04 dicembre 2006

L'infallibile sistema aperiodico

Potessi smettere di dormire, volontariamente o involontariamente, allora mi darei un tono, come un personaggio del cinema. Farebbe parte della mia storia, sarebbe qualcosa che menzionerei parlando di me; mi definirebbe, mi darebbe un contorno. E invece continuo a dormire. Continuo ad essere infinitamente stanco al risveglio. Dormire di più non serve a niente, mi alzo solamente più stanco e più incapace di riposare ancora. Una notte ho sognato di volare, quasi. In verità cadevo. Mi ero lanciato da una finestra o da un tetto, non ricordo con precisione. Ricordo bene, invece, la sensazione provata: non avevo paura, ero lucidissimo e mi sentivo liberato. Come se avessi finalmente potuto accedere ad un luogo tenuto nascosto e sotto chiave per anni. Precipitavo, e mi chiedevo se fosse stato sempre così bello precipitare. Non sono mai arrivato fino in fondo; forse non ce n'era bisogno.
Ieri notte, prima di addormentarmi, ho fatto pensieri sulla morte. Non erano pensieri tristi: a volte si può pensare alla morte come si pensa a tutte le altre cose, senza sentimenti. Ho pensato che, magari, funziona come quando ci si addormenta. Si perde coscienza, e al risveglio non si ha memoria del tempo trascorso. Si percepisce l'essenza dell'istante tra l'inizio del sonno e la sveglia. Al momento della morte, si perde il senso del tempo e lo si riguadagna solo insieme ad una nuova coscienza. Ci si potrebbe risvegliare tra milioni di anni, in una forma a noi ora sconosciuta, e credere sia passato un solo attimo. Si muore e ci si risveglia subito, in un altro tempo, in un altro spazio, essendo altro. Che anche la probabilità più misera, di fronte all'eternita, comincia a sembrare plausibile.
Questa mattina il risveglio mi ha fatto dono di uno strano dolore. Come se un senso di colpa si fosse manifestato fisicamente: un pugno chiuso che spinge dentro di me cercando di aprirsi un varco verso l'esterno. Lo sento esercitare metodicamente la sua pressione appena sotto la mia gabbia toracica, alla fine dello sterno. E' una sensazione che non vuole andare via, e mi innervosisce. Io non voglio essere nervoso, e ciò mi rende ancora più nervoso. Mi sembra di essere un doppiogiochista che non può liberarsi del peso della confusione tra le sue molteplici identità. Come se sotto una maschera fosse scomparso il mio volto: anzi, come se innumerevoli maschere si fossero fuse insieme e poi fuse alla mia faccia.
Ed io ora che non ho più un volto, che non ho più nemmeno una maschera.

1 commento:

Anonimo ha detto...

..sento il bisogno di sapere chi sei..filmau@libero.it