27 marzo 2010

di moto dovuto

Dicevano che le ore di disegno erano obbligatorie, che non si poteva uscire. Eppure in quelle stesse ore continuavano a ripetere questa cosa dei punti di fuga. Ho creduto mi si stesse mettendo alla prova.
In seguito avrebbero detto che ero scappato, ma io penso che non sia giusto dire che si sta scappando quando invece si è alla ricerca di qualcosa. Il mondo fuori era un luogo mitologico, disseminato di strutture pericolanti, cavi scoperti, schegge di vetro nella pelle, alte tensioni. Di possibilità, insomma.
C'erano invenzioni umane con una direzione, come le strade, i binari. Ho imparato presto che si doveva rispettare la direzione, sopra di tutto. Non attraversare i binari, così era scritto. Fai tutto quello che vuoi, ma non attraversare i binari. Non sei più uno dei nostri, se ti azzardi.
Inseguivo le cose che mi piacevano, finché non scomparivano loro, o non scomparivo io. Allora mi fermavo e mi mettevo a dormire. Ho sognato spesso me, sopra una piccola barca di legno bianco e nero, e tutto intorno acque placide. C'era anche il cielo stellato, ma le costellazioni cambiavano ogni volta. Nel sogno mi sdraiavo sul fondo della barca, guardavo in alto e mi chiedevo di cosa preoccuparmi: del non avere un porto o una riva di destinazione, del non sapere in che direzione remare per raggiungerli o del non avere niente per remare.
Non mi faceva paura niente, ballavo anche. Ballare non sarebbe stata una catastrofe, se essere ballerini non volesse aver detto somigliare tanto a dei camerieri... così gentili e disinvolti, e al contempo così uguali a se stessi. Non ho mai capito perché tutti avessero bisogno di un paio di scarpe per ballare.

13 marzo 2010

ragazzo grammaticalmente emancipato

Gli amanti del deserto non sanno dove nascondersi quando arriva il marito del deserto.

Ogni goccia che cade è una lettera che faceva parte di una parola. L'asfalto bagnato dopo la pioggia è un'epopea sgangherata, il giaciglio su cui non ha mai pianto nessuno è un cuscino senza titolo, un rubinetto che perde nella notte è la storia scritta per ricordare che terrorizza la storia scritta per dimenticare.

Io non credo alle pagine dei libri che volano via, ai centri estivi apertura il 9 giugno, ai personaggi dei telefilm che portano i nomi dei filosofi. Eleganza non sono alberi piantati lungo una linea retta, piuttosto scarpe di quattro misure più grandi. Ci sono delle mattine in cui mi sento eviscerare dal freddo ginecologico dell'aria, quando i pensieri mi rimangono attaccati alla simmetria di certe banchine della metro A, come la lingua sul ghiaccio. Evito di passare davanti alle edicole, perché non mi interessano il feticismo quotidiano per ultimi sette giorni e le grandi eiaculazioni astrofisiche di cosmi lontani, sbattute sulle prime pagine da riviste scientifiche senza pudore. Non riesco a conciliare questa città con me che l'attraverso. Non si giustificano in una sola idea queste corporazioni di silenzio e una tale messe di slogan, le calze rotte e le stelle sulle scarpe, le isole spartitraffico e i nascondigli tra le siepi, i secondi piani dei caffè e la neve di plastica, vagabondare con le cuffie addosso e nessun posto dove infilare il jack. In bocca, provo nella mia bocca.

26 gennaio 2010

Puoi fidarti di me, ho ingoiato un lucchetto

Si vuole ora dimostrare come la parola "amore" rappresenti un jolly per tutti coloro che aspirino a scrivere una similitudine, od un arguto aforisma. Segue una dimostrazione per enumerazione, tentando l'autore improbabili accostamenti. È dunque lasciato all'accorto Lettore il giudizio sulla bontà della tesi.

L'amore è come un tubetto di dentifricio: quando qualcuno lo usa, la volta successiva sarà piu' difficile tirarne fuori qualcosa.

L'amore è come un cassonetto dei rifiuti: per incontrare qualcuno che se ne prenda cura bisogna attendere la notte.

L'amore è come la cisterna d'acqua del water: si svuota molto facilmente, ma dopo serve del tempo prima che possa essere usato di nuovo.

L'amore è come l'Ucraina: sei sicuro che esista, ma non sai quante persone ci siano dentro.

L'amore è come l'inferno: "Da fuori sembrava meglio".

L'amore è come un carapace: ti ci puoi nascondere dentro, soprattutto quando cercano di calpestarlo.

Funziona con tutto, davvero.

10 gennaio 2010

coserosse

"Da bambina ritagliavo tutte le foto su cui riuscivo a mettere le mani e le appuntavo al muro della mia camera. Lo facevo per non vedermele passare davanti agli occhi quando mi sdraiavo sul bordo del fiume, per specchiarmi. Sentivo i grandi raccontare tante storie strane, e già non mi fidavo più di quello che poteva portare la corrente."

Una fisarmonica trattiene il fiato per ogni istante in cui non viene suonata. Può respirare solo quando il musicista sgancia i nastri che la serrano a se stessa in un abbraccio di cuoio.

"C'erano delle volte in cui mi fermavo in mezzo ad un sentiero, mi liberavo le caviglie dai lacci delle scarpe e attraversavo lentamente il letto di foglie gialle che si formava durante l'autunno. Se qualcuno mi avesse fermato e mi avesse chiesto perché lo facevo, probabilmente gli avrei detto: "Per rispetto."

E' un abbraccio da matti, come tutte le cose che sono sincere ma ti si rinchiudono addosso. Ho paura quando penso che lo strumento possa parlare a me, ma non con me.

"Desideravo religiosamente avere i capelli lunghi. Odiavo fare il bagno nei giorni freddi, ma mi piacevano le goccioline di vapore che si depositavano su ogni cosa. Mi lasciavo scivolare sul fondo, guardavo il soffitto galleggiare e mi chiedevo che sensazione sarebbe stata vedermi i capelli ondeggiare davanti agli occhi, come immaginavo succedesse alle sirene."

25 dicembre 2009

Del trascendere dal letto a piedi nudi

Il lago artificiale è un luogo appena al di fuori dell'insieme dei luoghi che vale la pena ritrarre. Pochi posti sono meno adatti per coloro che amano la pesca; in compenso, per chi non si è fatto una opinione precisa sulla pesca, questo fatto è totalmente ininfluente. Io preferisco andarci quando ho così tante cose da fare che non ho niente da fare. Il lago artificiale si fa apprezzare perché è un posto pieno di significato, come quella volta che mi sono seduto sopra una panchina fresca di vernice e quando mi sono alzato avevo i pantaloni tutti sporchi di significato.
La coscienza collettiva del krill è uno di quei fenomeni che può lasciare a bocca aperta perfino un animale navigato come la balena. Alcuni scienziati credono che la natura stessa di Dio sia un prodotto emergente dalla coscienza condivisa del krill. Una volta uno studioso del krill mi disse: "Dio è come Mina: una volta stava in mezzo alla gente, si faceva vedere, sorrideva. Oggi nessuno sa che faccia abbia, vive nella reclusione del suo eremo e sporadicamente fa sentire la sua voce".

20 dicembre 2009

Entra il fragore del tuono, senza bussare

Più ci si avvicina all'orizzonte con lo sguardo, più ci si sente alleggeriti dalla responsabilità. La responsabilità di salire sopra uno sgabello per scrutare più lontano, la responsabilità di sconfiggere la nebbia. Avviene senza che il paesaggio influisca, ma lo stesso ci si aspetta che l'intorno venga annodato da qualche aurora che si muove veloce, o che si apra un sipario lento. C'è spazio per lo scoccare di collisioni. Si percepisce la smania della luce di sgorgare, come la cioccolata nelle fontane delle vetrine, quelle del corso grande. A chiudere la finestra rimane il sapore di una nostalgia, come se si fosse persa l'occasione di imparare a suonare la fisarmonica, e non poter così improvvisare un concertino a solo beneficio della pila di libri sullo scaffale. E quando una scimmietta balla, a chi importa che sia meccanica o meno?

19 dicembre 2009

Magenta segreto

Dopo che ebbe detto "per sempre", non vi fu spazio per altro in quella pagina.

20 settembre 2009

Massima cattiveria nel silenzio

Beh, era una giornata piena di sole. Non che ci fosse niente di male, ma l'unica caratteristica di quella giornata era l'abbondanza di sole. Essere pieni sole è una qualità come ce ne sono tante altre. Guidavo allegramente, che se la mia macchina avesse potuto saltellare, avrebbe saltellato. Dovete immaginarvi la mia macchina con il parabrezza quasi verticale. Ecco, mentre io me ne stavo a guidare, una cimice molto verde si arrampica sul parabrezza. La cimice era MOLTO verde. Le cimici sono molto verdi solo nelle giornate piene di sole. Camminava sulla mia macchina con quel modo di camminare che hanno le cimici e faceva finta di niente, come se la mia macchina fosse un pianeta. Quando qualcuno cammina su di un pianeta che si muove, lo fa sempre facendo finta di niente, o almeno facendo finta che il pianeta non si muova. Per un attimo ho pensato di chiedervi di considerare il punto di vista della cimice, ma adesso ci ho ripensato. Tutto qui.

Ammettiamo che tu sia una persona che si butta giù facilmente. Arriva un qualcuno qualsiasi e ti dice "Non buttarti giù!". Allora ti chiederai: "Dunque sono una persona che si butta giù facilmente?". Questo pensiero, poichè sei una persona che si butta giù con facilità, ti butterà giù. E succederà che il pensiero di essere buttato giù dal fatto di sapere di essere facile a buttarsi giù, ti butterà giù. A causa di tutto questo essere buttato giù, ti dirai: "Sì, è vero, mi butto giù facilmente." e ti butterai giù di conseguenza. Fin quando non ci sarà qualcuno che, vedendoti così buttato giù, ti dirà: "Non buttarti giù!".

Immaginate di avere davanti a voi un cofano emozionale, uno di quelli che si manovrano solo dall'esterno. Lo aprite e ci trovate dentro qualcuno. La verità è che quel qualcuno non è la vittima. Soprattutto quando ha ancora le chiavi in tasca.
Ora le mie mani non sono dove dovrebbero essere. La riduzione a horror.
Vorrei iniettarmi mine di matite nelle vene, per vedere disegnato in trasparenza il grafico del mio sangue che circola sterile, in un gran premio senza fine e senza premio.
Io esisto nel tempo come un'auto che passa dentro una fotografia.

Sono seduto in un caffè. Davanti a me c'è seduta una donna, in mezzo un tavolo di plastica bianco sporco a dividerci. Alla mia sinistra una vetrata che affaccia su un giorno che comincia o inizia o prosegue sulla falsariga di. La donna è sottile, si stringe nelle spalle, tiene i gomiti sul tavolo non troppo distanti tra loro. Tiene la testa appoggiata sul dorso della mano destra. Indossa una maglia nera di lana, aderente, che le copre gli avambracci fino a metà. Tutto nel suo viso è estremamente orizzontale. Non stiamo dicendo niente, non abbiamo parlato di niente. Lei osserva la parte del mio schienale che raggiunge il muro, dove parte dell'imbottitura è fuoriuscita dalla tappezzeria. Io fisso il bordo interno della tazza vuota che ha davanti. E' macchiato di caffè. Immagino di segarle il braccio a metà, lungo la manica, e osservarne la sezione longitudinale, i muscoli, l'ulna, il radio, il midollo osseo, le vene e le arterie. Immagino che per un momento non vi sia più interazione possibile tra alcun atomo della materia; ogni cosa sarebbe polverizzata, nebulizzata, tutto rientrerebbe anonimo nei processi pseudocaotici della galassia, io, lei, la tazza di caffè, il bar, la strada, il giorno fuori. Immagino di prendere la tazza vuota e tirarla contro il muro, sento già il rumore dei cocci che rimbalzano per terra, sento già il rumore degli sguardi degli altri avventori sul nostro tavolo. Immagino uno scenario meno compromettente. Immagino che d'improvviso la forza di gravità si inverta, ma limitatamente alla tazza di caffè. Cadrebbe verso l'alto, e si andrebbe a schiantare sul soffitto. La gente intorno osserverebbe il fenomeno con stupore e cercherebbe il mio sguardo per darmi di gomito, un nauseante lo-hai-visto-anche-tu, siamo-parte-di-qualcosa-insieme. Ma a quel punto noi saremmo già andati via, e io sarei già lontano.

