16 marzo 2006

Piene rotazioni planetarie di incoerente atmosferico

Ecco il mio sogno:

Sono nel mio letto, mi sveglio naturalmente. Niente sveglia. Male. Significa che non l'ho attivata la notte scorsa. Significa che è tardi. Mi ricordo che aspetti la mia chiamata per le 12.30. Sono nel cortile della mia vecchia scuola, i bambini stanno giocando dopo il pranzo. Mi chiedo cosa pensino di me, e mi sforzo di ricordare cosa pensavo io da bambino degli adulti in cortile. Non ci riesco. Entro nell'edificio scolastico, per sapere che ore sono. L'orologio è strano, ha quattro lancette: due segnano l'ora locale, altre due, aperte in un angolo più ottuso, un orario sconosciuto. Le due meno venti. "Cazzo è tardi". Provo a chiamarti, non rispondi. Ti mando un messaggio, cercando di giustificare il mio ritardo. Mi arriva questa risposta: "Non so se ho ancora voglia di perdere tempo con te". Poi una esplosione, viene dalla strada, da via nomentana. Mi avvicino al grande cancello nero, c'è stato un incidente e qualcuno ha sparato un colpo d'arma da fuoco. Davanti al cancello c'è una specie di terrapieno, e disseminati su di esso alcuni militari e poliziotti in copertura, come cecchini. Mi fanno segno di togliermi da lì, ed io inizio a far allontanare i bambini dal cancello. Bambini curiosi. Una bimba molto piccola sguscia fuori dal cancello, io la rincorro, la prendo in braccio e faccio per chiamare un soldato. Egli la prende con se e la pone al sicuro. Sono allo stadio, uno stadio inglese. Cammino a bordo campo e passo davanti una tribuna. Ho due biglietti per la partita, uno era per te, ma non sei voluta venire. Arrivo alla curva, dove sono i nostri posti. La prima fila è vuota, ma a me è riservato un posto più in alto. Salgo la gradinata. Mi faccio largo tra la gente, raggiungo il mio sedile. Discorrendo con i miei vicini scopro che almeno cinque di questi portano il mio stesso nome. E' una cosa che rallegra molti di loro. In fondo alla mia fila, a sinistra, una ragazza ride in modo sguaiato. Dalle tribuna accanto, tifosi stranieri l'additano e ridacchiano di lei, ma costei non ci fa caso, o non se ne cura. Il suo comportamento mi disturba in qualche modo, ma non comprendo quale. Ma da qui non vedo il campo, la tettoia copre tutta la mia visuale. Decido di andare a sedermi in prima fila, tanto è vuota. Passando davanti all'ilare ragazza, questa si rivolge a me.
-Eri tu ieri notte nel mio letto?
-No, purtroppo
-Purtroppo?
-Purtroppo.
Non faccio in tempo a sedermi in prima fila, che uno steward mi raggiunge. Non posso stare qui. Credo mi abbia preso per un orecchio. E temporaneamente mi fa sedere in seconda fila. In attesa della mia punizione. Si allontana e poco dopo torna con un altro trasgressore. Io scalo di un posto e questi si siede accanto a me. Non è più uno stadio, ora è un'aula universitaria. Il nostro carnefice è una specie di assistente che pone a noi della seconda fila un test da superare. Questa è la nostra punizione. Il test è così composto: ci sono due colonne; nella prima un elenco di persone, personalità e personaggi, nella seconda un lista di cose ed oggetti, materiali e non. Si devono collegare gli elementi della prima lista con quello che desiderano nella seconda lista. Tra le altre, ricordo che c'era Craxi tra i primi, e diverse quantità di denaro nel secondo elenco. Sono in casa mia, la mia vecchia casa. Siamo in sala, ci sono io, la mia famiglia, alcuni dei miei parenti più stretti. E' in corso una specie di lezione o conferenza, su di un libro. E' di un autore inglese, ed è pieno di indovinelli, enigmi, facezie. In uno dei brani iniziali manca una parola, che va scoperta. In uno dei brani finali c'è la soluzione del primo enigma. E la soluzione si presenta nella forma del quiz che stavo facendo in aula. Ci dicono che, se risolviamo quel quiz, troveremo la parola. Ci diamo tutti da fare, ma non ne caviamo un ragno dal buco. Così gli altri decidono di andare a mangiare, mentre io resto a scervellarmi. Penso che quest'autore deve essere troppo furbo, e poi l'unione tra i primi ed i secondi elementi non è affatto univoca. Pensa diversamente, mi dico. Guardo le parole con distacco. Le iniziali. Hanno un senso. Formano una frase. Trovato! E' lei, la soluzione. Si è gentilmente presentata a me, che la desideravo tanto. Ora siamo in strada, io, mia madre e mio zio. Si discute di spesa e di supermercati. Io vado alla mia macchina, per prendere l'acqua che avevo comprato in precedenza. Ne porgo una cassa a mio zio. E ci congediamo qui, così.


Ecco la mia ode:

Caparbia sovrana

Riempi di speranza di dolore
il tempo poi trascorso invano
attendendo solo conferma de
il tuo sentire

Cinta di luce la regale fronte
brillano di pallido riflesso
le immagini del volto tuo
che qui nascondo

Verso l'eterno alta ti leva
la montagna domicilio tuo
dea elengate ché severa
nel tuo olimpo

Introduci il tuo cortigiano
all'animo e al dio panico
dal mare peschi con grande rete
schiavo iberico

Cade la neve con gelosia
della tua nivea purezza
scende la pioggia per invidia
del chiarore tuo

V'ergete altera e magnifica
sopra e contro l'uomo vostro
ch'ogni impresa vi dedicherebbe
sua regina

Ogni essere ogni creatura
vi brama zelante ed indolente
avido del tesoro che portante
dentro di voi

V'amo v'adoro vi ambisco
parole candide ed oneste
m'illudo non vi paian vane
s'a voi rivolte

La penna mi fa difetto ora
a cantarvi la magnitudine
del vostro essere e del mio
leale sentir

Degno forse d'esservi schiavo
come immondo per immondo
la lusinga del vostro favore
mio nutrimento

Nessun commento: