25 febbraio 2006

Per quanto l'epica non sia fatta d'altro che da giochi di parole che non siamo in grado di capire

Come mi sento oggi? Avete presente quei giochi per bambini da 1 a 3 anni, tiri la cordicella, la freccia gira e poi si sente il verso dell'animale su cui s'è posata? Mi sento così. Solo che tutti gli animali fanno lo stesso verso. Un verso che in realtà è una voce, che recita una musica senza parole. Ma non mugugna, ne' fischietta. Usa parole sconosciute e impossibili. Parole che descrivono ciò che non sappiamo sentire. Come gli animali, che hanno parole per odori che noi non sentiremo mai.

La tua postura, un'impostura.

Incrocio. Proveniamo da strade separate, che formano tra loro un angolo acuto. Più acuto di qualunque discussione potremmo mai fare ognuno per conto proprio, ma non così acuto come le discussioni che potremmo fare insieme. Hai la destra libera. Potresti passare. Ti darei la precedenza. Ma non vai. Aria interrogativa. Il tuo carro azzurro non ne vuole sapere di ripartire. Giri di chiave a vuoto. Scendo. Mi porto dietro te e il tuo mezzo. Ti metto le mani sul culo, automobilisticamente parlando. Spingo. Riparti. Te ne vai, con uno sberleffo. Rimonto in macchina, di corsa. Ti seguo. Ti affianco. Ti taglio la strada e fermo la mia macchina. Clacson. Sono davanti al tuo finestrino. Clacson. Alla fine mi ricevi, alla tua corte da cinque posti. Ancora clacson. Il vetro elettrico, come una ghigliottina al contrario. Infilo le mani nell'antro d'alcantara. Ti prendo per il bavero e faccio per tirarti a me. Pochi centimetri. Pochi millimetri. Chiedimi un altro bacio.

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