14 agosto 2009

dlt

dentrolatesta i ricordi si perdono come la crema scivola via da un dolce appena addentato. dentrolatesta ogni pensiero grande è anche audace e riesce sempre ad evadere da dentrolatesta. dentrolatesta milioni di stelle non possono avere torto, è dunque meglio non esserci più e brillare ancora. dentrolatesta il mondo non è più piatto come una mappa, quindi possiamo ancora cadere fuori dai bordi di una mappa, ma non del mondo. dentrolatesta per questo il mondo non ha bisogno di un parapetto. dentrolatesta fotesi + fotoantitesi = fotosintesi. dentrolatesta una volta i telefoni squillavano dove e quando non c'era nessuno pronto a rispondere. dentrolatesta le bottiglie vuote dello shampoo sono perfetti sottomarini. dentrolatesta se non andassi a dormire sarebbe sempre oggi. dentrolatesta i pollici opponibili sono antidemocratici. dentrolatesta da bambino ero così solo che neanche le gemelle di shining volevano giocare con me. dentrolatesta esistere fa il solletico. dentrolatesta c'è una versione di me che non conosci, ma anche quella non parla mai. dentrolatesta l'egocentrismo salva da altri sistemi di riferimento inerziali. dentrolatesta cosa altro fanno i bambini, se non stare seduti sul sedile posteriore? dentrolatesta se fossi un giorno sarei martedì oppure giovedì. dentrolatesta non smetto mai di tamburellare le dita. dentrolatesta sei per me la prima canzone punk mai ascoltata.

14 giugno 2009

Manuale per giovani mar morti

Sta a guardare la gente che si china sul fioco getto d'acqua che sgorga dal marmo, mentre raccoglie le mani a coppa e tenta di dissetarsi.

"non si accorgono che questo è il gesto più religioso che faranno in tutta la vita"

A causa dei piccioni e delle persone e delle coppie di piccioni e delle coppie di persone, chiude gli occhi. Per non essere assediati da luoghi comuni e tubature.

"vogliono solo essere felici come animali"

Si trova la bocca con le mani, tenendo gli occhi chiusi. Se la apre infilandoci le dita, come se le fosse sconosciuta e aliena. Allunga una mano e chiede che ci metta sopra qualcosa che possa essere mangiato. Io ho solo una caramella avvizzita. La inserisce in quella fessura con biasimo chirurgico.

"falso"

Dopo un poco.

"non è facile vivere con gli occhi chiusi, quando hai fame"

Certi fogli di giornale se ne vanno in giro da soli, come un teatrino della marionette. Il vento tira le fila. Metto le mani dove è lei, cercando di non farla apparire una spaccatura. Mi sembra una bambina che colora con la testa appoggiata sul foglio, contro la guancia, fissando la matita a tempera mentre oscilla fuori fuoco. Un delirio delfico.

"se io fossi una cleptomane, tu saresti il monogramma di uno sconosciuto sopra un fazzoletto rubato"

Apre gli occhi. Per un istante la sua pupilla si stringe e si stringe, lasciando un forellino d'ossidiana nel mezzo. Capisco che è rimasta delusa quando tutto questo non è semplicemente scomparso.

"ora lasciami stiracchiare un po', poi andiamo via. dobbiamo festeggiare"

festeggiare cosa?

"che ci sia ancora qualcosa da salvare"

21 maggio 2009

Con tanti saluti dal basso ereticato

Se fossi una mela probabilmente non la chiamerei gravità, ma libero arbitrio.

21 aprile 2009

Ma poi non sapresti a cosa aggrapparti

vorrei avere da raccontare storie che sanno di bruciato. vorrei assaggiare gli occhi liquorosi del mondo. A volte rigurgito. risputo nel bicchiere prima di buttare giù. per vedere se ci sono parole incastrate tra i denti, parole a marcire contro le pareti bucate della bocca. parole di carne troppo cotta, formiche negre sul tronco encefalico. mi fanno rizzare i peli dietro la nuca. ho questa riserva di stima incondizionata per una ragazza che sapesse bruciarmi sul petto la parola IRONIA. ho questa cosa addosso che arranco sulla superficie delle persone. voi per me siete tutti in salita.

(fino a tre, trattenendo il respiro con una scusa)
1) Questa situazione è del tutto surrenale.
2) Da bambino volevo uccidere tutti con i trasferelli e diventare un decalcomaniaco omicida.
3) Raramente ci è concesso il fiore che desidereremmo. Più spesso, veniamo costretti a scendere a compromessi con i nostri orchideali.

Se le conversazioni sono porte, so fare sospiri a doppia mandata. Contro le persone che per vizio si introducono a vicenda. Come dannate VHS E120 dove non entra mai il finale. Ho l'impressione che mi rimangano solo azioni e manifestazioni troppo visibili per essere viste. Come dire: sono stato sfidato a duello e la mia scelta dell'arma è ricaduta su Torte in faccia. Poter annunciare "Senza rancore, ma abbiamo sbagliato tutto; Dobbiamo tornare indietro di 10 pagine". Tanto ci stavamo leggendo senza capire niente. Perchè comportarsi come se quello che hai in mano debba per forza appartenere ad un luogo e che quello che non hai in mano debba essere tenuto insieme da equilibri già contrattati, da dadi già tratteggiati, equivale a tracciare la rotta del proprio non saper nuotare. Rigore e compassione. Crapuloni coraggiosi.

Strizzo le tempie abbastanza forte da far affiorare i dotti dove scorre la linfa. Filigrana di certe ispirazioni. Mi scorre dentro artritica, a piccole valanghe con le unghie spezzate. Le pareti interne tutte graffitate e carbonizzate, come i bordi delle mappe del tesoro. A seguirne la tessitura con i polpastrelli si potrebbe capire da dove tutto ha inizio. Probabilmente dalla pancia. L'inizio, arroccato intorno a un buco che non va a finire da nessuna parte. Il covo. Scalcio dentro, come un feto cronenberghiano.

Io posso anche fare la parte del cretino spelacchiato, quello che se ne sta a farsi nevicare in testa, quello con gli occhi annuvolati, quello che crede che la pioggia sgorghi solo da un cielo ulceroso, quello dai sentimenti idrodinamici, quello che per fare la corsa col sacco prima col sacco ci deve stringere un legame, quello che sogna di suscitare prodigiose increspature della pelle, quello che inchino e sberrettata, quello che sarà salvato dalla chimica, cavaliere della tavola periodica, quello che ti prego ti prego ti prego chiedimi di tirarti fuori di qui.

29 marzo 2009

Mi nascosi all'ombra d'una sagacia

Il cannibale sogna un'umanità glabra.

In pieno agosto,
a bordo del mezzo di trasporto pubblico,
La convinzione dell'umanista vacilla.

Danza d'accoppiamento tra spettatore e tv:
Lo spettatore ammaestra colesterolo ubbidiente.
La tv propone preservativi con intarsi maori.
Lo spettatore affigge la guida ai programmi
fuori dalla porta del salotto
e dal suo modellato scranno, secede.
La tv predica pozze catramose agli eteroformi.
Lo spettatore espia a mezzo carta di credito.
La tv placca in oro idoli dalla chiappa antonomastica.
Lo spettatore dispera dei propri cedimenti idraulici.
La tv dota lo spettatore d'un cervello coibentato.
Lo spettatore, occhi spalancati nella notte
cerbiatto d'autostrada, immobile a fari accorrenti
imbambolato e perduto, applaude.

(il seguente brano è tratto da: "I migliori racconti della tradizione favolostica")
L'uomo mangia l'uovo. L'uovo abbandona la cesta. L'uovo si fa strumento. L'uomo sbuffa. La linea dell'uovo è affilata, la ... dell'... è stilizzata. L'uomo è compiaciuto. L'uomo sceglie un angolo e si dedica alla vestizione. L'uovo l'ha scelto una puttana. Poi di nuovo l'uomo e l'uovo sono insieme, tutto viene registrato, regolato, vantaggiosamente per tutti. L'uomo fissa i piedi della bambola al pavimento con i chiodi. La bambola è narcisa poi recisa. L'uovo barcolla. L'elicottero antincendio supera la linea dell'orizzonte. L'ascesa dell'elicottero è uno sberleffo. La linea dell'orizzonte picchietta contro i vetri. L'uomo apre la finestra. L'uomo va in epistassi. La bambola si preoccupa della disinfezione. L'uovo previene la fibromialgia. L'elicottero sorvola un'impiccagione. L'uovo si tranquillizza, poi insubordina. L'uomo ripiana il debito verso la bambola con un'omelette. La bambola esplode. L'assenza di traffico proietta oscurità contro la strada vuota. Il semaforo solitario recita un'omelia di colore nella notte, inascoltato.

22 marzo 2009

La fine giustifica gli intermezzi

Io non credo che tu esista. Per quel che vale, non credo d'esistere neanche io. Potremmo essere semplicemente l'immaginazione di qualcosa nel mezzo. Questa rivelazione mi solleva da tutte le responsabilità, tranne quella di scoprire le definizioni nascoste tra le più piccole pieghe di questa creazione. Questa rivelazione è la causa che mi rende estranei, all'improvviso, gli oggetti familiari. Non avevo mai visto la serratura della porta di casa mia con questi occhi. E' per questo che vedo l'azzurro solo lungo i bordi di un tetto. E' per questo che non sento calore, ma solo bruciore di cento minuscoli graffi.

Ho provato subito disinteresse per il grande fuoco. Mi sono appassionato, invece, alla giovane scintilla. Con animo incerto ne ho seguito il percorso. Ho forse contribuito alla sua dissoluzione semplicemente osservandola? Io sapevo che le sarebbe bastato posarsi in un punto piuttosto che un altro per spegnersi velocemente o dar vita ad un nuovo baluginare di fiamme, che avrebbe aggiunto la sua lingua al rissoso ululare del grande fuoco. Sì, è meglio bruciare senza avere nessuno a casa che ti aspetti.

Un grande fiocco rosso per presentarsi.
Cielo freddo macchiato, panna a parte.
Corpo fasciato da stringhe nere e digrignare di zip tutt'intorno.
Piuttosto che il sole, disegnare finestre.
Un pube interrogativo.
Il mare è salato perchè le balene sono tristi.
Sì, ma una volta sollevato il velo di Maya, uno cosa deve fare? baciarla?
Obliterami l'anima.
L'altra notte m'ha fatto visita un succubus. Ora devo ristuccare le finestre.
Ofelia, oh Ofelia, ridi come noi ridicoli! T'offro speranza di gentile follia.
Il posto da cui escono le parole ha una porta di servizio.
Dopo, sentirsi un ghiacciolo cui hanno succhiato via l'amarena.
Se questi alberi potessero parlare, chiederebbero di fare un giro sulla ruota panoramica.

13 marzo 2009

E' facile smettere di spostare gli oggetti con il pensiero se sai come farlo

Esperimento n. 1: Scrivi ogni tuo pensiero su foglie di platano secche, con inchiostro nero, utilizzando una vecchia macchina da scrivere meccanica. Metti virgole in corrispondenza delle venature più grandi. Ricorda a memoria le parole che la fanno inceppare e inventa per loro un altro significato.

Esperimento n. 2: In una giornata di pioggia, trova un ombrello monocolore e aprilo. Impugna un paio di forbici e colpendolo follemente pratica dei fori nella tela. Esci a camminare, portandolo con te. Verifica miglioramenti negli episodi di soffocamento. Considera l'universo come una scatola di scarpe. Immagina una foglia di lattuga e sopravvivi.

Esperimento n. 3: Prendi la metro e siedi in uno scompartimento poco affollato. Cerca di incrociare lo sguardo di un altro passeggero. A cattura avvenuta, alzati in piedi e suona una fisarmonica immaginaria. Al termine dell'esecuzione fa un leggero inchino e, togliendoti il cappello, allungalo verso il tuo spettatore con fare questuante. Guardalo negli occhi con impazienza.

Esperimento n. 4: Afferra una frusta e falla schioccare con un colpo secco. Con la mano libera, brandisci una sedia in aria. Trova un fiore grande come la testa di un leone. Aprilo e infilaci la testa dentro. Ripeti l'operazione fino a quando non sia certo il tuo coraggio, oppure l'impollinazione.

Esperimento n. 5: Apri il frigorifero e tirane fuori un frutto per ogni tipo. Con un pennarello indelebile disegna su ogni frutto un volto, triste o allegro, e poi assegna a ciascuno un cognome evidentemente inglese. Componi una pièce teatrale in tre atti, con protagonisti i frutti stessi. Congegna l'opera in modo che si verifichino le seguenti scene:
- nel primo atto, un gruppo di arance finisce in prigione. Tutti coloro che le vanno a trovare non sanno cosa portare loro in dono.
- nel secondo atto, un kiwi muore durante un incendio. Il medico legale, nel referto alla voce 'causa del decesso', scriverà 'mancata estinzione'.
- alla fine del terzo atto, tutti i frutti intraprenderanno un viaggio senza ritorno verso un certo paese della penisola balcanica, di cui ometteremo il nome.

Esperimento n. 6: Scatta una foto a lunga esposizione. Quando la macchina fotografica ti chiederà: "Per quanto vuoi che tenga aperto il diaframma?", tu rispondi: "Per sempre". Al termine del tuo cammino, sviluppa la foto. Prendi coscienza del fatto che, per tutta la vita, non c'è stato che bianco. Bianco, bianco, rumore bianco / bianco, bianco, rumore bianco.

