04 novembre 2008

Prolegomeni ad ogni futura sonata per pianoforte che potrà presentarsi come espediente per rimorchiare le ragazze

A un cinghiale somiglia il mio umore.

Mi sono giustificato dicendo che è normale, per un bambino, sperimentare con il corpo. E' scritto in tutti i testi di psicologia infantile. Peccato che io non sia più un bambino e che il corpo, oggetto della sperimentazione, non fosse il mio.

Sono passato con la testa in mezzo ad un nugolo di moscerini ed uno mi è entrato nel naso. Ho provato a soffiarlo fuori, ma non so, non si sa mai come vanno a finire queste storie. A me la parola nugolo non piace, anzi mi fa proprio schifo. Più schifo dei moscerini, nonostante che da bambino, dei moscerini, ti insegnino solo la perversione scatologica. Strane cose, quelle che ti insegnano da bambino.
Di solito un nugolo di moscerini mi fa venire in mente gli elettroni che vorticano intorno al nucleo di un atomo. Sìsì, lo so, un attimo. Se avessi un scrittore dentro di me, adesso quello starebbe commentando: "metafora maldestra". Se invece ci fosse un fisico delle particelle, quest'altro direbbe: "vabbè, non ci hai capito un cazzo". Il fisico delle particelle è molto più diretto dello scrittore.
Qualche volta, in vita mia, mi sono chiesto come una comitiva di moscerini scelga il posto dove annugolarsi. Perchè non è che i nugoli si formino in presenza di, chessò, una carogna imputridita o una scultura di sterco: niente, nascono nei punti più anonimi possibili. E' per questo che ci finisco dentro con la testa, non me l'aspetto proprio un nugolo. Qualche volta mi sono chiesto anche se esista il verbo "nugolare" e se i moscerini lo usino.
Confesso però che mi capita raramente di pensare ai moscerini e ai loro nugoli. Prima mi devono entrare nel naso.

02 novembre 2008

If you think my heart's a mess, you should take a look inside my head

Succede che alcuni pomeriggi, uscendo dal lavoro, io trovi una cavalletta accomodata sul parabrezza della mia macchina. Io non ho una coscienza, quindi la cavalletta non dice niente.

Entro in libreria. Sorvolo le ultime uscite, snob. Vado agli scaffali della narrativa, alla lettera G, leggo tutti i titoli sul dorso dei libri alla G. Li trovo insipidi, non prendo neanche un libro. Inizio a puntare libri a caso. Di sguincio guardo le ragazze carine. Sbircio i titoli dei libri in mano agli altri avventori. Prendo in braccio tanti libri che vorrei leggere, accudire, svezzare, a cui vorrei cambiare la vita. Ascolto indiscreto le parole senza sugo delle professoresse di italiano e delle loro amiche. Mi interrogo sulla natura dell'ordine alfabetico. Nella mia libreria ideale, i libri sono in ordine di interesse, crescente. Secondo il mio, di interesse. Così potrei entrare in libreria, adocchiare un libro: "uhm, interessante", e poi vederne un altro: "uhm, ancora più interessante", e così via fino al momento di dover andare via, avendo detto un sproposito di volte "uhm". Gli ultimi libri sarebbero quelli, quelli che ho sempre cercato. Rimango in silenzio e guardo. Guardo i libri che ho in mano e penso che idea ci si possa fare del loro lettore. Le cassiere mi mettono sempre addosso l'ansia da interrogazione alla cattedra, me le figuro acide che stanno lì a giudicarmi in base agli acquisti che faccio. "Ecco un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore". Rimetto sulla sua pila un testo di Calvino che non ho ancora letto, che avevo pensato di prendere e ora ho deciso di lasciare: adesso immagino di avere un debito nei suoi confronti, di Calvino intendo. Dalla porta automatica entra un ragazzino di otto o nove anni, insieme a quello che potrebbe essere il padre. Il ragazzino gli sta spiegando che "... se raccogli abbastanza punti, è come avere una vita in più...". Mi guardo intorno, cercando di incrociare lo sguardo di qualcun altro che abbia sentito. C'è solo un trentenne, giacca e camicia, occhiali dalla montatura nera, spessa, squadrata.
Lo guardo negli occhi.
Lui mi guarda di riflesso.
Non ha capito niente.
Deve essere un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore.
- E' come avere una vita in più -
Ecco, sì, più o meno.

28 ottobre 2008

vedi alla voce: Astronomia del quotidiano

Adesso non so esattamente sotto che forma io possa apparire, ad un set di occhi standard. Forse bambino, forse cappellaio matto, forse simbologia floreale per carta da parati. Comunque dondolo, sopra un seggiolo di materia plastica. Dentro altalena, dentro sabbiera, dentro giardino, dentro cortile, dentro istituto educativo, dentro dentro dentro: qui reificata la condizione di dentro, la dicotomia delle appartenenze interiori.
Rincorro l'apogeo scalciando. Il bacucco e la bambina non vogliono guardare e si tappano le orecchie: dentro l'avvizzito secchio cerebrale del crapone due pensieri se ne vanno a letto insieme, -emulazione- e -fittizio-. Io vorrei solo quel male di cui tutti parlano, il male che si farà, il male che si è fatto, il male è la droga nei pensieri di loro che parlano di me. Per me quel male è sperimentale e collaterale, come una buca per la terra sotto le unghie.
Importa? Importare significherebbe prendere questa scena e sezionarla come uno scoiattolo sul tavolo operatorio: tirare fuori tutti gli organi, che sono attimi più fili d'erba più anelli metallici, e rimetterli dentro secondo un ordine di gusto arbitrario. Poi, sperare che lo scoiattolo torni ad accatastare ghiande e ad essere adorabile. E' una legge severa quella per cui l'accatastamento delle ghiande avverrà solamente quando non avrà alcuna importanza se ogni ghianda è accatastata o meno.
Millenni, la voglia di buttarsi dall'altalena in swing misinterpretata per desiderio di volare.
Ogni storia umana contempla ineluttabile un ginocchio sbucciato.

15 ottobre 2008

Per lunghi tratti strumentale, poi gente che urla

Prima hai gli occhi chiusi e il mondo lo dividi orizzontale, facile, cielo e terra e orizzonte e così. Poi apri gli occhi e ci sono gli alberi che vanno da giu a su e si sfascia tutto un sistema e l'erba e le persone in piedi e così. Che poi ti viene da ridere per queste cose strane, come che l'unica cosa dritta dritta ma veramente dritta è l'acqua quando se ne sta dentro a qualcosa o quando non se ne sta dentro a niente ma comunque s'appoggia; e poi invece una cosa un poco meno dritta dritta come un filo penzoloni, l'acqua non te lo rimanda mai indietro dritta dritta, ma coi riflessi sempre un po' spezzettati e vibrolanti. Puoi andare a vedere i film, ma dei film non te ne frega niente. Niente, delle poltroncine rosse, niente dei popcorn mezzi coriandoli, niente delle pagliuzze volanti nel cono di luce del proiettante. A te importa solo di aprire la bocca e far aprire la bocca e quando si apre una bocca è bello come qualcuno che ha scritto col gessetto bianco sull'asfalto e poi ha piovuto e poi le foglie gialle. Poi dici che ti vorresti sposare la televisione e la prima notte di nozze deflorare la presa per l'antenna e rimanerci attaccato nell'amplesso elettrosciocco immediatico. Il canale della televisione alla fine lo cambi con il dito medio sui bottoni anche tu, perchè vaffanculo tivù. Hai pensato che in verità il paradiso, quello bianco con le nuvolette, è un campo di concentramento, primo perchè non te ne puoi andare e secondo perchè sì, bello Dio e la beatitudine, però che palle. Ma nessuno ci torna indietro dal paradiso, mica per niente, ma solo perchè è troppo ironico, ironico alla arbeit macht frei, sei in paradiso e ti rompi le palle. Invece poi hai pensato che il paradiso quello vero deve essere come un outlet di poltrone e sofà. Che di un divano non ti stanchi mai. E pure se ti stanchi, c'è sempre un altro divano per riposare.

29 settembre 2008

I sassi ci sorridono da due milioni di anni

I muscoli delle braccia sono contratti nel massimo sforzo. Le scapole, la base del collo, cominciano a tremare, vibrare prima debolmente, poi si abbandonano in scosse. Dentro la schiena non più scintille, non crepe elettriche, solo sfrigolare di vertebre, solo digrignare di denti. La carne è intossicata dal desiderio di essere strappata. E' una violenza contro tutte le forme del corpo avute sin adesso. Finalmente la fame tiene accesi tutti i sensi, e non è più nebbia che inghiotte il mare di notte.

...ma quella cosa, quella cosa la tagliano col dolore, che il veleno per topi ne ammazza meno. Quella cosa non va via. Così la vuoi, la vuoi, la vuoi ancora: perchè se non c'è, vuol dire che stai precipitando, perchè se c'è, precipitare non vuol dire niente. Non così. Non la vuoi così. Il dolore è giusto così. Ottuso di poesie mandate a memoria. Umido. Allucinato. Senza freni.

24 settembre 2008

Magnitudo silentii

This is the perfect plan:
so inspiring,
so devious,
yet so simple.

07 settembre 2008

Storia del signor Epsilon: l'uomo piccolo a piacere, una presenza costante

Prometto che non sarò bravo. Bravo, come in "Oh, ma che bravo, fa tutto quello che gli si dice di fare". Buono forse sì, perchè atti di involontaria bontà nascono spontaneamente da atti di puro egoismo, ed io, senza falsa modestia, sono un vero egoista. Se la natura sa inventarsi il riflesso per giustificare l'impossibilità di un colore, allora io mi coprirò di cieca consapevolezza, e passerò attraverso. Non sarò dentro niente.

La pioggia, come l'impero, non esiste veramente. Per questo motivo la pioggia cade e l'impero decade, non hanno altrimenti. Il vento, una definizione orizzontale, spinge una goccia contro l'altra, un uomo contro un altro uomo; il vento fa sorgere leggeri rumori da scontri senza energia, il destino che è fatto di fruscii.

Misteri della fisiologia umana. La sola vista della libagione è in grado di renderci muti e farci inghiottire le urla che ci riempivano la bocca e svuotavano i polmoni. Appena preso parte al banchetto, poi, e già siamo sordi alle grida di altri noi.

L'autorità ha bisogno che il potere sia diviso in parti dispari, per garantirsi l'equilibrio e scongiurare lo stallo o il reciproco annichilimento. La verità è invece di natura pari, poiché necessita che ogni affermazione, per essere verificata, sia posta di fronte alla propria negazione. Non può, quindi, la verità essere partorita dall'autorità, nè l'autorità giustificarsi con la verità. Tutta colpa dell'insieme dei numeri razionali e dell'insieme degli uomini razionali.

