04 gennaio 2014

Cresceranno i carciofi a Macondo

Venire alla luce e provocare la risincronizzazione di orologi e calendari. Cannonascere.
La condizione del ragno millimetrico sul fondo scivoloso della vasca. Intrecciando abbastanza pensieri si può fingere una corda per la fuga.
Se i compiti si potessero svolgere, gireremmo semplicemente intorno al luogo cui sono avvolti.
Tutte le onde del mare non sono che un'unica onda, che si muove in secondo piano, facendo tutte le smorfie di cui è capace.
Respirare col ritmo impartito da un tubo fluorescente, quando si accende.
Un blues suonato con le scintille delle stelline di capodanno.
La struttura in tensione di una schiena ha due pietre di volta: un pugno chiuso ed un labbro mortificato tra i denti.

29 dicembre 2013

Cosa ci facciamo col timo

Se le cose che dico a te potessero parlare, cosa direbbero alle cose che tu dici a me?
Del ballare adesso sulle macerie future.
Per l'idea ultimogenita non ho alcuna rupe.
Col titolo, ma senza le parole del titolo.
Di fronte al filtrare fuori delle cose dentro, la scelta: cauterizzare, o una cauzione.
Un giorno intero per incontrare una canzone. È lunga cinque minuti e dura tre secondi.
Chiacchiere senza bagaglio, labbra separatiste.

27 dicembre 2013

Sei così pelle

Giorni gelati al gusto filo delle cuffie.
Accordi alla chitarra scambiati per incidenti stradali.
Si scompare, e un modo di dire prende il nostro posto.
Le finestre sono introverse.

Dalla scatola del gioco al massacro qualcuno ha sottratto i dadi, non sappiamo più di chi sia il turno.

Uomo diedro manifesta familiarità con il bosco nero. Uomo diedro allunga la mano, ma la maniglia si scioglie via. Uomo diedro trova le porte apertechiuse secondo altre ragioni. Uomo diedro si tiene la carne in bassorilievo. Uomo diedro è siderofobico, uomo diedro ha la cosmopatia.

24 dicembre 2013

I forse che restano uguali

Una pigna sull'asfalto, senza i suoi petali di legno, schiacciata dalle auto che passano. Assomiglia ad un trilobite.

Cosa sono io? una stranoteca, uno stranoscopio, e uno stranonauta.

un orecchio contro la schiena. l'estrazione dei pensieri telegrafici, con domande come tenaglie. denti che strozzano altri denti. un gocciolio, raccolto con la lingua. vedersi stracciati. mancanze con la a davanti. parole dispotiche, a tradimento, a detrimento. tappi che non attappano niente. volevo essere il raccordo, il moltiplicatore, lo spettatore della divaricazione, il mare della tranquillità. non cercavo la perfezione, ma l'imperfezione che cancella tutte le altre.

03 dicembre 2013

Avverbi per future generazioni

L'universo sommerso d'acqua. E tu, al centro, perché ti piace nuotare. (ma l'universo si può sommergere?)

Il Dotto di Wharton era un uomo molto saggio. Aveva solo un difetto: a dare una risposta sciocca ad una sua domanda, si rischiava uno sputo in volto.

Capita di sentirsi come un tramezzino. Di quelli un po' menzogneri, con la farcitura tutta sul lato esposto. Di quelli con il peso mal distribuito, che si aprono come le ali di un disegno elementare. Che li addenti affamato, e ti trovi a masticare solo pane.

Da grande voglio essere il gelo del mondo.

25 novembre 2013

e mi correggi le emozioni da lontano

Ci è permessa una mossa alla volta. Vale anche in diagonale, e si può saltare il turno. Anche alle altre pedine è permessa un singolo movimento ogni turno. Si suppone che il gioco sia equilibrato, giusto? Sì, a meno di non essere paranoici. Quando tutte le pedine rincorrono te, i loro movimenti si sommano in una grande, ingiusta, mossa avversaria.

Quanta la vergogna provata dal blocco di marmo grezzo, al momento di entrare nell'atelier del famoso scultore. Come non sentirsi tutti quegli occhi bianchi di statua puntati addosso? Era l'ultimo arrivato, qualcosa che non era nemmeno un corpo. Ne aveva sentite tante di storie. "Non ti preoccupare, erano così anche loro". "Bisogna pur partire da qualche parte". "Lo scultore è colui che sa tirare fuori la scultura che è già dentro la pietra". Si chiedeva quale scultura ci fosse dentro di lui. Se fosse stato in grado di rimanere immobile durante i colpi di scalpello. Sentiva il rossore della vergogna salire verso la superficie. Diventava marmo rosa.

24 novembre 2013

L'interpretazione dei fondi di magazzino

É notorio l'effetto per cui ripetere troppe volte una parola la rende strana alla mente, dismorfica. Mi succede con la parola 'grembiule', ma mi basta ripeterla una volta sola.

Se non fossero state le scimmie, a diventare noi, sarebbe toccato agli orsi.

Consuma pure tutti i colori che vuoi, tanto paga Pantone.

Andare in un supermercato a due piani. Salire al secondo piano. Guardare in giù, verso il primo piano. Vedere i corridoi di scaffali come un intestino, che digerisce le vite degli altri. Che scompone chimicamente quello-che-vogliamo, quello-di-cui-abbiamo-bisogno, quello-che-possiamo-permetterci. Riscendere le scale mobili, essere inghiottiti.

23 novembre 2013

Col tuo malestare

Se la materia fosse una macchinazione della nostra immaginazione, avrebbe solamente due stati. Solida, quando immobile e connessa a se stessa, e gassosa, quando mobile e in continuo allontanamento. Chiedendoci come sarebbe uno stato intermedio, immagineremmo una mistura eterogenea di solido e gassoso, come rocce frizzanti e pietre con le bollicine. Così noi ci immaginiamo, agglomerati di stare soli, costellati di particelle di stare insieme. Se una relazione non fosse una immaginazione, potremmo riempirla e prenderne la forma con questa cosa che abbiamo. Placidi, come i laghi dentro ai vulcani.

31 dicembre 2012

Una papera sul viso

Aspettami, scendo tra un quarto d'oca.

21 novembre 2012

Il diaspro è una pietra dura, ma giusta

Fare silenzio è una forma impegnativa. Dà l'idea di una piccola opera di meccanica, come costruire la sorpresa trovata dentro l'ovetto kinder.

12 ottobre 2011

succo e polpa di scusa

Se non mi taglio i capelli sono una piccola macchia.
Mi sveglio, oppure torno a casa, e ho sete alle mani.

20 febbraio 2011

Ittiofauna de lo dentro mio

Lo sguardo è un rituale occluso.
I castelli hanno i merli per incastrarsi con altri castelli, in aria, rovesciati.
Jazz e scherma nell'atmosferico, tuono e fulmine. Improv e affondo. Quanto è distante, dove è caduto.
Le buone maniere sono azioni distruttive, buchi nella vena del fare.
I ricordi sono la rateizzazione del tempo, con interessi da usura.
E che ci facciamo col cambiamento? La birra! E il vino. E un po' tutto quello che fermenta.
De l'oppiaceo piacerci.
Passare la lingua su rientranze salate. Addolcimento dei seni. Voglie marsupiali.
Bollire il latte, per prudenza. Distillare l'acqua, per prudenza. Cuocere la carne, per prudenza. Prendere fuoco è una saggia scelta.
Svogliate ribellioni esotermiche. Provare ad immaginare la chimica senza antropomorfizzazione.
Inseguimento sanguinolento tra orgoglio e fame.

L'odiato migliore. L'odiato con le spaccature dei denti, l'odiato con le matite più H, l'odiato con le scopate più livorose. L'odiato con i nomi dei muscoli, l'odiato con la nomeclatura topologica dei dolori, l'odiato con il filo spinato per suturare. L'odiato con il piccone simbolico di classe, l'odiato con l'alzo zero, l'odiato col sangue marrone gastrico. L'odiato con le donnine con la febbriciattola patrizia, l'odiato con l'attività microsismica dell'autocommiserazione, l'odiato con il saccarosio scambiato per felicità. L'odiato affamante.

09 gennaio 2011

Fermento e gola

Chi sono, una parola che comincia con la lettera maiuscola o una persona che inizia con la lettera minuscola? Tutte le persone sono la prima persona? Sono io veramente la prima persona di tutte? Non sono certo la prima che riesco a ricordare. Singolare, poi? Così noiosa, invece. Prima persona quotidiana, casomai.

Il freddo m'è più familiare, ché scende verso terra, come le nevi e le colonne d'aria fredda. E ci s'affeziona anche quando è meglio di me, lui che inizia le correnti convettive e io al massimo flebili invettive. Il freddo è discreto e quieto, sta fuori dalla finestra e protegge. Se il tempo è nemico, il freddo è alleato.

Sei felice? Perché, si può essere qualcosa o in qualche modo? Può una mela essere più rossa di quanto appare rossa? E se la mela è rossa, il rosso cos'è? La mela e il rosso sono la stessa cosa? Sono felice come una mela rossa. E ho il picciolo. La felicità me la raccontano come uno spazio. Lo si attraversa con passi rumorosi, perché colui che si sente felice crede di potersi permettere di camminare buffo, e ama farsi ammirare felice. Tap tap, saltino.

19 ottobre 2010

Pezzi della luna che ho tenuto da parte

All'inizio di questa storia piove appena; perchè ogni storia, per iniziare, ha bisogno di eventi che ne introducano il tono e non ne impediscano lo svolgimento. Per questo, all'inizio di questa storia, non brilla il sole e non piove a dirotto. Potrebbe al massimo nevicare, ma la neve ha la colpa di essere silenziosa, e questa storia non ha niente di silenzioso. Il protagonista della storia potrei anche essere io, o magari una donna che cammina per la strada. Anche un cane andrebbe bene. Non fa nessuna differenza, perchè alla fine della storia il protagonista non sarà andato da nessuna parte, non avrà raggiunto la sua Itaca, non avrà salvato la sua Camelot, non avrà affrontato la sua nemesi, non sarà stato trafitto eroicamente e non sarà stato vittima dell'immedesimazione di chi questa storia cerca ancora di prenderla come tutte le altre storie. Ed è l'unico motivo per cui colui che è veramente il protagonista di questa storia riesce a sopportarlo. Faremo una concessione alla storia, utilizzerò un nome, forse qualcuno in più. Non perchè una storia abbia bisogno di nomi, niente affatto, ma questa storia, senza nomi, con il suo modo di divenire storia, finirebbe per essere più storia della storia che ambisce ad essere. Ed in questa storia un eccesso di storia sarebbe una colpa.
Il nome è Shai.
Shai ha eretto una fortezza di micro-abitudini. La pioggia fa il marciapiede lucido. In scene come queste, chi ha la luce detta la legge. Una luce intermittente è un ordine. La frequenza è misura di perentorietà. Shai è un corpo cavo. Incassa la testa nelle spalle. Le braccia stringile contro il corpo, parallele, piegate appena. Rendi lo sguardo più grigio che puoi. Regola il volume tanto da coprire il mondo fuori, non tanto da essere notato dal mondo fuori. Non scivolare, per ciò che hai di più caro, non scivolare, ti prego. Forse oggi riuscirai a scomparire.
Un uomo distante alza la voce nella direzione di Shai. "Signore, le ho forse fatto torto in qualche modo?". La frase attraversa la strada. Shai, nella rivelazione di sè che sa di sconfitta, si concede uno sguardo verso l'alto. Alcune luci illuminano la strada prive di alcun appiglio logico. Gruppi di falene si arrovellano delle stesse incertezze di Shai, volandoci contro ripetutamente, che è il modo degli insetti di fare domande. Le traiettorie delle falene sono cerchi bianchi contro il cielo. Le traiettorie delle gocce di pioggia sono rette ortogonali a queste circonferenze. Shai riconosce l'immagine. Linee di campo elettromagnetico generate da un filo infinito percorso da corrente continua.
I rifiuti di carta si gonfiano d'acqua e si sciolgono. Shai, notandoli, cerca di immaginarsi la natura dell'essere immorale perfetto. "Sono io così? Potrei esserlo se lo volessi?". Si lusinga. Il riproduttore anameccanico intercetta il pensiero. Shai ne ascolta l'elaborazione attraverso gli auricolari. "Eri un bambino e avevi un gioco composto da scatole di plastica che siedevano l'una dentro l'altra. Ricordi? La più grande era rossa, ed ogni scatola aveva un colore diverso da quella adiacente. Potevano essere impilate per formare una piramide. Una teoria morale, una qualsiasi, è quella piramide. Le stesse scatole, riposte una nell'altra, sono la forma dell'immoralità". Il riproduttore anameccanico è un aggeggio divertente. Tecnicamente è un ibrido tra una macchina connettiva, un EEG portatile, una generatore markoviano e una membrana positronica. In pratica è un compagno di filosofie portatile. Cattura i pensieri e modella le antitesi successive. Usarlo produce la sensazione di avere a che fare con una versione di sè cinquenne che non solo ha tutte le domande, ma anche tutte le risposte. Shai ne ha paura, e bisogno.
Per raggiungere il proprio appartamento è costretto ad attraversare il piazzale antistante una caserma militare. Da questo momento in poi, ogni sera, Shai perde la capacità di ignorare. Le mura degli edifici improvvisamente sono, e sono aride e decrepite. I rami tornano contro i vetri delle finestre. Le pietre, le mancanze, le ombre, le infusioni, le smorfie, i tracciati, le storture, i gradienti, le zampe, le confezioni, le ginocchia, le goccioline, le sospensioni, le cavità, le macchie. Shai si sente riempire. Non di nausea, perchè quella appartiene ad un'altra storia. E' una colonizzazione parassita. Una necrosi e le dita che la penetrano per grattarla via. Un ectoplasma da rigurgitare durante una seduta spiritica. Il desiderio di di ustionarsi le mani lavandole con acqua bollente. "Credevi che saresti riuscito a resistere fino all'arrivo a casa, vero?"
Adesso, se Shai si mette a pensare, sente freddo. Non nelle membra, ma nei pensieri. Un dirigibile metallico attraversa il cielo, impassibile. Dei fari lo illuminano da terra, lo rincorrono. "Perchè ho voglia di fine? Perché mi sono insopportabili le necessità scambiate per verità? Perchè ho smesso di ridere e piangere alle finzioni antropomorfe? Perchè non provo più bisogno di particolare e di generale?". Il dirigibile è scomparso, e l'atmosfera torna viscosa ed elettrica. La pressione barometrica aumenta impercettibilmente. Cambia la geografia del cielo nuvoloso. Il riproduttore anameccanico ha scandito le gerarchie logiche, esaurendole. Ha individuato una contraddizione. "Le antiche filosofie sofiste teorizzavano l'inconoscibilità dell'essere, attraverso deduzioni logiche che avevano come presupposto l'incomunicabilità, discendente a sua volta dalla natura incompleta del linguaggio umano. La derivazione moderna è la teoria per cui sia impossibile giudicare un capo di abbigliamento se illuminato dalla luce al neon. Arriverà il nulla, e non avrà bisogno di servitori."
E non avrà bisogno di me.
Sono libero. E torno a casa.

