29 maggio 2006

Lo sporco lavoro di dare il nome ai colori

Non era di certo una passeggiata. La macchina scorreva all'interno del tunnel, in salita, sempre più lentamente nonostante la pressione esercitata sul pedale dell'acceleratore fosse costante. Dopo poche decine di metri dall'imboccatura della galleria si perse ogni traccia di segnale radio, cosa che spinse il conducente del veicolo a portare lo stesso sulla corsia di sorpasso, spegnere la radio e forzare un poco di più l'acceleratore. Cominciava a sentirsi stranamente fiacco: sembrava che la cintura di sicurezza avesse preso a stringergli con veemenza l'addome, mentre le scritte luminose e i segnali stradali si facevano incotraddistinti e nebbiosi, impossibili da mettere a fuoco. Il senso di nausea, invece, lo colse all'improvviso: se non fosse stato all'interno di quel maledetto tunnel, si sarebbe fermato sul ciglio della strada per vomitare. Ora, però, era troppo pericoloso. Contemporaneamente aumentarono la pendenza della strada e la sua stizza, poichè vide allontanarsi il momento in cui sarebbe potuto riemergere, alla luce del sole. Se non fosse stato per i riflessi delle luci arancioni sulla carrozzeria, non avrebbe mai notato la macchina nera che dietro di lui si avvicinava di gran lena. Procedeva a fari spenti e a grande velocità: un bell'azzardo in quella situazione. L'istinto che ebbe fu quello di avvisarlo con un lampo di abbaglianti, ma si rese conto di quanto quell'idea fosse stupida: in fin dei conti l'auto nera si trovava dietro di lui, non davanti. La tensione crebbe quando quella macchina gli si affrancò al posteriore: non poteva cambiare corsia, il motore era già al massimo dei giri e produceva un lamento acuto che non aveva nulla di meccanico; e, sopra tutto questo, le sue viscere che non avevano smesso di contorcersi e richiamare a gran voce l'attenzione su di loro con fitte sempre più frequenti e dolorose. Decise allora che tutto quello era sbagliato. Chiuse gli occhi e, così come si esaurirono la galleria, le auto, la macchina nera e il dolore, così egli fu sè, l'universo e te.


"Facessi meglio ha venire qui di stare in quel postacio d'ove piove sempre. Si guadambia bene. Si mancia quello ch'è si vuole. Baci"

1 commento:

Anonimo ha detto...

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