05 marzo 2009

Balla maledizione, balla

Sono stato steso in terra, aspettando che qualcuno mi vedesse.
(di lassù, a volte si cade in certe trappole gravitazionali)
Cercavo un rifugio per lo sguardo, senza abbracciare niente.
Guardare le stelle era come leggere il labiale dell'universo.
Che poi, è sempre bastato un altro paio di labbra, per.
Non che io fossi una persona priva di difetti.
(alieno? come alieno?)
Avevo, ad esempio, sette vizi bianchi e cinque neri.
Non mi era molto chiaro come potessi stare senza. me.
Come sapessi mettere la fantasia a modo di segnalibro.
Io, creatura semplice, fantasticavo di scalini di marciapiede per compensare.
Immaginavo di morire soffocato in una stanza colma di palloncini.
Fino al soffitto. L'estasi senza scampo di fronte all'immensità.
C'era ancora una voce per te, nei miei soliloqui.
Meccanici, forse. Tu accusandomi:
"Le nostre giornate insieme sono foto amatoriali, non lomografie."
Io, creatura semplice, mi interrogavo sui sentimenti delle mattonelle.
Di certe mutile, accanto al battiscopa, amputate al loro destino di riempitivo.
Io sarei dovuto essere la cifra rossa del tuo bilancio in passivo.
Io un posto ancora non ce l'ho.
Però.
Guardandola controluce, ho scoperto che la piramide delle mie felicità è capovolta.

01 febbraio 2009

Sguardi e ladri

i. Stare sotto la pioggia è un investimento a lungo termine. Lì per lì ti sembra di perderci, ma alla fine ne esci più ricco di prima.
ii. La religione monoteista è un'altra dimostrazione che ci si innamora sempre di qualcuno che non esiste.
iii. Il miglior metodo contraccettivo è la spirale di autodistruzione.

Nodi che più tiri e più si stringono. Le strade in discesa. Le reazioni di fissione nucleare. Cosa succede quando una forza impossibile da fermare si applica ad un ostacolo impossibile da spostare? Le razioni di benessere socioaffettivo le trovi comodamente in vendita nei supermercati, in efficienti scatolette di alluminio monoporzione, di quelle sui cui bordi affilati ti ferisci le dita. Il rumore delle gocce che si schiantano sul fondo del lavello, in bilico tra un principio di emorragia e un cliché che ti tiene sveglio la notte. Espropriazioni governative dell'imprevisto. Stanno tutti bene, nonostante i miei sforzi.

iv. Qual è il tuo piano per cambiare il mondo?
v. Il sole non proietta ombre, fa i compiti di disegno tecnico.
vi. Si chiama polidattilia, è quella malattia per cui da grande ti rifiuterai di prendere lezioni di piano.

Sperimentare l'esistenze altrui come luci che lasciano scie di impressioni chimiche su pellicole esposte troppo a lungo. Il dolce ricordo della pasta rosea stretta tra le mascelle, alla ricerca di una impronta dentale, la colpa, la prima mela, tutto quanto. La bocca sigillata, il calore trasformato in solidità, legame tra respiro e panico. Una volta le sirene avevano le ali, lo giuro, è tutto vero. I pavimenti a scacchiera mi fanno venire voglia di assediarti. Poi di notte sento le urla delle matite colorate chiuse nell'astuccio di legno. Hanno incubi. Incubi che noi creature policromatiche non possiamo concepire. Gli incubi di coloro che sono costretti a far uscire dalla testa quello che hanno dentro. Fotofobia e inadempienza alla propria imbottitura. E questa è una distrazione, un argomento nero come la primavera per gli esasperati.

vii. Ci fu lo scontro di civiltà, e poi il relativo CID.
viii. Era una persona così profonda che alla fine è sbucato dall'altra parte.
ix. Questo silenzio è gentilmente offerto dalla bomba appena esplosa e dai timpani appena dissolti. E' stata una ninna-nanna esotermica.

Laocoonte, inventore del tentacle hentai

Ho inventato una parola. Ho inventato una parola che vuol dire che tutte le parole sono già state inventate.
(P.S. la parola è logosaturazione)

Obiettivamente, il passato. Woody, sdraiato sul divano, sdraiato come ci sdraia in bianco e nero, in una sessione di auto-psicanalisi. Elencando motivi sufficienti alla sopravvivenza, tra un movimento della sinfonia Jupiter e un viso di Tracy. Carlo, in viaggio verso Ladispoli, che rompe una bottiglia di olio e si intrattiene a discutere con l'uomo in canottiera sull'etica della manutenzione del bene pubblico. Carlo e gli occhi al cielo per l'archetipica MariSol, sovvertitrice d'esistenza e colpevolmente spagnola. Vabbè, cinenostalgia.

03 gennaio 2009

Di catarsi incatramarsi

Parte tutto da Najla. Sono due traiettorie separate e speculari. Iniziano procedendo divergenti, linearmente. Poi la velocità con cui si allontano decresce dolcemente, arrivano a camminare parallelamente per un po'. Ad un certo punto nasce tra loro una forza attrattiva, si avvicinano, accelerando. Sembra vogliano scontrarsi. Ora la distanza che le separa da Najla è costante, ma quella tra loro diventa sempre più piccola. Ecco che a pochi istanti dalla fine prendono a rallentare, e ad avvicinarsi a lei. Najla saluta il loro incontro, lungo il piano che ha accompagnato la loro simmetria, con una volgare dimostrazione di denti.

Come si guarda un ascensore che sale, che oltrepassa il tuo piano. La luce che riempie la fessura tra le porte: come per una marea extralunare, seguita dal buio che fa la stessa cosa per non sentirsi dimenticato. Lo stesso modo che ha Najla di guardarti negli occhi: d'un interesse passeggero, come a chiedersi di chi sia l'ombra là dentro. Io, che finisco sempre per immedesimarmi, accendo i miei pensieri in sequenza, come spie che annunciano il susseguirsi dei piani. In un appartamento, due piani più sotto, esplode uno scaldabagno. L'ambiente si satura di particelle di vapore in sospensione che vanno ad attaccarsi a tutte le superfici fredde, rendendole opache, umide e umane. Ora che lei scruta lo spazio vuoto che tratteggio nella stanza, temo sia alla ricerca delle linee di un campo metamagnetico, sensibile solo a qualche suo senso felino. Credo sia il suo modo di orientarsi tra gli uomini.

Quando prende a girarmi la testa, non riesco a più a decifrare i segni del mondo. E l'edificio che sta scivolando lungo la strada ghiacciata? E' una delle sensazioni che mi trivella, vana ricerca di cose che prendono fuoco? Sono io la sua morbida scorza terrestre? Perchè ora Najla mi sembra così vuota di realtà, aliena alla struttura delle cose? Sei Najla o un sbuffo di cenere? Sono vittima di una maledizione, una malia, oppure si tratta della semplice interruzione del flusso sanguigno verso la corteccia cerebrale? Ora mi siederò qui e aspetterò che passi, strappandomi di dosso ogni sanguisuga. No, non sanguisughe: didascalie. Vorrei qualcuno che mi dicesse cosa fare di queste mani ingombranti, che non vanno bene neanche per coprirsi la faccia. La psicosi soffia ed io sono un mulino.

02 dicembre 2008

Fuori da ogni logistica

(cinquanta parole secondo il caso)

Caso I.

L'incontro di due corrisponde alla rottura di una simmetria, un inequilibrio, una deviazione assiomatica. Entrare nella vita di qualcuno è una piccola violenza, domestica più per senso di familiarità che collocazione. Due perfezioni non si troveranno, se una delle due non confuta se stessa e i propri asinini pudori sentimentali.

Caso II.

Seguono giorni di cambiamenti, che sono l'alibi dei sensi. Foglie che smettono l'aristocrazia del ramo, che decapitate raggiungono democraticamente terra. Un cielo senza altri colori da dire, silenzioso come l'incontro di pericolo e follia. Accade un giorno di Novembre, che il tramonto e le foglie del melograno indossino lo stesso colore.

Caso III.

Voleva dare un senso alla propria vita, e non si accorgeva di star applicando l'etica circense. Era equilibrista, cercando la misura tra lavoro e tempo libero. Era trapezista, bramando la cima della scala sociale. Era incantatore di serpenti, adulando i suoi capi, e domatore di bestie, educando i suoi figli.

Caso IV.

Memorie di un bambino euclideo: api che bucano le foglie, mal di testa da occhialini per proiezioni tridimensionali, lettere magnetiche sul frigorifero, erba che non cresce sotto una tenda da campeggio, lettere incastrate in una macchina da scrivere, nastro adesivo su tutta la pelle. Nelle conchiglie non si sentiva il mare.

21 novembre 2008

Lettera di licenziamento al mio spleen

Provo a tirarmi su le maniche, ma i polsi della camicia sono troppo stretti e viene su solo il maglione. Ancora, sbagliando.

Da piccolo mi rifiutavo di mangiare i biscotti rotti. Dicevo che non mi piacevano, ma in realtà era solo l'ignavia dei gesti minimi: andarli a ripescare con il cucchiaino o trovarseli molli, contro i denti, bevendo il latte. Da grande continuo a scansare i biscotti rotti, per un motivo che oscilla tra l'estetico e l'anestetico. Estetico, perchè i biscotti si inzuppano in coppia, schiena contro schiena, e un biscotto rotto non si lascia accoppiare. E' inavvicinabile sia ai biscotti interi (evidente), sia agli altri biscotti rotti, perchè ogni biscotto è rotto a modo suo, diverso. Anestetico, perchè da grande ho scoperto i meccanismi dell'analogia. Non mangiamo quello che siamo, ma quello che vorremmo essere. Nessuno vuole essere un biscotto rotto.

04 novembre 2008

Prolegomeni ad ogni futura sonata per pianoforte che potrà presentarsi come espediente per rimorchiare le ragazze

A un cinghiale somiglia il mio umore.

Mi sono giustificato dicendo che è normale, per un bambino, sperimentare con il corpo. E' scritto in tutti i testi di psicologia infantile. Peccato che io non sia più un bambino e che il corpo, oggetto della sperimentazione, non fosse il mio.

Sono passato con la testa in mezzo ad un nugolo di moscerini ed uno mi è entrato nel naso. Ho provato a soffiarlo fuori, ma non so, non si sa mai come vanno a finire queste storie. A me la parola nugolo non piace, anzi mi fa proprio schifo. Più schifo dei moscerini, nonostante che da bambino, dei moscerini, ti insegnino solo la perversione scatologica. Strane cose, quelle che ti insegnano da bambino.
Di solito un nugolo di moscerini mi fa venire in mente gli elettroni che vorticano intorno al nucleo di un atomo. Sìsì, lo so, un attimo. Se avessi un scrittore dentro di me, adesso quello starebbe commentando: "metafora maldestra". Se invece ci fosse un fisico delle particelle, quest'altro direbbe: "vabbè, non ci hai capito un cazzo". Il fisico delle particelle è molto più diretto dello scrittore.
Qualche volta, in vita mia, mi sono chiesto come una comitiva di moscerini scelga il posto dove annugolarsi. Perchè non è che i nugoli si formino in presenza di, chessò, una carogna imputridita o una scultura di sterco: niente, nascono nei punti più anonimi possibili. E' per questo che ci finisco dentro con la testa, non me l'aspetto proprio un nugolo. Qualche volta mi sono chiesto anche se esista il verbo "nugolare" e se i moscerini lo usino.
Confesso però che mi capita raramente di pensare ai moscerini e ai loro nugoli. Prima mi devono entrare nel naso.

02 novembre 2008

If you think my heart's a mess, you should take a look inside my head

Succede che alcuni pomeriggi, uscendo dal lavoro, io trovi una cavalletta accomodata sul parabrezza della mia macchina. Io non ho una coscienza, quindi la cavalletta non dice niente.

Entro in libreria. Sorvolo le ultime uscite, snob. Vado agli scaffali della narrativa, alla lettera G, leggo tutti i titoli sul dorso dei libri alla G. Li trovo insipidi, non prendo neanche un libro. Inizio a puntare libri a caso. Di sguincio guardo le ragazze carine. Sbircio i titoli dei libri in mano agli altri avventori. Prendo in braccio tanti libri che vorrei leggere, accudire, svezzare, a cui vorrei cambiare la vita. Ascolto indiscreto le parole senza sugo delle professoresse di italiano e delle loro amiche. Mi interrogo sulla natura dell'ordine alfabetico. Nella mia libreria ideale, i libri sono in ordine di interesse, crescente. Secondo il mio, di interesse. Così potrei entrare in libreria, adocchiare un libro: "uhm, interessante", e poi vederne un altro: "uhm, ancora più interessante", e così via fino al momento di dover andare via, avendo detto un sproposito di volte "uhm". Gli ultimi libri sarebbero quelli, quelli che ho sempre cercato. Rimango in silenzio e guardo. Guardo i libri che ho in mano e penso che idea ci si possa fare del loro lettore. Le cassiere mi mettono sempre addosso l'ansia da interrogazione alla cattedra, me le figuro acide che stanno lì a giudicarmi in base agli acquisti che faccio. "Ecco un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore". Rimetto sulla sua pila un testo di Calvino che non ho ancora letto, che avevo pensato di prendere e ora ho deciso di lasciare: adesso immagino di avere un debito nei suoi confronti, di Calvino intendo. Dalla porta automatica entra un ragazzino di otto o nove anni, insieme a quello che potrebbe essere il padre. Il ragazzino gli sta spiegando che "... se raccogli abbastanza punti, è come avere una vita in più...". Mi guardo intorno, cercando di incrociare lo sguardo di qualcun altro che abbia sentito. C'è solo un trentenne, giacca e camicia, occhiali dalla montatura nera, spessa, squadrata.
Lo guardo negli occhi.
Lui mi guarda di riflesso.
Non ha capito niente.
Deve essere un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore.
- E' come avere una vita in più -
Ecco, sì, più o meno.