26 settembre 2010

L'eterno ritorno in cuffia

Perché mai qualcuno dovrebbe riempire una bottiglia di coriandoli e lasciarla a testa in giù?
A volte ho lo sguardo perso di un gigante che non capisce la scala del mondo.
Tutte quelle lezioni di piano che non ho mai preso stanno finalmente dando i loro frutti.
Dopo molti anni ho cambiato lo spazzolino. Traumaticamente. Io e quello spazzolino abbiamo fatto molte cose insieme, cose come avventure. Cosa accadrà adesso?
Si può anche essere un set di posate.
Uno squittire della ruota in curva e di subito mi assedia una miriade di nostalgie di notte d'estate con i grilli intorno.
Dove sei statico?
E' forse una ignominia, da parte mia, togliersi la camicia prima di lavarmi i denti?
Il contrario di divieto è permesso od obbligo?
Mi è venuta la solitudine, ma è andata via e non torna più. Lasciandomi solo?
Mi perdo sempre la formazione delle nuvole. Arrivano da altrove e scivolano via, ma non vengono mai alla luce.
La carica più ambita nella società dei mulini a vento è quella di ministro della difesa.

Di notte le strade disgustose. Se accelero dimentico. Mi vengono gli occhi piccoli da insetto. I movimenti percepiti nel campo visivo periferico, mi danno la caccia, mi infestano. Che la pioggia si depositi pure sulle finestre, fatemi vedere in quanti parti si può frantumare il mondo fuori. In quante parti essere frantumati. Sto ossessionando sul come prima mai più. Non sono pronto, sono instabile e informe, dentro. Sui tremori di prima.

18 settembre 2010

Respiro sprofondo

Nil non sta ballando.
Non è qui per ballare.
Vuole più luce possibile dentro di sè.
Qui la luce si muove,
si muove nel modo giusto.
Ci sono anche corpi che si muovono.
Non sono i corpi i giusti.
Non importa.
Quando si muove la luce,
i corpi non si muovono più.
Va bene così.
Nil tiene gli occhi aperti.
Aperti come nessun altro.
Le iridi, a comando, dilatate.
Sottraendo la luce al movimento
rimane il tempo.
Dentro Nil è un visibilio;
pura matematica,
pura misura dell'ego,
dinamica minima dei cieli,
pura moda,
frazioni e rifrazioni.
Sono tutti riduzionisti,
e sono tutti linguisti.
Cercano tutti la lingua
parlata dalla soluzione.
Pensano all'industria
delle materie tessili.
Alle abbreviazioni.
Mentre cercano, ballano.
Ballano intorno al colpevole.
Nil non sta ballando.

05 settembre 2010

Circa in questo, quasi insieme

Per quei giramenti di testa: comincerò a pretendere che ogni cosa sia il riflesso della sua controparte rovesciata in cielo.
I numeri cinque scritti sul muro a volte sembrano delle mitragliatrici. Invece i soli assomigliano alle bandiere.
La polaroid è l'unità di misura che coniuga in sè spazio e tempo; ad esempio, la mia estate è stata di 3 milli-polaroid.
Nella storia di ogni cultura si narrano storie di antenati in viaggio, sui loro carri, alla ricerca della terra promessa. Di giorno cercando di fare più strada possibile, la notte accampandosi intorno al fuoco. Il falò delle carovanità.
Le mani non bastano mai. Le mani strutturano continuamente il riuso del corpo. Servono mani per diradare la nebbia e per mordere. Mani per brandire altre mani e mani per modellare le dune. Con le mani si avvicina la luna. Abbiamo bisogno delle mani per fare scelte e per bloccare l'anima quando cerca di uscire dalla bocca. Le mani rendono quotidiane le sovraimpressioni, come in: non hai fatto una buona prima impressione, ma sopra di te ho scattato la foto di un gatto.

25 agosto 2010

Le verità amorfe

Perché una sensazione può divenire messaggio solo indirettamente, come nelle metafore. Non cosa sia, dunque, ma cosa rimarrebbe al suo posto se non vi fosse più. E allora, quello che io provo. Io provo un biscotto di pasta frolla, che si spezza, che ha la forma che hai deciso tu (non dire cuore, per favore, non dire cuore) e dimenticato in fondo alla dispensa diventa il nido delle farfalline bianche. Io provo una cornice che racchiude le cose già messe a fuoco, ma che non oppone resistenza se si prova a toccarne la superficie (sì, è la mano che passa attraverso). Provo i cerchi nel grano fatti con lo stare a guardare le nuvole, che non sono cerchi e che questo forse, nonostante la spiga, non è nemmeno grano. Provo la fine prima del compimento. Le candeline spezzate che si tengono per lo stoppino. La confusione degli oggetti tutti al loro posto. Le catene di Markov. Io provo il contesto che si fa materia, con cui si erigono alte mura.

19 agosto 2010

Storia passeggera della tristezza, raccontata affettando un cotechino

I perfetti compagni di viaggio in treno sono in due, sono soli all'interno dello scompartimento e sono sconosciuti l'uno all'altro. Sono il Maliconico e l'Invadente. Il Malinconico era già nello scompartimento quando è salito l'Invadente. Non gli avrebbe rivolto neanche la parola se l'Invadente non lo avesse salutato per primo. L'Invadente porta scompiglio nell'ordinato e costante guardare fuori dal finestrino del Malinconico. L'Invadente comincia sempre parlando tra se' e se', fin quando uno di quei suoi monologhi esteriori non fa scattare la molla nella domanda meccanica: "E lei...?". A coronare il paradosso, l'Invadente trova che la maliconia dell'altro sia molto invadente, mentre il Malinconico pensa l'altrui invadenza come profondamente malinconica.

Non amo viaggiare in treno. Le motivazioni, se stessi ad elencarle, sono sicuro che sarebbero piene di piccolezze e banalità, questionucole di pura contingenza. Eppure, vi sono due questioni su cui il mio senso del dovere all'adattamento non riesce a prendere il sopravvento.
Per cominciare, il viaggio in treno calpesta i miei sentimenti. Il treno parte e arriva ad orari prefissati, quindi mio desiderio di arrivare non si trasforma in un'accelerazione. Di rovescio, nulla del mio non voler giungere a destinazione provoca un rallentamento. Non c'è modo di saltare le soste, neanche quando sembrano aumentare di frequenza più ci si avvicina alla meta. Non c'è modo di mettersi a girovagare per perdere tempo. Verso il bene o verso il male, un viaggio in treno si trasforma sempre in un esercizio di frustrazione.
Il secondo ostacolo è di natura letteraria. Il problema è che la scena del treno, come quella dello scompartimento, è stata sviscerata. Nel treno è successo tutto. Ogni umanità vi ha incontrato qualunque altra. Non v'è persona, animale, pianta o cosa che non sia stata su di un treno, con qualcuno a raccontarne la storia. E per quanto lo detesti, anch'io in questo momento non sto facendo altro che mettermi su di un treno insieme ad una storia, esaurendo anche questa possibilità. La mia unica speranza è che, come per le formule magica, l'ennesima ripezione della formula sia quella che infine fa scomparire l'oggetto della magia. Niente più storie di vaggio in treno allora, e si potrà tornare a bordo pieni di promesse di avventure.

16 agosto 2010

È solo strano, ma dopo cena è tutto passato

I fratelli immaginari fantasticavano di andare incontro ad una spiritualità fondata sul sangue: la perdita di sangue, l'ostentazione del sangue, la compravendita di sangue, le abluzioni nel sangue. Rincorrevano le porzioni di pastiera napoletana nel bosco, e quando le prendevano le appuntavano nei loro quaderni di tassonomia con grandi spilloni. A tavola erano soliti risputare il bolo nel piatto per fare giochi di prestigio. Giocavano al tiranno, a turno ordinavano all'altro di avvolgersi nel tappeto del salotto, scendere nelle fogne e affrontarle come rapide in un canyon.
I fratelli immaginari facevano soffiare il vento sulla tangenziale per vedere quale fosse il mezzo che si sarebbe ribaltato per primo. Smontavano i loro capricci e li nascondevano nei cavi tronchi degli alberi. Con esperimenti di elettrolisi, laminavano le loro gambe con oro e titanio; in quei momenti avrebbero potuto far piangere di rimorso un uomo adulto con un semplice sguardo seguito da una contrazione dei muscoli pubococcigei. Un giorno giocando a biglie inventarono il determinismo.
I fratelli immaginari, quando trovavano una grotta tra le montagne, sostituivano le stalattiti con aghi ipodermici e le stalagmiti con amministratori delegati. La lingua che utilizzavano per comunicare tra di loro era un misto di melodia, comicità, ametista, fiera di paese e metro da sarto. Potevano permettersi di lasciare il sapone fuori dal portasapone. Nessuno dimenticherà mai il giorno in cui decisero di abbandonare il paese, poiché la notte stessa, la costellazione del toro entrò dentro al pollaio per rubare tre uova.

09 agosto 2010

Scegli un colore e picchialo a sangue

La cucitura del cuscino sul dorso del mio collo, preme, le presto attenzione. Spero di non dimenticare le cose che ho toccato. Sono uno che rinnega lo sporco nei fazzoletti, qualcosa che prima era mio, o ero io. Se mi chiedeste dove trovare il peccato, vi direi di cercare nel passaggio dalla pianura ai monti.
Non credo all'abbracciarsi le ginocchia.
C'è quella parte del pollice, quella un po' più larga, dove si incontrano le due falangi: percossa contro gli oggetti produce un rumore legnoso e ho imparato ad usarla per tenere il tempo. A causa dei ritmi sincopati, fa male e ripenso alla scuola media e ai ragazzi popolari che tenevano per vezzo un anello di metallo intorno alla base del pollice. Suppongo che distinguere la foto di un tramonto da quella di un'alba sia solo una questione di concentrazione.
Mi avvolgo il fil di ferro intorno alle dita.
Provo a non essere troppo sicuro di me quando a penso a cosa è una gabbia e cosa non lo è. Pensieri che assomigliano a quello che volevamo fosse la filosofia, pensieri che sembrano messaggi che si fanno strada tral rumore bianco. Ho cominciato a coltivare un'ossessione ma è venuto fuori un bonsai. Mi fermo a guardare uno scarafaggio scavalcare un pelo pubico sul pavimento. I modellini in scala fatti con la carta si dividono in due categorie: i ruffiani e i prepotenti.
Se ora mi presti le mani ci gioco un po'.