Costantia, donna intersesso, mangiapane e serafica autoeccitante. Aggrappata a monomanie perse tra dentrifici e fluoriti, a suocere sfiorite, femmina con viscere di razza. Parodia di cross dalla fascia, palleggi al limite dell'area, ridicole brochure di tattica. Sprizzi socialismo e caviale eziotropico che guarisce la turpe affaristica, la borsistica criminosa. Niente trucco, solo pochi pittogrammi di sguardi cavapietre. Resti annacquata dalla sillaba impollinata, il verso aromaterapico, la flessione del muscolo pomicione. Ontologia della gestante burocratica, reiterate trattative per un bambino pacioccoso. Non genererai un figlio, ma uno sprezzante padroncino di laniccia.

03 settembre 2008

Come ci siamo ossidoridotti

Perchè fidarsi delle persone quando tutta la verità di cui si ha bisogno la si può trovare dentro le canzoni.

E' cosi bello far scodella con le mani e riempirla d'acqua. Stringere le dita e sperare che non si svuoti mai.

Di quando sei solo e trovi qualcosa ch'è per te speciale. Di quando poi la condividi con gli altri e gli altri pensano che non sia poi questo granchè.

Sono mancino, ma ti stringo la mano con la destra. Quindi non vale.

Muori! ma aspettami.

23 agosto 2008

Psicodramma del cremino

Questa è storia nuova, ma la rabbia non s'azzera. La rabbia permane, aderisce e spolpa. La rabbia mi si condensa addosso. La rabbia mi permette di respirare anche quando ho la faccia spinta nel fango. La rabbia fa l'ironia così affilata che ci posso tagliare un giorno di pioggia. Mi serra i pugni e mi fa crescere le unghie dentro la carne delle mani. La rabbia mi spezza i denti sopra altri denti. Lei riempie il palcoscenico, ma non si cheta: invade la platea, colma le gallerie. La rabbia ostruisce. E' nella pancia che beata stramba. Imbastisce nodi neri come l'ardesia. Sfrigola pungigliosa e scintillante. E' un abbraccio rovesciato, che vuol dire lontano. La rabbia e io non mastico più.

19 agosto 2008

Esasperanto

(ripartire in seconda)
Tutti in TV hanno tre braccia e tu, infelice, ché ne hai solo due.
Il conto in banca a righe e gli scrupoli a quadretti.
Comunque questi non sono i miei occhi, è la parte ritagliata che ci vedi attraverso.
Mi hanno letto il futuro, ma hanno sbagliato tutti gli accenti.
L'ironia del mio costume da ape è il fiore che porto all'occhiello.

31 luglio 2008

La mia banda non conosce roccia

Certe volte lascio che in quello che dico cadano alcune parole, alcune parole diverse. Mi guardo intorno e cerco risposta in una pupilla che si dilata un millimetro di troppo, o una testa che si volta con eccessiva veemenza per nascondere disinteresse. Certe parole che dovrebbero risuonare come campane spaccate in altrui terremoti. Complicità miste rose. Desisterei, quando certi apostrofi apparentemente banali suscitano un'ilarità spiccia e immotivata. Faccio l'ultimo tentativo, appuntando una preda al mio vaniloquio. Vedo quelle stesse parole frangersi in schegge appena prima di colpirla, mancarla del tutto, e conficcarsi nella parete alle sue spalle, arrampicata di rose feroci. La trasmissione del pensiero fallisce in sguardi abbagliati dalle luci di scena.

Ci sono due tipi di persone che dicono "mai": quelli che, prima o poi, finiscono per non mantenerlo e quelli che, per mantenerlo, fanno cose ancora peggiori. Io non sarò mai una di queste.

La tua bella pelle che si rispecchia in tutta la lucidità necessaria all'odio. Il trucco trasforma parte di te nelle grazie di parole gotiche. Sovraesposti, i difetti... quali difetti? Io non vedo niente. Non capisco come tanta bellezza non ti faccia scoppiare i capillari: quando ci provi troppo forte diventi il mostro di te stessa. La passione è una tela e tu sei Penelope.

Fai bene, fai male e altre insostenibili dicotomie.
Sopracciglia orizzontali e ben distanziate.
Pensare di poter risolvere tutti i problemi con una cravatta.
Cosa vorresti sapere dei sudori freddi di Giulio Verne?
L'uomo dai capelli forforescenti diceva: "Hai voglia a filosofare se nessuno sta a ascoltare".
Pustole di felicità e vesciche di spensieratezza. Scoppiano gaie in attriti ladri di piacere.
E una borsa piena di misantropia (siete buoni nel modo sbagliato).
Il dubbio di spalle altrui e la tua testa che si appoggia su quegli stessi dubbi.
Per peccati più profondi, una croce bidimensionale non basta.
Credevo di essere sulla superficie di un nuovo pianeta e invece era una pesca.

13 luglio 2008

Il bosco è una opportunità

Najla siede nel parco. Tiene aperto davanti a sé "Le dodici sedie", forse legge. Intorno a lei si muovono bambini contenti di non sentirsi diversi. Sollevano polvere e rumori, che si infilano nella piega tra le pagine e graffiano la lettura. Settembre muore. Lei potrebbe dimenticarsi del tempo, se non fosse per quelle ciocche di capelli neri, che non smettono di divincolarlesi fin sotto gli occhi, e l'arrivo impacciato del sole, che la costringe a cambiare di posto, sotto ombre nuove.
Najla si perde distratta in sovrappensieri che non sono i suoi. Osserva chi si perde nella lettura, chi è solo, chi cerca sguardi di complicità isterica o metafisica. Sono come me. Non sono come me. Non sai mentire. Veste asimmetrica e senza cura, ricorda una calla. Alza e abbassa gli occhi, attende che non ci siano più occhi da guardare; un vezzo, riflesso di tempi più timidi.

Lui compare da nessun dove e le si siede accanto.
- Siediti pure, eh!
Vorrebbe spaventarlo e farlo scappare.
- Ciao
Non si dimostra affatto intimorito. Resta.
- Ciao
- Non c'è nulla di male in quello che sto facendo
- Perché, che cosa stai facendo?
- Attaccare bottone, intendo. Sarebbe sbagliato se la mia intenzione fosse quella di apparirti amichevole per ottenere qualcosa e poi portartela via, ma non è questo il caso. Non ci sono secondi fini, o ci sono solo secondi fini, dipende da come vuoi vederla. Dirai, come posso crederti? Il fatto è che non devi credermi, finché non ci sono limiti da oltrepassare. Comunque non ho intenzione di giocare con carte che non sono in tavola, conoscerai sempre tutto. Anche se definirlo gioco non lo trovo corretto. Sono abbastanza sicuro, però, che né la tua né la mia morale verranno messe in discussione
- Chi sei tu? Cosa vuoi da me?
- Per quel che conta, puoi chiamarmi Sinbad il marinaio. Oppure, se ti sembra ridicolo...
- Mi sembra molto ridicolo
- ...va bene anche Gregor. Aspetta ho una cosa per te
Si alza e si sfila da una tasca un foglio di carta piegato in quattro parti. Glielo porge.
- Ti ho fatto un ritratto
Najla prende il foglio, lo apre, lo squadra per qualche secondo.
- Non mi assomiglia molto. E poi questa ragazza porta gli occhiali scuri. Io non ne porto.
- Quando l'ho fatto non ti avevo ancora mai vista. Ho fatto del mio meglio.
Non sa se ridere o aver paura. Considera l'ipotesi di alzarsi e senza dire una parola, allontanarsi. Lui, mentre si risiede, continua:
- Il fatto è che ho un problema. C'è una lei, colpevole di seduzione con scasso, una lei con cui non posso parlare. Lei è la modella inconsapevole di un pittore che continua, senza saperlo, a dipingere solo lei. E io non so come... Lei non c'è, ma ci sei tu. Il favore che ti chiedo è di starmi ad ascoltare e io parlerò con te e sarà come se parlassi a lei. In cambio ti regalerò quel ritratto e potrai chiedermi un favore anche tu
- Sì. Cosa devi dirle? Dirmi?

- Ecco... io sono il venditore di palloncini sul luogo della catastrofe. Se una cattiva idea la si riconosce dalla tenacia con cui la si perseguita, io sono l'inquisizione spagnola. Ogni sistema in natura è destinato a diventare più grande, più complesso, più dipendente. Ergo, inevitabile è il raggiungimento di un livello critico, sia esso nel sistema stesso o nei sistemi periferici, dopo il quale resti l'estinzione come unico orizzonte possibile. Vorrei che prendessi in considerazione l'idea di diventare sistema insieme e condividere le nostre estinzioni come una. Prenditi pure il tuo tempo, se serve a farti prendere anche il mio. Sai quanti paesaggi identici sono in grado di sopportare per arrivare fin lì? Quanti divieti e segnali di pericolo e intimidazioni a rispettare i limiti sono in grado di ignorare? Dimentica il fatto che nella mia testa continuino ad essere evocati disastri o i peggiori scenari possibili: sono dilettantismi di autodifesa. Lo so che non ti piace sentirtelo dire, ma quantificare è il segreto e la fine del segreto. Che chi dice che nei numeri non c'è l'essenza delle cose, non conosce i numeri o non conosce l'essenza delle cose. Se in quello che dico, in quello che voglio dimostrare o in quello che credo di sentire c'è qualcosa che i numeri non possano significare, allora troverai che nascosti tra noi ci sono i numeri più grandi che chiunque abbia mai provato a contare

- E' una cosa molto bella da dire
- E' una cosa molto stupida da dire
Najla e lo sconosciuto restano in silenzio a guardare le proprie ombre crescere molte volte più alte di loro. Piccole lampadine si accendono tra i rami bassi degli alberi, rosse di sudore ed estate. Quando il buio scende, il parco è già scomparso.

