19 luglio 2007

A pelle dritta

Fotografare è inzuppare nello spettro del visibile, fare la scarpetta in un piatto di radiazioni al sugo, pulirsi i lati della bocca con un tovagliolo fotosensibile. Resi simili ed unici dalla capacità con cui riflettiamo la luce, non avevamo pensato di essere ad immagine e somiglianza, nella somiglianza alle immagini, di un Dio specchio, e il paradiso si contempla ogni mattina, in bagno, sopra il lavandino. Non puoi vedere Dio se lui è lo specchio perfetto: noi siamo quelli che veniamo in tutte le foto con gli occhi chiusi. Testimonianza di cecità. La più grande espressione di conforto che mi sia mai sentito dire è stata: "la gente non vede".

Di quel sogno ricordo solo le dita che si staccano dalle mie mani e scappano via, strisciando come bruchi. Ed io mentre mi avvito la pancia, con tanto di cacciavite e viti di metallo da 5cm.

Ha occhi grandi, grandi come cattedrali. Le ciglia travestite da guglie, che accompagnano via lo sguardo. Ti guarda e pensi che la tua immagine risuoni lì dentro come un'eco, che si rifletta due, tre, quattro volte in copie di te sempre più brevi e indecifrabili e alla fine vada a nascondersi in un angolo buio. Un giorno, un ocularcheologo paziente e certosino ti scoverà, con uno strumento ipersensibile, eco di eco.
Due nei gemelli sulla spalla sinistra, particelle che gravitano l'una intorno all'altra assecondando qualche misteriosa, ma sfrenata, forza di attrazione.
I capelli sono l'opera di Efesto: spire di ossidiana forgiate nello stomaco ribollente della terra.
I difetti più evidenti: il labbro superiore spicca dalle curve del volto con violenza -come un singhiozzo nella grazia- e gli incavi ai lati del tendine dietro la caviglia, quasi invisibili.
Le orecchie buffe.
I segreti nascosti nella pelle levigata e fragrante, quante pozioni e incantesimi!
Si addormenta e una vena sopra la clavicola prende a sussultare in modo sconclusionato, dimentica del ritmo del respiro e delle pulsioni del cuore. Sogna e piega leggermente le dita, in piccoli sussulti. Il ritmico alzarsi e abbassarsi delle ciglia rivela il moto lento degli occhi all'interno delle palpebre chiuse, ricorda il beccheggiare elegante di una nave. Le sopracciglia si increspano, come farebbe la piuma di un gabbiano scossa dal vento, messa a pennacchio di un castello di sabbia dal gioco di un bambino; lo sguardo si fa corrucciato, appena amaro.
Finchè non appariranno nuove stelle, sarà sempre pieno di X.

Ogni bisogno sboccia dall'incontro di due sogni.
Ogni volta che un cuore si spezza, raddoppia la sua capacità di amare e dimezza l'intesità con cui può farlo: il sentimento è una cassetta di regoli.

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