31 marzo 2006

Voglio quella ch'e` sul numer de le mille

Ballata silenziosa alla mia musa

Scrivendo, attraversavo in equilibrio il filo che porta dal passato al futuro, equilibrista senza posa, pagliaccio scevro da ogni grazia. Tu m'attendevi all'arrivo, a braccia conserte, seduta sulla pedana, dondolando i piedi. Chi t'avesse scorta dal basso, intenta in quel mulinare ritmato e sornione, non avrebbe potuto pensarti in alcun'altra attivita' che non intenta nella lettura di storie e racconti d'amore. "Non guardare in basso" mi dicevo. Feci di peggio. Mi voltai indietro, e dondolando la corda in modo imbarazzante, decisi di reciderla con un morso netto. Stupido omaggio. Mi scorgesti che ti volgevo le spalle, e dicesti "Egli vuole tornare indietro". Indignata, raccogliesti il tuo trapezio e saltasti. Sentii dondolare sopra di me queste parole: "Se non vuoi volare, non tendermi la mano. E io non ti afferrero' ". Io precipitavo, senza appigli. E il peso di quelle parole mi tirava ancora piu' per le vesti da buffone, verso una caduta senza rete. Ora sono qui, appeso all'ultimo brandello di filo reciso, che cerco di issarmi di nuovo verso di te. Rimpiango il mio gesto, digrigno i denti. Li voglio spezzare, loro e della loro impazienza la colpa di questo circense incidente. Il rimorso di aver dato per scontati quegli ultimi passi, verso di te, verso di noi, stringe la morsa delle mie dita contro la funesta fune. Ti chiamo a gran voce, continuamente, mentre racconto questa storia al vuoto intorno. Tu mi odi, ma non mi rispondi. Non importa. Cosa voglio, penserai. Quello che desidero e' arrivare in cima, e li' trovarti seduta, intenta a dondolare i piedi, pronta per scrivere un nuovo racconto d'amore.

30 marzo 2006

Dovevo 7 denari a Santippe ed 11 ad Eutifrone. Glieli restituii. Saremmo stati pari, se non fossimo stati in 3.

Avevo paura di togliere nuovamente il cappuccio alla mia penna rossa preferita; ero sicuro fosse eplosa. Ma poco fa ho preso il coraggio per le corna e l'ho scappucciata. Un'eiaculazione di inchiostro rosso. Allora ne ho preso la punta e l'ho strofinata contro il mio braccio destro, nella piega tra avambraccio e braccio. Agli antipodi del gomito. Lì, dove nasce la vita. Ora indosso una rappresentazione della passione. La politica si risolve nella decisione tra chi e come vadano spartiti i soldi. Il dibattito politico si risolve nel chiedere che chi abbia troppo dia a chi abbia troppo poco, da parte di chi ha abbastanza, ma non vuole dare. Crogiolo ipocrita. Egregio signor Me, forse dovresti cambiare. E se fossi già cambiato? Forse dovresti smettere di nasconderti pensando di essere il migliore e affrontare la sabbiosa mediocrità. Prendi quello che conta veramente e buttalo via. I migliori giorni della *mia* vita, li devo a te. Ora prima di andare via, aspettami. Ti raggiungo e davanti ai tuoi occhi distruggo la foto che non ci ritrae. Che non ci ritrae sorridenti. Scocca la metà della notte. Rimangono scene di brutti film, e brutte scene di film. Buonanotte anche a te che sei cattiva.

29 marzo 2006

Il solo denaro che realmente possiedi è quello che spendi

Ventidue è il numero naturale dopo il 21 e prima del 23. La sua notazione cardinale è "ventidue", in notazione ordinale "ventiduesimo,-a". E' composto dai seguenti fattori: 1,2 e 11. Poichè la somma dei suoi fattori è minore del numero stesso, ventidue è un numero difettivo. In notazione romana è "XXII", in notazione binaria è "10110", in notazione esadecimale è "16". E' il numero atomico del titanio, e questo forse spiega il mio invaghimento per il titanismo. 22 Kalliope è il nome di un asteroide chiamato così in omaggio a Calliope, musa della poesia epica e lirica. E questo forse spiega perchè non so scrivere. Nei tarocchi, ventidue sono gli arcani maggiori, e questo senza ombra di dubbio spiega perchè non credo nella cartomanzia, nel destino, nella lettura dei fondi d'investimento, nelle religioni, nelle verità rivelate, nelle falsità celate. All'oroscopo potrei crederci, ma non sto qui a spiegarvi perché. Fidatevi, è una motivazione fondata e sensata.

Anyway.

Ci sono due modi di non credere in Dio. Si può non credere nella sue esistenza, oppure non credere nella sua infinita bontà, nel suo intervento. L'esempio più classico di titanismo, della volontà di innalzarsi al livello della divinità, è Lucifero. Il portatore di luce, la stella del mattino, Prometeo. La favola ci racconta che Dio ci voleva come docili pecorelle nel suo orticello recintato. Ma poi, oooops! Scherzone! Lucifero/Prometeo ci dona il fuoco, la luce, la tecnica, la mela. E per ricompensa viene incatenato, oppure buttato all'inferno, a seconda delle versioni. L'ha presa male, il capo. Quale totale mancanza di senso dell'umorismo. Ma com'è, come non è, da quel momento non abbiamo avuto più bisogno del Sommo. Sempre la favola ci dice che sarebbe stato Dio stesso a cacciarci dal giardinetto, a punirci. Tsk. La verità è che ci siamo licenziati noi, da quel padrone assenteista. Quindi ricordate: ogni volta che accendete la luce, state adorando il demonio. Lunga vita alla mitologia.

28 marzo 2006

Con le mie mani sul tuo io collo prendo il controllo

La difficile scelta tra impallidire e arrossire. Ci mancano tante di quelle parole, siamo così approssimati. Tutte le sfumature di colori, di profumi, di sensazioni tattili che non hanno un nome. Ci trasciniamo dietro una sinestesia perpetua ai danni del nostro senso più sopravvalutato, più sovraeccitato. Un adulto medio avrà un vocabolario non superiore a qualche migliaio di termini. E l'eccessiva esposizione ad inconografia femminile sovrastimola la produzione testosteronica nel maschio adulto. Ci deve essere una connessione, deve. A volte provo la sensazione di essere personaggio minore in una storia a fumetti. Troppi momenti in bianco e nero, troppe nuvolette di pensiero, troppe storie che si chiudono su stesse come fogli rilegati. La mitologia pop e quella religiosa hanno qualcosa in comune, negano la morte. Se sei buono - vai all'inferno. Se sei cattivo - vai in paradiso. Se sei il re - continuerai ad essere avvistato nelle più amene località della provincia americana. Ma che problema avete col nulla? Perchè i personaggi della storia infinita ne hanno un tale terrore? Perchè lottare contro l'avanzata del nulla? Nichilismo ed entropia sono più dolci dell'ambrosia. Non conosco gli sviluppi più recenti della filosofia moderna, ma la questione nichilista è stata risolta? Cosa si può ribattere a "nulla conta"? Newton m'ha detto che Achille prima o poi raggiunge la tartaruga. Newton mi manca. Anche Maxwell mi manca. Einstein no. Einstein era un impostore. Ci mancano le parole. Cos'è il piccante? (non certo un sapore) Come si chiama la sensazione di piacere che provo nell'esplodere le piccole bolle d'aria ricoperte di plastica dei fogli da imballaggio? Come distinguo il senso di appagamento che provo quando un giro armonico di accordi si risolve sulla dominante e quello che provo nel capire in anticipo il colpevole nelle puntate di CSI? Bah. Lo so, è stupido. Fatti una foto con indosso un paio di cuffie, o degli occhiali dalla montatura *sbarazzina* e sarò felice. I sardi alla luce ultravioletta sembrano negri. Lo so, è stupido.