07 luglio 2008

Volevo essere i Sunna

Questo è un post colloquiale perchè E mica posso sempre! e poi la penna con dentro le parole difficili mi è scoppiata in tasca e ha fatto una pozza verticale (la macchia), che chi mi incrocia per la via può dire Ti è scoppiata una penna in tasca o sei contento di vedermi? comunque poi la macchia è scomparsa, ma mi solletica pensare che si sia data alla macchia, la macchia rivoluzionaria, la macchia partigiana e io mi sono sempre immaginato il partigiano che mangia il parmigiano, perchè Ah, le associazioni fonetiche.
Io quando la gente mi chiede Che lavoro fai? vorrei dire sempre Spazzacamino ma finisce che non mi sovviene e allora dico la banale veritade. Dannate quelle situazioni che non si fanno annunciare, come quando dici qualcuno a qualcosa e poi vai via e poi ci pensi cento volte a quello che hai detto e sicuramente avresti potuto dirlo in cento modi migliori Ma! la prossima volta lo dico... e invece poi non lo dici mai.
Dicevamo post colloquiale come se io e te (ti devo dare del te) stessimo arrampicati su due di quegli alti sgabelli scomodi che ci sono nei bar scomodi a parlare del per e del diviso, ma io il caffè non lo prendo grazie che mi fa addormentare, preferisco un chinotto oppure ti faccio compagnia, come se lo avessi accettato, figurati, a buon rendere.

incidendo,

Quando, in virtù delle mie virtù, sono stato proscritto. Per questa ma solo per questa volta la colpa è di NigroClavel, che come solo lei, stila una lista di sette elementi con soli sei elementi. E il quinto elemento non è Milla Jovovich: se però ha i capelli arancioni non lo so. Dicevamo, c'affibbia il premio Brilloco Weblog 2008, patto che noi si faccia iccome lei. Pronti, via.

i. NigroClavel, Una Naviciuella Spaziuale. Perchè entrambi sappiamo e vogliamo che da questo circolare e ricorsivo scambio di link nasca una smagliatura nella pancia dello spazio-tempo, nella quale verrà inghiottito tutto l'universo, accompagnato da un sonoro rutto. Costei vince.

ii. XorlandoX, parolechetornanocarezze. Perchè mi piace quando scrive e quando esiste. Spero che non smetta.

iii. oraDem, trepassinellaneve. Perchè a volte capisce. E chissà se lo sa.

iv. k13utterfly, k13utterfly. Perchè questo posto assomiglia tanto ad una sua idea, e nessuno le chiede mai il permesso quando si frega le sue idee. Però scrivi, ciccia.

v. gracer, green eyes bloom goodbyes. A volte non ci vorresti entrare in quel blog per paura di rompere qualcosa. Cose fragili.

vi. momo, momonkey. New entry. Ne ho scoperto il blog via Naviciuella Spaziuale, e NigroClavel raramente toppa. Mi fa ridere quando è ironica e mi fa venire voglia di prenderci un caffe insieme quando si lamenta del creato tutto, fermo restando che io niente caffe al massimo un chinotto. Ah, "zero" c'est moi. Il pubblico rumoreggia.

vii. poligraf poligrafovic, corniciconcentriche. Newer than new entry. Cola classe come grasso da una bistecca sulla griglia, e che altro volete.

Io rompo la catena, eh.
inciso.

Che uno alla fine dell'inciso si aspetta un tocco di testo grosso almeno come quello prima dell'inciso e invece colpo di scena come nei film di M. Night Shyamalan. Alza la mano per chiedere la parola, si alza in piedi Comunque io volevo solo dire che lo spazio pensiero è bianco e quasi totalmente vuoto ma costellato di solidi platonici che rappresentano le idee. Le parole sono le dita con cui tocchiamo e veniamo a conoscere queste idee forme, nello stesso modo in cui un cieco impara a conoscere il mondo. Si siede.

15 giugno 2008

Apocatastasi degli invisibili

Son gigante nano, umano troppo umano,
Son primo ballerino, vacuo canterino,
Son senza disdoro, sono un sicomoro,
Sono il probo viro, sono sotto tiro.

Sono un'entità, sono sua maestà,
Sono un infingardo, primo baluardo,
Sono un mastodonte, son Bellerofonte,
Sono il tuo sensei, sono chi per lei.

Sono ben vestito, son disinibito,
Sono acculturato, son disoccupato,
Sono surrettizio, sono caio e tizio,
Sono l'entropia, nel cappello della zia.

Ma tutto quel che sono,
non ve lo posso dire,
a dirlo non son buono,
mi proverò a cantar.

***

Un mostro salato, ecco cosa. Dopo che è evaporata la fatica di sollevarsi, mi rimane sulla pelle questo sapore alcalino. L'attaccapanni di me stesso, riflesso attaccabrighe e la superiorità delle bretelle. Vuoi sapere quali canzoni non posso fare a meno di ascoltare in questo periodo? Desideri conoscere i titoli dei libri che ho appena comprato?
Sono morto, in tutti i modi in cui è possibile morire se ci si muove ancora.
Per quanto mi riguarda, abbiamo infranto tutte le regole dell'abbandono. Ieri ho preso per mano una turista giapponese (i giapponesi si riconoscono perché, rispetto ai cinesi, sanno posare uno sguardo meno disilluso, meno ancestralmente esausto, sulle cose sconosciute) e le ho fatto fare una giravolta. Spero che metta una buona parola per me con il signore degli accadimenti statisticamente improbabili.
Per sempre fermi nel pomeriggio dell'ultimo giorno di scuola.

08 giugno 2008

Guerriglierotica

Sono giorni di n'ubi e s'ole.
Resto abbastanza sicuro che i Garbage non cantassero "The trick is to keep briefing".
Le femmine scelgono i maschi in base al numero di cubetti nel sangue e a colpi di Dimmi che starai con me.
Vola alto sopra la tua testa e poi ti attacca alle spalle, subdolo, il voltagabbiano.
Dove sono andate a nascondersi le ragazze con i fiori tra i capelli?
Anarch'io, anarch'io! E se mi arrabbio, ti spacco il centro del loto.
Se dura così poco non è felicità, ma autoipnosi.
Ci chiamavano allievi, ma non avevamo nulla di lieve. Eravamo, piuttosto, animali da allievamento.
Tu, che sei la mia campagna di russia.
Sì, vabbè, ma che insomma.

25 maggio 2008

La decadenza dei costumi è una caratteristica delle società dell'abbondanza

Tanta gente in questo posto crede che io sia figlio di un incubo. Ci sono delle mattine in cui la mia pelle è troppo bianca e trasparente. Sotto, le vene scure mi sembrano le screpolature del muro dietro di me. A volte penso che sarebbe sufficiente che qualcuno mi soffiasse contro. Io cadrei, spaccato come un vecchio intonaco. Ci sono delle sere, quando resta solo il buio, che il soffitto della camera in cui dormo prende fuoco. Non sento il calore, ma vedo le fiamme. Quando succede, mi basta chiudere gli occhi: quando li riapro, il fuoco non c'è più. Una sera ho tenuto gli occhi aperti. Il fuoco è sceso lungo le pareti. Quando stava per toccarmi ho provato paura e freddo e non sapevo se avevo più paura o più freddo e allora ho chiuso subito gli occhi. Ora, ogni volta che va a fuoco il soffitto, chiudo sempre gli occhi.
Quando viene la pioggia, vado a sedermi sulla panchina in veranda. Guardo piovere. Mi piace la pioggia, perchè rende le cose più scure, e più scuri anche i movimenti di chi l'attraversa. Najla viene a sedersi con me. Guarda la pioggia con me. Dice: "E' bella la pioggia". E anche se non si potrebbe, io capisco che ne sta parlando come di qualcuno, non di qualcosa. Per lei la pioggia ha un corpo, che comincia e finisce in un dove, e non in un quando. Dovunque piova, cade la stessa pioggia. Come una donna, si lascia aspettare o ama tragicamente, e allora non se ne vuole più andare. Io non dico niente, così lei sa che le sto dando ragione. Restiamo in silenzio, guardiamo solo davanti a noi. Se non è lei la prima a rientrare a casa, sono io ad alzarmi e ad andare a camminare sotto la pioggia. Non mi volto indietro fino a quando non c'è più differenza tra quello che i miei occhi sentono e quello che la mia pelle vede. Allora torno a casa, mi spoglio nudo, stendo i vestiti ad asciugare e mi addormento, con in testa una rivoluzione.

11 maggio 2008

Grufolare oggi

Manca solo una storia.
Misurandolo in passi, mi assicuro che il mondo esista ancora.
Una chiave non è più importante della combinazione segreta tra i suoi denti. Aprire una porta serrata condivide la natura di attraversarla, avendo quella combinazione tatuata sulla pelle. Allora esiste un segno da cui interpretare ogni combinazione, sul quale modellare ogni chiave possibile.
Svanire, farsi proiettare. Soffiare, farsi tentare. Godere, farsi dominare. Annegare, farsi disarmare.
Limiti personali da ricercare nelle righe a matita del proprio ritratto. In uno schizzo veloce molte linee si confondono, perché la verità e il suo attimo sono transitori.
Aveva un numero enorme di amici. Decise di riunirli nel medesimo luogo, nel medesimo giorno, affinché tutti conoscessero tutti. Non ci furono superstiti all'esplosione combinatoria.
Come ogni aspirazione, quel desiderio era intangibile, ma tassabile.
Viveva la sua vita su di un'altalena. E poiché lei era fatta di cassetti, avanzava chiusa e s'apriva in fuga, arretrando.

05 maggio 2008

Nightclub con nomi di cani

Scriverei perché costa meno di una rinoplastica.
Scriverei perché ho abbandonato due volte le lezioni di piano.
Scriverei per la storia della donna iceberg, immersa ed immensa.
Scriverei per decidere finalmente se il contrario di scrivere sia non scrivere, o cancellare.
Scriverei perché esistono collezioni di memorie, di memorie perse, di memorie di uomini che si sono persi.
Scriverei per fantasticare di poter scrivere.
Scriverei affinché i pugni sul muro non rovinino l'intonaco, perché il sangue sulle nocche escoriate non imbratti il candore altrui.
Scriverei perché il lessico è chimica.
Scriverei che non feci un respiro profondo, perché abito al quarto piano e non c'era rimasto niente da respirare.
Scriverei perché ho i lemmings nella pancia.
Scriverei graffi al posto di errori.
Scriverei per supplire alla cronica mancanza di occhi grigi nel mondo.
Scriverei perché voglio un alibi quando non ho niente da dirti.

03 maggio 2008

Se si può parlare di minuti in una camera immersa nel buio

Elettropiantala
Dei desideri espressi da una stella che vede un uomo cadere
Se vuoi puoi tenermi la mano mentre ci sfracelliamo
Disse lo stoico skinhead: "No Diogene, botte!"
Sutura politica: Piovono inani
Ho sonno che non ho chiesto

Essere desiderati non è una proprietà della perfezione. Desiderare lo è. Il perfetto non è desiderato dall'imperfetto, il perfetto desidera l'imperfetto e il perfetto-se-stesso. Dunque la perfezione è una proprietà che si propaga verso l'alto.
Non la solitudine della perfezione, ma la perfezione della solitudine.

