03 aprile 2006

Il Moulin Noir e le ballerine del Can't-Can't

Un cesto di patate da pelare.
Il vaso del sugo al ragù, nel primo cassetto del congelatore piccolo.
Un pacchetto di grissini torinesi ed un barattolo di nutella.
Un biglietto d'ingresso per una visita gratuita.
Il plettro nero di nylon, nero, 1mm di spessore, nero.
Un plettro di nylon suona meglio di uno di plastica, mi pare.
Io seduto sul bordo del letto, che mi sfilo i pantaloni, che faccio attenzione a non far cadere le monetine dalle tasche.
Io piegato a raccogliere i calzoni ormai sul pavimento, che mi volto a destra e vedo lo schermo del computer illuminare la sedia vuota davanti a se, con una luce elettrica e spettrale.
Io che ero lì, illuminato da quell'aurora mittel-notturna.
Io voltato alla mia sinistra, vedere fuori dalla finestra l'atmosfera sola della mia città farsi color mattone.
Una tinta frutto delle insegne rosse, dei lampioni arancio, di stanze illuminate di giallo.
La testa di quella marionetta di legno non ha un volto.
Eppure ha un'espressione che mi colpisce per la sua indecenza.
In bilico sul suo piedistallo, che si rifiuta di sfiorare.
La medaglia d'argento nella specialità del sollevamento di problemi.
La storia di una falena che ha fiducia nel genere umano.
Una storia di gatti e gocce di sangue.
Lessi di una medium che regurgitava ectoplasmi e capelli.
"Falle una sorpresa!".
Continuo a mandarti messaggi in codice ed ad ammiccare, per suggerirti la carta da giocare.
E neanche conosco le regole del gioco.

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