26 marzo 2006

Tutte quelle foto di gente che si bacia e combacia

Mi sono alzato dalla mia sedia e sono andato ad aprire la porta. E indovinate chi c'era fuori? Nessuno. In effetti nessuno aveva bussato, ne' suonato, ne' chiamato. Ma quindi perchè sono andato ad aprire la porta? Non saprei. Ho richiuso la porta. Con l'occasione sono andato anche in cucina. Ho aperto il frigo. La lucina interna s'è accesa e me n'ha mostrato il contenuto. Mmm. Scelgo lo yogurt. Muller mix con le cosine da versarci dentro. 4 gusti disponibili. Banana coi pezzetti di fragola, Cocco con i cereali ricoperti di cioccolata, Crema di cacao con le palline al cacao, Crema di yogurt con i cereali semplici. Mmm. Come ti sbagli. Tutti accostamenti pessimi. Ottimale sarebbero Banana o Crema di yogurt coi cereali ricoperti di cioccolata. No eh? Quale piglio? Li metto in ordine di gradimento? E una volta messi in ordine, scelgo quello che mi piace di più, quello che mi piace di meno (per tenermi quelli più buoni di scorta), o uno in mezzo (stat virtus)? Vada per il Cocco con i cereali cioccolatosi. Meglio di niente. Torno al computer, verso i cereali nella brodaglia, carico firefox, affondo il cucchiaino, scrivo questo post, mangio, pubblico. Watashi wa stupido.

25 marzo 2006

A bordo della nave inaffondabile del capitano Nessuno

Nella fessura che la porta socchiusa tagliava nelle pareti, vide una figura attraversare il corridoio; non in modo esplicitamente silenzioso, ma ebbe la sensazione che con furtivita non volesse farsi notare. "Dove stai andando?" gettò al di fuori della sua stanza, gustando il suo intralciare quel piano di fuga felina. Non aveva nemmeno alzato gli occhi dai libri, mentre manteneva la sua posa composta ma non rigida. Chi l'avesse vista ora, alla luce calda ma netta della sua lampada da tavolo (un dono di suo padre), le curve del corpo appena accennate, da eterna adolescente, non avrebbe potuto supporre che il suo studio si fosse prolungato attraverso le quattro ore precedenti. Forse a causa della sua abitudine a sessioni così intense, forse perché per lei imparare era ancora un gioco, come quando era una bambina delle elementari. Quella bambina a cui il padre alcolizzato ed ignorante aveva donato una lampada da lettura dal taglio classico, pur non capendone il valore, ma colmo di amore e rispetto per il piccolo genio di casa. Quella bambina che ora era costretta a rincorrere quello stesso padre per infinite cliniche e finite speranze, perso dietro un fegato troppo debole per sopportare tanti eccessi passati. Quella bambina che ora s'era trovata catapultata a dover ricoprire il ruolo di sorella, madre, moglie, studentessa, attivista, lavoratrice. Per Margaret, la piccola di casa, liceale persa dietro l'ennesimo "amore" impossibile. Per Bartolomeo, suo fratello, sempre burbero con lei e dolce nei confronti dell'altra sorellina, senza un lavoro, simile ogni giorno di più a loro padre. Per Marjorie, sua madre, che ancora versava in condizioni spaventose: non si era più ripresa dall'esaurimento nervoso in seguito alla malattia del marito. L'ex nume tutelare della casa trasformata in un vegetale privo di emozioni. Ogni cosa ricadeva ora sulle spalle di Lisa: quando i fratelli avevano bisogno di qualcosa, chiedevano a lei. Lei accompagnava il padre in clinica, lei accudiva la madre e si assicurava che seguisse la sua terapia di sostegno. Ma tutto questo a Lisa non pesava. Aveva saputo affrontare le sue responsabilità senza timori, sin da piccola. Quella bambina. "Cazzi miei! Ci vediamo a cena." rispose amaramente Bart mentre scendeva le scale e si avviava verso il loro cortile. Avrebbe preso la scassata station-wagon della madre e passato il pomeriggio al bar di Boe, a stordirsi la coscienza. Per poi tornare a casa e reclamare un pasto caldo; non dovuto, ma mai negato. Lisa chiuse il libro che aveva davanti a se, spense la luce e chiuse gli occhi. Decise di trattenere la lacrima che inattesa s'era presentata alla soglia del suo pianto soffocato. Perché, si disse, non si sarebbe mai mostrata indifesa, disarmata. Mai, ai suoi occhi. Mai, agli occhi di quella bambina.

23 marzo 2006

Paragonare amore e coltelli

Quello che più mi infastidisce della mia mancanza di memoria, è che non mi ricordi i momenti di passaggio. Guardo un bambino piccolo e mi chiedo: com'era quando vedevo le parole scritte e non ne capivo il senso? E non capivo avessero un senso? Non posso mettermi oggi davanti agli occhi un testo in caratteri cirillici e illudermi che sia la stessa cosa. Oggi so che quegli scarabocchi hanno un senso, e se voglio posso trasformarli in qualcosa che per me ha un senso. Prima non era così. Prima non avevano e non potevano avere senso. Rimpiango di non ricordare il momento in cui ho spiccato il salto dal "non capisco" al "capisco". Mi tengo stretto, come fosse l'ultimo dei miei averi, il senso di meraviglia per le cose più sottili e marginali, per le piccole ennesime scoperte, per una frase che acquista un senso nuovo, per un cielo di una sfumatura mai registrata; ma non basta. Un salto come quello, di tale imponenza, così sconvolgente, non capita che raramente. La vera libertà è saper leggere e far di conto. Da quel momento in poi si hanno gli strumenti per andare ovunque. Non sputo nel piatto in cui mangio, ma voglio sapere cosa c'è dopo. Anche L. è affascinata dall'oltre, come nella patafisica. Lo stesso salto tra fisica e metafisica, ma fatto partendo a piedi uniti dalla metafisica. Ecco, io voglio fare la stessa cosa. Voglio saltare.