Le cose iniziarono a complicarsi quando al mio amico immaginario diagnosticarono un disturbo paranoide della personalità.

Il ciclone era tutto e solo occhio. Nonostante ciò, abbiamo ritirato le nostre antenne. Le trasmissioni riprenderanno, in qualche modo.

02 aprile 2008

Ma tu guarda al giorno d'oggi a uno cosa gli tocca fare solo perchè possiede un cavallo e quelle due nozioni di spada

Il canovaccio è quello classico: lei è la principessa da salvare, indifesa, sulla torre più alta del castello; lui è il cavaliere senza macchia nè paura che sfida i pericoli per venirla a salvare.
In mezzo, il drago.
E non sia che la principessa cominci a preoccuparsi: "Oh, no, non venire, è troppo pericoloso, potresti farti male". Oppure "sono una principessa moderna e femminista, faccio da me". Ad ognuno il proprio ruolo: lei sbatta le palpebre ammiccante, lui squarci o diventi cibo per draghi.
Come volevasi dimostrare, al nostro cavaliere tocca la principessa iperattiva. Che non riesce a stare ferma ad aspettare che la vengano a salvare. Inizia a scavare una galleria per scappare. Ovviamente quando arriva il cavaliere, non la trova. Invece lei, nel suo penetrare prima la pietra delle mura e poi il terreno, si imbatte in qualunque stranezza. E visto che, oltre ad essere iperattiva, è anche facilmente distraibile, viene continuamente deviata dalla sua strada e si mette a seguire gli esseri più improbabili. Questo ovviamente non le impedisce di continuare a lamentarsi lungo la strada. Ed è l'unica nota positiva, visto che il cavaliere riesce ad inseguirla seguendo l'eco delle sue lagnanze. Il poveretto continua a ripetersi: "So principesse, che ce voi fa? Se era facile mica ci scrivevano sopra una favola".
Nel suo cammino, la principessa finisce in un luogo strano: la valle degli specchi captivi. Mentre l'attraversa gli specchi catturano la sua immagine e la imprigionano dentro di loro. La principessa, ora senza immagine, scappa impaurita. Quando arriva il principe, crede di averla finalmente raggiunta. Ma è solo un trucco degli specchi! Glielo fanno credere per tenerlo loro prigioniero. Sembra che tutto stia per finire male!
All'improvviso, la musica.
Un menestrello di nome Roberto Scalco, che passava lì vicino, stava cantando il suo più famoso successo: "Pitture di te". Fa così:
"ho guardato così a lungo queste pitture di te
che ho quasi creduto fossero vere
ho vissuto così a lungo con queste pitture di te
che ho quasi creduto fossero l'unica cosa potessi sentire"
Sono le parole magiche fanno risvegliare il cavaliere dal suo incantesimo! Subito sfodera la spada, rompe gli specchi e libera l'immagine della sua bella principessa. Di nuovo all'inseguimento, presto!

E poi e poi?

E poi la principessa viene catturata dall'esercito delle termiti. La legano e la portano nella loro enorme tana.

Se la mangiano?

No, non la mangiano! Al suo arrivo, la regina delle termiti la vede e a causa della grande bellezza della principessa, viene accecata dalla gelosia. Ordina che il giorno dopo, all'alba, venga giustiziata. La principessa è disperata, passa la notte in lacrime, temendo per la propria sorte. Ma allo scoccare della mezzanotte...
...un'esplosione! Grande caos nella tana delle termiti. si sentono voci che parlano di guerra!
Anche le guardie delle celle vengono richiamate in battaglia. La principessa tenta di scappare, ma era stata murata nella sua cella.

Guerra per cosa?

La guerra era scoppiata con le formiche della tana accanto. In uno scontro, occorso il giorno precedente, le termiti avevano ucciso la regina delle formiche. Ora le formiche vagavano come impazzite senza una guida. Erano finite nella tana delle termiti, ed erano ripresi gli scontri. La battaglia andò avanti per tutta la notte, fin quando, all'alba, un grido si alza sul campo di battaglia:
VITTORIA!
Le formiche avevano vinto. Tutti i prigionieri furono liberati e condotti nel formicaio, come eroi di guerra. Tra loro, c'era la nostra principessa. Alla fine dei festeggiamenti della vittoria, il sommo generale delle formiche si presentò alla principessa e le disse: "Principessa, come avrà capito, noi siamo rimasti orfani della nostra regina. In battaglia abbiamo avuto grandi perdite, ma anche la fortuna di trovare lei, arcinemica delle termiti, come noi. Le chiedo ufficialmente: Vuole diventare la nostra regina?".
la principessa si sentì onorata ed emozionata, ma ancora scossa per pericolo appena scampato. Ripensò a tutti coloro che aveva lasciato lontano è provò nostalgia. Ma tutte quelle antennine sull'attenti per lei la riempiono di orgoglio regale. E forse, a causa del suo nobile istinto, accettò. Ripresero i festeggiamenti, per la nuova incoronazione. Cibo e bevande a fiumi, doni da tutte le parti del mondo sotterraneo per la nuova regina. Ma ecco, nel pieno dei festeggiamenti, arrivare il cavaliere!
Finalmente! Ce l'ha fatta! si dice in cuor suo.
Riesce ad ottenere immediatamente un'udienza con la principessa-regina. Senza pensarci, le propone di andare via con lui, subito.

Ma lei non deve regnare?

"Scappa con me! Ti ho inseguita fin qui! Ho superato mille pericoli per te!"
La principessa è colma di riconoscenza per il cavaliere: in altre circonstanza non avrebbe esitato un attimo...
...ma ora...
"Ora ho un regno da custodire! Loro sono i miei sudditi, hanno bisogno di me! Ho accettato di regnarli e non mi tirerò indietro"
Il cavaliere non riesce a credere alle proprie orecchie! E' tutto un brutto sogno!
Guardando negli occhi la principessa, capì lei che faceva sul serio. Decise però di tentare un'ultima carta:
"Regina, sono fiero di essermi battuto per voi. Vogliate lasciare al mio cuore un'ultima speranza. Vi prego di accompagnarmi in superfice: lì mi ripeterete queste vostre parole. Se vi riuscirete, io me ne andrò per sempre e accetterò la vostra decisione."
La principessa accettò. Fecero per uscire dalla tana delle formiche, quando un plotone di formiche sbarrò loro la strada.
"Cosa significa?" chiese la principessa.
"Mi dispiace mia regina, ma abbiamo l'ordine di non farvi uscire dalla tana"
"Ma che insolenza! Io sono la vostra regina e sto accompagnando il mio ospite fuori dalla tana! vi ordino di lasciarci passare!"
"Perdonatemi, vostra altezza! Egli è libero di andare, ma a Voi non è concesso"
"COME VI PERMETTETE! ESIGO DI PARLARE IMMEDIATAMANTE CON IL GENERALE!"
Venne fatto chiamare il generale delle formiche. La principessa è su tutte le furie.
"Generale, vi sto chiedendo conto dei vostri ordini! A me, la vostra regina, viene proibito di uscire dalla mia tana! E' inaudito!"
"Mi spiace regina, ma per la vostra sicurezza e quella dell'intera colonia, non posso lasciarvi uscire. Qui avete tutto quello che potreste desiderare, in cambio di ciò vi chiediamo solo di non lasciarci mai."

E lei che fa?

"Generale, queste condizioni sono inaccettabili. Ho dato la mia parola a questo cavaliere che l'avrei accompagnato fuori, e intendo mantenerla. Se voi continuerete ad impedirmelo, mi vedrò costretta ad abdicare"
"Niente da fare, vostra Maestà. Le regole della colonia non possono essere infrante, neanche dalla regina. Comandante, che la regina venga messa agli arresti nei suoi alloggi!"
In pochi istanti, un esercito di formiche-soldato aveva immobilizzato la principessa e la stava trascinando nelle stanze reali. il cavaliere aveva tentato di ribellarsi, ma anch'egli in un attimo era stato sopraffatto. Mentre alcuni soldati lo tenevano ben saldo, il generale gli si avvicinò e lo apostrofò:
"Voi siete un protetto della nostra regina, e per questa volta la vita vi sarà risparmiata. Ma andate, e non tornate mai più. In caso contrario, verrete accusato di alto tradimento, e condannato a morte. Portatelo via!"
Qualche strana sostanza venne liberata nell'aria e il cavaliere perse i sensi. Quando si risvegliò, si ritrovò all'esterno, in un bosco, senza alcun segno della vicinanza del formicaio.

NELLA PROSSIMA PUNTATA:

Oh mio dio
Spoiler!

Come il cavaliere liberò la principessa per la seconda volta e come lei riusci a ri-incasinare tutto.
Da capo.

24 marzo 2008

Nove passi per altroché

Nell'abisso dell'anima ci nuotano i pesci trasparenti.
Se solo fosse possibile smontare superstizioni come fossero marchingegni.
Perchè trovo così difficile addormentarmi in presenza d'altri? Forse loro mi fanno paura.
Passa una sufficiente quantità di tempo in silenzio, evitando di parlare con alcuno, e alla fine anche la tua voce interna tacerà. A quel punto l'osservazione guadagnerà una nuova dimensione. Un dettaglio alla volta. Sfumerà la differenza tra azione ed oggetto. Preparati all'inevitabile sopravvento del significato.
C'è un continuo oscillare immobile tra 'lasciare perdere' e 'non lasciare perdere'.
Mi sono urlato: "Tu vuoi vedermi morto!". Poi sono stato in silenzio. Ignorando cosa rispondermi.
I pensieri neurodegenerativi sono idee che mangiano altre idee. Dunque il linguaggio è un morbo: che troppo potente, uccide chi l'ha in sè; che troppo debole, smarrisce nell'abituale.
Esercizio da 7 punti: Si dimostri l'inesistenza di X in presenza della congruenza tra una realtà fattuale in cui X esiste ed una realtà ipotetica in cui X non esiste. Esercizio supplementare da 3 punti: Non avere compassione di X.

