I fratelli immaginari fantasticavano di andare incontro ad una spiritualità fondata sul sangue: la perdita di sangue, l'ostentazione del sangue, la compravendita di sangue, le abluzioni nel sangue. Rincorrevano le porzioni di pastiera napoletana nel bosco, e quando le prendevano le appuntavano nei loro quaderni di tassonomia con grandi spilloni. A tavola erano soliti risputare il bolo nel piatto per fare giochi di prestigio. Giocavano al tiranno, a turno ordinavano all'altro di avvolgersi nel tappeto del salotto, scendere nelle fogne e affrontarle come rapide in un canyon.
I fratelli immaginari facevano soffiare il vento sulla tangenziale per vedere quale fosse il mezzo che si sarebbe ribaltato per primo. Smontavano i loro capricci e li nascondevano nei cavi tronchi degli alberi. Con esperimenti di elettrolisi, laminavano le loro gambe con oro e titanio; in quei momenti avrebbero potuto far piangere di rimorso un uomo adulto con un semplice sguardo seguito da una contrazione dei muscoli pubococcigei. Un giorno giocando a biglie inventarono il determinismo.
I fratelli immaginari, quando trovavano una grotta tra le montagne, sostituivano le stalattiti con aghi ipodermici e le stalagmiti con amministratori delegati. La lingua che utilizzavano per comunicare tra di loro era un misto di melodia, comicità, ametista, fiera di paese e metro da sarto. Potevano permettersi di lasciare il sapone fuori dal portasapone. Nessuno dimenticherà mai il giorno in cui decisero di abbandonare il paese, poiché la notte stessa, la costellazione del toro entrò dentro al pollaio per rubare tre uova.
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