22 marzo 2006

Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh

Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh

21 marzo 2006

Dolore e appunti

23/03/2006 - Deflore @ Locanda Atlantide
24/03/2006 - Robocop Kraus @ Jailbreak
29/03/2006 - Devics @ Circolo degli Artisti
11/04/2006 - Afterhours @ Circolo degli Artisti
19/04/2006 - Mogwai @ Qube
21/04/2006 - Settlefish @ Traffic
25/04/2006 - 65 Days of Static @ Circolo degli Artisti
27/04/2006 - Fantomas @ Palacisalfa
09/05/2006 - Xiu Xiu @ Circolo degli Artisti
10/05/2006 - Black Heart Procession @ (da definire)

20 marzo 2006

Ho sciolto della digitale nel tuo bloody mary

Così quando vorrai succhiarmi il sangue di nuovo, ti scoppierà il cuore. Sto per uscire. Non so più parlare, le farfalle non le ho più nello stomaco, mi sono volate fuori dalla bocca e dal culo, ora dentro sono rimaste solo le uova e le larve che si cibano delle mie viscere. Cazzo che mal di stomaco. Mi sono rimasti solo dialoghi surreali, sguardi interrogativi di biasimo e gente che si vuole solo scandalizzare. Poi si riempie la bocca di terra e mentre parla ti sputa addosso fango misto a saliva e ai petali delle prime margheritine fiorite. Fiorite in mezzo ad uno spartitraffico. Mi fanno schifo. Le margheritine, non la gente. Il fondo è di quel colore che c'è nel limite di irriconoscibilità tra grigio tropposcuroperimieigusti e nero polveroso. E sto fondo della malora cade a pezzi come fosse fatto di tessere mosaicali perfettamente regolari, tagliate con filo di piombo. Sotti rivela croci gialle di qualche culto agnostico. Mifannoschifoancheglispazitraleparole. Mi sono un po' rotto il cazzo di dormire, di stare sveglio, di parlare, di stare zitto, di mangiare, di lavorare, di studiare, di leggere, di giocare, di perdere tempo, di ascoltare musica, di camminare, di guidare, di vedere sempre la stessa gente, di vedere sempre gente diversa, di attaccar bottone, di aspettare che gli altri attacchino bottone, di non venirti a trovare, di venirti a trovare, di guardare la tv, di guardare la tv spenta, di ignorare la tv, di sapere cosa votare, di non sapere cosa votare, di aprire le buste, di pagare, di vestirmi, di stare nudo, di passare la palla, di fare tutto da solo, di chiedere aiuto, di sorridere a chi ti mostra i denti, di mostrare i denti a chi ti sorride, di non sapere che ore sono, di guardare l'orologio, di mentire, di dire la verità, di tenere gli occhi aperti, di chiudere gli occhi, di parlare con te, di non parlare con te, di litigare, di essere innamorato, di non provare niente, di saltare, di non saltare abbastanza, di aspettare un futuro migliore, di non credere nel futuro, di dimenticare il passato, di credere di non aver avuto alcun passato, di parlare male l'italiano, di tradurre l'inglese, di dire sempre di sì anche quando non mi va, di dire sempre di no anche quando non mi va, di avere mal di stomaco, di non comprare niente, di credere di poter riempire i vuoti comprando cose, di credere di avere dei vuoti, di avere dei vuoti, di essere pieno di me, del cibo riscaldato, della mia forma, della mia sostanza, delle copertine dei libri e delle pagine con le orecchie, di chi urla, di chi parla sempre, di chi non parla mai, di chi ride sempre, di chi non ride mai, di chi è vecchio, di chi è giovane, di chi è lento, di chi va di fretta, di chi mi lampeggia, di coloro a cui lampeggio, di chi fuma perchè fa figo, di chi non fuma perchè fa male, di chi mangia un frutto al giorno, di chi non mangia frutta, di chi si lamenta del proprio corpo, di chi ha cura del proprio corpo, di chi ha qualcosa da nascondere, di avere qualcosa da nascondere, di chi non ha niente da nascondere, di non avere niente da nascondere, di bere vino, di bere birra scura, birra chiara, birra rossa, di non bere perchèpoidevoguidare, di stare a casa, di uscire, di chi è come me, di chi è diverso da me, di chi mi sta ad ascoltare, di chi non mi ascolta, di avere troppi soldi, di non avere abbastanza soldi, di non sapere cosa fare, di sapere esattamente cosa fare, di chi non sa cosa fare, di chi sa esattamente cosa fare, di chi sono, sono stato e sarò, di chi non sono, non sono stato e non sarò, di chi potrei essere, di chi potrei essere stato, di essere costretto, di essere libero, di essere padrone del mio futuro, di essere schiavo del mio futuro, di lamentarmi, di non lamentarmi, di lamentarmi di lamentarmi, di non potermi lamentare, di essermi rotto il cazzo. E vaffanculo, che mal di stomaco. E che rabbia.

19 marzo 2006

sofhbogfslofgreifgelif

Nello stesso modo in cui, avendo una pantofola sottosopra, le si dà un leggero calcetto per capovolgerla e questa compie un giro completo e ritorna sottosopra, così procede il tempo. Rivoluzioni che sembra debbano cambiare ogni cosa, infine non cambiano un secco fico. L'illusione della verità sta nel fatto che ogni perdita è solo metà del guadagno. Illusione e Presenza. Una epopea così allegorica che le senti entrambe in piedi dietro di te, a sbirciare quello che stai scrivendo. Attento dietro. A dispetto del proprio nome, sarebbe d'uopo una mappa dei luoghi comuni; troppo spesso capita di perdercisi. Ci sono troppe effe per essere un bel nome. Hai scritto sul mio corpo che non è la fine.

17 marzo 2006

Manifesto d'adesso

  • Noi abbiamo sonno
  • Noi abbiamo bisogno di più topi
  • Noi aborriamo gli scherzi stupidi fatti da persone intelligenti
  • Noi abbiamo la coda
  • Noi vediamo spesso pallet, ultimamente
  • Noi abbiamo i capelli davanti agli occhi
  • Noi rinosciamo i muri
  • Noi abbiamo ricercato strumenti per la geometria
  • Noi, in quattro foto
  • Noi ci titilliamo i capezzoli, ognuno i propri
  • Noi abbiamo radici di legno e metallo
  • Noi scolpiamo addominali
  • Noi cambiamo profilo, un bel sorriso
  • Noi scriviamo per chi non ci legge
  • Noi fermi in aria
  • Noi succhiamo
  • Noi debelliamo il cancro mangiando piccante
  • Noi posiamo quella pistola
  • Noi scompariamo, tranne il sorriso
  • Noi abbiamo il cuore in bianco e nero
  • Noi abbiamo le labbra sporche di zucchero filato
  • Noi ce ne freghiamo di partecipare
  • Noi che i proiettori non servono
  • Noi aspettiamo la fioritura dell'albero di quadrifoglio
  • Noi facciamo colazione con la mano sinistra
  • Noi siamo orbi da quell'occhio che vuole la sua parte
  • Noi suoniamo i campanelli sul nostro cappello
  • Noi in mutande e camicia
  • Noi ci mordicchiamo la pelle del gomito, a vicenda
  • Noi voliamo a bordo dello spitfire
  • Noi voghiamo indoor
  • Noi e i baci della morte, dell'amore

16 marzo 2006

Piene rotazioni planetarie di incoerente atmosferico

Ecco il mio sogno:

Sono nel mio letto, mi sveglio naturalmente. Niente sveglia. Male. Significa che non l'ho attivata la notte scorsa. Significa che è tardi. Mi ricordo che aspetti la mia chiamata per le 12.30. Sono nel cortile della mia vecchia scuola, i bambini stanno giocando dopo il pranzo. Mi chiedo cosa pensino di me, e mi sforzo di ricordare cosa pensavo io da bambino degli adulti in cortile. Non ci riesco. Entro nell'edificio scolastico, per sapere che ore sono. L'orologio è strano, ha quattro lancette: due segnano l'ora locale, altre due, aperte in un angolo più ottuso, un orario sconosciuto. Le due meno venti. "Cazzo è tardi". Provo a chiamarti, non rispondi. Ti mando un messaggio, cercando di giustificare il mio ritardo. Mi arriva questa risposta: "Non so se ho ancora voglia di perdere tempo con te". Poi una esplosione, viene dalla strada, da via nomentana. Mi avvicino al grande cancello nero, c'è stato un incidente e qualcuno ha sparato un colpo d'arma da fuoco. Davanti al cancello c'è una specie di terrapieno, e disseminati su di esso alcuni militari e poliziotti in copertura, come cecchini. Mi fanno segno di togliermi da lì, ed io inizio a far allontanare i bambini dal cancello. Bambini curiosi. Una bimba molto piccola sguscia fuori dal cancello, io la rincorro, la prendo in braccio e faccio per chiamare un soldato. Egli la prende con se e la pone al sicuro. Sono allo stadio, uno stadio inglese. Cammino a bordo campo e passo davanti una tribuna. Ho due biglietti per la partita, uno era per te, ma non sei voluta venire. Arrivo alla curva, dove sono i nostri posti. La prima fila è vuota, ma a me è riservato un posto più in alto. Salgo la gradinata. Mi faccio largo tra la gente, raggiungo il mio sedile. Discorrendo con i miei vicini scopro che almeno cinque di questi portano il mio stesso nome. E' una cosa che rallegra molti di loro. In fondo alla mia fila, a sinistra, una ragazza ride in modo sguaiato. Dalle tribuna accanto, tifosi stranieri l'additano e ridacchiano di lei, ma costei non ci fa caso, o non se ne cura. Il suo comportamento mi disturba in qualche modo, ma non comprendo quale. Ma da qui non vedo il campo, la tettoia copre tutta la mia visuale. Decido di andare a sedermi in prima fila, tanto è vuota. Passando davanti all'ilare ragazza, questa si rivolge a me.
-Eri tu ieri notte nel mio letto?
-No, purtroppo
-Purtroppo?
-Purtroppo.
Non faccio in tempo a sedermi in prima fila, che uno steward mi raggiunge. Non posso stare qui. Credo mi abbia preso per un orecchio. E temporaneamente mi fa sedere in seconda fila. In attesa della mia punizione. Si allontana e poco dopo torna con un altro trasgressore. Io scalo di un posto e questi si siede accanto a me. Non è più uno stadio, ora è un'aula universitaria. Il nostro carnefice è una specie di assistente che pone a noi della seconda fila un test da superare. Questa è la nostra punizione. Il test è così composto: ci sono due colonne; nella prima un elenco di persone, personalità e personaggi, nella seconda un lista di cose ed oggetti, materiali e non. Si devono collegare gli elementi della prima lista con quello che desiderano nella seconda lista. Tra le altre, ricordo che c'era Craxi tra i primi, e diverse quantità di denaro nel secondo elenco. Sono in casa mia, la mia vecchia casa. Siamo in sala, ci sono io, la mia famiglia, alcuni dei miei parenti più stretti. E' in corso una specie di lezione o conferenza, su di un libro. E' di un autore inglese, ed è pieno di indovinelli, enigmi, facezie. In uno dei brani iniziali manca una parola, che va scoperta. In uno dei brani finali c'è la soluzione del primo enigma. E la soluzione si presenta nella forma del quiz che stavo facendo in aula. Ci dicono che, se risolviamo quel quiz, troveremo la parola. Ci diamo tutti da fare, ma non ne caviamo un ragno dal buco. Così gli altri decidono di andare a mangiare, mentre io resto a scervellarmi. Penso che quest'autore deve essere troppo furbo, e poi l'unione tra i primi ed i secondi elementi non è affatto univoca. Pensa diversamente, mi dico. Guardo le parole con distacco. Le iniziali. Hanno un senso. Formano una frase. Trovato! E' lei, la soluzione. Si è gentilmente presentata a me, che la desideravo tanto. Ora siamo in strada, io, mia madre e mio zio. Si discute di spesa e di supermercati. Io vado alla mia macchina, per prendere l'acqua che avevo comprato in precedenza. Ne porgo una cassa a mio zio. E ci congediamo qui, così.


Ecco la mia ode:

Caparbia sovrana

Riempi di speranza di dolore
il tempo poi trascorso invano
attendendo solo conferma de
il tuo sentire

Cinta di luce la regale fronte
brillano di pallido riflesso
le immagini del volto tuo
che qui nascondo

Verso l'eterno alta ti leva
la montagna domicilio tuo
dea elengate ché severa
nel tuo olimpo

Introduci il tuo cortigiano
all'animo e al dio panico
dal mare peschi con grande rete
schiavo iberico

Cade la neve con gelosia
della tua nivea purezza
scende la pioggia per invidia
del chiarore tuo

V'ergete altera e magnifica
sopra e contro l'uomo vostro
ch'ogni impresa vi dedicherebbe
sua regina

Ogni essere ogni creatura
vi brama zelante ed indolente
avido del tesoro che portante
dentro di voi

V'amo v'adoro vi ambisco
parole candide ed oneste
m'illudo non vi paian vane
s'a voi rivolte

La penna mi fa difetto ora
a cantarvi la magnitudine
del vostro essere e del mio
leale sentir

Degno forse d'esservi schiavo
come immondo per immondo
la lusinga del vostro favore
mio nutrimento