07 marzo 2008

Vado in discoteca e neanche uno scaffale

Aspirazione
Nil è un essere così ripugnante da non riuscire a suscitare neanche l'attrazione della forza di gravità. Nil, rimasto schiacciato nella differenza tra il proprio peso e quello degli eventi, si ritrova ora servitore di una immobilità coatta. La esaudisce gattonando, silenziosamente. La stessa immobilità che gli permette di spostarsi solo verticalmente, su e giu, più e più volte. Perchè ascese e discese non si ergono più al grado di movimenti. Nil, per cui tutto è un gioco di segnalibri e numeri di pagina non sequenziali. Per immobilità, un esercizio di morte. Nil è ogni giorno più invisibile. Nil è ogni giorno più sopracoperta, più ricamo sulla fodera cuscino, più macchia e ombra di calore sulla parete. Nil è tanto più invisibile, quanto più lontano dal profumo di certe chiome. Nil è tanto più cieco, quanto più tiene ferme le mani. Le mani, ferme, incrociate sul petto; e insieme lungo i fianchi; e insieme testimoni della perdita del tono muscolare. Le mani, ferme, violentate dai ricordi delle musiche fatte di tensioni e piacere, originate dalla sequenza e dalla disposizione di quegli stessi toni, su altri corpi.

Compressione
Nil viene accompagnato nel luogo in cui, da oggi in poi, dovrà svolgere il proprio compito. Nil viene lasciato solo, affinchè possa svolgere il proprio compito. Errore numero uno. Descrizione: Una stanza anonima della sua nudità, piatta davanti, sulla parete coperta di strumenti di misurazione e pannelli di controllo, piatta dietro, nel muro su cui trova spazio l'unica finestra, dai vetri incompleti. A sbeffeggiare i motivi curviformi che ornano il pavimento, ci pensano le geometriche intersezioni di nero sporco negli spazi tra le piastre, che quello stesso pavimento ricoprono. E una sediaccia di legno, indecisa, incerta e inospitale. Nil ne saggia la seduta, passandoci sopra la punta del dito indice. Sul polpastrello si raccoglie una discreta quantità di polvere, mentre sul legno si allunga una striscia di discreta mancanza di polvere. Nil pensa a quanto sia stato facile, con un gesto, fare ciò per cui non bastano due o tre vite: lasciare un segno. Allora Nil smette di pensare e sgombra il proprio posto con un colpo di mano. La polvere si lancia elettrica nell'aria, e plana in tremore. Precipita eccitata nell'idea di poter finire dentro di lui, presto o tardi, respirata.

Espansione
Quando Nil apre la cassetta, tutta la posta finisce sul pavimento. Si china per fare un cumulo dell'ultimo mese di pubblicità. Nel campo visivo di Nil compare un paio di scarpe da ragazza, presumibilmente attaccate ad una vera ragazza. Le punte delle scarpe blu leggermente piegate verso l'interno. I movimenti di Nil accelerano e ne perde il controllo, sente il sangue salirgli alla faccia, borbotta qualche parola di scuse, accenni di giustificazione, sguardo attaccato al pavimento. Risale svelto, è davanti a lei. L'imbarazzo non trova più spazio. Nil riconosce la Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti. La guarda, la fissa, eliminando ogni espressione dal proprio viso, non curandosi del tempo che viene divorato. La Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti si muove come non volesse sfiorare i fili della sospensione di Nil.
- Mi stai fissando come se avessi visto qualcosa di molto bello o di molto brutto.
Le idee di Nil scivolano intorpidite una sull'altra.
- So di averti già vista.
Si fa di lato. La Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti si avvicina ad una cassetta della posta e ne estrae una sola lettera bianca, senza scritte, indecifrabile.
- E dove?
- In un sogno, eri in uno dei miei sogni.
- Una frase molto originale da dire ad una ragazza, non trovi?
- Beh non eri proprio tu. O almeno, non lo so. Comunque questa ragazza aveva un particolare, non l'ho dimenticato. E lo hai anche tu. Tu sei la ragazza del mio sogno.
- Che particolare?
- Non te lo dirò mai.
- Un'altra frase da non usare con una ragazza.
- Eri tu, vero?
- I tuoi sogni sono una tua responsabilità. Se ero lì, vuol dire che mi ci hai messo tu. Non posso dirti altro.
Ora la Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti potrebbe andarsene. Nil potrebbe offendersi, o fingere. Entrambi umili ed avidi di silenzio, si instaurano ad impedimento di ulteriori giri di giostra gratuiti. Nil ha il presagio che, costringendo nuovamente un incontro in uno scambio non banale, ridurrebbe il proprio spirito demonio in posizione fetale, senz'aria. La Ragazza dagli Occhi Troppo Distanti non deve sapere. Il patto è taciuto, il patto è tacere. Dopo un istante di posa, lei già corre lungo le scale. Nil si convincerà di averle sentito dire, svanendo:
- Non farà mai abbastanza freddo. Del piccolo gelo, che non fa dormire, ne vorresti ancora. Ma tutto infine si riduce a sopore.

Scarico
Comincia così l'attività di Nil. Osserva ogni monitor, ogni spia, ogni qualcosimetro. Incerto e titubante, gira manopole, attiva interruttori, ruota potenziometri, aziona leve. Niente genera senso o sembra discenderne. Nil crede di aver solo bisogno di tempo. Errore numero due. Si fa strada in Nil l'immotivata certezza, come una religione, che con l'abitudine si riveleranno gli effetti, le conseguenze e anche tutte le cause. Nil si rende così colpevole dell'errore di ogni cielo: ardire a intendere la natura carnale di un terremoto contemplando le foglie cadere.

04 febbraio 2008

Il primo è dato, il secondo è dato, il terzo NON SI SA (quindi sei il massimo misosofo vivente)

Non è ribellione, è solo vento.
Nel sogno c'era un manichino. Un manichino da atelier, un busto di stoffa grigia, eretto su di un piedistallo nero. Ripensare al sogno, ripensare anche al manichino. Interrogativi sulla natura del manichino. Perchè nei sogni, le cose non hanno bisogno di essere come sono realmente. Se quindi un manichino in un sogno appare come un manichino reale, c'è una ratio. La stessa ragione per cui, nella realtà, un manichino assomiglia ad un manichino e non a qualsiasi altra cosa. Allora vuol dire che la parte più difficile di un corpo sono quelle due esse, fianco-vita-spalla, che si guardano negli occhi e non si stancano mai.
Nel sogno c'era anche una profonda attesa. Sognare di aspettare un autobus per ore. Nessuno che metta in guardia sul cattivo uso del tempo passato sognando, quando non diventa mai meglio di così.
Giovanotto diletto, probabilmente tu intendevi "io lo che sono solo anche quando non sono solo".

Prende alla testa come la nausea prende alla gola. Ti irridisce la spina dorsale, e hai solo voglia di buttare tutto fuori. Scivola, mentre risale la corrente, e ti strizza le vene delle braccia e delle gambe. Poi irriga il cuore e gli fa mancare una battuta. Puoi solo sederti, incrociare le gambe e aspettare che finisca. Stavolta mi sono portato una mela, non ho mai provato a mangiare durante gli effetti della Soluzione. Defloro la buccia con un morso e mi sento in colpa come per un'accusa di stupro. I denti si mettono a ballare senza unisono, ognuno secondo una ignota logica ortodontica. Dalle intercavità tra radice e gengiva scaturisce ciò che non riesco ad identificare se non come scintille, o spruzzi di sangue caldo. Adesso la bocca è un autolavaggio per muoni dalla carrozzeria cromata e gli interni in budello di renna. Adesso la bocca è un carro bestiame lanciato a tutta velocità lungo i sentieri dell'adolescenza in comodato d'uso. Sento come il rumore di un battito d'ali di un esemplare maschio adulto della famiglia delle eliconidi, a chilometri di distanza; qualcuno deve essersi seduto davanti a me, in mezzo alla strada. Forse ho di fronte me stesso di plastica. Provo ad aprire gli occhi, ma c'è solo una punta bianca flottante nel nero, un modellino plastico della nostra galassia in scala 1 : 62x10^22. Apro la bocca, così che possa vedere. Vedere il nero di un principio di coma proteinico, vedere come la mia saliva rasenti la brodo-primordialità di una linea temporale alternativa, vedere come i dati quinquennali di integrazione sociale siano graficabili in tre dimensioni e come il grafico risultante abbia la forma di una pantofola con tacco a spillo indossata in estate. Ora le esplosioni controllate di rumore marrone indicano la conclusione della mia ventisettesima esperienza della Soluzione. Posso forzare di nuovo inspirazione ed espirazione. Prima di scomparirmi davanti agli occhi, faccio in tempo a dirmi: "Ammetto di essere un cattivo guidatore". Mi tiro su e mi ripulisco dai resti di polpa di mela e dalle goccie di triidruro di azoto. Le rime cominiciano a sintetizzarsi nella mia testa come ho visto fare in tv ai filamenti di RNA. Di nuovo, sopravvivo all'ispirazione.

20 gennaio 2008

Un cespuglio e la scienza delle cose

Brachistocronache : I
-Tutto quello che c'è da sapere su di una persona, lo si ottiene chiedendogli se crede in Dio e se possiede un paio di occhiali da sole. E osservando poi la faccia che fa per dire "Perché?"
Lo dice Nil, appoggiato contro la finestra chiusa. A chi lo dice, se è solo nella stanza? Alla gente che si smarca sui marciapiedi, irrigidita dal freddo e noncurante. Alla rosa di respiro che si spande e contrae sopra il vetro, davanti al suo naso. Nil non smette un momento di parlare, quando nessuno lo ascolta. Nil, quando nessuno lo guarda, smette di respirare. Ma solo per pochi attimi. Crede di avere un sacco di cose da dire, ma non alle persone. Nil e il suo naso, quanti aneddoti. Crede di avere intorno un sacco di persone, ma non interessate. Crede che ci sia un curiosa distribuzione di persone interessanti, ma non per lui. Allora si inventa che quella macchia di vapor acqueo possegga una vita propria; un anemone del cielo; dimenticando la giornata di freddo, i propri polmoni e nozioni base di termodinamica. Un test di Roscharch capovolto: "Riesce a non proiettare la sua fantasia su queste discutibili simmetrie, signore?"
Qualcuno apre la porta, accende la luce nella stanza. Il mondo fuori scompare, si affaccia alla finestra una copia speculare dell'interno, compreso un sè capovolto che lo guarda con occhi strani, instupiditi. -Vuoi un poco di the? -Sì, grazie.
La luce spenta. La porta chiusa. La voragine.