25 luglio 2010

Di porte che sanno mangiare da sole

Una mano stringe la bacchetta e rimane sollevata sopra la testa, per frazioni di battuta. Come un oggetto lanciato in aria, che arriva al punto più alto della sua parabola e rimane fermo lì, esaurita la spinta iniziale, aspettando che altre forze facciano il loro corso. Manca poco prima che si abbatta sul timpano, con scarsa convinzione, con l'indolenza richiesta dalla canzone. Messe sullo spartito, quelle parole in italiano scritte in bella calligrafia, piene di grazie. Senza fretta. I faretti motorizzati si mettono a roteare di luce viola, a riconquistare l'attenzione di chi, in piedi di fronte ad un palco, si perde in fantasie inevitabilmente tangenziali. Un ecosistema, là sotto, popolato con fauna di disinteresse e flora di comatoso sbigottimento. Decine di corpi impegnati a traspirare, in gruppetti. Una stessa cosa con nomi differenti è fonte di confusione. Fossero molecole di acqua la si chiamerebbe tensione superficiale. Ma questi si chiamano essere umano l'un l'altro e allora questa cos'è? Paura? Abitudine? Gravità emozionale? In qualsiasi momento potrebbe entrare in sala una spedizione di speleologi, tenendo in mano torce di legno fiammeggianti, a rischiarare il cammino. Lo speleologo entra sempre con la testa bassa e inarcando la schiena. Lo speleologo, con la sua torcia, darebbe fuoco a tutto il vapore di alcol che campeggia su queste teste. La speleologia, come suonare la batteria, è distruzione.

18 luglio 2010

Agli alberi non importa

- Lo sai cosa mi piace dei numeri? Che vengono sempre uno dopo l'altro. Che sono così inequivocabili. Che non hanno bisogno di mistero per essere affascinanti. Si sa già quale sarà il prossimo numero, ma è nelle combinazioni che ci si può sbizzarrire.
Ti racconto a cosa penso quando non penso a niente. Mentre fuori è troppo pomeriggio per fare qualunque cosa. Mentre te ne stai in ginocchio sul letto e cerchi di dare una forma al tuo cuscino. Una forma qualsiasi. Adesso sembra un piccolo mammifero. Io stavo guardando te. So che non è necessario specificare che sto parlando solo dei numeri naturali. So che stai ascoltando, perchè non dici nulla.
- E nonostante tutto, non sono insostituibili. Se un giorno qualcuno rubasse tutti i 6 del mondo, non ci sarebbero grandi sconvolgimenti. Chi si dovesse trovare a contare, passerebbe direttamente dal 5 al 7, senza provare alcun rimorso.
Devo aver detto qualcosa di imperfetto. Sei passata dal silenzio-ti-sto-ascoltando al silenzio-sto-per-farti-una-domanda. C'è un codice morse anche per i silenzi. Un silenzio breve, due silenzi lunghi. Il problema sono le pause.
- Non stai dimenticando qualcosa?
- Cosa?
- Non pensi a chi abita al civico numero 6? Non troverebbe più la strada di casa! E i bambini di 6 anni? Destinati ad avere la stessa età per sempre! E quelli in viaggio, che si trovano al km 6 di un'autostrada? Senza possibilità di andare avanti o indietro! La loro unica salvezza sarebbe trovare uno svincolo in quei mille metri. Uno di quelli che porta ad un paesino sperduto tra le colline, con un nome improbabile tipo Poggio Pipetta. Dovrebbero inventarsi una nuova vita lì, mettere su casa, invecchiare e morirci.
Mi stai facendo sentire un tiranno, e la sensazione mi intriga. Ma sono io che ho strappato la trama delle vite di queste persone, rimaste intrappolate in mezzo al 6? Provo a recuperare.
- Non possono esserci solo cose positive intorno al 6. Magari c'è un uomo che sta cadendo da un palazzo e si trova a 6 metri da terra. Quando il 6 scompare, ha salva la vita. Se per ogni 6 buono scompare anche un 6 cattivo, l'equilibrio dell'universo è preservato.
- E le coppie che si sono conosciute il giorno 6? Si vogliono ancora bene dopo?
- Non lo so. A questo non ho pensato.
- Credo che sentirei la mancanza del 6. Mi piace il 6, è un bel numero. Non bello come il 4, ma bello.
Il tuo cuscino è volato via, a qualche metro dal letto. Ti stendi accanto a me e allunghi un braccio sul mio petto. In cielo passa una nuvola che non assomiglia a niente.

04 luglio 2010

Non voglio dirti cosa fare con le tue ginocchia. Voglio solo ricordarti che indicare non è buona educazione.

I re barbari adoravano i gioielli, soprattutto quelli verdi, e odiavano i test di trigonometria. Ci facevano sopra disegni di soli e rune. I genitori dei re barbari non permettevano loro di tenere telefoni cellulari, perchè temevano che potessero distrarsi mentre andavano a cavallo ed essere disarcionati. Allora i re, per ripicca, ogni volta che davano fuoco all'abitazione di un povero contadino, lasciavano sulle macerie fumanti un gatto vestito con una tunica bianca. Quando i re barbari si sposavano, le mogli erano molto belle e i re molto grassi. Dopo qualche anno le mogli diventavano molto grasse e i re allora andavano in guerra. Quando tornavano dalla guerra portavano in dono alle loro regine scatole di cioccolatini e musicassette. Tutti i gioielli del bottino li tenevano per sè, soprattutto quelli verdi. Le regine passavano le ore ad ascoltare le cassette dei duran duran e a provarsi nuovi vestiti. Le vecchine per le strade raccoglievano spezzoni di nastro magnetico; li cucivano insieme, li remixavano e poi li rivendevano, il giorno del mercato, sui loro banchetti di legno. I giovani si tenevano per mano perchè avevano solo le mani. I re barbari, oltre alle mani, avevano grossa considerazione e quindi si tenevano anche in grossa considerazione. I re barbari non tenevano le regine barbare per mano, per timore che queste sfilassero loro dalle dita gli anelli verdi. L'epopea dei re barbari si concluse quando fu inventato il tè. L'invenzione del tè permise agli uomini di creare i country club e i campi di golf, dai quali i re barbari furono presto esclusi a causa del loro parlare ad alta voce e del loro vezzo di usare bulbi oculari umani al posto delle palline da golf.

29 giugno 2010

Carta da parati per i pensieri

Ci sono coloro che vorrebbero mangiare i fiori, che sono diversi dai mangiatori di Loto. L'unico oblio che li interessa sono le orecchie piene di vento. Ad esempio: Il mondocielo, la voce del verbo stare e la direzione sbagliata possono coesistere solo in uno specchietto retrovisore.
Ci sono idee della realtà che sono un po' menzogne, che possono rovinare un pomeriggio. Ad esempio: nuotare con addosso il peso simbolico di un animale comune.
Ci sono momenti sporchi, sottili millimetri, che estinguono qualunque cosa nel raggio di km e non hanno bisogno di scavare per piantare un germe. Ad esempio: "Fermi... Sorridete... Fatta."
Ci sono permutazioni di punti di vista che celano il tedio invisibile alla fantasia pigra. Ad esempio: la differenza tra stare dentro una nuvola e stare fuori a guardare qualcuno dentro una nuvola.
Ci sono errori che mettono radici, su cui ti puoi dondolare, sotto cui puoi sonnecchiare, che non puoi abbattere perchè lì ci giocavo da bambino. Ad esempio: tentare di fermare, con le mani, le cose che tremano. Tentare di fermare le cose, con le mani che tremano.

29 maggio 2010

L'oggetto in sindrome (la trasformazione de)

Una derivazione di quel circuito elettrico che è l'anima, il pianoforte. Lì al pianoforte ci si sta bene murati dentro; ed è come un mammifero che, per nutrire il proprio cucciolo, prende per sbaglio tutta la sua testa dentro la bocca. Il pianoforte è un sasso ed io sono lo stagno. Il filosofo si chiede: Il pianoforte è tensione o tranquillità? Qualcuno dalla galleria risponde: Ci sono le cose del mondo che si aspettano di essere sollevate, dal basso verso l'alto. E poi ci sono i tasti del pianoforte.

A nessuno capita mai, quando si è in attesa al ritiro bagagli dell'aeroporto, di essere il possessore della prima valigia ad uscire. Credo che il personale aeroportuale ponga una valigia fittizia in testa a tutte le altre, che agisca come anestetico per le masse in attesa.

Rimane solo da mettere tutti i numeri in cielo, e aspettare che il vento risolva il problema.

13 aprile 2010

Hai visto quella donna francese col suo strano modo di mangiare un arancio?

La morte me la immagino in reggicalze.

Alcune navi si arenano così profondamente che a volte il mare si dimentica di essere mai stato lì. Le navi che si arenano sono le più orgogliose, sono quelle che dicono: "non osare dirmi dove posso o non posso navigare".

Il mondo decide dove si trova l'acqua, noi decidiamo quanto bagnarci.

Parlando da fantasma: anche io preferirei infestare un castello. Essere immateriali non vuol dire non essere pigri.

E' un peccato che la luce debba sempre venire da qualche parte. Sembra così impaziente. Va bene quando la luce viene da dietro i tuoi capelli, come è la dissolvenza del the, molecole, ma morbide. Forse la luce si porta dietro la propria casa, come fanno le chiocciole.

31 marzo 2010

Tutte le mani possibili

Per gli amanti della primavera, la primavera è una gran seccatura. A volte per mettere in discussione un'identità basta un campo di papaveri, un pallone fatto con la gomma da masticare, riconoscere un posto dalle nuvole.

Io ho una testa, che è come una tazza di the. Quando le cose si fanno interessanti, si forma una nuvoletta di vapor acqueo sulla sommità. Poi certo c'è anche il the freddo, ma quello è ripensarci dopo, a mente fredda.

Vorrei capire come il bianco e nero influisca sullo scorrere del tempo.

Io ho una teoria. Io non sono d'accordo. Io non sono d'accordo e ho una teoria. Io ho una teoria anche quando non ho una teoria, perchè ho una teoria sul perchè non ho una teoria. Io ho una teoria anche quando sarei d'accordo in teoria, ma poi non sono d'accordo. Quando penso troppo di avere una teoria, finisce che non sono d'accordo, perchè avere una teoria non basta e mi sembra troppo facile. Quando penso troppo di non essere d'accordo, finisce che non sono d'accordo sul non essere d'accordo, perchè non essere d'accordo non basta e mi sembra troppo facile. Tutto ciò potrebbe sembrare strano, ma non sono d'accordo. Anzi si può spiegare facilmente, e io ho una teoria.

E tu che, sul mio foglio da disegno gigante, potrai disegnare sempre.

27 marzo 2010

di moto dovuto

Dicevano che le ore di disegno erano obbligatorie, che non si poteva uscire. Eppure in quelle stesse ore continuavano a ripetere questa cosa dei punti di fuga. Ho creduto mi si stesse mettendo alla prova.
In seguito avrebbero detto che ero scappato, ma io penso che non sia giusto dire che si sta scappando quando invece si è alla ricerca di qualcosa. Il mondo fuori era un luogo mitologico, disseminato di strutture pericolanti, cavi scoperti, schegge di vetro nella pelle, alte tensioni. Di possibilità, insomma.
C'erano invenzioni umane con una direzione, come le strade, i binari. Ho imparato presto che si doveva rispettare la direzione, sopra di tutto. Non attraversare i binari, così era scritto. Fai tutto quello che vuoi, ma non attraversare i binari. Non sei più uno dei nostri, se ti azzardi.
Inseguivo le cose che mi piacevano, finché non scomparivano loro, o non scomparivo io. Allora mi fermavo e mi mettevo a dormire. Ho sognato spesso me, sopra una piccola barca di legno bianco e nero, e tutto intorno acque placide. C'era anche il cielo stellato, ma le costellazioni cambiavano ogni volta. Nel sogno mi sdraiavo sul fondo della barca, guardavo in alto e mi chiedevo di cosa preoccuparmi: del non avere un porto o una riva di destinazione, del non sapere in che direzione remare per raggiungerli o del non avere niente per remare.
Non mi faceva paura niente, ballavo anche. Ballare non sarebbe stata una catastrofe, se essere ballerini non volesse aver detto somigliare tanto a dei camerieri... così gentili e disinvolti, e al contempo così uguali a se stessi. Non ho mai capito perché tutti avessero bisogno di un paio di scarpe per ballare.

13 marzo 2010

ragazzo grammaticalmente emancipato

Gli amanti del deserto non sanno dove nascondersi quando arriva il marito del deserto.

Ogni goccia che cade è una lettera che faceva parte di una parola. L'asfalto bagnato dopo la pioggia è un'epopea sgangherata, il giaciglio su cui non ha mai pianto nessuno è un cuscino senza titolo, un rubinetto che perde nella notte è la storia scritta per ricordare che terrorizza la storia scritta per dimenticare.

