13 gennaio 2006

Non va bene così, senza parole

Il cielo è tinto di rosso e il mondo ci appare come fossimo su marte, a testa in giu. Lunghe piume bianche flottano dolcemente verso il suolo, arse e consumate dal desiderio necessario di trasformare il potenziale in cinetico. Lo scorrere del tempo si percepisce in quanti, nessun indizio di un processo continuo, solo violenti sbalzi tra uno stato e l'altro, tra prima-adesso-dopo. So dove sono, so che giorno è, non so che ore sono, non so che temperatura fa. Ai lati del percepibile, ai confini del percepito, come se non solo gli occhi, ma anche tutti gli altri quattro sensi avessero la loro coda, si aprono quadri neri che sembrano posati su un fianco, oberati dallo sforzo di essere finestre su un nulla avventuroso e azzardato. Le trame della materia oscura, che si nasconde alla vista indossando la maschera dell'inesistenza, si avvolgono in complicazioni sempre maggiori, su livelli che si giustificano l'un con l'altro, stratificando la complessità come ardesia, fluidi vetrosi di monadi: all'apparenza trasparenti, all'apparenza immoti. Una fine non ostacola una fine -la fine non è la fine- tutto ciò che può fare è privarla della fine. Per coerenza, la fine non dovrebbe avere fine. Ma è pur così una fine.

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