14 marzo 2006

Sì così, continua a sorridere

Non voglio comprare nulla, sto solo dando un'occhiata in giro. Le cose che vuoi-le cose che hai-le cose che ti fanno ancora ridere. Sono diventato impossible. Non è stato un incidente, è il motivo esatto per cui sono qui. Tu sei esattamente ciò di cui ho bisogno. Metti via i tuoi giochi, ma non prenderla alla leggera. Dovremmo prenderci alla leggera? Quindi sbrigati e aspettami. Mi sono fermato per riempire il serbatoio e quando sono risalito non c'era nessuno riflesso nello specchietto. Quello fu un giorno molto triste, un giorno. Avevo la tasca piena di spiccioli. Mi ci sono pagato la colazione. Se il mio corpo avesse dei lembi, li affererei e tireri forte. Così, per vedere cosa succede. Per vedere non l'effetto ma la causa. La mia debolezza è che ci credo. Vedere la gente andare su e giù e infilare la testa sott'acqua per allungare una mano. Affogare e preoccuparsi che fuori piove. Potrei bagnarmi, potrei. Molto lontano da casa, sento una eco che forse s'è persa. Avrei dovuto saperlo, avrei dovuto fare delle foto per provare il mio passaggio, He was here. C'è ancora spazio per credere alle cose che non si vedono, che non si toccano, che non si assaggiano, che non si rompono, che non si aprono per vedere come sono fatte dentro, che non si possono nascondere, che non si tirano potresti prendere qualcuno nell'occhio, che non si graffiano, che non si impolverano, che non si bagnano, che non sporcano, che non cadono, che non si vendono nelle telepromozioni in tv, che non si raggiungono, che non si cominciano, che non si strappano, che non puoi giocherellarci che poi le devi ripagare ,che non si possono liberare. Sono qui, dentro la mia testa. Sono qui, vivo ma non vegeto. Ti tengo lì, così puoi fermarti, così puoi fermarmi. Ballare ballare ballare, ma essere ancora fermi. Ti ho promesso che ti ci avrei portato, che ti avrei portato. Sempre, dentro. Non sono più dentro la mia testa, ora tutto è dentro la mia testa tranne me. L'inchiostro ha un sapore acre e vellutato. Dolce dolce fiore ti mangio e non mi sento in colpa, ma sono colpevole. Capisci le cose che senti dire dietro di te? Le risposte più delle domande. Mi hanno svelato che i fiori sono dolcificati. Nessuno ha il coraggio di semplicemente addolcire. Nessuno è pieno di persone che non conosco, e io mi rivolgo a loro con una familiarità che non ha proprio senso. Che non ho voglia. Che sei qualcosa. Ogni respiro che prendi, ogni boccone che ingoi, ogni movimento che fai, ogni argine rotto, ogni passo calcato, ogni singolo giorno, ogni parola non detta, ogni gioco rimandato, ogni notte dimenticata, ogni graffio sanguinante, ogni labbro morso, ogni sguardo taciuto, ogni frangietta mimetizzata tra gli altri capelli, ogni curva maledetta, ogni furberia che tanto non mi scopriranno mai e pure se mi scoprono che mi possono fare, non fanno altro che nutrire il tuo peccato banale. E io guardo te e vedo te. Sei dentro una scatola. Mostri: sporchi, asimmetrici, viscidi, riluttanti, lussuriosi, cocainomani, penzolanti, parassiti, vorticosi, pelosi, mucoidali, spasmodici, rigurgitanti, occlusi, rifluiti, stonati, defecati, spastici, secchi, decadenti, liquidi. Corpo e Anima. Corporali e Animali. Ridisegnare il labirinto per reinventare l'uscita. Niente supereroi, solo eroi normali o suberoi. Gioco la carta della vincibilità. Vado ALL-IN con una coppia di 9. Strisce pedonali: striscia e perdonali. Jumo mangia il mondo. Jumo non ha complimenti. Jumo ha complementi. Jumo in un campo di zafferano e salvia divinorum. Spenta la luce. Arriva l'esilio.

13 marzo 2006

menoventisette

Stanotte la musica era diversa. Le imposte erano sbarrate, nessuna proiezione luminosa a solleticare la mia vista, e un vento di gelida consistenza s'apriva la strada in camera mia, come un veleno mellifluo. Le coperte tirate fin sopra la testa, cercando di tenere in cattività fino all'ultima stilla di calore. Nessuno spazio per fantasticare, ma tanto buio per pensare. Ho immaginato che forse è questo il mio egoismo: cercare di fare al massimo ogni cosa. Io ho il mio, tu hai il tuo. Se di mattina ho del lavoro da svolgere mi faccio prendere cosi' tanto da non mandarti nemmeno un messaggio. Se lavoriamo insieme ad un template rimango silente per ore, alla ricerca di una chimerica combinazione di colore. E non una parola per te. Se mi introduci nella tua cerchia di conoscenze cerco di fare una buona impressione, non dico apparire brillante, ma almeno capace di conversazione piacevole e faceta. Cerco di essere qualcosa per cui tu possa essere almeno un poco orgogliosa. Mentre finisce che trascuro il vero motivo per cui sono lì, che sei tu. Potrebbe sembrare un assurdo: ciò che mi rende "imperfetto" è la ricerca di una ipotetica "perfezione". Che ovviamente non esiste. Ma ha perfettamente senso. Queste non sono scuse, è solo l'errore n°5. Come ti ho già detto ho gusto nel fare le scelte sbagliate. O forse sono solo un po' pigro. Abbasso la guardia e ricado nella perniciosa abitudine di non sentirmi all'altezza. E provo a metterci una pezza. Come se un'apparenza di gran laboriosità potesse sopperire ad un lavoro ben fatto e portato a termine con costanza. Abbasso la guardia e il colpo viene sferrato a te. E fin qui sono cose che già sai. Ora le novità. Di tutto quello scritto sopra, ora me ne importa poco. Se una cosa è importante e vale meno di zero e una cazzata qualunque diventa un delirio, io smetto di ascoltare. Chi si prende la colpa è perduto; e per una volta che ho qualcosa da perdere, non ho intenzione di farlo. Ci sentiamo presto, bellezza mia bellezza mia bellezza mia.

11 marzo 2006

EmoViolenza

Ieri notte ho visto suonare i La Quiete. Questo fa di me un tipo molto indie, un tipo molto hardcore. Sulla mano ho ancora il timbro del Traffic, e l'inchiostro si sta facendo strada tra le micropieghe dell'epidermide. Ho lasciato sul cuscino una serie di speculari timbrate CIFFART. Questo fa di me un tipo molto trasferello. Mi fischia ancora l'orecchio sinistro. E' stato devastante, stato devastante. Troppi pochi pezzi, troppo basso il volume del microfono del cantante, troppo avanti la maglietta di Costantino indossata dal bassista. Questo fa di me un tipo molto critico musicale. Ho arrubbato la discografia dei Mogwai. La sto ascoltando. Questo fa di me un tipo molto post-rock, un tipo molto tristantuolo. Non ho particolamente apprezzato i due gruppi spalla. I Fucking Blood, boh. I Restless Wrestlers, boh. Ma almeno questi ultimi erano vestiti bene. E mi hanno fatto venire voglia di microKorg. Questo fa di me un tipo molto gearpornomane. Qualcuno subisce ancora il fascino dei pacifisti a tutti i costi, dei tecnici della facciata restaurata, dei locali desolati e fatiscenti. Qualcuno più ottimista di me ha detto: "Dà ad un uomo qualcosa da perdere e diventerà il più mite tra tutti". Non sono le parole esatte, quindi forse non dovrei mettere le virgolette. Questo fa di me un tipo molto ipercinico, un tipo molto ipocinetico, un tipo molto privo di memoria fino all'ignominia. Canto vittoria. Questo fa di me un tipo molto la gara è stata sospesa per abbandono dei concorrenti. Ah, dimenticavo, indieblog è morto.

10 marzo 2006

La scorsa notte mi ha fatto visita il mio incubus e ha tentato di strangolarmi

Alzatevi in piedi, è il momento di fare un passo indietro. Fatto? Immagino di no. Anzi, vedo che siete ancora seduti. Poco male, tanto è già troppo tardi. Non facendo un passo indietro avete perso l'occasione di cadere. Come dite? Non avete alcuna intenzione di cadere? Oh beh. Peggio per voi. Io cado. Siete ancora là? Sì, qualcuno è rimasto. Sarete curiosi di sapere cosa c'è di desiderabile nell'atto di cadere. Ve lo spiego subito. Tanto per cominciare, se non si cade non ci si può rialzare. Solo questo dovrebbe farvi provare l'impulso irrefrenabile a perdere l'equilibrio. Non è forse una gran cosa poter riguadagnare la propria compostezza, la propria altezza, il controllo di se stessi? Mettendo una mano a terra, tenendo tesi i muscoli dello stomaco, facendo leva su di un piede e poggiando un ginocchio al suolo, su cui poi fare perno. Dite che non vi basta? Oh come siete difficili! Avete bisogno di una motivazione per ogni vostra minima azione quotidiana? Non credo proprio! Tu, che ti stai grattando il mento: perchè lo fai se non provi prurito? E tu, che alzi gli occhi al cielo (volevo dirti che la tua mimica è fuori luogo): cosa vedi di così interessante lassù? Niente, ecco cosa! Ma vi capisco. Obietterete che rialzarsi è faticoso e che cadendo rischiate di farvi male. E sia, non lo nego. Ma invito chiunque di voi a nominarmi un piacere che non richieda nemmeno uno sforzo per essere provato o che, se portato all'esagerazione, non rischi di arrecarvi del danno. E sì, perchè di piacere si tratta. Chiunque può gustare una succulenta caduta, se non teme di rimpiangere poi l'atterraggio. E' liberatorio. Vi pone sottosopra, e il cielo mi sia testimone se non avete bisogno. Quindi, invece di stare ad ascoltare me, fate un favore a voi stessi: Oggi cadete. Io, per mio conto, seguirò il mio consiglio. Cado!