Io non credo alle pagine dei libri che volano via, ai centri estivi apertura il 9 giugno, ai personaggi dei telefilm che portano i nomi dei filosofi. Eleganza non sono alberi piantati lungo una linea retta, piuttosto scarpe di quattro misure più grandi. Ci sono delle mattine in cui mi sento eviscerare dal freddo ginecologico dell'aria, quando i pensieri mi rimangono attaccati alla simmetria di certe banchine della metro A, come la lingua sul ghiaccio. Evito di passare davanti alle edicole, perché non mi interessano il feticismo quotidiano per ultimi sette giorni e le grandi eiaculazioni astrofisiche di cosmi lontani, sbattute sulle prime pagine da riviste scientifiche senza pudore. Non riesco a conciliare questa città con me che l'attraverso. Non si giustificano in una sola idea queste corporazioni di silenzio e una tale messe di slogan, le calze rotte e le stelle sulle scarpe, le isole spartitraffico e i nascondigli tra le siepi, i secondi piani dei caffè e la neve di plastica, vagabondare con le cuffie addosso e nessun posto dove infilare il jack. In bocca, provo nella mia bocca.

26 gennaio 2010

Puoi fidarti di me, ho ingoiato un lucchetto

Si vuole ora dimostrare come la parola "amore" rappresenti un jolly per tutti coloro che aspirino a scrivere una similitudine, od un arguto aforisma. Segue una dimostrazione per enumerazione, tentando l'autore improbabili accostamenti. È dunque lasciato all'accorto Lettore il giudizio sulla bontà della tesi.

L'amore è come un tubetto di dentifricio: quando qualcuno lo usa, la volta successiva sarà piu' difficile tirarne fuori qualcosa.

L'amore è come un cassonetto dei rifiuti: per incontrare qualcuno che se ne prenda cura bisogna attendere la notte.

L'amore è come la cisterna d'acqua del water: si svuota molto facilmente, ma dopo serve del tempo prima che possa essere usato di nuovo.

L'amore è come l'Ucraina: sei sicuro che esista, ma non sai quante persone ci siano dentro.

L'amore è come l'inferno: "Da fuori sembrava meglio".

L'amore è come un carapace: ti ci puoi nascondere dentro, soprattutto quando cercano di calpestarlo.

Funziona con tutto, davvero.

10 gennaio 2010

coserosse

"Da bambina ritagliavo tutte le foto su cui riuscivo a mettere le mani e le appuntavo al muro della mia camera. Lo facevo per non vedermele passare davanti agli occhi quando mi sdraiavo sul bordo del fiume, per specchiarmi. Sentivo i grandi raccontare tante storie strane, e già non mi fidavo più di quello che poteva portare la corrente."

Una fisarmonica trattiene il fiato per ogni istante in cui non viene suonata. Può respirare solo quando il musicista sgancia i nastri che la serrano a se stessa in un abbraccio di cuoio.

"C'erano delle volte in cui mi fermavo in mezzo ad un sentiero, mi liberavo le caviglie dai lacci delle scarpe e attraversavo lentamente il letto di foglie gialle che si formava durante l'autunno. Se qualcuno mi avesse fermato e mi avesse chiesto perché lo facevo, probabilmente gli avrei detto: "Per rispetto."

E' un abbraccio da matti, come tutte le cose che sono sincere ma ti si rinchiudono addosso. Ho paura quando penso che lo strumento possa parlare a me, ma non con me.

"Desideravo religiosamente avere i capelli lunghi. Odiavo fare il bagno nei giorni freddi, ma mi piacevano le goccioline di vapore che si depositavano su ogni cosa. Mi lasciavo scivolare sul fondo, guardavo il soffitto galleggiare e mi chiedevo che sensazione sarebbe stata vedermi i capelli ondeggiare davanti agli occhi, come immaginavo succedesse alle sirene."

25 dicembre 2009

Del trascendere dal letto a piedi nudi

Il lago artificiale è un luogo appena al di fuori dell'insieme dei luoghi che vale la pena ritrarre. Pochi posti sono meno adatti per coloro che amano la pesca; in compenso, per chi non si è fatto una opinione precisa sulla pesca, questo fatto è totalmente ininfluente. Io preferisco andarci quando ho così tante cose da fare che non ho niente da fare. Il lago artificiale si fa apprezzare perché è un posto pieno di significato, come quella volta che mi sono seduto sopra una panchina fresca di vernice e quando mi sono alzato avevo i pantaloni tutti sporchi di significato.
La coscienza collettiva del krill è uno di quei fenomeni che può lasciare a bocca aperta perfino un animale navigato come la balena. Alcuni scienziati credono che la natura stessa di Dio sia un prodotto emergente dalla coscienza condivisa del krill. Una volta uno studioso del krill mi disse: "Dio è come Mina: una volta stava in mezzo alla gente, si faceva vedere, sorrideva. Oggi nessuno sa che faccia abbia, vive nella reclusione del suo eremo e sporadicamente fa sentire la sua voce".

20 dicembre 2009

Entra il fragore del tuono, senza bussare

Più ci si avvicina all'orizzonte con lo sguardo, più ci si sente alleggeriti dalla responsabilità. La responsabilità di salire sopra uno sgabello per scrutare più lontano, la responsabilità di sconfiggere la nebbia. Avviene senza che il paesaggio influisca, ma lo stesso ci si aspetta che l'intorno venga annodato da qualche aurora che si muove veloce, o che si apra un sipario lento. C'è spazio per lo scoccare di collisioni. Si percepisce la smania della luce di sgorgare, come la cioccolata nelle fontane delle vetrine, quelle del corso grande. A chiudere la finestra rimane il sapore di una nostalgia, come se si fosse persa l'occasione di imparare a suonare la fisarmonica, e non poter così improvvisare un concertino a solo beneficio della pila di libri sullo scaffale. E quando una scimmietta balla, a chi importa che sia meccanica o meno?

19 dicembre 2009

Magenta segreto

Dopo che ebbe detto "per sempre", non vi fu spazio per altro in quella pagina.

20 settembre 2009

Massima cattiveria nel silenzio

Beh, era una giornata piena di sole. Non che ci fosse niente di male, ma l'unica caratteristica di quella giornata era l'abbondanza di sole. Essere pieni sole è una qualità come ce ne sono tante altre. Guidavo allegramente, che se la mia macchina avesse potuto saltellare, avrebbe saltellato. Dovete immaginarvi la mia macchina con il parabrezza quasi verticale. Ecco, mentre io me ne stavo a guidare, una cimice molto verde si arrampica sul parabrezza. La cimice era MOLTO verde. Le cimici sono molto verdi solo nelle giornate piene di sole. Camminava sulla mia macchina con quel modo di camminare che hanno le cimici e faceva finta di niente, come se la mia macchina fosse un pianeta. Quando qualcuno cammina su di un pianeta che si muove, lo fa sempre facendo finta di niente, o almeno facendo finta che il pianeta non si muova. Per un attimo ho pensato di chiedervi di considerare il punto di vista della cimice, ma adesso ci ho ripensato. Tutto qui.

Ammettiamo che tu sia una persona che si butta giù facilmente. Arriva un qualcuno qualsiasi e ti dice "Non buttarti giù!". Allora ti chiederai: "Dunque sono una persona che si butta giù facilmente?". Questo pensiero, poichè sei una persona che si butta giù con facilità, ti butterà giù. E succederà che il pensiero di essere buttato giù dal fatto di sapere di essere facile a buttarsi giù, ti butterà giù. A causa di tutto questo essere buttato giù, ti dirai: "Sì, è vero, mi butto giù facilmente." e ti butterai giù di conseguenza. Fin quando non ci sarà qualcuno che, vedendoti così buttato giù, ti dirà: "Non buttarti giù!".

Immaginate di avere davanti a voi un cofano emozionale, uno di quelli che si manovrano solo dall'esterno. Lo aprite e ci trovate dentro qualcuno. La verità è che quel qualcuno non è la vittima. Soprattutto quando ha ancora le chiavi in tasca.
Ora le mie mani non sono dove dovrebbero essere. La riduzione a horror.
Vorrei iniettarmi mine di matite nelle vene, per vedere disegnato in trasparenza il grafico del mio sangue che circola sterile, in un gran premio senza fine e senza premio.
Io esisto nel tempo come un'auto che passa dentro una fotografia.

Sono seduto in un caffè. Davanti a me c'è seduta una donna, in mezzo un tavolo di plastica bianco sporco a dividerci. Alla mia sinistra una vetrata che affaccia su un giorno che comincia o inizia o prosegue sulla falsariga di. La donna è sottile, si stringe nelle spalle, tiene i gomiti sul tavolo non troppo distanti tra loro. Tiene la testa appoggiata sul dorso della mano destra. Indossa una maglia nera di lana, aderente, che le copre gli avambracci fino a metà. Tutto nel suo viso è estremamente orizzontale. Non stiamo dicendo niente, non abbiamo parlato di niente. Lei osserva la parte del mio schienale che raggiunge il muro, dove parte dell'imbottitura è fuoriuscita dalla tappezzeria. Io fisso il bordo interno della tazza vuota che ha davanti. E' macchiato di caffè. Immagino di segarle il braccio a metà, lungo la manica, e osservarne la sezione longitudinale, i muscoli, l'ulna, il radio, il midollo osseo, le vene e le arterie. Immagino che per un momento non vi sia più interazione possibile tra alcun atomo della materia; ogni cosa sarebbe polverizzata, nebulizzata, tutto rientrerebbe anonimo nei processi pseudocaotici della galassia, io, lei, la tazza di caffè, il bar, la strada, il giorno fuori. Immagino di prendere la tazza vuota e tirarla contro il muro, sento già il rumore dei cocci che rimbalzano per terra, sento già il rumore degli sguardi degli altri avventori sul nostro tavolo. Immagino uno scenario meno compromettente. Immagino che d'improvviso la forza di gravità si inverta, ma limitatamente alla tazza di caffè. Cadrebbe verso l'alto, e si andrebbe a schiantare sul soffitto. La gente intorno osserverebbe il fenomeno con stupore e cercherebbe il mio sguardo per darmi di gomito, un nauseante lo-hai-visto-anche-tu, siamo-parte-di-qualcosa-insieme. Ma a quel punto noi saremmo già andati via, e io sarei già lontano.

14 agosto 2009

dlt

dentrolatesta i ricordi si perdono come la crema scivola via da un dolce appena addentato. dentrolatesta ogni pensiero grande è anche audace e riesce sempre ad evadere da dentrolatesta. dentrolatesta milioni di stelle non possono avere torto, è dunque meglio non esserci più e brillare ancora. dentrolatesta il mondo non è più piatto come una mappa, quindi possiamo ancora cadere fuori dai bordi di una mappa, ma non del mondo. dentrolatesta per questo il mondo non ha bisogno di un parapetto. dentrolatesta fotesi + fotoantitesi = fotosintesi. dentrolatesta una volta i telefoni squillavano dove e quando non c'era nessuno pronto a rispondere. dentrolatesta le bottiglie vuote dello shampoo sono perfetti sottomarini. dentrolatesta se non andassi a dormire sarebbe sempre oggi. dentrolatesta i pollici opponibili sono antidemocratici. dentrolatesta da bambino ero così solo che neanche le gemelle di shining volevano giocare con me. dentrolatesta esistere fa il solletico. dentrolatesta c'è una versione di me che non conosci, ma anche quella non parla mai. dentrolatesta l'egocentrismo salva da altri sistemi di riferimento inerziali. dentrolatesta cosa altro fanno i bambini, se non stare seduti sul sedile posteriore? dentrolatesta se fossi un giorno sarei martedì oppure giovedì. dentrolatesta non smetto mai di tamburellare le dita. dentrolatesta sei per me la prima canzone punk mai ascoltata.

14 giugno 2009

Manuale per giovani mar morti

Sta a guardare la gente che si china sul fioco getto d'acqua che sgorga dal marmo, mentre raccoglie le mani a coppa e tenta di dissetarsi.

"non si accorgono che questo è il gesto più religioso che faranno in tutta la vita"

A causa dei piccioni e delle persone e delle coppie di piccioni e delle coppie di persone, chiude gli occhi. Per non essere assediati da luoghi comuni e tubature.

"vogliono solo essere felici come animali"

Si trova la bocca con le mani, tenendo gli occhi chiusi. Se la apre infilandoci le dita, come se le fosse sconosciuta e aliena. Allunga una mano e chiede che ci metta sopra qualcosa che possa essere mangiato. Io ho solo una caramella avvizzita. La inserisce in quella fessura con biasimo chirurgico.

"falso"

Dopo un poco.

"non è facile vivere con gli occhi chiusi, quando hai fame"

Certi fogli di giornale se ne vanno in giro da soli, come un teatrino della marionette. Il vento tira le fila. Metto le mani dove è lei, cercando di non farla apparire una spaccatura. Mi sembra una bambina che colora con la testa appoggiata sul foglio, contro la guancia, fissando la matita a tempera mentre oscilla fuori fuoco. Un delirio delfico.

"se io fossi una cleptomane, tu saresti il monogramma di uno sconosciuto sopra un fazzoletto rubato"

Apre gli occhi. Per un istante la sua pupilla si stringe e si stringe, lasciando un forellino d'ossidiana nel mezzo. Capisco che è rimasta delusa quando tutto questo non è semplicemente scomparso.

"ora lasciami stiracchiare un po', poi andiamo via. dobbiamo festeggiare"

festeggiare cosa?