-Sei sposato? -No -Allora perchè indossi una fede? -Non è mia -E a chi appartiene? -L'ho rubata ad un cadavere, o a un uomo sposato, o a tutte e due, o a un'altra cosa.
Un uomo e i suoi occhi bianchi, ha un martello. Colpisce un vaso. Il vaso si frantuma. Un uomo e i suoi occhi rossi, si volta. -Mi pento di quello che ho fatto. Un uomo e i suoi occhi neri.
Ho incollato la parola "fissaggio" al pavimento di legno.
"TUMP" è il suono che fece la testa cadendo (e non rotolò neanche). I capelli si riempirono di polvere. "..." è il suono che fece la testa perdendosi (e non brillò neanche).
Anche tu, dopo due giorni ininterrotti di leccate sulla schiena, cominceresti a sudare allucinogeni.
Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando.
Pensa. Pensa al significato delle consonanti. Alle loro presenze. Ma io le ho fatte cadere e si sono sparse e rotte. Mi aveva detto -Le tolgo dai miei occhi e le do a te. Io mi ero detto -Fidati.
Molte siluette di uomini e donne che crescono e decrescono, pulsano alla vita, si ammalano ma non guariscono. Piene di eccitazione. Piene di linee. Linee e linee per srotolare piani. Inutili come gioielleria per pianeti o il pericolo di caduta massi in salita.
Il mio voto non vale il prezzo che gli hai dato, e che hai insistito di voler pagare. Resta sempre molto bello, però. Avessi avuto il coraggio, avrei chiesto di più.
-Buongiorno, vorrei una sedia comoda per me e la mia coda. -Mi spiace, ma questa è una macelleria.

10 gennaio 2008

Caosmai

L'aria sta appesa e sfilacciata.
Il freddo è un gioco e il vento è la mossa dell'aria.
Come ogni decisione, non ha propriamente bisogno di sé.
Installata all'entrata del luogo che io sono, c'è questa porta girevole.
Tu, che ti ci diverti, giri, giri, giri.
Mai completamente fuori, mai veramente dentro.
E la tua seta è come pelle.
E il tuo monumento alla concupiscenza, un corpo.
La solitudine è ciò che hai solo tu, più degli altri.
La solitudine è ciò che parla di te, quando nessuno ascolta.

31 dicembre 2007

Lei, che sa a cosa dare fuoco

Che così facilmente sfumano e rabbrividiscono, doverci soffiare sopra, mandare via la polvere, che altri cento occhi famelici non bastano a capirne il colore, l'attesa, fino a dove si può arrivare a volerli discendere come un viaggio al centro della terra. La terra che qui sei scoperta e nuda, qui sei una pietra fredda, qui un ventre terrorizzato, futilmente cannibale, più scuro, arrendevole, senza sonno. Tanta vergogna per un'isteria che è il dialetto che cerchi di nascondere tra le labbra. Il premio per i più penetranti panneggi, i più accessi affondi, i più dipinti sipari a quei due ancora, lenti, rumorosi, bambini cattivi. Non sto riflettendo, sto scoprendo il mio narcisismo difettato. Loro due sono una battaglia in mare, sono allucinazioni e tremori, sono neurotica e stagnante gioia. Io metto in moto questa lingua molle e coperta di ruggine e mi nascondo dietro di lei, davanti a loro: l'esperienza è solo un costume, l'esperienza si fa solo con travestimento addosso. Certa solitudine è bianca come l'avorio. Si può mettere in dubbio qualunque cosa: La fame e l'amore, la trasparenza del tempo, le immagini di sensi più strani, il silenzio durante la formulazione di un urlo, incubazione. Ricordare è solo l'orgasmo, perchè farlo di corsa? Da quali sogni un ospite cerca riparo, incapace di fermarsi? Io mi metto sopra di lei come una preda che sorprende il suo predatore e le faccio uscire respiri in riccioli, poi lei scalcia via il tempo con una risata. Mi assalgono il profumo e la fatica dell'acqua, l'ipnosi di muscoli neri e luccicanti delusioni confuse nel panorama dei sogni.
Quanto immeritati, aperti per me, quegli occhi.

29 dicembre 2007

Tutto questo contro k

Non si gioca col cibo eppure fare a palle di neve è permesso.

Si conclude un anno.
Meno male che questo era l'ultimo.

Di qualcosa che il mare si porta via, il ritratto non si può fare con la sabbia.

chi è thefragile?
sul retro di lato molto distante è un posto dove mi nascondo dove mi trattengo ho provato a dire ho provato a chiedere avevo bisogno di tutto solo per conto mio dov'eri? come ho potuto solo pensare è divertente come tutto quello che promise non cambierà è diverso adesso proprio come te diresti sempre lo supereremo allora la mia testa si staccò e tu dov'eri? come ho potuto mai pensare è divertente come tutto quello che promettesti non cambierà mai è diverso adesso come hai detto tu ed io superarlo non proprio staccarsi dove diavolo eri?

Finora contro la mia gioia mi sono difeso unicamente con il divertimento intellettuale. Nulla del mio essere è cambiato. Ai miei segreti, posso parlare: Grande Cane, idolo d'oro, permettimi di dare un morso al Sacro Osso! Tremende le parole di un mio figlio: "Tutto quello che hai combinato, lo devi alla tua mancanza di denaro". Non credeva che mi sarei dato al vizio e alla bella vita. Non con tutta la mia stoltezza, la mia gioia, la mia indigenza. Prevedibile coincidenza: avevo deciso di tacere e si presentò una donna. Veri giorni di festa sono stati per me quelli della malattia.
Ma non si tratta di questo. Il mio avvenire si fa sempre più facile per le mie difficoltà economiche. Se non avessi l'impaccio di questa incapacità di piangere. Ma ora è facile. Da poco mi chiedo se sia possibile fermarsi. E poiché finora ho sempre operato cercando, ricordando, spesso ho pensato che non fosse mio dovere tentare di difendere me stesso. Se l'avessi fatto, non avrei mai più potuto rimproverarmelo. Ogni giorno maledico il Grande Cane di avermi concesso tutto, di avermi privato di tutto. Io lo prego ogni giorno di dimenticarsi di me. Egli non sa nulla.

15 dicembre 2007

Davanti a te, m'inquino.

Invece di fare il proprio dovere, si pensa ad una riforma del calendario. Che poi, perchè 12 mesi? 365 non è neanche divisibile per 12. E infatti ogni mese finisce al giorno che gli pare. Uno a 30, un altro a 31, quell'altro che vuole fare il furbo a 28. Facciamo invece le cose per bene. Io propongo: 13 mesi da 28 giorni, l'ultimo dei quali da 29 (30 per gli anni bisestili). Più chiaro, più semplice. Oppure: ancora 13 mesi, 6 da 27 giorni e 7 da 29, intervallati. Più simmetrico, meno meccanico, 365 giorni precisi; per gli anni bisestili potremmo allungare a 28 giorni il mese di mezzo, che un giorno più d'estate non dispiace a nessuno. Poi, già che ci siamo, possiamo allineare l'inizio dell'anno con equinozi o solstizi, così che il cominciare, l'arrivare a metà e il finire di un anno, corrispondano ad un semplice evento astronomico.

Mi alzo, vado in bagno, mi guardo allo specchio. Cristo. Imponi ogni giorno questa faccia alle persone cui capiti davanti. Senso di colpa. Esco di casa, scendo in strada, mi incammino. McDonald. Ordino due panini. Non mi fissare, commessa carina. La commessa ha un viso grazioso, la bellezza tratta da una canzone di un gruppo sconosciuto. Peccato che lavorando in una multinazionale tu debba perdere tutto il tuo credito alternativo, come se quel gruppo avesse firmato per una Major. Lo so, sono i miei capelli, sono spettinati. E nemmeno di quello spettinato-ma-bello che sta bene alle persone belle-ma-spettinate; sono solo spettinati. Mi metto a posto domani. Gente seduta ai tavoli, un ragazzo solo, una ragazza sola. Oddio, dovresti mettervi a mangiare insieme, è così evidente. Gli unici due a mangiare da soli, accidenti, se non volete farlo per sentimento almeno fatelo per ossessione: completate il quadro, così me ne posso andare. Di nuovo in strada, c'è più vento di quando sono entrato, lo stato dei capelli peggiora, ormai perso ogni pudore mangio dalla busta di cartone come un barbone. Fermo al semaforo aspettando il verde, osservo loro due sul motorino: lei cerca di mettere il piede sulla pedana sotto il manubrio, lui si scherma e la respinge delicatamente, ma senza tregua, lei ci riprova. Vanno avanti per un paio di minuti. Non posso vederli in faccia, a causa dei caschi, ma mi immagino stiano sorridendo o qualcosa del genere. Rituali strani per animali strani. Mi viene in mente lei, noi due che parliamo. Cerchiamo di spiegarci come si legge il mondo. Tu alla ricerca di tanti piccoli indizi, da collegare, annotare, annodare. Io disperato per la mancanza di un grande unico schema che rifletta ogni cosa. Non ci sono termini buoni per parlare di cose come queste: tiriamo fuori parole come "sincronia", "armonia", "simmetria", "amore che tiene legato ciò che è lontano, senza una logica". Ma non stiamo parlando di noi. Lei, insieme a me, a volte rimane un po' sola. Come se per pensare ad altre storie, finisca per pensare a me. Un certo strabismo nei pensieri.
Succede che il silenzio finisca per prendere il mio posto.
Succede che il silenzio diventi me.
Le facce, e il freddo sulla mia, mi distraggono. Mi sembra di pescare idee come da una di quelle macchine in cui infili la monetina e guidi una mano meccanica perchè raccolga il tuo premio. Anche se ti riesce di acchiappare qualcosa, ricade nel mucchio prima che tu possa farla tua. Tanto più si asseconda la mania di compartimentare la realtà, tanto più ogni rapporto o legame apparirà come una contaminazione, qualcosa di irrazionale nel senso etimologico del termine, ovvero: fuori dalla divisione. Passo di fronte ad una libreria. Mi vengono in mente titoli di libri surreali: La possibilità di un'isolitudine, Alla ricerca del tempo mai avuto. Foto in negativo a punte di matita. Chissà se qualcuno ha già pensato di farle, la grafite apparirebbe bianca, straniante. Non ho visto la foto, ma già mi piace l'effetto che fa. Ritorno a casa. Nessun post-it sulla porta della mia camera, nessun messaggio lasciato sulla lavagnetta sopra il frigorifero. La cosa migliore che può capitare ad una porta in cui nessuno vuole entrare è un cartello con scritto "Vietato l'ingresso".