09 marzo 2006

Una trappola di scorta

Mi hai fatto uno squillo. Forse vuoi che ti richiami. L'ultima volta era questo il segnale che avevamo convenuto. Ti chiamo. Squilla per un po', ma non rispondi. Forse non puoi. Poso il cellulare, e alzo di nuovo il volume dello stereo. "Forse non l'ho fatto squillare abbastanza" penso. Riporto la manopola del volume ad un innocuo 2 e riprendo il cellulare. Ti chiamo ancora. Il tempo di fare due squilli e mia madre entra in camera mia. Attacco.
"Non sei uscito mai oggi?"
"No, perchè?"
"Ci sarebbe da buttare l'immondizia"
"Ok vado". Prendo le scarpe, quelle che posso infilarmi senza doverle slacciare.
"Se vuoi puoi buttarla dopo cena". Mi infilo le scarpe, con un movimento solo, consumato.
"No, dopo cena non devo andare da nessuna parte". Prendo il cappello e mi avvio.
"Ricordati il cappello". Senza voltarmi sollevo il cappello per mostrarglielo.
Me lo infilo attraversando il corridoio buio. Prendo il cappotto, e torno in camera mia a prendere le chiavi che avevo dimenticato. Non mi va di farmi aprire, poi. Esco sul pianerottolo, raccolgo il sacco della spazzatura e chiamo l'ascensore. No, meglio le scale. Ci incrociamo al secondo piano. Lui vuoto, salente. Io pieno di pensieri vuoti, silente. Mentre scendo le ultime scale prima di raggiungere il portone, sento qualcuno che da fuori armeggia con delle chiavi e cerca di aprirlo. Tiro, mentre l'altro spinge. E' una signora che non conosco. "Buonasera". "Salve". Le tengo il portone aperto, mentre raccoglie i suoi pacchetti della spesa. "Questo portone è veramente strano" mi fa. "Eh". "Buonasera" ripete. " 'sera " rispondo a mezza voce. Buttare la spazzatura è compito mio. L'immondo è roba mia. Lo faccio così spesso che non me ne rendo conto nemmeno. E sono di nuovo davanti al portone di casa mia. Mi colpisce il marciapiede bagnato all'angolo della strada. Ci cammino sopra, svolto l'angolo e mi incammino per via Aquileia. Lavori in corso. Transenne. Sono quasi in fondo. Mi giro, distratto da un rumore. Un'auto ha imboccato la via, è lontana e i suo fari mi puntano. Forse cerca me. Quando mi raggiunge solleva un po' di polvere passandomi accanto. Non cercava me. C'è troppa polvere. L'hotel. Proseguo. La mia macchina è parcheggiata in Via Gradisca, per metà all'interno delle strisce blu, regolarmente, per metà su delle strisce pedonali gialle. Irregolarmente immagino. Non ci sono multe. Spero che la signora non faccia liberare la vescica al suo cane proprio sulla mia ruota. E poi quella scritta sul muro. "BIONDO FIFONE". Le due f sono scritte così male da essere quasi irriconoscibili. Forse l'emozione dell'imbrattamuri. Forse era una donna. Io non sono biondo, e nemmeno fifone. Però penso sia rivolta a me. Come i fari di prima. Risalgo la parallela a via Aquileia. Sugli alberelli che crescono in minuscoli oblò dell'asfalto, qualuno ha affisso dei cartelli. Contro chi porta i cani a farla per strada. Chissà se la signora di prima ne leggerà uno. Chissà se si sentirà un po' in colpa. Passo davanti alla mia finestra preferita. Un seminterrato, la luce accesa che filtra attraverso le tende alla finestra. Dentro, ci sono un letto ed una scrivania, sopra la scrivania un monitor. Ogni mercoledì sera intravedo qualcuno al pc. Potrei essere io. Stasera non c'è nessuno, e lo schermo è spento. Delusione. Dove sarai, compagno di telematica solitudine? Ho completato il giro dell'isolato, passo accanto ad una macchina asfaltatrice (lavori di rifacimento del manto stradale, ennesimi). In fondo ad una scaletta, un uomo entra in un portone. E' illuminato da una luce color ghiaccio, mi guarda. Ricambio lo sguardo, e penso che col cappello in testa e la barba incolta devo sembrare un poco di buono. Un ladro, magari. Stavolta prendo l'ascensore. Rientro in casa. "Ma dove vai a buttare l'immondizia?" sono le parole che accolgono il mio ritorno. Vedo nuovamente il tuo numero tra le chiamate senza risposta. Forse volevi che ti chiamassi. Ma ora è tardi. Ciao.

Sciarada

Le parole mi massacrano. Le parole mi pigliano per la gola, si scagliano su di me tutte insieme. Quella mi tiene fermo, quella mi ruba le scarpe e mi svuota le tasche, quella mi sputa addosso, mentre una, la più cattiva di tutte, mi pratica una incisione parietale, infila una cannuccia nel mio cranio ed inizia a succhiar via materia pensosa. Infine, una volta sazia, sutura lo squarcio con la cicca che non ha mai smesso di masticare durante tutto l'intervento. Non so perchè mi fanno questo. A me poi, che pensavo di poterle controllare. Non sono mai stato un padrone sfruttatore; al massimo un padre severo ma amorevole. Ma tanto ormai non importa più. Di me rimane solo l'involucro inebetito che si trascina da una finestra murata all'altra. A farmi compagnia ed ad assistermi solo quelle di loro più fedeli, le più semplici tra le parole, quelle che non hanno mai voluto giocare con me, ma forse mi sono ancora grate perchè in tutto questo tempo non le ho private del loro senso. Ora c'è quella parola che mi imbocca, anche se non provo più lo stimolo della fame. Quella che mi mette a letto, anche se il giorno e la notte non sono più distinguibili. Quella che mi veste, anche se il senso del pudore non so più cosa significhi. Quella che mi racconta storie del passato e fantastica con me sul futuro, anche se io non la sto veramente ad ascoltare, perché lo scorrere del tempo assomiglia allo stesso fondale riciclato più e più volte per scene diverse. Ma in fondo uguali. Il set di questa messinscena è una città fantasma, abitata da fantasmi che si nutrono dell'illusione di poter ancora influenzare il mondo dei vivi. Ed è per questo che inventano parole nuove e le abbandonano al mondo, sperando che qualcun altro le accolga. Non si curano della loro educazione, della loro istruzione, di insegnar loro la differenza tra il bene e il male. Mi esortano in coro a fare altrettanto: "Dopo ti sentirai meglio". Non capiscono che non appena evocano il mostro di fango del "dopo", un golem uguale e contrario prende vita, quel "prima" che ai miei occhi appare mille volte più grande e terrificante. Ora che le parole sono lontane e ricercate, il posto che hanno lasciato vuoto è assordante. Non ho mai capito se è il vuoto a succhiare verso di se il pieno, per invidia, o il pieno a lanciare se stesso nel vuoto, per vanità. Ma so che appena parole inutili saturano l'aria, è l'ora di affacciarsi alla prossima finestra.