28 ottobre 2008

vedi alla voce: Astronomia del quotidiano

Adesso non so esattamente sotto che forma io possa apparire, ad un set di occhi standard. Forse bambino, forse cappellaio matto, forse simbologia floreale per carta da parati. Comunque dondolo, sopra un seggiolo di materia plastica. Dentro altalena, dentro sabbiera, dentro giardino, dentro cortile, dentro istituto educativo, dentro dentro dentro: qui reificata la condizione di dentro, la dicotomia delle appartenenze interiori.
Rincorro l'apogeo scalciando. Il bacucco e la bambina non vogliono guardare e si tappano le orecchie: dentro l'avvizzito secchio cerebrale del crapone due pensieri se ne vanno a letto insieme, -emulazione- e -fittizio-. Io vorrei solo quel male di cui tutti parlano, il male che si farà, il male che si è fatto, il male è la droga nei pensieri di loro che parlano di me. Per me quel male è sperimentale e collaterale, come una buca per la terra sotto le unghie.
Importa? Importare significherebbe prendere questa scena e sezionarla come uno scoiattolo sul tavolo operatorio: tirare fuori tutti gli organi, che sono attimi più fili d'erba più anelli metallici, e rimetterli dentro secondo un ordine di gusto arbitrario. Poi, sperare che lo scoiattolo torni ad accatastare ghiande e ad essere adorabile. E' una legge severa quella per cui l'accatastamento delle ghiande avverrà solamente quando non avrà alcuna importanza se ogni ghianda è accatastata o meno.
Millenni, la voglia di buttarsi dall'altalena in swing misinterpretata per desiderio di volare.
Ogni storia umana contempla ineluttabile un ginocchio sbucciato.

15 ottobre 2008

Per lunghi tratti strumentale, poi gente che urla

Prima hai gli occhi chiusi e il mondo lo dividi orizzontale, facile, cielo e terra e orizzonte e così. Poi apri gli occhi e ci sono gli alberi che vanno da giu a su e si sfascia tutto un sistema e l'erba e le persone in piedi e così. Che poi ti viene da ridere per queste cose strane, come che l'unica cosa dritta dritta ma veramente dritta è l'acqua quando se ne sta dentro a qualcosa o quando non se ne sta dentro a niente ma comunque s'appoggia; e poi invece una cosa un poco meno dritta dritta come un filo penzoloni, l'acqua non te lo rimanda mai indietro dritta dritta, ma coi riflessi sempre un po' spezzettati e vibrolanti. Puoi andare a vedere i film, ma dei film non te ne frega niente. Niente, delle poltroncine rosse, niente dei popcorn mezzi coriandoli, niente delle pagliuzze volanti nel cono di luce del proiettante. A te importa solo di aprire la bocca e far aprire la bocca e quando si apre una bocca è bello come qualcuno che ha scritto col gessetto bianco sull'asfalto e poi ha piovuto e poi le foglie gialle. Poi dici che ti vorresti sposare la televisione e la prima notte di nozze deflorare la presa per l'antenna e rimanerci attaccato nell'amplesso elettrosciocco immediatico. Il canale della televisione alla fine lo cambi con il dito medio sui bottoni anche tu, perchè vaffanculo tivù. Hai pensato che in verità il paradiso, quello bianco con le nuvolette, è un campo di concentramento, primo perchè non te ne puoi andare e secondo perchè sì, bello Dio e la beatitudine, però che palle. Ma nessuno ci torna indietro dal paradiso, mica per niente, ma solo perchè è troppo ironico, ironico alla arbeit macht frei, sei in paradiso e ti rompi le palle. Invece poi hai pensato che il paradiso quello vero deve essere come un outlet di poltrone e sofà. Che di un divano non ti stanchi mai. E pure se ti stanchi, c'è sempre un altro divano per riposare.

29 settembre 2008

I sassi ci sorridono da due milioni di anni

I muscoli delle braccia sono contratti nel massimo sforzo. Le scapole, la base del collo, cominciano a tremare, vibrare prima debolmente, poi si abbandonano in scosse. Dentro la schiena non più scintille, non crepe elettriche, solo sfrigolare di vertebre, solo digrignare di denti. La carne è intossicata dal desiderio di essere strappata. E' una violenza contro tutte le forme del corpo avute sin adesso. Finalmente la fame tiene accesi tutti i sensi, e non è più nebbia che inghiotte il mare di notte.

...ma quella cosa, quella cosa la tagliano col dolore, che il veleno per topi ne ammazza meno. Quella cosa non va via. Così la vuoi, la vuoi, la vuoi ancora: perchè se non c'è, vuol dire che stai precipitando, perchè se c'è, precipitare non vuol dire niente. Non così. Non la vuoi così. Il dolore è giusto così. Ottuso di poesie mandate a memoria. Umido. Allucinato. Senza freni.

24 settembre 2008

Magnitudo silentii

This is the perfect plan:
so inspiring,
so devious,
yet so simple.

07 settembre 2008

Storia del signor Epsilon: l'uomo piccolo a piacere, una presenza costante

Prometto che non sarò bravo. Bravo, come in "Oh, ma che bravo, fa tutto quello che gli si dice di fare". Buono forse sì, perchè atti di involontaria bontà nascono spontaneamente da atti di puro egoismo, ed io, senza falsa modestia, sono un vero egoista. Se la natura sa inventarsi il riflesso per giustificare l'impossibilità di un colore, allora io mi coprirò di cieca consapevolezza, e passerò attraverso. Non sarò dentro niente.

La pioggia, come l'impero, non esiste veramente. Per questo motivo la pioggia cade e l'impero decade, non hanno altrimenti. Il vento, una definizione orizzontale, spinge una goccia contro l'altra, un uomo contro un altro uomo; il vento fa sorgere leggeri rumori da scontri senza energia, il destino che è fatto di fruscii.

Misteri della fisiologia umana. La sola vista della libagione è in grado di renderci muti e farci inghiottire le urla che ci riempivano la bocca e svuotavano i polmoni. Appena preso parte al banchetto, poi, e già siamo sordi alle grida di altri noi.

L'autorità ha bisogno che il potere sia diviso in parti dispari, per garantirsi l'equilibrio e scongiurare lo stallo o il reciproco annichilimento. La verità è invece di natura pari, poiché necessita che ogni affermazione, per essere verificata, sia posta di fronte alla propria negazione. Non può, quindi, la verità essere partorita dall'autorità, nè l'autorità giustificarsi con la verità. Tutta colpa dell'insieme dei numeri razionali e dell'insieme degli uomini razionali.

Costantia, donna intersesso, mangiapane e serafica autoeccitante. Aggrappata a monomanie perse tra dentrifici e fluoriti, a suocere sfiorite, femmina con viscere di razza. Parodia di cross dalla fascia, palleggi al limite dell'area, ridicole brochure di tattica. Sprizzi socialismo e caviale eziotropico che guarisce la turpe affaristica, la borsistica criminosa. Niente trucco, solo pochi pittogrammi di sguardi cavapietre. Resti annacquata dalla sillaba impollinata, il verso aromaterapico, la flessione del muscolo pomicione. Ontologia della gestante burocratica, reiterate trattative per un bambino pacioccoso. Non genererai un figlio, ma uno sprezzante padroncino di laniccia.

03 settembre 2008

Come ci siamo ossidoridotti

Perchè fidarsi delle persone quando tutta la verità di cui si ha bisogno la si può trovare dentro le canzoni.

E' cosi bello far scodella con le mani e riempirla d'acqua. Stringere le dita e sperare che non si svuoti mai.

Di quando sei solo e trovi qualcosa ch'è per te speciale. Di quando poi la condividi con gli altri e gli altri pensano che non sia poi questo granchè.

Sono mancino, ma ti stringo la mano con la destra. Quindi non vale.

Muori! ma aspettami.

23 agosto 2008

Psicodramma del cremino

Questa è storia nuova, ma la rabbia non s'azzera. La rabbia permane, aderisce e spolpa. La rabbia mi si condensa addosso. La rabbia mi permette di respirare anche quando ho la faccia spinta nel fango. La rabbia fa l'ironia così affilata che ci posso tagliare un giorno di pioggia. Mi serra i pugni e mi fa crescere le unghie dentro la carne delle mani. La rabbia mi spezza i denti sopra altri denti. Lei riempie il palcoscenico, ma non si cheta: invade la platea, colma le gallerie. La rabbia ostruisce. E' nella pancia che beata stramba. Imbastisce nodi neri come l'ardesia. Sfrigola pungigliosa e scintillante. E' un abbraccio rovesciato, che vuol dire lontano. La rabbia e io non mastico più.

19 agosto 2008

Esasperanto

(ripartire in seconda)
Tutti in TV hanno tre braccia e tu, infelice, ché ne hai solo due.
Il conto in banca a righe e gli scrupoli a quadretti.
Comunque questi non sono i miei occhi, è la parte ritagliata che ci vedi attraverso.
Mi hanno letto il futuro, ma hanno sbagliato tutti gli accenti.
L'ironia del mio costume da ape è il fiore che porto all'occhiello.

31 luglio 2008

La mia banda non conosce roccia

Certe volte lascio che in quello che dico cadano alcune parole, alcune parole diverse. Mi guardo intorno e cerco risposta in una pupilla che si dilata un millimetro di troppo, o una testa che si volta con eccessiva veemenza per nascondere disinteresse. Certe parole che dovrebbero risuonare come campane spaccate in altrui terremoti. Complicità miste rose. Desisterei, quando certi apostrofi apparentemente banali suscitano un'ilarità spiccia e immotivata. Faccio l'ultimo tentativo, appuntando una preda al mio vaniloquio. Vedo quelle stesse parole frangersi in schegge appena prima di colpirla, mancarla del tutto, e conficcarsi nella parete alle sue spalle, arrampicata di rose feroci. La trasmissione del pensiero fallisce in sguardi abbagliati dalle luci di scena.

Ci sono due tipi di persone che dicono "mai": quelli che, prima o poi, finiscono per non mantenerlo e quelli che, per mantenerlo, fanno cose ancora peggiori. Io non sarò mai una di queste.

La tua bella pelle che si rispecchia in tutta la lucidità necessaria all'odio. Il trucco trasforma parte di te nelle grazie di parole gotiche. Sovraesposti, i difetti... quali difetti? Io non vedo niente. Non capisco come tanta bellezza non ti faccia scoppiare i capillari: quando ci provi troppo forte diventi il mostro di te stessa. La passione è una tela e tu sei Penelope.

Fai bene, fai male e altre insostenibili dicotomie.
Sopracciglia orizzontali e ben distanziate.
Pensare di poter risolvere tutti i problemi con una cravatta.
Cosa vorresti sapere dei sudori freddi di Giulio Verne?
L'uomo dai capelli forforescenti diceva: "Hai voglia a filosofare se nessuno sta a ascoltare".
Pustole di felicità e vesciche di spensieratezza. Scoppiano gaie in attriti ladri di piacere.
E una borsa piena di misantropia (siete buoni nel modo sbagliato).
Il dubbio di spalle altrui e la tua testa che si appoggia su quegli stessi dubbi.
Per peccati più profondi, una croce bidimensionale non basta.
Credevo di essere sulla superficie di un nuovo pianeta e invece era una pesca.

13 luglio 2008

Il bosco è una opportunità

Najla siede nel parco. Tiene aperto davanti a sé "Le dodici sedie", forse legge. Intorno a lei si muovono bambini contenti di non sentirsi diversi. Sollevano polvere e rumori, che si infilano nella piega tra le pagine e graffiano la lettura. Settembre muore. Lei potrebbe dimenticarsi del tempo, se non fosse per quelle ciocche di capelli neri, che non smettono di divincolarlesi fin sotto gli occhi, e l'arrivo impacciato del sole, che la costringe a cambiare di posto, sotto ombre nuove.
Najla si perde distratta in sovrappensieri che non sono i suoi. Osserva chi si perde nella lettura, chi è solo, chi cerca sguardi di complicità isterica o metafisica. Sono come me. Non sono come me. Non sai mentire. Veste asimmetrica e senza cura, ricorda una calla. Alza e abbassa gli occhi, attende che non ci siano più occhi da guardare; un vezzo, riflesso di tempi più timidi.

