Mi hai fatto uno squillo. Forse vuoi che ti richiami. L'ultima volta era questo il segnale che avevamo convenuto. Ti chiamo. Squilla per un po', ma non rispondi. Forse non puoi. Poso il cellulare, e alzo di nuovo il volume dello stereo. "Forse non l'ho fatto squillare abbastanza" penso. Riporto la manopola del volume ad un innocuo 2 e riprendo il cellulare. Ti chiamo ancora. Il tempo di fare due squilli e mia madre entra in camera mia. Attacco.
"Non sei uscito mai oggi?"
"No, perchè?"
"Ci sarebbe da buttare l'immondizia"
"Ok vado". Prendo le scarpe, quelle che posso infilarmi senza doverle slacciare.
"Se vuoi puoi buttarla dopo cena". Mi infilo le scarpe, con un movimento solo, consumato.
"No, dopo cena non devo andare da nessuna parte". Prendo il cappello e mi avvio.
"Ricordati il cappello". Senza voltarmi sollevo il cappello per mostrarglielo.
Me lo infilo attraversando il corridoio buio. Prendo il cappotto, e torno in camera mia a prendere le chiavi che avevo dimenticato. Non mi va di farmi aprire, poi. Esco sul pianerottolo, raccolgo il sacco della spazzatura e chiamo l'ascensore. No, meglio le scale. Ci incrociamo al secondo piano. Lui vuoto, salente. Io pieno di pensieri vuoti, silente. Mentre scendo le ultime scale prima di raggiungere il portone, sento qualcuno che da fuori armeggia con delle chiavi e cerca di aprirlo. Tiro, mentre l'altro spinge. E' una signora che non conosco. "Buonasera". "Salve". Le tengo il portone aperto, mentre raccoglie i suoi pacchetti della spesa. "Questo portone è veramente strano" mi fa. "Eh". "Buonasera" ripete. " 'sera " rispondo a mezza voce. Buttare la spazzatura è compito mio. L'immondo è roba mia. Lo faccio così spesso che non me ne rendo conto nemmeno. E sono di nuovo davanti al portone di casa mia. Mi colpisce il marciapiede bagnato all'angolo della strada. Ci cammino sopra, svolto l'angolo e mi incammino per via Aquileia. Lavori in corso. Transenne. Sono quasi in fondo. Mi giro, distratto da un rumore. Un'auto ha imboccato la via, è lontana e i suo fari mi puntano. Forse cerca me. Quando mi raggiunge solleva un po' di polvere passandomi accanto. Non cercava me. C'è troppa polvere. L'hotel. Proseguo. La mia macchina è parcheggiata in Via Gradisca, per metà all'interno delle strisce blu, regolarmente, per metà su delle strisce pedonali gialle. Irregolarmente immagino. Non ci sono multe. Spero che la signora non faccia liberare la vescica al suo cane proprio sulla mia ruota. E poi quella scritta sul muro. "BIONDO FIFONE". Le due f sono scritte così male da essere quasi irriconoscibili. Forse l'emozione dell'imbrattamuri. Forse era una donna. Io non sono biondo, e nemmeno fifone. Però penso sia rivolta a me. Come i fari di prima. Risalgo la parallela a via Aquileia. Sugli alberelli che crescono in minuscoli oblò dell'asfalto, qualuno ha affisso dei cartelli. Contro chi porta i cani a farla per strada. Chissà se la signora di prima ne leggerà uno. Chissà se si sentirà un po' in colpa. Passo davanti alla mia finestra preferita. Un seminterrato, la luce accesa che filtra attraverso le tende alla finestra. Dentro, ci sono un letto ed una scrivania, sopra la scrivania un monitor. Ogni mercoledì sera intravedo qualcuno al pc. Potrei essere io. Stasera non c'è nessuno, e lo schermo è spento. Delusione. Dove sarai, compagno di telematica solitudine? Ho completato il giro dell'isolato, passo accanto ad una macchina asfaltatrice (lavori di rifacimento del manto stradale, ennesimi). In fondo ad una scaletta, un uomo entra in un portone. E' illuminato da una luce color ghiaccio, mi guarda. Ricambio lo sguardo, e penso che col cappello in testa e la barba incolta devo sembrare un poco di buono. Un ladro, magari. Stavolta prendo l'ascensore. Rientro in casa. "Ma dove vai a buttare l'immondizia?" sono le parole che accolgono il mio ritorno. Vedo nuovamente il tuo numero tra le chiamate senza risposta. Forse volevi che ti chiamassi. Ma ora è tardi. Ciao.
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