08 marzo 2006

Dolce e cantabile, marcando la melodia

  • The big scientific broom.
  • Essere investiti attraversando Via Abbazia in fila indiana.
  • Molto forte, crescendo, pianissimo. Molto espressivo, cullando, a tempo.
  • Solamente con gesti del corpo, comunicare idee oscene. Mimo osè. Mimose.
  • Geloso delle tue spalle nude.
  • Oggi mi sento un po' Coheso.
  • Palleggio, arresto e tiro.
  • La riproduzione e la vendita dell'arte è uno scempio a cui si deve porre fine.
  • contraria e ostinata direzione ostinata direzione ostinata direzione In.
  • Volevo solo parlarti addosso. O dell'uso improprio dell'altrui persona.
  • Qualunquisivismo. Il tuo fare politica consiste nell'essere un apolide polipoide.
  • Il mostro che ha sonno, in genere ha ragione.
  • Mi sottopongo ad un intervento di iconectomia.
  • Ma la mente, malamente...
  • In fondo a pagina 72: "(...) vederlo di sbieco mostrare angoli e superficie nuove come un solido sorpreso in un momento sconosciuto della sua rivoluzione."

07 marzo 2006

Nudo

Il dito melluce, in entrambi i miei piedi, è appena più lungo del rispettivo alluce. Dicono sia un segnale di bellezza. L'eccezione che conferma la regola, nel mio caso. Le dita dei miei piedi sono sempre leggermente piegate, anche a riposo. Non so se sia normale. Le unghie mai curate, sempre dai bordi irregolari. Quella del mellino, molto piccola. Ho i piedi piatti. Qualche piccolo pelo copre il collo del mio piede. Le mia caviglie, troppo sottili. Le ginocchia portano i segni di tutte le mie cadute, antiestetiche cicatrici. Le gambe sono storte, non posso camminare tenendo contemporaneamente paralleli piedi e ginocchia. Ho le gambe pelose; al contrario del torace, quasi glabro. Ho il culo piatto. Mi sta venendo un po' di panzetta. Il mio ombelico è verso l'interno. I miei capezzoli sono larghi e rugosi. Ho un tronco robusto, mentre le mia braccia sono sottili e molto poco muscolose. I gomiti sporgenti e ossuti, i polsi troppo sottili. Non avevo niente da ridire sulle mie mani. Fin a quando non mi hanno fatto notare che sono salsicciose. A me non pare. Vabè, andiamo avanti. Non mi mangio le unghie, me le strappo piuttosto. Ma non si nota molto. A volte le mie mani prendono un colore rosso scuro e sotto la pelle il sangue sembra disegnare un tessuto a chiazze. A volte tremo un po'. Ho il collo lungo, i capelli tagliati male, la testa troppo grande, e il naso gobbuto e sporgente. La barba non mi cresce in modo uniforme sul volto, ho dei buchi sul mento, ai lati della bocca. Ho le orecchie piccole, ma a me non dispiacciono. Le sopracciglia troppo folte.

Per fortuna ci sono i miei occhi. L'unica cosa che non cambierei di me sono gli occhi.

06 marzo 2006

a mano - 3 - bianche

Salto. C'è un istante, all'apice della parabola. In cui sono fermo. Immobile. Privo di peso. Velocità zero. Da qui potrei lanciarmi verso ogni ovunque. E' il secondo di silenzio tra due canzoni.

05 marzo 2006

The Melody at Night, with You

Così siamo sul fondo del mare. Ti vedo cercare di suonare coralli e spugne con un archetto per violino. I tuoi discorsi si tramutano in modulazioni di forma e dimensione di gocce d'aria che precipitano all'insù. I tuoi capelli riconquistano quella libertà finora negata loro dall'opprimente gravità. Non c'è orizzonte, solo colore. Mentre il cielo è la somma di motivi curvilinei. Come dubbi.

Esagerare in pubbliche effusioni potrebbe suscitare dispetto. Qualcuno ci dice: "fate schifo". Ed io: "Hai ragione. Perchè siamo liberi."

04 marzo 2006

Ora scriverò, e sarò meno lontano

Non sapevo in che direzione stesse nevicando. Mia nonna mi ha raccontato: "Una volta, prima che tu nascessi, più di 20 anni fa, nevicò il 30 aprile. Le stufe erano ormai spente e fu una giornata molto fredda". Mentre narrava controllava l'acqua in ebollizione, in attesa del momento per versarvi la pasta. Il vapor acqueo le saliva fino agli occhiali, per appannarli. Poi mi ha guardato ed ha sorriso. Dovrei decorare una parete. Dovrei. Magari con un segno indecifrabile per molti, e inconfondibile per quella sola persona. Poi mi siederei sul bordo del mio letto, di fronte alla decorazione e mi auto-scatterei foto in cui la mimica facciale non potrebbe lasciar dubbi sulla gamma dei miei stessi stati d'animo. E in un istante d'incredulità tu verseresti alcol sulle mie ferite e nella mia bocca. E sulle ferite della mia bocca. Il diavolo si toglie la maschera e si scopre innamorato dell'amore. Pareti lisce come specchi d'acqua mi offrono quattrocento colpi per farsi abbattere, quattrocento passi per farsi percorrere, quattrocento appigli per farsi scalare, su su, fino a grattare il cielo, ultimo baluardo tra me ed il mio soffitto. Perchè i pensieri manifesti non osano sollevarsi in aria al di là di dove l'occhio arriva a tracciare i confini del presente. Un sarto, con tratteggi di gesso e puntando spilli, può dichiarare a voce alta il confine tra l'eleganza e la goffaggine. Una chiamata nel cuore della notte, proveniente dalla città, può accendere la consapevolezza improvvisa di essere altrove. Bianco, rosso e blu sono i colori che si possono incrociare sul ponte di un traghetto. La verità è che non ho paura di sanguinare, ma pretendo il dolore che accompagna ogni ricompensa.

Al diavolo la brace, io voglio la padella

Immagina la scena. Ho appena chiuso. Mi preparo per la notte. Spengo la luce grande, accendo la luce piccola. Prendo il libro. Sono già sovrappensiero, tanto che tolgo il segnalibro dalle pagine segnate e lo dimentico lì. Tiro su il cuscino contro il muro, mi metto sotto le coperte. Apro il libro. Non leggo una riga. Penso. Come potrei toglierti il saluto? Solo perchè non credi alla mia incapace giustificazione di una colpa che non ho mai commesso? Non ci crederei neanche io, visto che è un tale assurdo. Un tale dolce assurdo. Tutto quello che posso portare come prova di una mia ipotetica innocenza è la mia ossessione. Ad ogni canzone d'amore non posso esimermi dal vedere noi due nei panni dei protagonisti. Tu sei ogni "tu" che leggo, che penso, che canto con voce comica e stonata. Quanto tempo è passato? Non ho letto una riga. E' ora di dormire. Dov'è il segnalibro? Me lo cerco addosso, non c'è. Sulla coperta, nemmeno. Sconvolgo le lenzuola. Ah, eccolo. M'alzo. Raggiungo il segnalibro e ripongo il libro. Notte senza fortuna, sii buona.