Lui compare da nessun dove e le si siede accanto.
- Siediti pure, eh!
Vorrebbe spaventarlo e farlo scappare.
- Ciao
Non si dimostra affatto intimorito. Resta.
- Ciao
- Non c'è nulla di male in quello che sto facendo
- Perché, che cosa stai facendo?
- Attaccare bottone, intendo. Sarebbe sbagliato se la mia intenzione fosse quella di apparirti amichevole per ottenere qualcosa e poi portartela via, ma non è questo il caso. Non ci sono secondi fini, o ci sono solo secondi fini, dipende da come vuoi vederla. Dirai, come posso crederti? Il fatto è che non devi credermi, finché non ci sono limiti da oltrepassare. Comunque non ho intenzione di giocare con carte che non sono in tavola, conoscerai sempre tutto. Anche se definirlo gioco non lo trovo corretto. Sono abbastanza sicuro, però, che né la tua né la mia morale verranno messe in discussione
- Chi sei tu? Cosa vuoi da me?
- Per quel che conta, puoi chiamarmi Sinbad il marinaio. Oppure, se ti sembra ridicolo...
- Mi sembra molto ridicolo
- ...va bene anche Gregor. Aspetta ho una cosa per te
Si alza e si sfila da una tasca un foglio di carta piegato in quattro parti. Glielo porge.
- Ti ho fatto un ritratto
Najla prende il foglio, lo apre, lo squadra per qualche secondo.
- Non mi assomiglia molto. E poi questa ragazza porta gli occhiali scuri. Io non ne porto.
- Quando l'ho fatto non ti avevo ancora mai vista. Ho fatto del mio meglio.
Non sa se ridere o aver paura. Considera l'ipotesi di alzarsi e senza dire una parola, allontanarsi. Lui, mentre si risiede, continua:
- Il fatto è che ho un problema. C'è una lei, colpevole di seduzione con scasso, una lei con cui non posso parlare. Lei è la modella inconsapevole di un pittore che continua, senza saperlo, a dipingere solo lei. E io non so come... Lei non c'è, ma ci sei tu. Il favore che ti chiedo è di starmi ad ascoltare e io parlerò con te e sarà come se parlassi a lei. In cambio ti regalerò quel ritratto e potrai chiedermi un favore anche tu
- Sì. Cosa devi dirle? Dirmi?

- Ecco... io sono il venditore di palloncini sul luogo della catastrofe. Se una cattiva idea la si riconosce dalla tenacia con cui la si perseguita, io sono l'inquisizione spagnola. Ogni sistema in natura è destinato a diventare più grande, più complesso, più dipendente. Ergo, inevitabile è il raggiungimento di un livello critico, sia esso nel sistema stesso o nei sistemi periferici, dopo il quale resti l'estinzione come unico orizzonte possibile. Vorrei che prendessi in considerazione l'idea di diventare sistema insieme e condividere le nostre estinzioni come una. Prenditi pure il tuo tempo, se serve a farti prendere anche il mio. Sai quanti paesaggi identici sono in grado di sopportare per arrivare fin lì? Quanti divieti e segnali di pericolo e intimidazioni a rispettare i limiti sono in grado di ignorare? Dimentica il fatto che nella mia testa continuino ad essere evocati disastri o i peggiori scenari possibili: sono dilettantismi di autodifesa. Lo so che non ti piace sentirtelo dire, ma quantificare è il segreto e la fine del segreto. Che chi dice che nei numeri non c'è l'essenza delle cose, non conosce i numeri o non conosce l'essenza delle cose. Se in quello che dico, in quello che voglio dimostrare o in quello che credo di sentire c'è qualcosa che i numeri non possano significare, allora troverai che nascosti tra noi ci sono i numeri più grandi che chiunque abbia mai provato a contare

- E' una cosa molto bella da dire
- E' una cosa molto stupida da dire
Najla e lo sconosciuto restano in silenzio a guardare le proprie ombre crescere molte volte più alte di loro. Piccole lampadine si accendono tra i rami bassi degli alberi, rosse di sudore ed estate. Quando il buio scende, il parco è già scomparso.

07 luglio 2008

Volevo essere i Sunna

Questo è un post colloquiale perchè E mica posso sempre! e poi la penna con dentro le parole difficili mi è scoppiata in tasca e ha fatto una pozza verticale (la macchia), che chi mi incrocia per la via può dire Ti è scoppiata una penna in tasca o sei contento di vedermi? comunque poi la macchia è scomparsa, ma mi solletica pensare che si sia data alla macchia, la macchia rivoluzionaria, la macchia partigiana e io mi sono sempre immaginato il partigiano che mangia il parmigiano, perchè Ah, le associazioni fonetiche.
Io quando la gente mi chiede Che lavoro fai? vorrei dire sempre Spazzacamino ma finisce che non mi sovviene e allora dico la banale veritade. Dannate quelle situazioni che non si fanno annunciare, come quando dici qualcuno a qualcosa e poi vai via e poi ci pensi cento volte a quello che hai detto e sicuramente avresti potuto dirlo in cento modi migliori Ma! la prossima volta lo dico... e invece poi non lo dici mai.
Dicevamo post colloquiale come se io e te (ti devo dare del te) stessimo arrampicati su due di quegli alti sgabelli scomodi che ci sono nei bar scomodi a parlare del per e del diviso, ma io il caffè non lo prendo grazie che mi fa addormentare, preferisco un chinotto oppure ti faccio compagnia, come se lo avessi accettato, figurati, a buon rendere.

incidendo,

Quando, in virtù delle mie virtù, sono stato proscritto. Per questa ma solo per questa volta la colpa è di NigroClavel, che come solo lei, stila una lista di sette elementi con soli sei elementi. E il quinto elemento non è Milla Jovovich: se però ha i capelli arancioni non lo so. Dicevamo, c'affibbia il premio Brilloco Weblog 2008, patto che noi si faccia iccome lei. Pronti, via.

i. NigroClavel, Una Naviciuella Spaziuale. Perchè entrambi sappiamo e vogliamo che da questo circolare e ricorsivo scambio di link nasca una smagliatura nella pancia dello spazio-tempo, nella quale verrà inghiottito tutto l'universo, accompagnato da un sonoro rutto. Costei vince.

ii. XorlandoX, parolechetornanocarezze. Perchè mi piace quando scrive e quando esiste. Spero che non smetta.

iii. oraDem, trepassinellaneve. Perchè a volte capisce. E chissà se lo sa.

iv. k13utterfly, k13utterfly. Perchè questo posto assomiglia tanto ad una sua idea, e nessuno le chiede mai il permesso quando si frega le sue idee. Però scrivi, ciccia.

v. gracer, green eyes bloom goodbyes. A volte non ci vorresti entrare in quel blog per paura di rompere qualcosa. Cose fragili.

vi. momo, momonkey. New entry. Ne ho scoperto il blog via Naviciuella Spaziuale, e NigroClavel raramente toppa. Mi fa ridere quando è ironica e mi fa venire voglia di prenderci un caffe insieme quando si lamenta del creato tutto, fermo restando che io niente caffe al massimo un chinotto. Ah, "zero" c'est moi. Il pubblico rumoreggia.

vii. poligraf poligrafovic, corniciconcentriche. Newer than new entry. Cola classe come grasso da una bistecca sulla griglia, e che altro volete.

Io rompo la catena, eh.
inciso.

Che uno alla fine dell'inciso si aspetta un tocco di testo grosso almeno come quello prima dell'inciso e invece colpo di scena come nei film di M. Night Shyamalan. Alza la mano per chiedere la parola, si alza in piedi Comunque io volevo solo dire che lo spazio pensiero è bianco e quasi totalmente vuoto ma costellato di solidi platonici che rappresentano le idee. Le parole sono le dita con cui tocchiamo e veniamo a conoscere queste idee forme, nello stesso modo in cui un cieco impara a conoscere il mondo. Si siede.

15 giugno 2008

Apocatastasi degli invisibili

Son gigante nano, umano troppo umano,
Son primo ballerino, vacuo canterino,
Son senza disdoro, sono un sicomoro,
Sono il probo viro, sono sotto tiro.

Sono un'entità, sono sua maestà,
Sono un infingardo, primo baluardo,
Sono un mastodonte, son Bellerofonte,
Sono il tuo sensei, sono chi per lei.

Sono ben vestito, son disinibito,
Sono acculturato, son disoccupato,
Sono surrettizio, sono caio e tizio,
Sono l'entropia, nel cappello della zia.

Ma tutto quel che sono,
non ve lo posso dire,
a dirlo non son buono,
mi proverò a cantar.

***

Un mostro salato, ecco cosa. Dopo che è evaporata la fatica di sollevarsi, mi rimane sulla pelle questo sapore alcalino. L'attaccapanni di me stesso, riflesso attaccabrighe e la superiorità delle bretelle. Vuoi sapere quali canzoni non posso fare a meno di ascoltare in questo periodo? Desideri conoscere i titoli dei libri che ho appena comprato?
Sono morto, in tutti i modi in cui è possibile morire se ci si muove ancora.
Per quanto mi riguarda, abbiamo infranto tutte le regole dell'abbandono. Ieri ho preso per mano una turista giapponese (i giapponesi si riconoscono perché, rispetto ai cinesi, sanno posare uno sguardo meno disilluso, meno ancestralmente esausto, sulle cose sconosciute) e le ho fatto fare una giravolta. Spero che metta una buona parola per me con il signore degli accadimenti statisticamente improbabili.
Per sempre fermi nel pomeriggio dell'ultimo giorno di scuola.

08 giugno 2008

Guerriglierotica

Sono giorni di n'ubi e s'ole.
Resto abbastanza sicuro che i Garbage non cantassero "The trick is to keep briefing".
Le femmine scelgono i maschi in base al numero di cubetti nel sangue e a colpi di Dimmi che starai con me.
Vola alto sopra la tua testa e poi ti attacca alle spalle, subdolo, il voltagabbiano.
Dove sono andate a nascondersi le ragazze con i fiori tra i capelli?
Anarch'io, anarch'io! E se mi arrabbio, ti spacco il centro del loto.
Se dura così poco non è felicità, ma autoipnosi.
Ci chiamavano allievi, ma non avevamo nulla di lieve. Eravamo, piuttosto, animali da allievamento.
Tu, che sei la mia campagna di russia.
Sì, vabbè, ma che insomma.

25 maggio 2008

La decadenza dei costumi è una caratteristica delle società dell'abbondanza

Tanta gente in questo posto crede che io sia figlio di un incubo. Ci sono delle mattine in cui la mia pelle è troppo bianca e trasparente. Sotto, le vene scure mi sembrano le screpolature del muro dietro di me. A volte penso che sarebbe sufficiente che qualcuno mi soffiasse contro. Io cadrei, spaccato come un vecchio intonaco. Ci sono delle sere, quando resta solo il buio, che il soffitto della camera in cui dormo prende fuoco. Non sento il calore, ma vedo le fiamme. Quando succede, mi basta chiudere gli occhi: quando li riapro, il fuoco non c'è più. Una sera ho tenuto gli occhi aperti. Il fuoco è sceso lungo le pareti. Quando stava per toccarmi ho provato paura e freddo e non sapevo se avevo più paura o più freddo e allora ho chiuso subito gli occhi. Ora, ogni volta che va a fuoco il soffitto, chiudo sempre gli occhi.
Quando viene la pioggia, vado a sedermi sulla panchina in veranda. Guardo piovere. Mi piace la pioggia, perchè rende le cose più scure, e più scuri anche i movimenti di chi l'attraversa. Najla viene a sedersi con me. Guarda la pioggia con me. Dice: "E' bella la pioggia". E anche se non si potrebbe, io capisco che ne sta parlando come di qualcuno, non di qualcosa. Per lei la pioggia ha un corpo, che comincia e finisce in un dove, e non in un quando. Dovunque piova, cade la stessa pioggia. Come una donna, si lascia aspettare o ama tragicamente, e allora non se ne vuole più andare. Io non dico niente, così lei sa che le sto dando ragione. Restiamo in silenzio, guardiamo solo davanti a noi. Se non è lei la prima a rientrare a casa, sono io ad alzarmi e ad andare a camminare sotto la pioggia. Non mi volto indietro fino a quando non c'è più differenza tra quello che i miei occhi sentono e quello che la mia pelle vede. Allora torno a casa, mi spoglio nudo, stendo i vestiti ad asciugare e mi addormento, con in testa una rivoluzione.

11 maggio 2008

Grufolare oggi

Manca solo una storia.
Misurandolo in passi, mi assicuro che il mondo esista ancora.
Una chiave non è più importante della combinazione segreta tra i suoi denti. Aprire una porta serrata condivide la natura di attraversarla, avendo quella combinazione tatuata sulla pelle. Allora esiste un segno da cui interpretare ogni combinazione, sul quale modellare ogni chiave possibile.
Svanire, farsi proiettare. Soffiare, farsi tentare. Godere, farsi dominare. Annegare, farsi disarmare.
Limiti personali da ricercare nelle righe a matita del proprio ritratto. In uno schizzo veloce molte linee si confondono, perché la verità e il suo attimo sono transitori.
Aveva un numero enorme di amici. Decise di riunirli nel medesimo luogo, nel medesimo giorno, affinché tutti conoscessero tutti. Non ci furono superstiti all'esplosione combinatoria.
Come ogni aspirazione, quel desiderio era intangibile, ma tassabile.
Viveva la sua vita su di un'altalena. E poiché lei era fatta di cassetti, avanzava chiusa e s'apriva in fuga, arretrando.