"che ci sia ancora qualcosa da salvare"

21 maggio 2009

Con tanti saluti dal basso ereticato

Se fossi una mela probabilmente non la chiamerei gravità, ma libero arbitrio.

21 aprile 2009

Ma poi non sapresti a cosa aggrapparti

vorrei avere da raccontare storie che sanno di bruciato. vorrei assaggiare gli occhi liquorosi del mondo. A volte rigurgito. risputo nel bicchiere prima di buttare giù. per vedere se ci sono parole incastrate tra i denti, parole a marcire contro le pareti bucate della bocca. parole di carne troppo cotta, formiche negre sul tronco encefalico. mi fanno rizzare i peli dietro la nuca. ho questa riserva di stima incondizionata per una ragazza che sapesse bruciarmi sul petto la parola IRONIA. ho questa cosa addosso che arranco sulla superficie delle persone. voi per me siete tutti in salita.

(fino a tre, trattenendo il respiro con una scusa)
1) Questa situazione è del tutto surrenale.
2) Da bambino volevo uccidere tutti con i trasferelli e diventare un decalcomaniaco omicida.
3) Raramente ci è concesso il fiore che desidereremmo. Più spesso, veniamo costretti a scendere a compromessi con i nostri orchideali.

Se le conversazioni sono porte, so fare sospiri a doppia mandata. Contro le persone che per vizio si introducono a vicenda. Come dannate VHS E120 dove non entra mai il finale. Ho l'impressione che mi rimangano solo azioni e manifestazioni troppo visibili per essere viste. Come dire: sono stato sfidato a duello e la mia scelta dell'arma è ricaduta su Torte in faccia. Poter annunciare "Senza rancore, ma abbiamo sbagliato tutto; Dobbiamo tornare indietro di 10 pagine". Tanto ci stavamo leggendo senza capire niente. Perchè comportarsi come se quello che hai in mano debba per forza appartenere ad un luogo e che quello che non hai in mano debba essere tenuto insieme da equilibri già contrattati, da dadi già tratteggiati, equivale a tracciare la rotta del proprio non saper nuotare. Rigore e compassione. Crapuloni coraggiosi.

Strizzo le tempie abbastanza forte da far affiorare i dotti dove scorre la linfa. Filigrana di certe ispirazioni. Mi scorre dentro artritica, a piccole valanghe con le unghie spezzate. Le pareti interne tutte graffitate e carbonizzate, come i bordi delle mappe del tesoro. A seguirne la tessitura con i polpastrelli si potrebbe capire da dove tutto ha inizio. Probabilmente dalla pancia. L'inizio, arroccato intorno a un buco che non va a finire da nessuna parte. Il covo. Scalcio dentro, come un feto cronenberghiano.

Io posso anche fare la parte del cretino spelacchiato, quello che se ne sta a farsi nevicare in testa, quello con gli occhi annuvolati, quello che crede che la pioggia sgorghi solo da un cielo ulceroso, quello dai sentimenti idrodinamici, quello che per fare la corsa col sacco prima col sacco ci deve stringere un legame, quello che sogna di suscitare prodigiose increspature della pelle, quello che inchino e sberrettata, quello che sarà salvato dalla chimica, cavaliere della tavola periodica, quello che ti prego ti prego ti prego chiedimi di tirarti fuori di qui.

29 marzo 2009

Mi nascosi all'ombra d'una sagacia

Il cannibale sogna un'umanità glabra.

In pieno agosto,
a bordo del mezzo di trasporto pubblico,
La convinzione dell'umanista vacilla.

Danza d'accoppiamento tra spettatore e tv:
Lo spettatore ammaestra colesterolo ubbidiente.
La tv propone preservativi con intarsi maori.
Lo spettatore affigge la guida ai programmi
fuori dalla porta del salotto
e dal suo modellato scranno, secede.
La tv predica pozze catramose agli eteroformi.
Lo spettatore espia a mezzo carta di credito.
La tv placca in oro idoli dalla chiappa antonomastica.
Lo spettatore dispera dei propri cedimenti idraulici.
La tv dota lo spettatore d'un cervello coibentato.
Lo spettatore, occhi spalancati nella notte
cerbiatto d'autostrada, immobile a fari accorrenti
imbambolato e perduto, applaude.

(il seguente brano è tratto da: "I migliori racconti della tradizione favolostica")
L'uomo mangia l'uovo. L'uovo abbandona la cesta. L'uovo si fa strumento. L'uomo sbuffa. La linea dell'uovo è affilata, la ... dell'... è stilizzata. L'uomo è compiaciuto. L'uomo sceglie un angolo e si dedica alla vestizione. L'uovo l'ha scelto una puttana. Poi di nuovo l'uomo e l'uovo sono insieme, tutto viene registrato, regolato, vantaggiosamente per tutti. L'uomo fissa i piedi della bambola al pavimento con i chiodi. La bambola è narcisa poi recisa. L'uovo barcolla. L'elicottero antincendio supera la linea dell'orizzonte. L'ascesa dell'elicottero è uno sberleffo. La linea dell'orizzonte picchietta contro i vetri. L'uomo apre la finestra. L'uomo va in epistassi. La bambola si preoccupa della disinfezione. L'uovo previene la fibromialgia. L'elicottero sorvola un'impiccagione. L'uovo si tranquillizza, poi insubordina. L'uomo ripiana il debito verso la bambola con un'omelette. La bambola esplode. L'assenza di traffico proietta oscurità contro la strada vuota. Il semaforo solitario recita un'omelia di colore nella notte, inascoltato.

22 marzo 2009

La fine giustifica gli intermezzi

Io non credo che tu esista. Per quel che vale, non credo d'esistere neanche io. Potremmo essere semplicemente l'immaginazione di qualcosa nel mezzo. Questa rivelazione mi solleva da tutte le responsabilità, tranne quella di scoprire le definizioni nascoste tra le più piccole pieghe di questa creazione. Questa rivelazione è la causa che mi rende estranei, all'improvviso, gli oggetti familiari. Non avevo mai visto la serratura della porta di casa mia con questi occhi. E' per questo che vedo l'azzurro solo lungo i bordi di un tetto. E' per questo che non sento calore, ma solo bruciore di cento minuscoli graffi.

Ho provato subito disinteresse per il grande fuoco. Mi sono appassionato, invece, alla giovane scintilla. Con animo incerto ne ho seguito il percorso. Ho forse contribuito alla sua dissoluzione semplicemente osservandola? Io sapevo che le sarebbe bastato posarsi in un punto piuttosto che un altro per spegnersi velocemente o dar vita ad un nuovo baluginare di fiamme, che avrebbe aggiunto la sua lingua al rissoso ululare del grande fuoco. Sì, è meglio bruciare senza avere nessuno a casa che ti aspetti.

Un grande fiocco rosso per presentarsi.
Cielo freddo macchiato, panna a parte.
Corpo fasciato da stringhe nere e digrignare di zip tutt'intorno.
Piuttosto che il sole, disegnare finestre.
Un pube interrogativo.
Il mare è salato perchè le balene sono tristi.
Sì, ma una volta sollevato il velo di Maya, uno cosa deve fare? baciarla?
Obliterami l'anima.
L'altra notte m'ha fatto visita un succubus. Ora devo ristuccare le finestre.
Ofelia, oh Ofelia, ridi come noi ridicoli! T'offro speranza di gentile follia.
Il posto da cui escono le parole ha una porta di servizio.
Dopo, sentirsi un ghiacciolo cui hanno succhiato via l'amarena.
Se questi alberi potessero parlare, chiederebbero di fare un giro sulla ruota panoramica.

13 marzo 2009

E' facile smettere di spostare gli oggetti con il pensiero se sai come farlo

Esperimento n. 1: Scrivi ogni tuo pensiero su foglie di platano secche, con inchiostro nero, utilizzando una vecchia macchina da scrivere meccanica. Metti virgole in corrispondenza delle venature più grandi. Ricorda a memoria le parole che la fanno inceppare e inventa per loro un altro significato.

Esperimento n. 2: In una giornata di pioggia, trova un ombrello monocolore e aprilo. Impugna un paio di forbici e colpendolo follemente pratica dei fori nella tela. Esci a camminare, portandolo con te. Verifica miglioramenti negli episodi di soffocamento. Considera l'universo come una scatola di scarpe. Immagina una foglia di lattuga e sopravvivi.

Esperimento n. 3: Prendi la metro e siedi in uno scompartimento poco affollato. Cerca di incrociare lo sguardo di un altro passeggero. A cattura avvenuta, alzati in piedi e suona una fisarmonica immaginaria. Al termine dell'esecuzione fa un leggero inchino e, togliendoti il cappello, allungalo verso il tuo spettatore con fare questuante. Guardalo negli occhi con impazienza.

Esperimento n. 4: Afferra una frusta e falla schioccare con un colpo secco. Con la mano libera, brandisci una sedia in aria. Trova un fiore grande come la testa di un leone. Aprilo e infilaci la testa dentro. Ripeti l'operazione fino a quando non sia certo il tuo coraggio, oppure l'impollinazione.

Esperimento n. 5: Apri il frigorifero e tirane fuori un frutto per ogni tipo. Con un pennarello indelebile disegna su ogni frutto un volto, triste o allegro, e poi assegna a ciascuno un cognome evidentemente inglese. Componi una pièce teatrale in tre atti, con protagonisti i frutti stessi. Congegna l'opera in modo che si verifichino le seguenti scene:
- nel primo atto, un gruppo di arance finisce in prigione. Tutti coloro che le vanno a trovare non sanno cosa portare loro in dono.
- nel secondo atto, un kiwi muore durante un incendio. Il medico legale, nel referto alla voce 'causa del decesso', scriverà 'mancata estinzione'.
- alla fine del terzo atto, tutti i frutti intraprenderanno un viaggio senza ritorno verso un certo paese della penisola balcanica, di cui ometteremo il nome.

Esperimento n. 6: Scatta una foto a lunga esposizione. Quando la macchina fotografica ti chiederà: "Per quanto vuoi che tenga aperto il diaframma?", tu rispondi: "Per sempre". Al termine del tuo cammino, sviluppa la foto. Prendi coscienza del fatto che, per tutta la vita, non c'è stato che bianco. Bianco, bianco, rumore bianco / bianco, bianco, rumore bianco.

05 marzo 2009

Balla maledizione, balla

Sono stato steso in terra, aspettando che qualcuno mi vedesse.
(di lassù, a volte si cade in certe trappole gravitazionali)
Cercavo un rifugio per lo sguardo, senza abbracciare niente.
Guardare le stelle era come leggere il labiale dell'universo.
Che poi, è sempre bastato un altro paio di labbra, per.
Non che io fossi una persona priva di difetti.
(alieno? come alieno?)
Avevo, ad esempio, sette vizi bianchi e cinque neri.
Non mi era molto chiaro come potessi stare senza. me.
Come sapessi mettere la fantasia a modo di segnalibro.
Io, creatura semplice, fantasticavo di scalini di marciapiede per compensare.
Immaginavo di morire soffocato in una stanza colma di palloncini.
Fino al soffitto. L'estasi senza scampo di fronte all'immensità.
C'era ancora una voce per te, nei miei soliloqui.
Meccanici, forse. Tu accusandomi:
"Le nostre giornate insieme sono foto amatoriali, non lomografie."
Io, creatura semplice, mi interrogavo sui sentimenti delle mattonelle.
Di certe mutile, accanto al battiscopa, amputate al loro destino di riempitivo.
Io sarei dovuto essere la cifra rossa del tuo bilancio in passivo.
Io un posto ancora non ce l'ho.
Però.
Guardandola controluce, ho scoperto che la piramide delle mie felicità è capovolta.

01 febbraio 2009

Sguardi e ladri

i. Stare sotto la pioggia è un investimento a lungo termine. Lì per lì ti sembra di perderci, ma alla fine ne esci più ricco di prima.
ii. La religione monoteista è un'altra dimostrazione che ci si innamora sempre di qualcuno che non esiste.
iii. Il miglior metodo contraccettivo è la spirale di autodistruzione.

Nodi che più tiri e più si stringono. Le strade in discesa. Le reazioni di fissione nucleare. Cosa succede quando una forza impossibile da fermare si applica ad un ostacolo impossibile da spostare? Le razioni di benessere socioaffettivo le trovi comodamente in vendita nei supermercati, in efficienti scatolette di alluminio monoporzione, di quelle sui cui bordi affilati ti ferisci le dita. Il rumore delle gocce che si schiantano sul fondo del lavello, in bilico tra un principio di emorragia e un cliché che ti tiene sveglio la notte. Espropriazioni governative dell'imprevisto. Stanno tutti bene, nonostante i miei sforzi.

iv. Qual è il tuo piano per cambiare il mondo?
v. Il sole non proietta ombre, fa i compiti di disegno tecnico.
vi. Si chiama polidattilia, è quella malattia per cui da grande ti rifiuterai di prendere lezioni di piano.