08 dicembre 2007

Mozzichi e nuvole

Il Meccanismo Bizantino giace sotto il mio letto mentre dormo, e ci sono delle notti in cui cresce e cresce e mi solleva fino al soffitto. Il Meccanismo Bizantino non fa paura, ma fa impallidire ogni divinità mai adorata dall'uomo. Il Meccanismo Bizantino non ama e non odia, il Meccanismo Bizantino è paradosso irrisolvibile e completo. In principio, sarebbe possibile conoscere il futuro, il passato e il tempo in sè, guardando attraverso le lenti del Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino costruisce il mondo quando apro gli occhi e lo distrugge quando li richiudo. Ci si avvicina al Meccanismo Bizantino ascoltando la parola di Zenon il profeta. Il Meccanismo Bizantino gradisce che io rimanga fermo, quando viola il mondo con le sue propaggini. Il Meccanismo Bizantino disallinea le rotazioni dei cieli e delle terre, secerne il collante che regge coesa la materia, che poi innerva. Chi osa tentare di abbeverarsi a questa fonte, diventa superfluo al Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino nega l'oro, l'argento e tutto ciò che c'è di più prezioso. Nulla proviene dal Meccanismo Bizantino, nulla tornerà al Meccanismo Bizantino. Il dilemma dell'essere viene neutralizzato dal Meccanismo Bizantino, per definizione. Non più sento alieno il mio animo abietto, quando sono sobillato dal Meccanismo Bizantino.

Durante la notte numero uno, ho inventato il linguaggio nuovo. Dimentiche sillabe e parole, il linguaggio nuovo era composto di simbolemi atomici, dal significato unico ed indivisibile. Forte della nuova disambiguità, il linguaggio nuovo non aveva bisogno di alcuna grammatica: ogni sequenza di simbolemi avrebbe prodotto una nuova idea, un discorso perfettamente sensato, un concetto inconfutabile. L'unica convenzione era la disposizione sul piano di scrittura: tre righe parallele e concentriche, a spirale. Come un'aria a tre voci, una tripla armonia semantica. La sorpresa risiedeva nella scoperta di poter leggere radialmente i simbolemi, dal centro verso l'esterno, generando ancora nuovi significati. Persino la rimozione di una delle tre spirali si produceva in un'opera creativa.
Durante la notte numero tre, ho dato una sbirciata in un supermercato del futuro. Ho comprato un barattolo di latta, pieno di una specie di mollica inzuppata nell'acqua e avvolta in quelle che sembravano foglie d'insalata, o alghe. La mia lattina era però contaminata. All'interno, tra gli avanzi di mollica, si contorceva una lumaca gigante, rossa e ruvida come una lingua, senza guscio o antenne o altri elementi di riconoscimento.
Della notte numero due, narrerò in una prossima occasione.

02 dicembre 2007

Di infradito ed altri scandali

Sono sveglio. No, stai ancora sognando. E' domenica mattina. No, è lunedì. Posso dormire ancora un po'. No, sei già in ritardo. Faccio colazione e mi rimetto a letto. Nessuno ti ha preparato la colazione. Torno subito. Vattene via.

L'ho assaporato con precisione, lo strappo alla schiena, durante quel faccia a faccia: lo stato di abbandono degli ammortizzatori anteriori e l'erezione di una radice d'albero sotto l'asfalto. Prima, avevo trovato il mio posto in un piccolo disagio. Aspettarti con la schiena contro la macchina, osservare i grigi dissolversi, le ombre nettarsi, mettere gli occhi negli occhi di chi imboccava e poi svoltava. Per ogni passaggio, una scossa. Il 10% delle foglie rimaste appese si riversava in aria, nell'indifferenza e ignoranza dell'elemento scatenante. Ad ogni ondata, io mi incatenavo ad una singola foglia. S'ostinava a voltarsi su se stessa, faccia in su, faccia in giu, faccia in su. Ero sicuro che credesse di star cambiando idea. Invece c'era già una aspettativa di destino sotto forma di pavimentazione stradale. Come per me.

Ho spiegato uno straccio verde sul tavolo. Ho preparato due mucchietti, uno di caffè solubile e uno di thé solubile. Ho sparso i grani, ho chiuso gli occhi e li ho raccolti con la lingua. Ho ascoltato la mia schiena socchiudersi all'inverosimile, ho dato attenzione allo sfrigolare delle due bevande nell'atto di reidratarsi. Ho puntellato amarezze, dolcezze e timidezze. Ho sentito l'alchimia scorrermi sotto la pelle, e mi stavo solo facendo un thé. Novecento secondi, le bollicine che si uniscono e si separano e si aggregano di nuovo e gravitano. Ancora più incrinato, ci ho letto la formazione di una galassia. Ho contratto gli occhi e spianato le palpebre, ho sentito belare poi gracidare. Ho un contratto per una malattia. Ho scritto decine di lettere, le ho riempite delle cose peggiori che potessero venirmi in mente per voi tutti miei sconosciuti destinatari. Le avrei avvolte in buste gialle e imbucate e quando mi sarebbero tornate indietro, mi sarebbe stato sconosciuto anche il mittente. Ho chiuso gli occhi e ho preso sonno, ma prima ho capito Chopin. Il sonno mi è caduto dalle mani ed è rotolato sotto il letto e l'ho perso. Ho camminato e incrociato momenti su momenti, sembra che facciano la mia stessa strada, sempre, al contrario. Ho preparato un nido per quando un giorno ritroveremo quel sonno e ne rideremo. Ho pensato adesso la interrompo e le spiego come è bella. Maledetto nido, maledetto intreccio, maledetto sonno, maledetta trivialità, maledetti luoghi, maledetto maledetto, maledette ritrattazioni, maledetto leggero, maledetto spirito. Ho invocato la sospensione della respirazione. Ho scaramanticamente evitato di mostrare i denti. Ho decretato la via più bella della città, ho soffocato la pioggia. Ho riso leggendo abbasso tutti. Ho capito che per lasciare un messaggio le lettere vanno grattate via con le unghie. Ho capito che per portarsi via un messaggio. Non ho capito cosa ci faccio nella tua bocca, se non mordi o non mi sputi. Ho apprezzato la preferenza per i fiori più semplici. Ho spiegato tutto col mio silenzio di prima. Ho aspettato che il freddo ti coprisse le spalle e le gambe. Ho piegato tutto il mio silenzio prima e l'ho chiuso nel niente.

24 novembre 2007

Benvenuto a chi viene per smontarmi

C'è stato un volta un piccolo spicchio di mandarino che si chiamava Pennellope. Un giorno d'inverno, Pennellope andò a fare una passeggiata con i suoi genitori. Aveva appena nevicato e papà Enginobaldo pensò che sarebbe stato bello che la piccola Pennellope vedesse per la prima volta il mondo innevato. Allora mamma Fifirella mise a Pennellope un lungo cappello verde, in cima al quale spuntava un vistoso pon-pon, fatto di tutti i colori dell'arcobaleno. Uscirono dal loro cesto della frutta e si avviarono per le strade della cittadella. Pennellope era meravigliata da tutto: il fiato che le usciva in nuvolette dalla bocca, gli alberi spogli di foglie e con i rami carichi di neve, il sole bianchiccio che le riscaldava la punta del naso. D'improvviso vide un grande e strano omone in mezzo alla neve. Si nascose dietro le gambe di papà Enginobaldo e con la voce tremante chiese:
"Aiuto! Cos'è quello, papà?"
Lui rispose:
"Non devi avere paura, Pennellope, è un pupazzo di neve!"
"Ah... e a cosa serve?"
"A festeggiare l'inverno!"
"Ma cos'ha al posto del naso?"
"Non vedi è una carota... è tua cugina Putrella"
"E' vero! Ciao Putrella!!!" urlò la piccola Pennellope rivolgendosi alla cugina. Putrella la guardò un attimo e le sorrise, poi riprese la sua posa seria da Carota Naso Di Pupazzo Di Neve. Pennellope dichiarò:
"Da grande voglio fare anche io una parte nel pupazzo di neve!"
Ma proprio mentre pronunciava queste parole, due allodole gigantesche, come spuntate dal nulla, si abbatterono su di lei. Mamma Fifirella cominciò ad urlare dal terrore, mentre papà Enginobaldo tentava inutilmente di togliere Pennellope dalle grinfie dei due terribili animali. La prima allodola riuscì solamente ad artigliare il bel cappello di Pennellope, riducendolo in brandelli. La seconda allodola ebbe, ahinoi, più fortuna e infilzò la succosa polpa di Pennellope, si levò in volo e la portò via per sempre dai suoi genitori.
Nessuno sa dove l'allodola portò Pennellope, nè quale destino le fu riservato.
Ancora oggi, tuttavia, le mamme raccontano ai figli la storia di Pennellope, per metterli in guardia e insegnare loro a non diventare mai, mai, spicchietti per le allodole.

11 novembre 2007

Ok. Ok, ok, ok, ok, ok. (Ok). Ok.


  • Ho assaggiato la libertà, e sa di pollo.
  • "E poi c'è la televisione. Non posso interferire con la televisione."
  • Credo che la vita sia come Ikea, piena di false credenze.
  • Ho sempre avuto l'impressione che il corollario fosse quella cosa che avvicina la matematica ad un fiore.
  • Vivo in una stanza perchè non posso permettermi una canzone tutta mia.
  • Nella pronuncia di "troppo", la conta delle "p" è il metro dell'esagerazione.
  • Che nutella sarebbe senza il mondo?
  • Anche io studio filosofia, ma non all'università. Per strada, contromano.
  • Tutto quello che non è strettamente compromettente, lo cancelliamo.
  • La cosa che più sorprende, camminando per venezia, sono gli alberi. Che ci siano alberi.
  • M'illumino di mensole.
  • L'ennesima banalità: Tutti, alla fine, se ne vanno. Resta da decidere se essere uno che abbandona o un abbandonato.
  • Posso essere così vago da farti credere che questa frase sia rivolta a te.

Sei mai stata dentro un abito con un'altra persona? Io no, però ci ho pensato, mi piacerebbe che accadesse prima o poi. Ho qualche maglione abbastanza grande che potrebbe racchiuderci entrambi. Anche se... troveremmo una strana meccanica ad accoglierci. Più opportuno sarebbe indossarlo faccia a faccia, ma poi non potremmo muovere le braccia. Allora dovremmo tirarci su le maniche fino ai gomiti, per avere le mani libere e opposte, come gemelle siamesi unite e abbracciate per la trasmissione del calore. Altrimenti, il mio petto contro la tua schiena e intraprendere gesti all'unisono, l'uno il burattinaio dell'altra, due scheletri ballerini. Non so.