05 maggio 2008

Nightclub con nomi di cani

Scriverei perché costa meno di una rinoplastica.
Scriverei perché ho abbandonato due volte le lezioni di piano.
Scriverei per la storia della donna iceberg, immersa ed immensa.
Scriverei per decidere finalmente se il contrario di scrivere sia non scrivere, o cancellare.
Scriverei perché esistono collezioni di memorie, di memorie perse, di memorie di uomini che si sono persi.
Scriverei per fantasticare di poter scrivere.
Scriverei affinché i pugni sul muro non rovinino l'intonaco, perché il sangue sulle nocche escoriate non imbratti il candore altrui.
Scriverei perché il lessico è chimica.
Scriverei che non feci un respiro profondo, perché abito al quarto piano e non c'era rimasto niente da respirare.
Scriverei perché ho i lemmings nella pancia.
Scriverei graffi al posto di errori.
Scriverei per supplire alla cronica mancanza di occhi grigi nel mondo.
Scriverei perché voglio un alibi quando non ho niente da dirti.

03 maggio 2008

Se si può parlare di minuti in una camera immersa nel buio

Elettropiantala
Dei desideri espressi da una stella che vede un uomo cadere
Se vuoi puoi tenermi la mano mentre ci sfracelliamo
Disse lo stoico skinhead: "No Diogene, botte!"
Sutura politica: Piovono inani
Ho sonno che non ho chiesto

Essere desiderati non è una proprietà della perfezione. Desiderare lo è. Il perfetto non è desiderato dall'imperfetto, il perfetto desidera l'imperfetto e il perfetto-se-stesso. Dunque la perfezione è una proprietà che si propaga verso l'alto.
Non la solitudine della perfezione, ma la perfezione della solitudine.

Le cose iniziarono a complicarsi quando al mio amico immaginario diagnosticarono un disturbo paranoide della personalità.

Il ciclone era tutto e solo occhio. Nonostante ciò, abbiamo ritirato le nostre antenne. Le trasmissioni riprenderanno, in qualche modo.

02 aprile 2008

Ma tu guarda al giorno d'oggi a uno cosa gli tocca fare solo perchè possiede un cavallo e quelle due nozioni di spada

Il canovaccio è quello classico: lei è la principessa da salvare, indifesa, sulla torre più alta del castello; lui è il cavaliere senza macchia nè paura che sfida i pericoli per venirla a salvare.
In mezzo, il drago.
E non sia che la principessa cominci a preoccuparsi: "Oh, no, non venire, è troppo pericoloso, potresti farti male". Oppure "sono una principessa moderna e femminista, faccio da me". Ad ognuno il proprio ruolo: lei sbatta le palpebre ammiccante, lui squarci o diventi cibo per draghi.
Come volevasi dimostrare, al nostro cavaliere tocca la principessa iperattiva. Che non riesce a stare ferma ad aspettare che la vengano a salvare. Inizia a scavare una galleria per scappare. Ovviamente quando arriva il cavaliere, non la trova. Invece lei, nel suo penetrare prima la pietra delle mura e poi il terreno, si imbatte in qualunque stranezza. E visto che, oltre ad essere iperattiva, è anche facilmente distraibile, viene continuamente deviata dalla sua strada e si mette a seguire gli esseri più improbabili. Questo ovviamente non le impedisce di continuare a lamentarsi lungo la strada. Ed è l'unica nota positiva, visto che il cavaliere riesce ad inseguirla seguendo l'eco delle sue lagnanze. Il poveretto continua a ripetersi: "So principesse, che ce voi fa? Se era facile mica ci scrivevano sopra una favola".
Nel suo cammino, la principessa finisce in un luogo strano: la valle degli specchi captivi. Mentre l'attraversa gli specchi catturano la sua immagine e la imprigionano dentro di loro. La principessa, ora senza immagine, scappa impaurita. Quando arriva il principe, crede di averla finalmente raggiunta. Ma è solo un trucco degli specchi! Glielo fanno credere per tenerlo loro prigioniero. Sembra che tutto stia per finire male!
All'improvviso, la musica.
Un menestrello di nome Roberto Scalco, che passava lì vicino, stava cantando il suo più famoso successo: "Pitture di te". Fa così:
"ho guardato così a lungo queste pitture di te
che ho quasi creduto fossero vere
ho vissuto così a lungo con queste pitture di te
che ho quasi creduto fossero l'unica cosa potessi sentire"
Sono le parole magiche fanno risvegliare il cavaliere dal suo incantesimo! Subito sfodera la spada, rompe gli specchi e libera l'immagine della sua bella principessa. Di nuovo all'inseguimento, presto!

E poi e poi?

E poi la principessa viene catturata dall'esercito delle termiti. La legano e la portano nella loro enorme tana.

Se la mangiano?

No, non la mangiano! Al suo arrivo, la regina delle termiti la vede e a causa della grande bellezza della principessa, viene accecata dalla gelosia. Ordina che il giorno dopo, all'alba, venga giustiziata. La principessa è disperata, passa la notte in lacrime, temendo per la propria sorte. Ma allo scoccare della mezzanotte...
...un'esplosione! Grande caos nella tana delle termiti. si sentono voci che parlano di guerra!
Anche le guardie delle celle vengono richiamate in battaglia. La principessa tenta di scappare, ma era stata murata nella sua cella.

Guerra per cosa?

La guerra era scoppiata con le formiche della tana accanto. In uno scontro, occorso il giorno precedente, le termiti avevano ucciso la regina delle formiche. Ora le formiche vagavano come impazzite senza una guida. Erano finite nella tana delle termiti, ed erano ripresi gli scontri. La battaglia andò avanti per tutta la notte, fin quando, all'alba, un grido si alza sul campo di battaglia:
VITTORIA!
Le formiche avevano vinto. Tutti i prigionieri furono liberati e condotti nel formicaio, come eroi di guerra. Tra loro, c'era la nostra principessa. Alla fine dei festeggiamenti della vittoria, il sommo generale delle formiche si presentò alla principessa e le disse: "Principessa, come avrà capito, noi siamo rimasti orfani della nostra regina. In battaglia abbiamo avuto grandi perdite, ma anche la fortuna di trovare lei, arcinemica delle termiti, come noi. Le chiedo ufficialmente: Vuole diventare la nostra regina?".
la principessa si sentì onorata ed emozionata, ma ancora scossa per pericolo appena scampato. Ripensò a tutti coloro che aveva lasciato lontano è provò nostalgia. Ma tutte quelle antennine sull'attenti per lei la riempiono di orgoglio regale. E forse, a causa del suo nobile istinto, accettò. Ripresero i festeggiamenti, per la nuova incoronazione. Cibo e bevande a fiumi, doni da tutte le parti del mondo sotterraneo per la nuova regina. Ma ecco, nel pieno dei festeggiamenti, arrivare il cavaliere!
Finalmente! Ce l'ha fatta! si dice in cuor suo.
Riesce ad ottenere immediatamente un'udienza con la principessa-regina. Senza pensarci, le propone di andare via con lui, subito.

Ma lei non deve regnare?

"Scappa con me! Ti ho inseguita fin qui! Ho superato mille pericoli per te!"
La principessa è colma di riconoscenza per il cavaliere: in altre circonstanza non avrebbe esitato un attimo...
...ma ora...
"Ora ho un regno da custodire! Loro sono i miei sudditi, hanno bisogno di me! Ho accettato di regnarli e non mi tirerò indietro"
Il cavaliere non riesce a credere alle proprie orecchie! E' tutto un brutto sogno!
Guardando negli occhi la principessa, capì lei che faceva sul serio. Decise però di tentare un'ultima carta:
"Regina, sono fiero di essermi battuto per voi. Vogliate lasciare al mio cuore un'ultima speranza. Vi prego di accompagnarmi in superfice: lì mi ripeterete queste vostre parole. Se vi riuscirete, io me ne andrò per sempre e accetterò la vostra decisione."
La principessa accettò. Fecero per uscire dalla tana delle formiche, quando un plotone di formiche sbarrò loro la strada.
"Cosa significa?" chiese la principessa.
"Mi dispiace mia regina, ma abbiamo l'ordine di non farvi uscire dalla tana"
"Ma che insolenza! Io sono la vostra regina e sto accompagnando il mio ospite fuori dalla tana! vi ordino di lasciarci passare!"
"Perdonatemi, vostra altezza! Egli è libero di andare, ma a Voi non è concesso"
"COME VI PERMETTETE! ESIGO DI PARLARE IMMEDIATAMANTE CON IL GENERALE!"
Venne fatto chiamare il generale delle formiche. La principessa è su tutte le furie.
"Generale, vi sto chiedendo conto dei vostri ordini! A me, la vostra regina, viene proibito di uscire dalla mia tana! E' inaudito!"
"Mi spiace regina, ma per la vostra sicurezza e quella dell'intera colonia, non posso lasciarvi uscire. Qui avete tutto quello che potreste desiderare, in cambio di ciò vi chiediamo solo di non lasciarci mai."

E lei che fa?

"Generale, queste condizioni sono inaccettabili. Ho dato la mia parola a questo cavaliere che l'avrei accompagnato fuori, e intendo mantenerla. Se voi continuerete ad impedirmelo, mi vedrò costretta ad abdicare"
"Niente da fare, vostra Maestà. Le regole della colonia non possono essere infrante, neanche dalla regina. Comandante, che la regina venga messa agli arresti nei suoi alloggi!"
In pochi istanti, un esercito di formiche-soldato aveva immobilizzato la principessa e la stava trascinando nelle stanze reali. il cavaliere aveva tentato di ribellarsi, ma anch'egli in un attimo era stato sopraffatto. Mentre alcuni soldati lo tenevano ben saldo, il generale gli si avvicinò e lo apostrofò:
"Voi siete un protetto della nostra regina, e per questa volta la vita vi sarà risparmiata. Ma andate, e non tornate mai più. In caso contrario, verrete accusato di alto tradimento, e condannato a morte. Portatelo via!"
Qualche strana sostanza venne liberata nell'aria e il cavaliere perse i sensi. Quando si risvegliò, si ritrovò all'esterno, in un bosco, senza alcun segno della vicinanza del formicaio.

NELLA PROSSIMA PUNTATA:

Oh mio dio
Spoiler!

Come il cavaliere liberò la principessa per la seconda volta e come lei riusci a ri-incasinare tutto.
Da capo.

24 marzo 2008

Nove passi per altroché

Nell'abisso dell'anima ci nuotano i pesci trasparenti.
Se solo fosse possibile smontare superstizioni come fossero marchingegni.
Perchè trovo così difficile addormentarmi in presenza d'altri? Forse loro mi fanno paura.
Passa una sufficiente quantità di tempo in silenzio, evitando di parlare con alcuno, e alla fine anche la tua voce interna tacerà. A quel punto l'osservazione guadagnerà una nuova dimensione. Un dettaglio alla volta. Sfumerà la differenza tra azione ed oggetto. Preparati all'inevitabile sopravvento del significato.
C'è un continuo oscillare immobile tra 'lasciare perdere' e 'non lasciare perdere'.
Mi sono urlato: "Tu vuoi vedermi morto!". Poi sono stato in silenzio. Ignorando cosa rispondermi.
I pensieri neurodegenerativi sono idee che mangiano altre idee. Dunque il linguaggio è un morbo: che troppo potente, uccide chi l'ha in sè; che troppo debole, smarrisce nell'abituale.
Esercizio da 7 punti: Si dimostri l'inesistenza di X in presenza della congruenza tra una realtà fattuale in cui X esiste ed una realtà ipotetica in cui X non esiste. Esercizio supplementare da 3 punti: Non avere compassione di X.

07 marzo 2008

Vado in discoteca e neanche uno scaffale

Aspirazione
Nil è un essere così ripugnante da non riuscire a suscitare neanche l'attrazione della forza di gravità. Nil, rimasto schiacciato nella differenza tra il proprio peso e quello degli eventi, si ritrova ora servitore di una immobilità coatta. La esaudisce gattonando, silenziosamente. La stessa immobilità che gli permette di spostarsi solo verticalmente, su e giu, più e più volte. Perchè ascese e discese non si ergono più al grado di movimenti. Nil, per cui tutto è un gioco di segnalibri e numeri di pagina non sequenziali. Per immobilità, un esercizio di morte. Nil è ogni giorno più invisibile. Nil è ogni giorno più sopracoperta, più ricamo sulla fodera cuscino, più macchia e ombra di calore sulla parete. Nil è tanto più invisibile, quanto più lontano dal profumo di certe chiome. Nil è tanto più cieco, quanto più tiene ferme le mani. Le mani, ferme, incrociate sul petto; e insieme lungo i fianchi; e insieme testimoni della perdita del tono muscolare. Le mani, ferme, violentate dai ricordi delle musiche fatte di tensioni e piacere, originate dalla sequenza e dalla disposizione di quegli stessi toni, su altri corpi.