(Nuova puntata della vicenda Baricco. A gentile domanda, cortese risposta. Pare quindi che la stroncatura già ci fosse. Ma non cambia la sostanza. Ferroni non è in grado. Solo per essere l'autore del mio manuale di letteratura italiana del liceo meriterebbe una punizione esemplare.)

03 marzo 2006

L'arte venatoria applicata agli angeli. Ovvero: Cupido impallinato.

M'improvviso cameraman. E regista. E narratore. OhMammaMiaCheVergogna! Macchè, una volta forse. Beh, un pochino sì dai, all'inizio. Ah, quella non è la mia voce! (dicono tutti così). Spero apprezzerai il piccolo dono.

Esiste un manuale della vita pratica? Un testo che insegni tutte quelle piccole cose che non sono fondamentali ma che servono, qua e là, nel quotidiano. Come, che so, il fatto che le viti si svitano in senso antiorario, qual'è il bicchiere per il vino e quale quello per l'acqua, come si fischia "alla pecorara" con due dita in bocca, come si versa da una bottiglia senza far cadere -la goccia-, le regole del tresette, quando è il momento buono per seminare una pianta, i passi minimi di un lento, come si fa il pane... cose così...

Oh tu, lettore casuale, leggi! Il buon Baricco è una vecchia volpe. Ma fa sorridere. E poi credo che apprezzerebbe la mia citazione pop: "Chi sa fare, sa capire" (Cfr. Aldo,Giovanni e Giacomo - Chiedimi se sono felice)

STOP THE PRESS
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Qui è Blog che parla. Si si, proprio io, il Sig. Blog. Mi rivolgo a te, menagramo imbrattacarte, che riempi le mie pagine. Occhio. Io ti osservo. So cosa stai combinando. Non fare una cazzata delle tue. Non ci provare nemmeno a rovinare tutto. Non essere il solito E NON FACCIAMOCI SEMPRE RICONOSCERE. In bocca al lupo, va. Chiudo.

02 marzo 2006

Mi tappo le orecchie con le mani ed urlo, perché non voglio più vedere. LA LA LA LA LA LA LA LA.

T'ho sognata ancora, nonostante m'avessi chiesto di farlo tu. Il gran finale di una onirica pirotecnia. Ti racconto:

C'è un grande convegno. La struttura che lo ospita assomiglia all'esterno alla stazione Termini, all'interno alla sala congressi dell'ONU. L'evento è sull'integrazione con la Cina. Ci sono alcuni relatori cinesi, che si inalberano perchè nella scenografia c'è un errore. Una volta c'è scritto CHINA, un'altra CINA. Il mio compito è che tutto vada per il verso giusto, quindi inizio a girare parti della scenografia che contengono l'errore, come fossero lettere della ruota della fortuna ed io il valletto. Soddisfazione. Ma mentre sono sul palco, entrano in scena i ballerini per lo spettacolo d'apertura. Io, colto alla sprovvista, scivolo fino alla prima fila e scendo di scena. In fondo alla sala entra mia madre che vuole farmi sentire il suo nuovo profumo. Imbarazzo. Decido di correrle incontro, strapparle la boccetta di mano e scappare fuori della sala. Forse penseranno ad una trovata pubblicitaria. Lo spero. Sono fuori. E dall'interno della sala, una violenta esplosione. Un attentato. Scappo. Arrivano delle camionette. Persone stranamente vestite scendono a terra e corrono dentro il congresso. Un'altra esplosione, ancora più forte. Vetri in frantumi. Polvere. Detriti. Io scappo. Penseranno a me. Mi nascondo nei bagni di un edificio vicino. Vengono a cercarmi. Arriva una donna, anziana. Mi vede e, ridendo, esclama: "Ahah, pensavi cercassimo te? Io so che non è colpa tua, ma ora dovrò nasconderti. A casa mia". La seguo. Sono nel suo appartamento, arredato in modo bizzarro. Lei è stesa su quello che sembra un triclinio e mi ordina di massaggiarle il ventre gonfio. Eseguo. Non provo niente. Poi occupo il mio posto. E' uno strano sedile, scavato in una protuberanza del muro. Vedo fuori della finestra una città strana. Una Venezia senza acqua. La gente si muove su tetti, terrazzi e giardini pensili, collegati da ponti. Ci sono tante coppie. Il cielo si oscura di nubi tempestose, all'improvviso. E con la stessa facilità torna sereno.
Cambio di scena.
Sono un giornalista musicale. Devo intervistare una band e farle un servizio fotografico. La band è composta da una ragazza e due uomini. La ragazza sei tu. Ho occhi solo per te. E mi accanisco nel ritrarti. I tuoi colleghi si spazientiscono, e non vogliono farsi fotografare. Mentre cerco di convincerli e di trovare una location non troppo banale, tu mi strappi la macchina fotografica di mano. Hai deciso che vuoi fotografare me. Inizi a rincorrermi, ed io a darti sempre le spalle. Finiamo nel cortile di un palazzo, tra le auto parcheggiate. "Non mi prenderai mai, sento i tuoi passi" proclamo con fare gradasso. Ma mi freghi. Sto scappando da altri passi. "Sono qui", la tua voce dietro di me. Sempre dandoti le spalle, getto le braccia indietro e ti cingo i fianchi, e ti tiro a me. Ti stringo. Non so quanto sono rimasto ad ascoltare il tuo corpo contro il mio. Ma vengo risvegliato dal tuo respiro. Di nuovo ti prendo e ti porto davanti a me. E' un bacio violento, precipitoso, nervoso. Mi colpiscono le tue labbra sottili, ed il tuo sapore fresco. Ci dividiamo. Respiro di nuovo, respiro per la prima volta. Piego la testa dalla parte opposta. Ora voglio assaggiare il tuo labbro inferiore.

01 marzo 2006

Mentre fuori le strade e le vie si ridisegnano ancora

Sono steso sul letto a guardare il soffitto e a pensare: "...". Ma è un "..." di felicità, immagino. Cambio posizione. Prono. Sento le pulsazioni del mio cardio propagarsi dal petto al ventre al materasso al cuscino e risuonarmi in testa, accompagnando all'unisono quelle del polso, su cui ho poggiato la testa. Certo che sotto le coperte devo assumere delle pose davvero contorte. Imbarazzo. Mi volto di nuovo. Supino. Ho un accesso di sentimentalismo. (Breve inciso architettonico: la finestra nella mia stanza è costituita da due imposte, ognuna delle quali divisa in 6 riquadri, e sormontata da una piccola finestra semicircolare.) Mi dico che se ora avessi qualcuno accanto, potremmo giocare a contare le ombre che la mia finestra proietta sul soffitto, tutte di forma, lunghezza e intensità differenti, tutte dall'aspetto un po' gotico e ancestrale. Mi volto di nuovo. Bocconi."...della tua esistenza". Mi addormento con un sorriso ebete stampato sul volto. Mi desto un'ora e mezza prima che la sveglia suoni. C'è troppo poco tempo. Devo scrivere questo post.