Sperimentare l'esistenze altrui come luci che lasciano scie di impressioni chimiche su pellicole esposte troppo a lungo. Il dolce ricordo della pasta rosea stretta tra le mascelle, alla ricerca di una impronta dentale, la colpa, la prima mela, tutto quanto. La bocca sigillata, il calore trasformato in solidità, legame tra respiro e panico. Una volta le sirene avevano le ali, lo giuro, è tutto vero. I pavimenti a scacchiera mi fanno venire voglia di assediarti. Poi di notte sento le urla delle matite colorate chiuse nell'astuccio di legno. Hanno incubi. Incubi che noi creature policromatiche non possiamo concepire. Gli incubi di coloro che sono costretti a far uscire dalla testa quello che hanno dentro. Fotofobia e inadempienza alla propria imbottitura. E questa è una distrazione, un argomento nero come la primavera per gli esasperati.

vii. Ci fu lo scontro di civiltà, e poi il relativo CID.
viii. Era una persona così profonda che alla fine è sbucato dall'altra parte.
ix. Questo silenzio è gentilmente offerto dalla bomba appena esplosa e dai timpani appena dissolti. E' stata una ninna-nanna esotermica.

Laocoonte, inventore del tentacle hentai

Ho inventato una parola. Ho inventato una parola che vuol dire che tutte le parole sono già state inventate.
(P.S. la parola è logosaturazione)

Obiettivamente, il passato. Woody, sdraiato sul divano, sdraiato come ci sdraia in bianco e nero, in una sessione di auto-psicanalisi. Elencando motivi sufficienti alla sopravvivenza, tra un movimento della sinfonia Jupiter e un viso di Tracy. Carlo, in viaggio verso Ladispoli, che rompe una bottiglia di olio e si intrattiene a discutere con l'uomo in canottiera sull'etica della manutenzione del bene pubblico. Carlo e gli occhi al cielo per l'archetipica MariSol, sovvertitrice d'esistenza e colpevolmente spagnola. Vabbè, cinenostalgia.

03 gennaio 2009

Di catarsi incatramarsi

Parte tutto da Najla. Sono due traiettorie separate e speculari. Iniziano procedendo divergenti, linearmente. Poi la velocità con cui si allontano decresce dolcemente, arrivano a camminare parallelamente per un po'. Ad un certo punto nasce tra loro una forza attrattiva, si avvicinano, accelerando. Sembra vogliano scontrarsi. Ora la distanza che le separa da Najla è costante, ma quella tra loro diventa sempre più piccola. Ecco che a pochi istanti dalla fine prendono a rallentare, e ad avvicinarsi a lei. Najla saluta il loro incontro, lungo il piano che ha accompagnato la loro simmetria, con una volgare dimostrazione di denti.

Come si guarda un ascensore che sale, che oltrepassa il tuo piano. La luce che riempie la fessura tra le porte: come per una marea extralunare, seguita dal buio che fa la stessa cosa per non sentirsi dimenticato. Lo stesso modo che ha Najla di guardarti negli occhi: d'un interesse passeggero, come a chiedersi di chi sia l'ombra là dentro. Io, che finisco sempre per immedesimarmi, accendo i miei pensieri in sequenza, come spie che annunciano il susseguirsi dei piani. In un appartamento, due piani più sotto, esplode uno scaldabagno. L'ambiente si satura di particelle di vapore in sospensione che vanno ad attaccarsi a tutte le superfici fredde, rendendole opache, umide e umane. Ora che lei scruta lo spazio vuoto che tratteggio nella stanza, temo sia alla ricerca delle linee di un campo metamagnetico, sensibile solo a qualche suo senso felino. Credo sia il suo modo di orientarsi tra gli uomini.

Quando prende a girarmi la testa, non riesco a più a decifrare i segni del mondo. E l'edificio che sta scivolando lungo la strada ghiacciata? E' una delle sensazioni che mi trivella, vana ricerca di cose che prendono fuoco? Sono io la sua morbida scorza terrestre? Perchè ora Najla mi sembra così vuota di realtà, aliena alla struttura delle cose? Sei Najla o un sbuffo di cenere? Sono vittima di una maledizione, una malia, oppure si tratta della semplice interruzione del flusso sanguigno verso la corteccia cerebrale? Ora mi siederò qui e aspetterò che passi, strappandomi di dosso ogni sanguisuga. No, non sanguisughe: didascalie. Vorrei qualcuno che mi dicesse cosa fare di queste mani ingombranti, che non vanno bene neanche per coprirsi la faccia. La psicosi soffia ed io sono un mulino.

02 dicembre 2008

Fuori da ogni logistica

(cinquanta parole secondo il caso)

Caso I.

L'incontro di due corrisponde alla rottura di una simmetria, un inequilibrio, una deviazione assiomatica. Entrare nella vita di qualcuno è una piccola violenza, domestica più per senso di familiarità che collocazione. Due perfezioni non si troveranno, se una delle due non confuta se stessa e i propri asinini pudori sentimentali.

Caso II.

Seguono giorni di cambiamenti, che sono l'alibi dei sensi. Foglie che smettono l'aristocrazia del ramo, che decapitate raggiungono democraticamente terra. Un cielo senza altri colori da dire, silenzioso come l'incontro di pericolo e follia. Accade un giorno di Novembre, che il tramonto e le foglie del melograno indossino lo stesso colore.

Caso III.

Voleva dare un senso alla propria vita, e non si accorgeva di star applicando l'etica circense. Era equilibrista, cercando la misura tra lavoro e tempo libero. Era trapezista, bramando la cima della scala sociale. Era incantatore di serpenti, adulando i suoi capi, e domatore di bestie, educando i suoi figli.

Caso IV.

Memorie di un bambino euclideo: api che bucano le foglie, mal di testa da occhialini per proiezioni tridimensionali, lettere magnetiche sul frigorifero, erba che non cresce sotto una tenda da campeggio, lettere incastrate in una macchina da scrivere, nastro adesivo su tutta la pelle. Nelle conchiglie non si sentiva il mare.

21 novembre 2008

Lettera di licenziamento al mio spleen

Provo a tirarmi su le maniche, ma i polsi della camicia sono troppo stretti e viene su solo il maglione. Ancora, sbagliando.

Da piccolo mi rifiutavo di mangiare i biscotti rotti. Dicevo che non mi piacevano, ma in realtà era solo l'ignavia dei gesti minimi: andarli a ripescare con il cucchiaino o trovarseli molli, contro i denti, bevendo il latte. Da grande continuo a scansare i biscotti rotti, per un motivo che oscilla tra l'estetico e l'anestetico. Estetico, perchè i biscotti si inzuppano in coppia, schiena contro schiena, e un biscotto rotto non si lascia accoppiare. E' inavvicinabile sia ai biscotti interi (evidente), sia agli altri biscotti rotti, perchè ogni biscotto è rotto a modo suo, diverso. Anestetico, perchè da grande ho scoperto i meccanismi dell'analogia. Non mangiamo quello che siamo, ma quello che vorremmo essere. Nessuno vuole essere un biscotto rotto.

04 novembre 2008

Prolegomeni ad ogni futura sonata per pianoforte che potrà presentarsi come espediente per rimorchiare le ragazze

A un cinghiale somiglia il mio umore.

Mi sono giustificato dicendo che è normale, per un bambino, sperimentare con il corpo. E' scritto in tutti i testi di psicologia infantile. Peccato che io non sia più un bambino e che il corpo, oggetto della sperimentazione, non fosse il mio.

Sono passato con la testa in mezzo ad un nugolo di moscerini ed uno mi è entrato nel naso. Ho provato a soffiarlo fuori, ma non so, non si sa mai come vanno a finire queste storie. A me la parola nugolo non piace, anzi mi fa proprio schifo. Più schifo dei moscerini, nonostante che da bambino, dei moscerini, ti insegnino solo la perversione scatologica. Strane cose, quelle che ti insegnano da bambino.
Di solito un nugolo di moscerini mi fa venire in mente gli elettroni che vorticano intorno al nucleo di un atomo. Sìsì, lo so, un attimo. Se avessi un scrittore dentro di me, adesso quello starebbe commentando: "metafora maldestra". Se invece ci fosse un fisico delle particelle, quest'altro direbbe: "vabbè, non ci hai capito un cazzo". Il fisico delle particelle è molto più diretto dello scrittore.
Qualche volta, in vita mia, mi sono chiesto come una comitiva di moscerini scelga il posto dove annugolarsi. Perchè non è che i nugoli si formino in presenza di, chessò, una carogna imputridita o una scultura di sterco: niente, nascono nei punti più anonimi possibili. E' per questo che ci finisco dentro con la testa, non me l'aspetto proprio un nugolo. Qualche volta mi sono chiesto anche se esista il verbo "nugolare" e se i moscerini lo usino.
Confesso però che mi capita raramente di pensare ai moscerini e ai loro nugoli. Prima mi devono entrare nel naso.

02 novembre 2008

If you think my heart's a mess, you should take a look inside my head

Succede che alcuni pomeriggi, uscendo dal lavoro, io trovi una cavalletta accomodata sul parabrezza della mia macchina. Io non ho una coscienza, quindi la cavalletta non dice niente.

Entro in libreria. Sorvolo le ultime uscite, snob. Vado agli scaffali della narrativa, alla lettera G, leggo tutti i titoli sul dorso dei libri alla G. Li trovo insipidi, non prendo neanche un libro. Inizio a puntare libri a caso. Di sguincio guardo le ragazze carine. Sbircio i titoli dei libri in mano agli altri avventori. Prendo in braccio tanti libri che vorrei leggere, accudire, svezzare, a cui vorrei cambiare la vita. Ascolto indiscreto le parole senza sugo delle professoresse di italiano e delle loro amiche. Mi interrogo sulla natura dell'ordine alfabetico. Nella mia libreria ideale, i libri sono in ordine di interesse, crescente. Secondo il mio, di interesse. Così potrei entrare in libreria, adocchiare un libro: "uhm, interessante", e poi vederne un altro: "uhm, ancora più interessante", e così via fino al momento di dover andare via, avendo detto un sproposito di volte "uhm". Gli ultimi libri sarebbero quelli, quelli che ho sempre cercato. Rimango in silenzio e guardo. Guardo i libri che ho in mano e penso che idea ci si possa fare del loro lettore. Le cassiere mi mettono sempre addosso l'ansia da interrogazione alla cattedra, me le figuro acide che stanno lì a giudicarmi in base agli acquisti che faccio. "Ecco un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore". Rimetto sulla sua pila un testo di Calvino che non ho ancora letto, che avevo pensato di prendere e ora ho deciso di lasciare: adesso immagino di avere un debito nei suoi confronti, di Calvino intendo. Dalla porta automatica entra un ragazzino di otto o nove anni, insieme a quello che potrebbe essere il padre. Il ragazzino gli sta spiegando che "... se raccogli abbastanza punti, è come avere una vita in più...". Mi guardo intorno, cercando di incrociare lo sguardo di qualcun altro che abbia sentito. C'è solo un trentenne, giacca e camicia, occhiali dalla montatura nera, spessa, squadrata.
Lo guardo negli occhi.
Lui mi guarda di riflesso.
Non ha capito niente.
Deve essere un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore.
- E' come avere una vita in più -
Ecco, sì, più o meno.

28 ottobre 2008

vedi alla voce: Astronomia del quotidiano

Adesso non so esattamente sotto che forma io possa apparire, ad un set di occhi standard. Forse bambino, forse cappellaio matto, forse simbologia floreale per carta da parati. Comunque dondolo, sopra un seggiolo di materia plastica. Dentro altalena, dentro sabbiera, dentro giardino, dentro cortile, dentro istituto educativo, dentro dentro dentro: qui reificata la condizione di dentro, la dicotomia delle appartenenze interiori.
Rincorro l'apogeo scalciando. Il bacucco e la bambina non vogliono guardare e si tappano le orecchie: dentro l'avvizzito secchio cerebrale del crapone due pensieri se ne vanno a letto insieme, -emulazione- e -fittizio-. Io vorrei solo quel male di cui tutti parlano, il male che si farà, il male che si è fatto, il male è la droga nei pensieri di loro che parlano di me. Per me quel male è sperimentale e collaterale, come una buca per la terra sotto le unghie.
Importa? Importare significherebbe prendere questa scena e sezionarla come uno scoiattolo sul tavolo operatorio: tirare fuori tutti gli organi, che sono attimi più fili d'erba più anelli metallici, e rimetterli dentro secondo un ordine di gusto arbitrario. Poi, sperare che lo scoiattolo torni ad accatastare ghiande e ad essere adorabile. E' una legge severa quella per cui l'accatastamento delle ghiande avverrà solamente quando non avrà alcuna importanza se ogni ghianda è accatastata o meno.
Millenni, la voglia di buttarsi dall'altalena in swing misinterpretata per desiderio di volare.
Ogni storia umana contempla ineluttabile un ginocchio sbucciato.