Compressione
Nil viene accompagnato nel luogo in cui, da oggi in poi, dovrà svolgere il proprio compito. Nil viene lasciato solo, affinchè possa svolgere il proprio compito. Errore numero uno. Descrizione: Una stanza anonima della sua nudità, piatta davanti, sulla parete coperta di strumenti di misurazione e pannelli di controllo, piatta dietro, nel muro su cui trova spazio l'unica finestra, dai vetri incompleti. A sbeffeggiare i motivi curviformi che ornano il pavimento, ci pensano le geometriche intersezioni di nero sporco negli spazi tra le piastre, che quello stesso pavimento ricoprono. E una sediaccia di legno, indecisa, incerta e inospitale. Nil ne saggia la seduta, passandoci sopra la punta del dito indice. Sul polpastrello si raccoglie una discreta quantità di polvere, mentre sul legno si allunga una striscia di discreta mancanza di polvere. Nil pensa a quanto sia stato facile, con un gesto, fare ciò per cui non bastano due o tre vite: lasciare un segno. Allora Nil smette di pensare e sgombra il proprio posto con un colpo di mano. La polvere si lancia elettrica nell'aria, e plana in tremore. Precipita eccitata nell'idea di poter finire dentro di lui, presto o tardi, respirata.

Espansione
Quando Nil apre la cassetta, tutta la posta finisce sul pavimento. Si china per fare un cumulo dell'ultimo mese di pubblicità. Nel campo visivo di Nil compare un paio di scarpe da ragazza, presumibilmente attaccate ad una vera ragazza. Le punte delle scarpe blu leggermente piegate verso l'interno. I movimenti di Nil accelerano e ne perde il controllo, sente il sangue salirgli alla faccia, borbotta qualche parola di scuse, accenni di giustificazione, sguardo attaccato al pavimento. Risale svelto, è davanti a lei. L'imbarazzo non trova più spazio. Nil riconosce la Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti. La guarda, la fissa, eliminando ogni espressione dal proprio viso, non curandosi del tempo che viene divorato. La Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti si muove come non volesse sfiorare i fili della sospensione di Nil.
- Mi stai fissando come se avessi visto qualcosa di molto bello o di molto brutto.
Le idee di Nil scivolano intorpidite una sull'altra.
- So di averti già vista.
Si fa di lato. La Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti si avvicina ad una cassetta della posta e ne estrae una sola lettera bianca, senza scritte, indecifrabile.
- E dove?
- In un sogno, eri in uno dei miei sogni.
- Una frase molto originale da dire ad una ragazza, non trovi?
- Beh non eri proprio tu. O almeno, non lo so. Comunque questa ragazza aveva un particolare, non l'ho dimenticato. E lo hai anche tu. Tu sei la ragazza del mio sogno.
- Che particolare?
- Non te lo dirò mai.
- Un'altra frase da non usare con una ragazza.
- Eri tu, vero?
- I tuoi sogni sono una tua responsabilità. Se ero lì, vuol dire che mi ci hai messo tu. Non posso dirti altro.
Ora la Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti potrebbe andarsene. Nil potrebbe offendersi, o fingere. Entrambi umili ed avidi di silenzio, si instaurano ad impedimento di ulteriori giri di giostra gratuiti. Nil ha il presagio che, costringendo nuovamente un incontro in uno scambio non banale, ridurrebbe il proprio spirito demonio in posizione fetale, senz'aria. La Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti non deve sapere. Il patto è taciuto, il patto è tacere. Dopo un istante di posa, lei già corre lungo le scale. Nil si convincerà di averle sentito dire, svanendo:
- Non farà mai abbastanza freddo. Del piccolo gelo, che non fa dormire, ne vorresti ancora. Ma tutto infine si riduce a sopore.

Scarico
Comincia così l'attività di Nil. Osserva ogni monitor, ogni spia, ogni qualcosimetro. Incerto e titubante, gira manopole, attiva interruttori, ruota potenziometri, aziona leve. Niente genera senso o sembra discenderne. Nil crede di aver solo bisogno di tempo. Errore numero due. Si fa strada in Nil l'immotivata certezza, come una religione, che con l'abitudine si riveleranno gli effetti, le conseguenze e anche tutte le cause. Nil si rende così colpevole dell'errore di ogni cielo: ardire a intendere la natura carnale di un terremoto contemplando le foglie cadere.

04 febbraio 2008

Il primo è dato, il secondo è dato, il terzo NON SI SA (quindi sei il massimo misosofo vivente)

Non è ribellione, è solo vento.
Nel sogno c'era un manichino. Un manichino da atelier, un busto di stoffa grigia, eretto su di un piedistallo nero. Ripensare al sogno, ripensare anche al manichino. Interrogativi sulla natura del manichino. Perchè nei sogni, le cose non hanno bisogno di essere come sono realmente. Se quindi un manichino in un sogno appare come un manichino reale, c'è una ratio. La stessa ragione per cui, nella realtà, un manichino assomiglia ad un manichino e non a qualsiasi altra cosa. Allora vuol dire che la parte più difficile di un corpo sono quelle due esse, fianco-vita-spalla, che si guardano negli occhi e non si stancano mai.
Nel sogno c'era anche una profonda attesa. Sognare di aspettare un autobus per ore. Nessuno che metta in guardia sul cattivo uso del tempo passato sognando, quando non diventa mai meglio di così.
Giovanotto diletto, probabilmente tu intendevi "io lo che sono solo anche quando non sono solo".

Prende alla testa come la nausea prende alla gola. Ti irridisce la spina dorsale, e hai solo voglia di buttare tutto fuori. Scivola, mentre risale la corrente, e ti strizza le vene delle braccia e delle gambe. Poi irriga il cuore e gli fa mancare una battuta. Puoi solo sederti, incrociare le gambe e aspettare che finisca. Stavolta mi sono portato una mela, non ho mai provato a mangiare durante gli effetti della Soluzione. Defloro la buccia con un morso e mi sento in colpa come per un'accusa di stupro. I denti si mettono a ballare senza unisono, ognuno secondo una ignota logica ortodontica. Dalle intercavità tra radice e gengiva scaturisce ciò che non riesco ad identificare se non come scintille, o spruzzi di sangue caldo. Adesso la bocca è un autolavaggio per muoni dalla carrozzeria cromata e gli interni in budello di renna. Adesso la bocca è un carro bestiame lanciato a tutta velocità lungo i sentieri dell'adolescenza in comodato d'uso. Sento come il rumore di un battito d'ali di un esemplare maschio adulto della famiglia delle eliconidi, a chilometri di distanza; qualcuno deve essersi seduto davanti a me, in mezzo alla strada. Forse ho di fronte me stesso di plastica. Provo ad aprire gli occhi, ma c'è solo una punta bianca flottante nel nero, un modellino plastico della nostra galassia in scala 1 : 62x10^22. Apro la bocca, così che possa vedere. Vedere il nero di un principio di coma proteinico, vedere come la mia saliva rasenti la brodo-primordialità di una linea temporale alternativa, vedere come i dati quinquennali di integrazione sociale siano graficabili in tre dimensioni e come il grafico risultante abbia la forma di una pantofola con tacco a spillo indossata in estate. Ora le esplosioni controllate di rumore marrone indicano la conclusione della mia ventisettesima esperienza della Soluzione. Posso forzare di nuovo inspirazione ed espirazione. Prima di scomparirmi davanti agli occhi, faccio in tempo a dirmi: "Ammetto di essere un cattivo guidatore". Mi tiro su e mi ripulisco dai resti di polpa di mela e dalle goccie di triidruro di azoto. Le rime cominiciano a sintetizzarsi nella mia testa come ho visto fare in tv ai filamenti di RNA. Di nuovo, sopravvivo all'ispirazione.

20 gennaio 2008

Un cespuglio e la scienza delle cose

Brachistocronache : I
-Tutto quello che c'è da sapere su di una persona, lo si ottiene chiedendogli se crede in Dio e se possiede un paio di occhiali da sole. E osservando poi la faccia che fa per dire "Perché?"
Lo dice Nil, appoggiato contro la finestra chiusa. A chi lo dice, se è solo nella stanza? Alla gente che si smarca sui marciapiedi, irrigidita dal freddo e noncurante. Alla rosa di respiro che si spande e contrae sopra il vetro, davanti al suo naso. Nil non smette un momento di parlare, quando nessuno lo ascolta. Nil, quando nessuno lo guarda, smette di respirare. Ma solo per pochi attimi. Crede di avere un sacco di cose da dire, ma non alle persone. Nil e il suo naso, quanti aneddoti. Crede di avere intorno un sacco di persone, ma non interessate. Crede che ci sia un curiosa distribuzione di persone interessanti, ma non per lui. Allora si inventa che quella macchia di vapor acqueo possegga una vita propria; un anemone del cielo; dimenticando la giornata di freddo, i propri polmoni e nozioni base di termodinamica. Un test di Roscharch capovolto: "Riesce a non proiettare la sua fantasia su queste discutibili simmetrie, signore?"
Qualcuno apre la porta, accende la luce nella stanza. Il mondo fuori scompare, si affaccia alla finestra una copia speculare dell'interno, compreso un sè capovolto che lo guarda con occhi strani, instupiditi. -Vuoi un poco di the? -Sì, grazie.
La luce spenta. La porta chiusa. La voragine.

-Sei sposato? -No -Allora perchè indossi una fede? -Non è mia -E a chi appartiene? -L'ho rubata ad un cadavere, o a un uomo sposato, o a tutte e due, o a un'altra cosa.
Un uomo e i suoi occhi bianchi, ha un martello. Colpisce un vaso. Il vaso si frantuma. Un uomo e i suoi occhi rossi, si volta. -Mi pento di quello che ho fatto. Un uomo e i suoi occhi neri.
Ho incollato la parola "fissaggio" al pavimento di legno.
"TUMP" è il suono che fece la testa cadendo (e non rotolò neanche). I capelli si riempirono di polvere. "..." è il suono che fece la testa perdendosi (e non brillò neanche).
Anche tu, dopo due giorni ininterrotti di leccate sulla schiena, cominceresti a sudare allucinogeni.
Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando.
Pensa. Pensa al significato delle consonanti. Alle loro presenze. Ma io le ho fatte cadere e si sono sparse e rotte. Mi aveva detto -Le tolgo dai miei occhi e le do a te. Io mi ero detto -Fidati.
Molte siluette di uomini e donne che crescono e decrescono, pulsano alla vita, si ammalano ma non guariscono. Piene di eccitazione. Piene di linee. Linee e linee per srotolare piani. Inutili come gioielleria per pianeti o il pericolo di caduta massi in salita.
Il mio voto non vale il prezzo che gli hai dato, e che hai insistito di voler pagare. Resta sempre molto bello, però. Avessi avuto il coraggio, avrei chiesto di più.
-Buongiorno, vorrei una sedia comoda per me e la mia coda. -Mi spiace, ma questa è una macelleria.

10 gennaio 2008

Caosmai

L'aria sta appesa e sfilacciata.
Il freddo è un gioco e il vento è la mossa dell'aria.
Come ogni decisione, non ha propriamente bisogno di sé.
Installata all'entrata del luogo che io sono, c'è questa porta girevole.
Tu, che ti ci diverti, giri, giri, giri.
Mai completamente fuori, mai veramente dentro.
E la tua seta è come pelle.
E il tuo monumento alla concupiscenza, un corpo.
La solitudine è ciò che hai solo tu, più degli altri.
La solitudine è ciò che parla di te, quando nessuno ascolta.

31 dicembre 2007

Lei, che sa a cosa dare fuoco

Che così facilmente sfumano e rabbrividiscono, doverci soffiare sopra, mandare via la polvere, che altri cento occhi famelici non bastano a capirne il colore, l'attesa, fino a dove si può arrivare a volerli discendere come un viaggio al centro della terra. La terra che qui sei scoperta e nuda, qui sei una pietra fredda, qui un ventre terrorizzato, futilmente cannibale, più scuro, arrendevole, senza sonno. Tanta vergogna per un'isteria che è il dialetto che cerchi di nascondere tra le labbra. Il premio per i più penetranti panneggi, i più accessi affondi, i più dipinti sipari a quei due ancora, lenti, rumorosi, bambini cattivi. Non sto riflettendo, sto scoprendo il mio narcisismo difettato. Loro due sono una battaglia in mare, sono allucinazioni e tremori, sono neurotica e stagnante gioia. Io metto in moto questa lingua molle e coperta di ruggine e mi nascondo dietro di lei, davanti a loro: l'esperienza è solo un costume, l'esperienza si fa solo con travestimento addosso. Certa solitudine è bianca come l'avorio. Si può mettere in dubbio qualunque cosa: La fame e l'amore, la trasparenza del tempo, le immagini di sensi più strani, il silenzio durante la formulazione di un urlo, incubazione. Ricordare è solo l'orgasmo, perchè farlo di corsa? Da quali sogni un ospite cerca riparo, incapace di fermarsi? Io mi metto sopra di lei come una preda che sorprende il suo predatore e le faccio uscire respiri in riccioli, poi lei scalcia via il tempo con una risata. Mi assalgono il profumo e la fatica dell'acqua, l'ipnosi di muscoli neri e luccicanti delusioni confuse nel panorama dei sogni.
Quanto immeritati, aperti per me, quegli occhi.

