Sono sveglio. No, stai ancora sognando. E' domenica mattina. No, è lunedì. Posso dormire ancora un po'. No, sei già in ritardo. Faccio colazione e mi rimetto a letto. Nessuno ti ha preparato la colazione. Torno subito. Vattene via.
L'ho assaporato con precisione, lo strappo alla schiena, durante quel faccia a faccia: lo stato di abbandono degli ammortizzatori anteriori e l'erezione di una radice d'albero sotto l'asfalto. Prima, avevo trovato il mio posto in un piccolo disagio. Aspettarti con la schiena contro la macchina, osservare i grigi dissolversi, le ombre nettarsi, mettere gli occhi negli occhi di chi imboccava e poi svoltava. Per ogni passaggio, una scossa. Il 10% delle foglie rimaste appese si riversava in aria, nell'indifferenza e ignoranza dell'elemento scatenante. Ad ogni ondata, io mi incatenavo ad una singola foglia. S'ostinava a voltarsi su se stessa, faccia in su, faccia in giu, faccia in su. Ero sicuro che credesse di star cambiando idea. Invece c'era già una aspettativa di destino sotto forma di pavimentazione stradale. Come per me.
Ho spiegato uno straccio verde sul tavolo. Ho preparato due mucchietti, uno di caffè solubile e uno di thé solubile. Ho sparso i grani, ho chiuso gli occhi e li ho raccolti con la lingua. Ho ascoltato la mia schiena socchiudersi all'inverosimile, ho dato attenzione allo sfrigolare delle due bevande nell'atto di reidratarsi. Ho puntellato amarezze, dolcezze e timidezze. Ho sentito l'alchimia scorrermi sotto la pelle, e mi stavo solo facendo un thé. Novecento secondi, le bollicine che si uniscono e si separano e si aggregano di nuovo e gravitano. Ancora più incrinato, ci ho letto la formazione di una galassia. Ho contratto gli occhi e spianato le palpebre, ho sentito belare poi gracidare. Ho un contratto per una malattia. Ho scritto decine di lettere, le ho riempite delle cose peggiori che potessero venirmi in mente per voi tutti miei sconosciuti destinatari. Le avrei avvolte in buste gialle e imbucate e quando mi sarebbero tornate indietro, mi sarebbe stato sconosciuto anche il mittente. Ho chiuso gli occhi e ho preso sonno, ma prima ho capito Chopin. Il sonno mi è caduto dalle mani ed è rotolato sotto il letto e l'ho perso. Ho camminato e incrociato momenti su momenti, sembra che facciano la mia stessa strada, sempre, al contrario. Ho preparato un nido per quando un giorno ritroveremo quel sonno e ne rideremo. Ho pensato adesso la interrompo e le spiego come è bella. Maledetto nido, maledetto intreccio, maledetto sonno, maledetta trivialità, maledetti luoghi, maledetto maledetto, maledette ritrattazioni, maledetto leggero, maledetto spirito. Ho invocato la sospensione della respirazione. Ho scaramanticamente evitato di mostrare i denti. Ho decretato la via più bella della città, ho soffocato la pioggia. Ho riso leggendo abbasso tutti. Ho capito che per lasciare un messaggio le lettere vanno grattate via con le unghie. Ho capito che per portarsi via un messaggio. Non ho capito cosa ci faccio nella tua bocca, se non mordi o non mi sputi. Ho apprezzato la preferenza per i fiori più semplici. Ho spiegato tutto col mio silenzio di prima. Ho aspettato che il freddo ti coprisse le spalle e le gambe. Ho piegato tutto il mio silenzio prima e l'ho chiuso nel niente.
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