15 ottobre 2008

Per lunghi tratti strumentale, poi gente che urla

Prima hai gli occhi chiusi e il mondo lo dividi orizzontale, facile, cielo e terra e orizzonte e così. Poi apri gli occhi e ci sono gli alberi che vanno da giu a su e si sfascia tutto un sistema e l'erba e le persone in piedi e così. Che poi ti viene da ridere per queste cose strane, come che l'unica cosa dritta dritta ma veramente dritta è l'acqua quando se ne sta dentro a qualcosa o quando non se ne sta dentro a niente ma comunque s'appoggia; e poi invece una cosa un poco meno dritta dritta come un filo penzoloni, l'acqua non te lo rimanda mai indietro dritta dritta, ma coi riflessi sempre un po' spezzettati e vibrolanti. Puoi andare a vedere i film, ma dei film non te ne frega niente. Niente, delle poltroncine rosse, niente dei popcorn mezzi coriandoli, niente delle pagliuzze volanti nel cono di luce del proiettante. A te importa solo di aprire la bocca e far aprire la bocca e quando si apre una bocca è bello come qualcuno che ha scritto col gessetto bianco sull'asfalto e poi ha piovuto e poi le foglie gialle. Poi dici che ti vorresti sposare la televisione e la prima notte di nozze deflorare la presa per l'antenna e rimanerci attaccato nell'amplesso elettrosciocco immediatico. Il canale della televisione alla fine lo cambi con il dito medio sui bottoni anche tu, perchè vaffanculo tivù. Hai pensato che in verità il paradiso, quello bianco con le nuvolette, è un campo di concentramento, primo perchè non te ne puoi andare e secondo perchè sì, bello Dio e la beatitudine, però che palle. Ma nessuno ci torna indietro dal paradiso, mica per niente, ma solo perchè è troppo ironico, ironico alla arbeit macht frei, sei in paradiso e ti rompi le palle. Invece poi hai pensato che il paradiso quello vero deve essere come un outlet di poltrone e sofà. Che di un divano non ti stanchi mai. E pure se ti stanchi, c'è sempre un altro divano per riposare.

29 settembre 2008

I sassi ci sorridono da due milioni di anni

I muscoli delle braccia sono contratti nel massimo sforzo. Le scapole, la base del collo, cominciano a tremare, vibrare prima debolmente, poi si abbandonano in scosse. Dentro la schiena non più scintille, non crepe elettriche, solo sfrigolare di vertebre, solo digrignare di denti. La carne è intossicata dal desiderio di essere strappata. E' una violenza contro tutte le forme del corpo avute sin adesso. Finalmente la fame tiene accesi tutti i sensi, e non è più nebbia che inghiotte il mare di notte.

...ma quella cosa, quella cosa la tagliano col dolore, che il veleno per topi ne ammazza meno. Quella cosa non va via. Così la vuoi, la vuoi, la vuoi ancora: perchè se non c'è, vuol dire che stai precipitando, perchè se c'è, precipitare non vuol dire niente. Non così. Non la vuoi così. Il dolore è giusto così. Ottuso di poesie mandate a memoria. Umido. Allucinato. Senza freni.

24 settembre 2008

Magnitudo silentii

This is the perfect plan:
so inspiring,
so devious,
yet so simple.

07 settembre 2008

Storia del signor Epsilon: l'uomo piccolo a piacere, una presenza costante

Prometto che non sarò bravo. Bravo, come in "Oh, ma che bravo, fa tutto quello che gli si dice di fare". Buono forse sì, perchè atti di involontaria bontà nascono spontaneamente da atti di puro egoismo, ed io, senza falsa modestia, sono un vero egoista. Se la natura sa inventarsi il riflesso per giustificare l'impossibilità di un colore, allora io mi coprirò di cieca consapevolezza, e passerò attraverso. Non sarò dentro niente.

La pioggia, come l'impero, non esiste veramente. Per questo motivo la pioggia cade e l'impero decade, non hanno altrimenti. Il vento, una definizione orizzontale, spinge una goccia contro l'altra, un uomo contro un altro uomo; il vento fa sorgere leggeri rumori da scontri senza energia, il destino che è fatto di fruscii.

Misteri della fisiologia umana. La sola vista della libagione è in grado di renderci muti e farci inghiottire le urla che ci riempivano la bocca e svuotavano i polmoni. Appena preso parte al banchetto, poi, e già siamo sordi alle grida di altri noi.

L'autorità ha bisogno che il potere sia diviso in parti dispari, per garantirsi l'equilibrio e scongiurare lo stallo o il reciproco annichilimento. La verità è invece di natura pari, poiché necessita che ogni affermazione, per essere verificata, sia posta di fronte alla propria negazione. Non può, quindi, la verità essere partorita dall'autorità, nè l'autorità giustificarsi con la verità. Tutta colpa dell'insieme dei numeri razionali e dell'insieme degli uomini razionali.

Costantia, donna intersesso, mangiapane e serafica autoeccitante. Aggrappata a monomanie perse tra dentrifici e fluoriti, a suocere sfiorite, femmina con viscere di razza. Parodia di cross dalla fascia, palleggi al limite dell'area, ridicole brochure di tattica. Sprizzi socialismo e caviale eziotropico che guarisce la turpe affaristica, la borsistica criminosa. Niente trucco, solo pochi pittogrammi di sguardi cavapietre. Resti annacquata dalla sillaba impollinata, il verso aromaterapico, la flessione del muscolo pomicione. Ontologia della gestante burocratica, reiterate trattative per un bambino pacioccoso. Non genererai un figlio, ma uno sprezzante padroncino di laniccia.

03 settembre 2008

Come ci siamo ossidoridotti

Perchè fidarsi delle persone quando tutta la verità di cui si ha bisogno la si può trovare dentro le canzoni.

E' cosi bello far scodella con le mani e riempirla d'acqua. Stringere le dita e sperare che non si svuoti mai.

Di quando sei solo e trovi qualcosa ch'è per te speciale. Di quando poi la condividi con gli altri e gli altri pensano che non sia poi questo granchè.

Sono mancino, ma ti stringo la mano con la destra. Quindi non vale.

Muori! ma aspettami.

23 agosto 2008

Psicodramma del cremino

Questa è storia nuova, ma la rabbia non s'azzera. La rabbia permane, aderisce e spolpa. La rabbia mi si condensa addosso. La rabbia mi permette di respirare anche quando ho la faccia spinta nel fango. La rabbia fa l'ironia così affilata che ci posso tagliare un giorno di pioggia. Mi serra i pugni e mi fa crescere le unghie dentro la carne delle mani. La rabbia mi spezza i denti sopra altri denti. Lei riempie il palcoscenico, ma non si cheta: invade la platea, colma le gallerie. La rabbia ostruisce. E' nella pancia che beata stramba. Imbastisce nodi neri come l'ardesia. Sfrigola pungigliosa e scintillante. E' un abbraccio rovesciato, che vuol dire lontano. La rabbia e io non mastico più.

19 agosto 2008

Esasperanto

(ripartire in seconda)
Tutti in TV hanno tre braccia e tu, infelice, ché ne hai solo due.
Il conto in banca a righe e gli scrupoli a quadretti.
Comunque questi non sono i miei occhi, è la parte ritagliata che ci vedi attraverso.
Mi hanno letto il futuro, ma hanno sbagliato tutti gli accenti.
L'ironia del mio costume da ape è il fiore che porto all'occhiello.

31 luglio 2008

La mia banda non conosce roccia

Certe volte lascio che in quello che dico cadano alcune parole, alcune parole diverse. Mi guardo intorno e cerco risposta in una pupilla che si dilata un millimetro di troppo, o una testa che si volta con eccessiva veemenza per nascondere disinteresse. Certe parole che dovrebbero risuonare come campane spaccate in altrui terremoti. Complicità miste rose. Desisterei, quando certi apostrofi apparentemente banali suscitano un'ilarità spiccia e immotivata. Faccio l'ultimo tentativo, appuntando una preda al mio vaniloquio. Vedo quelle stesse parole frangersi in schegge appena prima di colpirla, mancarla del tutto, e conficcarsi nella parete alle sue spalle, arrampicata di rose feroci. La trasmissione del pensiero fallisce in sguardi abbagliati dalle luci di scena.

Ci sono due tipi di persone che dicono "mai": quelli che, prima o poi, finiscono per non mantenerlo e quelli che, per mantenerlo, fanno cose ancora peggiori. Io non sarò mai una di queste.

La tua bella pelle che si rispecchia in tutta la lucidità necessaria all'odio. Il trucco trasforma parte di te nelle grazie di parole gotiche. Sovraesposti, i difetti... quali difetti? Io non vedo niente. Non capisco come tanta bellezza non ti faccia scoppiare i capillari: quando ci provi troppo forte diventi il mostro di te stessa. La passione è una tela e tu sei Penelope.

Fai bene, fai male e altre insostenibili dicotomie.
Sopracciglia orizzontali e ben distanziate.
Pensare di poter risolvere tutti i problemi con una cravatta.
Cosa vorresti sapere dei sudori freddi di Giulio Verne?
L'uomo dai capelli forforescenti diceva: "Hai voglia a filosofare se nessuno sta a ascoltare".
Pustole di felicità e vesciche di spensieratezza. Scoppiano gaie in attriti ladri di piacere.
E una borsa piena di misantropia (siete buoni nel modo sbagliato).
Il dubbio di spalle altrui e la tua testa che si appoggia su quegli stessi dubbi.
Per peccati più profondi, una croce bidimensionale non basta.
Credevo di essere sulla superficie di un nuovo pianeta e invece era una pesca.

13 luglio 2008

Il bosco è una opportunità

Najla siede nel parco. Tiene aperto davanti a sé "Le dodici sedie", forse legge. Intorno a lei si muovono bambini contenti di non sentirsi diversi. Sollevano polvere e rumori, che si infilano nella piega tra le pagine e graffiano la lettura. Settembre muore. Lei potrebbe dimenticarsi del tempo, se non fosse per quelle ciocche di capelli neri, che non smettono di divincolarlesi fin sotto gli occhi, e l'arrivo impacciato del sole, che la costringe a cambiare di posto, sotto ombre nuove.
Najla si perde distratta in sovrappensieri che non sono i suoi. Osserva chi si perde nella lettura, chi è solo, chi cerca sguardi di complicità isterica o metafisica. Sono come me. Non sono come me. Non sai mentire. Veste asimmetrica e senza cura, ricorda una calla. Alza e abbassa gli occhi, attende che non ci siano più occhi da guardare; un vezzo, riflesso di tempi più timidi.

Lui compare da nessun dove e le si siede accanto.
- Siediti pure, eh!
Vorrebbe spaventarlo e farlo scappare.
- Ciao
Non si dimostra affatto intimorito. Resta.
- Ciao
- Non c'è nulla di male in quello che sto facendo
- Perché, che cosa stai facendo?
- Attaccare bottone, intendo. Sarebbe sbagliato se la mia intenzione fosse quella di apparirti amichevole per ottenere qualcosa e poi portartela via, ma non è questo il caso. Non ci sono secondi fini, o ci sono solo secondi fini, dipende da come vuoi vederla. Dirai, come posso crederti? Il fatto è che non devi credermi, finché non ci sono limiti da oltrepassare. Comunque non ho intenzione di giocare con carte che non sono in tavola, conoscerai sempre tutto. Anche se definirlo gioco non lo trovo corretto. Sono abbastanza sicuro, però, che né la tua né la mia morale verranno messe in discussione
- Chi sei tu? Cosa vuoi da me?
- Per quel che conta, puoi chiamarmi Sinbad il marinaio. Oppure, se ti sembra ridicolo...
- Mi sembra molto ridicolo
- ...va bene anche Gregor. Aspetta ho una cosa per te
Si alza e si sfila da una tasca un foglio di carta piegato in quattro parti. Glielo porge.
- Ti ho fatto un ritratto
Najla prende il foglio, lo apre, lo squadra per qualche secondo.
- Non mi assomiglia molto. E poi questa ragazza porta gli occhiali scuri. Io non ne porto.
- Quando l'ho fatto non ti avevo ancora mai vista. Ho fatto del mio meglio.
Non sa se ridere o aver paura. Considera l'ipotesi di alzarsi e senza dire una parola, allontanarsi. Lui, mentre si risiede, continua:
- Il fatto è che ho un problema. C'è una lei, colpevole di seduzione con scasso, una lei con cui non posso parlare. Lei è la modella inconsapevole di un pittore che continua, senza saperlo, a dipingere solo lei. E io non so come... Lei non c'è, ma ci sei tu. Il favore che ti chiedo è di starmi ad ascoltare e io parlerò con te e sarà come se parlassi a lei. In cambio ti regalerò quel ritratto e potrai chiedermi un favore anche tu
- Sì. Cosa devi dirle? Dirmi?