29 dicembre 2007

Tutto questo contro k

Non si gioca col cibo eppure fare a palle di neve è permesso.

Si conclude un anno.
Meno male che questo era l'ultimo.

Di qualcosa che il mare si porta via, il ritratto non si può fare con la sabbia.

chi è thefragile?
sul retro di lato molto distante è un posto dove mi nascondo dove mi trattengo ho provato a dire ho provato a chiedere avevo bisogno di tutto solo per conto mio dov'eri? come ho potuto solo pensare è divertente come tutto quello che promise non cambierà è diverso adesso proprio come te diresti sempre lo supereremo allora la mia testa si staccò e tu dov'eri? come ho potuto mai pensare è divertente come tutto quello che promettesti non cambierà mai è diverso adesso come hai detto tu ed io superarlo non proprio staccarsi dove diavolo eri?

Finora contro la mia gioia mi sono difeso unicamente con il divertimento intellettuale. Nulla del mio essere è cambiato. Ai miei segreti, posso parlare: Grande Cane, idolo d'oro, permettimi di dare un morso al Sacro Osso! Tremende le parole di un mio figlio: "Tutto quello che hai combinato, lo devi alla tua mancanza di denaro". Non credeva che mi sarei dato al vizio e alla bella vita. Non con tutta la mia stoltezza, la mia gioia, la mia indigenza. Prevedibile coincidenza: avevo deciso di tacere e si presentò una donna. Veri giorni di festa sono stati per me quelli della malattia.
Ma non si tratta di questo. Il mio avvenire si fa sempre più facile per le mie difficoltà economiche. Se non avessi l'impaccio di questa incapacità di piangere. Ma ora è facile. Da poco mi chiedo se sia possibile fermarsi. E poiché finora ho sempre operato cercando, ricordando, spesso ho pensato che non fosse mio dovere tentare di difendere me stesso. Se l'avessi fatto, non avrei mai più potuto rimproverarmelo. Ogni giorno maledico il Grande Cane di avermi concesso tutto, di avermi privato di tutto. Io lo prego ogni giorno di dimenticarsi di me. Egli non sa nulla.

15 dicembre 2007

Davanti a te, m'inquino.

Invece di fare il proprio dovere, si pensa ad una riforma del calendario. Che poi, perchè 12 mesi? 365 non è neanche divisibile per 12. E infatti ogni mese finisce al giorno che gli pare. Uno a 30, un altro a 31, quell'altro che vuole fare il furbo a 28. Facciamo invece le cose per bene. Io propongo: 13 mesi da 28 giorni, l'ultimo dei quali da 29 (30 per gli anni bisestili). Più chiaro, più semplice. Oppure: ancora 13 mesi, 6 da 27 giorni e 7 da 29, intervallati. Più simmetrico, meno meccanico, 365 giorni precisi; per gli anni bisestili potremmo allungare a 28 giorni il mese di mezzo, che un giorno più d'estate non dispiace a nessuno. Poi, già che ci siamo, possiamo allineare l'inizio dell'anno con equinozi o solstizi, così che il cominciare, l'arrivare a metà e il finire di un anno, corrispondano ad un semplice evento astronomico.

Mi alzo, vado in bagno, mi guardo allo specchio. Cristo. Imponi ogni giorno questa faccia alle persone cui capiti davanti. Senso di colpa. Esco di casa, scendo in strada, mi incammino. McDonald. Ordino due panini. Non mi fissare, commessa carina. La commessa ha un viso grazioso, la bellezza tratta da una canzone di un gruppo sconosciuto. Peccato che lavorando in una multinazionale tu debba perdere tutto il tuo credito alternativo, come se quel gruppo avesse firmato per una Major. Lo so, sono i miei capelli, sono spettinati. E nemmeno di quello spettinato-ma-bello che sta bene alle persone belle-ma-spettinate; sono solo spettinati. Mi metto a posto domani. Gente seduta ai tavoli, un ragazzo solo, una ragazza sola. Oddio, dovresti mettervi a mangiare insieme, è così evidente. Gli unici due a mangiare da soli, accidenti, se non volete farlo per sentimento almeno fatelo per ossessione: completate il quadro, così me ne posso andare. Di nuovo in strada, c'è più vento di quando sono entrato, lo stato dei capelli peggiora, ormai perso ogni pudore mangio dalla busta di cartone come un barbone. Fermo al semaforo aspettando il verde, osservo loro due sul motorino: lei cerca di mettere il piede sulla pedana sotto il manubrio, lui si scherma e la respinge delicatamente, ma senza tregua, lei ci riprova. Vanno avanti per un paio di minuti. Non posso vederli in faccia, a causa dei caschi, ma mi immagino stiano sorridendo o qualcosa del genere. Rituali strani per animali strani. Mi viene in mente lei, noi due che parliamo. Cerchiamo di spiegarci come si legge il mondo. Tu alla ricerca di tanti piccoli indizi, da collegare, annotare, annodare. Io disperato per la mancanza di un grande unico schema che rifletta ogni cosa. Non ci sono termini buoni per parlare di cose come queste: tiriamo fuori parole come "sincronia", "armonia", "simmetria", "amore che tiene legato ciò che è lontano, senza una logica". Ma non stiamo parlando di noi. Lei, insieme a me, a volte rimane un po' sola. Come se per pensare ad altre storie, finisca per pensare a me. Un certo strabismo nei pensieri.
Succede che il silenzio finisca per prendere il mio posto.
Succede che il silenzio diventi me.
Le facce, e il freddo sulla mia, mi distraggono. Mi sembra di pescare idee come da una di quelle macchine in cui infili la monetina e guidi una mano meccanica perchè raccolga il tuo premio. Anche se ti riesce di acchiappare qualcosa, ricade nel mucchio prima che tu possa farla tua. Tanto più si asseconda la mania di compartimentare la realtà, tanto più ogni rapporto o legame apparirà come una contaminazione, qualcosa di irrazionale nel senso etimologico del termine, ovvero: fuori dalla divisione. Passo di fronte ad una libreria. Mi vengono in mente titoli di libri surreali: La possibilità di un'isolitudine, Alla ricerca del tempo mai avuto. Foto in negativo a punte di matita. Chissà se qualcuno ha già pensato di farle, la grafite apparirebbe bianca, straniante. Non ho visto la foto, ma già mi piace l'effetto che fa. Ritorno a casa. Nessun post-it sulla porta della mia camera, nessun messaggio lasciato sulla lavagnetta sopra il frigorifero. La cosa migliore che può capitare ad una porta in cui nessuno vuole entrare è un cartello con scritto "Vietato l'ingresso".

08 dicembre 2007

Mozzichi e nuvole

Il Meccanismo Bizantino giace sotto il mio letto mentre dormo, e ci sono delle notti in cui cresce e cresce e mi solleva fino al soffitto. Il Meccanismo Bizantino non fa paura, ma fa impallidire ogni divinità mai adorata dall'uomo. Il Meccanismo Bizantino non ama e non odia, il Meccanismo Bizantino è paradosso irrisolvibile e completo. In principio, sarebbe possibile conoscere il futuro, il passato e il tempo in sè, guardando attraverso le lenti del Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino costruisce il mondo quando apro gli occhi e lo distrugge quando li richiudo. Ci si avvicina al Meccanismo Bizantino ascoltando la parola di Zenon il profeta. Il Meccanismo Bizantino gradisce che io rimanga fermo, quando viola il mondo con le sue propaggini. Il Meccanismo Bizantino disallinea le rotazioni dei cieli e delle terre, secerne il collante che regge coesa la materia, che poi innerva. Chi osa tentare di abbeverarsi a questa fonte, diventa superfluo al Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino nega l'oro, l'argento e tutto ciò che c'è di più prezioso. Nulla proviene dal Meccanismo Bizantino, nulla tornerà al Meccanismo Bizantino. Il dilemma dell'essere viene neutralizzato dal Meccanismo Bizantino, per definizione. Non più sento alieno il mio animo abietto, quando sono sobillato dal Meccanismo Bizantino.

Durante la notte numero uno, ho inventato il linguaggio nuovo. Dimentiche sillabe e parole, il linguaggio nuovo era composto di simbolemi atomici, dal significato unico ed indivisibile. Forte della nuova disambiguità, il linguaggio nuovo non aveva bisogno di alcuna grammatica: ogni sequenza di simbolemi avrebbe prodotto una nuova idea, un discorso perfettamente sensato, un concetto inconfutabile. L'unica convenzione era la disposizione sul piano di scrittura: tre righe parallele e concentriche, a spirale. Come un'aria a tre voci, una tripla armonia semantica. La sorpresa risiedeva nella scoperta di poter leggere radialmente i simbolemi, dal centro verso l'esterno, generando ancora nuovi significati. Persino la rimozione di una delle tre spirali si produceva in un'opera creativa.
Durante la notte numero tre, ho dato una sbirciata in un supermercato del futuro. Ho comprato un barattolo di latta, pieno di una specie di mollica inzuppata nell'acqua e avvolta in quelle che sembravano foglie d'insalata, o alghe. La mia lattina era però contaminata. All'interno, tra gli avanzi di mollica, si contorceva una lumaca gigante, rossa e ruvida come una lingua, senza guscio o antenne o altri elementi di riconoscimento.
Della notte numero due, narrerò in una prossima occasione.

02 dicembre 2007

Di infradito ed altri scandali

Sono sveglio. No, stai ancora sognando. E' domenica mattina. No, è lunedì. Posso dormire ancora un po'. No, sei già in ritardo. Faccio colazione e mi rimetto a letto. Nessuno ti ha preparato la colazione. Torno subito. Vattene via.

L'ho assaporato con precisione, lo strappo alla schiena, durante quel faccia a faccia: lo stato di abbandono degli ammortizzatori anteriori e l'erezione di una radice d'albero sotto l'asfalto. Prima, avevo trovato il mio posto in un piccolo disagio. Aspettarti con la schiena contro la macchina, osservare i grigi dissolversi, le ombre nettarsi, mettere gli occhi negli occhi di chi imboccava e poi svoltava. Per ogni passaggio, una scossa. Il 10% delle foglie rimaste appese si riversava in aria, nell'indifferenza e ignoranza dell'elemento scatenante. Ad ogni ondata, io mi incatenavo ad una singola foglia. S'ostinava a voltarsi su se stessa, faccia in su, faccia in giu, faccia in su. Ero sicuro che credesse di star cambiando idea. Invece c'era già una aspettativa di destino sotto forma di pavimentazione stradale. Come per me.

Ho spiegato uno straccio verde sul tavolo. Ho preparato due mucchietti, uno di caffè solubile e uno di thé solubile. Ho sparso i grani, ho chiuso gli occhi e li ho raccolti con la lingua. Ho ascoltato la mia schiena socchiudersi all'inverosimile, ho dato attenzione allo sfrigolare delle due bevande nell'atto di reidratarsi. Ho puntellato amarezze, dolcezze e timidezze. Ho sentito l'alchimia scorrermi sotto la pelle, e mi stavo solo facendo un thé. Novecento secondi, le bollicine che si uniscono e si separano e si aggregano di nuovo e gravitano. Ancora più incrinato, ci ho letto la formazione di una galassia. Ho contratto gli occhi e spianato le palpebre, ho sentito belare poi gracidare. Ho un contratto per una malattia. Ho scritto decine di lettere, le ho riempite delle cose peggiori che potessero venirmi in mente per voi tutti miei sconosciuti destinatari. Le avrei avvolte in buste gialle e imbucate e quando mi sarebbero tornate indietro, mi sarebbe stato sconosciuto anche il mittente. Ho chiuso gli occhi e ho preso sonno, ma prima ho capito Chopin. Il sonno mi è caduto dalle mani ed è rotolato sotto il letto e l'ho perso. Ho camminato e incrociato momenti su momenti, sembra che facciano la mia stessa strada, sempre, al contrario. Ho preparato un nido per quando un giorno ritroveremo quel sonno e ne rideremo. Ho pensato adesso la interrompo e le spiego come è bella. Maledetto nido, maledetto intreccio, maledetto sonno, maledetta trivialità, maledetti luoghi, maledetto maledetto, maledette ritrattazioni, maledetto leggero, maledetto spirito. Ho invocato la sospensione della respirazione. Ho scaramanticamente evitato di mostrare i denti. Ho decretato la via più bella della città, ho soffocato la pioggia. Ho riso leggendo abbasso tutti. Ho capito che per lasciare un messaggio le lettere vanno grattate via con le unghie. Ho capito che per portarsi via un messaggio. Non ho capito cosa ci faccio nella tua bocca, se non mordi o non mi sputi. Ho apprezzato la preferenza per i fiori più semplici. Ho spiegato tutto col mio silenzio di prima. Ho aspettato che il freddo ti coprisse le spalle e le gambe. Ho piegato tutto il mio silenzio prima e l'ho chiuso nel niente.