voglio più vedere. LA LA LA LA LA LA LA LA.

T'ho sognata ancora, nonostante m'avessi chiesto di farlo tu. Il gran finale di una onirica pirotecnia. Ti racconto:

C'è un grande convegno. La struttura che lo ospita assomiglia all'esterno alla stazione Termini, all'interno alla sala congressi dell'ONU. L'evento è sull'integrazione con la Cina. Ci sono alcuni relatori cinesi, che si inalberano perchè nella scenografia c'è un errore. Una volta c'è scritto CHINA, un'altra CINA. Il mio compito è che tutto vada per il verso giusto, quindi inizio a girare parti della scenografia che contengono l'errore, come fossero lettere della ruota della fortuna ed io il valletto. Soddisfazione. Ma mentre sono sul palco, entrano in scena i ballerini per lo spettacolo d'apertura. Io, colto alla sprovvista, scivolo fino alla prima fila e scendo di scena. In fondo alla sala entra mia madre che vuole farmi sentire il suo nuovo profumo. Imbarazzo. Decido di correrle incontro, strapparle la boccetta di mano e scappare fuori della sala. Forse penseranno ad una trovata pubblicitaria. Lo spero. Sono fuori. E dall'interno della sala, una violenta esplosione. Un attentato. Scappo. Arrivano delle camionette. Persone stranamente vestite scendono a terra e corrono dentro il congresso. Un'altra esplosione, ancora più forte. Vetri in frantumi. Polvere. Detriti. Io scappo. Penseranno a me. Mi nascondo nei bagni di un edificio vicino. Vengono a cercarmi. Arriva una donna, anziana. Mi vede e, ridendo, esclama: "Ahah, pensavi cercassimo te? Io so che non è colpa tua, ma ora dovrò nasconderti. A casa mia". La seguo. Sono nel suo appartamento, arredato in modo bizzarro. Lei è stesa su quello che sembra un triclinio e mi ordina di massaggiarle il ventre gonfio. Eseguo. Non provo niente. Poi occupo il mio posto. E' uno strano sedile, scavato in una protuberanza del muro. Vedo fuori della finestra una città strana. Una Venezia senza acqua. La gente si muove su tetti, terrazzi e giardini pensili, collegati da ponti. Ci sono tante coppie. Il cielo si oscura di nubi tempestose, all'improvviso. E con la stessa facilità torna sereno.
Cambio di scena.
Sono un giornalista musicale. Devo intervistare una band e farle un servizio fotografico. La band è composta da una ragazza e due uomini. La ragazza sei tu. Ho occhi solo per te. E mi accanisco nel ritrarti. I tuoi colleghi si spazientiscono, e non vogliono farsi fotografare. Mentre cerco di convincerli e di trovare una location non troppo banale, tu mi strappi la macchina fotografica di mano. Hai deciso che vuoi fotografare me. Inizi a rincorrermi, ed io a darti sempre le spalle. Finiamo nel cortile di un palazzo, tra le auto parcheggiate. "Non mi prenderai mai, sento i tuoi passi" proclamo con fare gradasso. Ma mi freghi. Sto scappando da altri passi. "Sono qui", la tua voce dietro di me. Sempre dandoti le spalle, getto le braccia indietro e ti cingo i fianchi, e ti tiro a me. Ti stringo. Non so quanto sono rimasto ad ascoltare il tuo corpo contro il mio. Ma vengo risvegliato dal tuo respiro. Di nuovo ti prendo e ti porto davanti a me. E' un bacio violento, precipitoso, nervoso. Mi colpiscono le tue labbra sottili, ed il tuo sapore fresco. Ci dividiamo. Respiro di nuovo, respiro per la prima volta. Piego la testa dalla parte opposta. Ora voglio assaggiare il tuo labbro inferiore.

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