- Ecco... io sono il venditore di palloncini sul luogo della catastrofe. Se una cattiva idea la si riconosce dalla tenacia con cui la si perseguita, io sono l'inquisizione spagnola. Ogni sistema in natura è destinato a diventare più grande, più complesso, più dipendente. Ergo, inevitabile è il raggiungimento di un livello critico, sia esso nel sistema stesso o nei sistemi periferici, dopo il quale resti l'estinzione come unico orizzonte possibile. Vorrei che prendessi in considerazione l'idea di diventare sistema insieme e condividere le nostre estinzioni come una. Prenditi pure il tuo tempo, se serve a farti prendere anche il mio. Sai quanti paesaggi identici sono in grado di sopportare per arrivare fin lì? Quanti divieti e segnali di pericolo e intimidazioni a rispettare i limiti sono in grado di ignorare? Dimentica il fatto che nella mia testa continuino ad essere evocati disastri o i peggiori scenari possibili: sono dilettantismi di autodifesa. Lo so che non ti piace sentirtelo dire, ma quantificare è il segreto e la fine del segreto. Che chi dice che nei numeri non c'è l'essenza delle cose, non conosce i numeri o non conosce l'essenza delle cose. Se in quello che dico, in quello che voglio dimostrare o in quello che credo di sentire c'è qualcosa che i numeri non possano significare, allora troverai che nascosti tra noi ci sono i numeri più grandi che chiunque abbia mai provato a contare

- E' una cosa molto bella da dire
- E' una cosa molto stupida da dire
Najla e lo sconosciuto restano in silenzio a guardare le proprie ombre crescere molte volte più alte di loro. Piccole lampadine si accendono tra i rami bassi degli alberi, rosse di sudore ed estate. Quando il buio scende, il parco è già scomparso.

07 luglio 2008

Volevo essere i Sunna

Questo è un post colloquiale perchè E mica posso sempre! e poi la penna con dentro le parole difficili mi è scoppiata in tasca e ha fatto una pozza verticale (la macchia), che chi mi incrocia per la via può dire Ti è scoppiata una penna in tasca o sei contento di vedermi? comunque poi la macchia è scomparsa, ma mi solletica pensare che si sia data alla macchia, la macchia rivoluzionaria, la macchia partigiana e io mi sono sempre immaginato il partigiano che mangia il parmigiano, perchè Ah, le associazioni fonetiche.
Io quando la gente mi chiede Che lavoro fai? vorrei dire sempre Spazzacamino ma finisce che non mi sovviene e allora dico la banale veritade. Dannate quelle situazioni che non si fanno annunciare, come quando dici qualcuno a qualcosa e poi vai via e poi ci pensi cento volte a quello che hai detto e sicuramente avresti potuto dirlo in cento modi migliori Ma! la prossima volta lo dico... e invece poi non lo dici mai.
Dicevamo post colloquiale come se io e te (ti devo dare del te) stessimo arrampicati su due di quegli alti sgabelli scomodi che ci sono nei bar scomodi a parlare del per e del diviso, ma io il caffè non lo prendo grazie che mi fa addormentare, preferisco un chinotto oppure ti faccio compagnia, come se lo avessi accettato, figurati, a buon rendere.

incidendo,

Quando, in virtù delle mie virtù, sono stato proscritto. Per questa ma solo per questa volta la colpa è di NigroClavel, che come solo lei, stila una lista di sette elementi con soli sei elementi. E il quinto elemento non è Milla Jovovich: se però ha i capelli arancioni non lo so. Dicevamo, c'affibbia il premio Brilloco Weblog 2008, patto che noi si faccia iccome lei. Pronti, via.

i. NigroClavel, Una Naviciuella Spaziuale. Perchè entrambi sappiamo e vogliamo che da questo circolare e ricorsivo scambio di link nasca una smagliatura nella pancia dello spazio-tempo, nella quale verrà inghiottito tutto l'universo, accompagnato da un sonoro rutto. Costei vince.

ii. XorlandoX, parolechetornanocarezze. Perchè mi piace quando scrive e quando esiste. Spero che non smetta.

iii. oraDem, trepassinellaneve. Perchè a volte capisce. E chissà se lo sa.

iv. k13utterfly, k13utterfly. Perchè questo posto assomiglia tanto ad una sua idea, e nessuno le chiede mai il permesso quando si frega le sue idee. Però scrivi, ciccia.

v. gracer, green eyes bloom goodbyes. A volte non ci vorresti entrare in quel blog per paura di rompere qualcosa. Cose fragili.

vi. momo, momonkey. New entry. Ne ho scoperto il blog via Naviciuella Spaziuale, e NigroClavel raramente toppa. Mi fa ridere quando è ironica e mi fa venire voglia di prenderci un caffe insieme quando si lamenta del creato tutto, fermo restando che io niente caffe al massimo un chinotto. Ah, "zero" c'est moi. Il pubblico rumoreggia.

vii. poligraf poligrafovic, corniciconcentriche. Newer than new entry. Cola classe come grasso da una bistecca sulla griglia, e che altro volete.

Io rompo la catena, eh.
inciso.

Che uno alla fine dell'inciso si aspetta un tocco di testo grosso almeno come quello prima dell'inciso e invece colpo di scena come nei film di M. Night Shyamalan. Alza la mano per chiedere la parola, si alza in piedi Comunque io volevo solo dire che lo spazio pensiero è bianco e quasi totalmente vuoto ma costellato di solidi platonici che rappresentano le idee. Le parole sono le dita con cui tocchiamo e veniamo a conoscere queste idee forme, nello stesso modo in cui un cieco impara a conoscere il mondo. Si siede.

15 giugno 2008

Apocatastasi degli invisibili

Son gigante nano, umano troppo umano,
Son primo ballerino, vacuo canterino,
Son senza disdoro, sono un sicomoro,
Sono il probo viro, sono sotto tiro.

Sono un'entità, sono sua maestà,
Sono un infingardo, primo baluardo,
Sono un mastodonte, son Bellerofonte,
Sono il tuo sensei, sono chi per lei.

Sono ben vestito, son disinibito,
Sono acculturato, son disoccupato,
Sono surrettizio, sono caio e tizio,
Sono l'entropia, nel cappello della zia.

Ma tutto quel che sono,
non ve lo posso dire,
a dirlo non son buono,
mi proverò a cantar.

***

Un mostro salato, ecco cosa. Dopo che è evaporata la fatica di sollevarsi, mi rimane sulla pelle questo sapore alcalino. L'attaccapanni di me stesso, riflesso attaccabrighe e la superiorità delle bretelle. Vuoi sapere quali canzoni non posso fare a meno di ascoltare in questo periodo? Desideri conoscere i titoli dei libri che ho appena comprato?
Sono morto, in tutti i modi in cui è possibile morire se ci si muove ancora.
Per quanto mi riguarda, abbiamo infranto tutte le regole dell'abbandono. Ieri ho preso per mano una turista giapponese (i giapponesi si riconoscono perché, rispetto ai cinesi, sanno posare uno sguardo meno disilluso, meno ancestralmente esausto, sulle cose sconosciute) e le ho fatto fare una giravolta. Spero che metta una buona parola per me con il signore degli accadimenti statisticamente improbabili.
Per sempre fermi nel pomeriggio dell'ultimo giorno di scuola.

08 giugno 2008

Guerriglierotica

Sono giorni di n'ubi e s'ole.
Resto abbastanza sicuro che i Garbage non cantassero "The trick is to keep briefing".
Le femmine scelgono i maschi in base al numero di cubetti nel sangue e a colpi di Dimmi che starai con me.
Vola alto sopra la tua testa e poi ti attacca alle spalle, subdolo, il voltagabbiano.
Dove sono andate a nascondersi le ragazze con i fiori tra i capelli?
Anarch'io, anarch'io! E se mi arrabbio, ti spacco il centro del loto.
Se dura così poco non è felicità, ma autoipnosi.
Ci chiamavano allievi, ma non avevamo nulla di lieve. Eravamo, piuttosto, animali da allievamento.
Tu, che sei la mia campagna di russia.
Sì, vabbè, ma che insomma.

25 maggio 2008

La decadenza dei costumi è una caratteristica delle società dell'abbondanza

Tanta gente in questo posto crede che io sia figlio di un incubo. Ci sono delle mattine in cui la mia pelle è troppo bianca e trasparente. Sotto, le vene scure mi sembrano le screpolature del muro dietro di me. A volte penso che sarebbe sufficiente che qualcuno mi soffiasse contro. Io cadrei, spaccato come un vecchio intonaco. Ci sono delle sere, quando resta solo il buio, che il soffitto della camera in cui dormo prende fuoco. Non sento il calore, ma vedo le fiamme. Quando succede, mi basta chiudere gli occhi: quando li riapro, il fuoco non c'è più. Una sera ho tenuto gli occhi aperti. Il fuoco è sceso lungo le pareti. Quando stava per toccarmi ho provato paura e freddo e non sapevo se avevo più paura o più freddo e allora ho chiuso subito gli occhi. Ora, ogni volta che va a fuoco il soffitto, chiudo sempre gli occhi.
Quando viene la pioggia, vado a sedermi sulla panchina in veranda. Guardo piovere. Mi piace la pioggia, perchè rende le cose più scure, e più scuri anche i movimenti di chi l'attraversa. Najla viene a sedersi con me. Guarda la pioggia con me. Dice: "E' bella la pioggia". E anche se non si potrebbe, io capisco che ne sta parlando come di qualcuno, non di qualcosa. Per lei la pioggia ha un corpo, che comincia e finisce in un dove, e non in un quando. Dovunque piova, cade la stessa pioggia. Come una donna, si lascia aspettare o ama tragicamente, e allora non se ne vuole più andare. Io non dico niente, così lei sa che le sto dando ragione. Restiamo in silenzio, guardiamo solo davanti a noi. Se non è lei la prima a rientrare a casa, sono io ad alzarmi e ad andare a camminare sotto la pioggia. Non mi volto indietro fino a quando non c'è più differenza tra quello che i miei occhi sentono e quello che la mia pelle vede. Allora torno a casa, mi spoglio nudo, stendo i vestiti ad asciugare e mi addormento, con in testa una rivoluzione.

11 maggio 2008

Grufolare oggi

Manca solo una storia.
Misurandolo in passi, mi assicuro che il mondo esista ancora.
Una chiave non è più importante della combinazione segreta tra i suoi denti. Aprire una porta serrata condivide la natura di attraversarla, avendo quella combinazione tatuata sulla pelle. Allora esiste un segno da cui interpretare ogni combinazione, sul quale modellare ogni chiave possibile.
Svanire, farsi proiettare. Soffiare, farsi tentare. Godere, farsi dominare. Annegare, farsi disarmare.
Limiti personali da ricercare nelle righe a matita del proprio ritratto. In uno schizzo veloce molte linee si confondono, perché la verità e il suo attimo sono transitori.
Aveva un numero enorme di amici. Decise di riunirli nel medesimo luogo, nel medesimo giorno, affinché tutti conoscessero tutti. Non ci furono superstiti all'esplosione combinatoria.
Come ogni aspirazione, quel desiderio era intangibile, ma tassabile.
Viveva la sua vita su di un'altalena. E poiché lei era fatta di cassetti, avanzava chiusa e s'apriva in fuga, arretrando.

05 maggio 2008

Nightclub con nomi di cani

Scriverei perché costa meno di una rinoplastica.
Scriverei perché ho abbandonato due volte le lezioni di piano.
Scriverei per la storia della donna iceberg, immersa ed immensa.
Scriverei per decidere finalmente se il contrario di scrivere sia non scrivere, o cancellare.
Scriverei perché esistono collezioni di memorie, di memorie perse, di memorie di uomini che si sono persi.
Scriverei per fantasticare di poter scrivere.
Scriverei affinché i pugni sul muro non rovinino l'intonaco, perché il sangue sulle nocche escoriate non imbratti il candore altrui.
Scriverei perché il lessico è chimica.
Scriverei che non feci un respiro profondo, perché abito al quarto piano e non c'era rimasto niente da respirare.
Scriverei perché ho i lemmings nella pancia.
Scriverei graffi al posto di errori.
Scriverei per supplire alla cronica mancanza di occhi grigi nel mondo.
Scriverei perché voglio un alibi quando non ho niente da dirti.

03 maggio 2008

Se si può parlare di minuti in una camera immersa nel buio

Elettropiantala
Dei desideri espressi da una stella che vede un uomo cadere
Se vuoi puoi tenermi la mano mentre ci sfracelliamo
Disse lo stoico skinhead: "No Diogene, botte!"
Sutura politica: Piovono inani
Ho sonno che non ho chiesto

Essere desiderati non è una proprietà della perfezione. Desiderare lo è. Il perfetto non è desiderato dall'imperfetto, il perfetto desidera l'imperfetto e il perfetto-se-stesso. Dunque la perfezione è una proprietà che si propaga verso l'alto.
Non la solitudine della perfezione, ma la perfezione della solitudine.

Le cose iniziarono a complicarsi quando al mio amico immaginario diagnosticarono un disturbo paranoide della personalità.

Il ciclone era tutto e solo occhio. Nonostante ciò, abbiamo ritirato le nostre antenne. Le trasmissioni riprenderanno, in qualche modo.