(squilli di una suoneria anonima)
"Pronto"
"Ciao, sono A."
"Ciao"
"Come va?"
"Boh, bene."
"Che mi racconti? Che novità?"
"No, in verità non bene. Sono morto."
"Come?"
"Sì, sono morto. Sai, di solito si risponde -bene- come in un riflesso, anche se non va affatto bene. Tu mi chiedi come va, io dico bene, io ti chiedo come va, tu mi..."
"Vabbè, ho capito"
"...dici bene. E' la formula."
"Se sei morto perchè hai risposto al telefono?"
"Perchè mi hai chiamato tu, che domande"
"Ma i morti non rispondono al telefono!"
"Sei sicuro? A quanti morti hai telefonato ultimamente?"
"Nessuno"
"A uno veramente, me. E infatti ti ho risposto. Come fai a dire che i morti non rispondono se non li chiami mai?"
"Ma è una follia! Perchè dovrei chiamare un morto se so che non può rispondere?"
"A. senti... è la tua logica ad essere sbagliata: se qualcuno non risponde mai al telefono, nè a te nè a nessun altro, allora lo puoi considerare morto. Ma non è detto che un morto non risponda. La morte è una condizione sufficiente, ma non necessaria, al non rispondere al telefono. Pensaci, vedrai che ho ragione."
"Ma... ma... che scherzo di cattivo gusto. Non ti chiamerò mai più, puoi starne sicuro. E non provare a richiamarmi, che non ti rispondo."
"Oh, mi dispiace! Eri giovane, avevi ancora tutta la vita davanti. Condoglianze A."
"Ma vaff..."
(click)


Sopravvivevamo all'errore di quel "noi".
Io ti raccontavo che stavo guidando, e invece impugnavo un grande anello e pestavo i piedi su piccole piattaforme.
Tu mi imponevi pic-nic lungo il confine. Confine tra regione e regione, confine tra un giorno e il precedente, confine tra "sei un angelo" e "c'è un pellicano che crede di essere il mio zaino".
Ci scambiavamo il colore degli occhi, i secondi sull'orologio e le foto fatte agli sconosciuti; poi ancora le foglie con i colori più improvvisati, i numeri di telefono di vecchi amori e il singhiozzo.
Io ti sfidavo: "Sii la stella che sei, fino in fondo, e vedi di cadere da qualche parte".
Tu mi riempivi di sentimenti segnaposto.
Ci riscaldava dentro accumulare oggetti per un bisogno che non avevamo ancora. Il primo fu la teiera da thé, vinta con i punti della benzina, per quella nostra casa che non c'era ancora.
Io cercavo di ipnotizzarti e intrattenevo il tuo respiro.
Tu volevi imparare a piovere, diluviare.
Discutevamo del ruolo della luna nella didattica dei sentimenti.
Io detestavo le tue magliette ingenuamente ironiche.
Tu rifiutavi di passare tra due specchi appesi l'uno di fronte all'altro. "E' pericoloso. Scomparirò." annunciavi.
Ci allacciavamo i bottoni a vicenda, ed era l'unico modo di farci promesse.
I was just a clown who was feeling down.
Tu eri "fermiamoci qui" e "perchè fai così?".
Giocavamo a fare finta di essere lì contro la nostra volontà.
Ha smesso di essere un gioco, poi, quando.

30 ottobre 2007

Delirium Aquarium

Manì le fa una domanda. Non vuole sapere la risposta, ma vuole sentirgliela dire. Hortencia inizia un racconto che dura due isolati, ma lungo come tutta la periferia intorno al nocciolo grinzoso della domanda. Ora Manì non parla, impegnato com'è a chiedersi come manterrà questa promessa infinita. Lei scappa avanti, lui non si ferma a raccogliere gli indizi, si stringe addosso l'impermeabile e si augura di non raggiungerla mai. E' il loro gioco. Si intrufolano in un cinema, o la tana di un enorme insetto. Le pareti devono essere coperte di bassorilievi, altrimenti sono i resti fossili di altre storie come quella di Manì e Hortencia. Si dimenticano l'una dell'altro, mentre i loro volti fanno l'eclisse di fiori che volano via e dello sguardo triste dell'uomo silenzioso che parla attraverso il tempo. Poi una rivoluzione: le risate sono le grida di protesta, le battute scontate sono la mano del boia. La folla è una immensa testa con il mento coperto di sabbia, gli occhi rivolti ad una trappola troppo scontata per non caderne vittima. Senza lasciarsi divorare, i due si fanno cuccioli e scivolano fuori. Hortencia si addormenta, Manì la protegge. Manì si dimentica di tenere fermi gli occhi, Hortencia si sveglia.
"Manì, dove siamo?"
"Sott'acqua"
"Mi fa paura!"
"Dimentica. Vedi quelle luci?"
"Si"
"Sono pesci predatori. Le due luci che portano davanti al muso servono per attirare le prede e per divorarle"
"Avevi detto che non c'era d'aver paura!"
"Siamo già stati mangiati."
"Vuoi dire che..."
"Sì, adesso siamo anche noi pesci predatori"
"Oddio cosa dobbiamo fare? Non so niente di come ci si comporta da pesci"
"Abbiamo un posto in fila, secondo un preciso ordine di grandezza. Avrai visto le figure."
"Riportami a casa"
"Sì. Nasconditi."
Oggi Manì non tocchera Hortencia, perchè pensa che il suo sentimento la contaminerebbe. Le si infilerebbe sotto le unghie e poi dentro le mani, nei lacci del vestito e nel gancio della sua catenina. Se Hortencia gli aprisse la pancia e tirasse fuori i piccoli rotoli di carta quadrettata su cui lui ha scarabocchiato i suoi desideri prima di ingoiarli, le parrebbero così esagerati da finire per credere che lui stia fingendo. Manì ha bevuto latte per tutta la notte, sperando nel bianco. Invece blu qualunque, ovunque. Il desiderio di Manì per Hortencia gli dà il permesso del silenzio.
Allora tutto inizia da un piccolo brivido.

26 ottobre 2007

Scritto perché una macchina lo legga, e solo accidentalmente affinché qualcuno lo esegua

La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Per ottenere il giusto effetto dovrebbe essere la prima cosa ascoltata dopo il risveglio, ancora prima di sentire la voce di qualcuno, andare direttamente alla canzone. Dovrei anche aggiungerla in coda all'ultima audio-compilazione. Posso mandarvela se volete, tutto in perfetta illegalità. Non è singolare il modo in cui si usa il termine "colonna sonora"? Dal punto di vista del design d'interni scommetto che la Colonna Sonora si adagia sul Tappeto Musicale. Che qualcuno inventi l'Architrave Sinfonica così la facciamo finita.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Dove sono finito? Perchè non scrivo praticamente più? Ah, è colpa di questa canzone. Anche di altre, come lei. Continuo a fare il giro dell'isolato e non mi fermo mai davanti al portone, privo degli attributi necessari per suonare il citofono, diciamo così. Io cerco solo di tirarmi fuori qualcosa che assomigli a questa canzone. Mettere le parole nell'ordine giusto per evocare le stesse tensioni, lo stesso senso di risoluzione, gli angoli ciechi oltre cui si celano ampi viali o vicoli senza uscita, le zone di calma, i furiosi assalti. Una volta era più facile, potevo rompere i giocattoli per vedere come erano fatti dentro. Lo so che è una questione da esteti dei miei stivali, ma quando attacco a percuotere i tasti mi si presenta sotto forma di rampante domanda di senso. E come tutte le ricerche di senso, è questione da "esteta per hobby e per passione".
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho trattato male due persone. Solo le due persone più importanti della mia presente esistenza, quindi niente di che. Mi domando il perchè di certe mie uscite, a volte. Spesso invece non lo faccio, e combino guai. Dire "mi dispiace" non basta più.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho un contenzioso aperto con il tempo. Si nasconde in qualche piega ignota del mondo e io non so dove vada a cacciarsi. Ecco, lo ha fatto di nuovo. Faccio tardi a lavoro.

21 ottobre 2007

Mixtape n.5

30 Seconds to Mars - From yesterday
Chopin - Nocturne no. 1, op. 55
Babyshambles - Carry up on the morning
Cappello a Cilindro - Quel che accade
Chet Baker - My funny valentine (long version)
Chris Botti - Ever since we met
Damien Rice - Me, my yoke and I
Daniele Silvestri - Io fortunatamente
Daniele Silvestri - Occhi da orientale
Giorgio Gaber - Io se fossi Dio
Giorgio Canali - Se viene il lupo
Giorgio Canali - Canzone della tolleranza e dell'amore universale
Giorgio Canali - Fuoco corri con me
Helios - In heaven
Looker - After my divorce
muxu - Journey to the city
Radiohead - True love waits
Radiohead - Idioteque
Radiohead - All I need
saycet - Dreamfactory
Skunk Anansie - Secretly
Suffocate For Fuck Sake - Twenty six and full of plans
The Boggs - Arm in arm (shy child remix)
The Starting Line - Are you alone
The Snake The Cross The Crown - The great american Smokeout
Verdena - Quaranta secondi di niente
Virginiana Miller - La verità sul tennis
The White Stripes - Icky Thump
Nelly Furtado - Maneater
Straylight Run - We'll never leave again
Gregor Samsa - Rock song
Mogwai - Black spider
Emanuel - Cottonomouth
Moneen - The last song I will ever want to sing
The Killers - Indie rock n' roll
Kanye West - Stronger
Plain White T's - Hey there Delilah
Gifts from Enola - Early morning ambulance
Joy Wants Eternity - For we had no road
Moving Mountains - Aphelion
Fabri Fibra - Su le mani
No Doubt - Spiderwebs
No Doubt - Sunday morning
Claude Debussy - Ce qu'a vu le vent d'ouest
Claude Debussy - La cathedrale engloutie
Trentemoller - Take me into your skin
Edit - Battling go-go yubari in downtown L.A.
Alcest - Printemps emeraude
As Cities Burn - The hoard
Battle of Mice - At the base of the giant's throat
Clint Mansell - The last man
Clint Mansell - Tree of life
Clint Mansell - Stay with me
Clint Mansell - Death is a disease
Clint Mansell - Together we will live forever
Cursive - Some red handed slight of hand
Devil Sold His Soul - Dawn of the first day
Do Make Say Think - Horns of a rabbit
Don't Look Back - Farewell to the bright side
Epic45 - The stars in spring
Gallows - Six years
George Doen Screams - Snow Lovers are dacing
Hrsta - Kotori
I Hear Sirens - This is the last time I'll say goodbye
Immanu El - Under your wings I'll hide
Justice - Genesis
Pg.Lost - Yes I am
Pygmy Lush - Hurt Everything
Scraps of Tape - Nashville's got hell to beat
Stars - The beginning after the end
Stars - Take me to the riot
The Angelic Process - Million year summer
The Gathering - Bad movie scene
The Severely Departed - A small divide
The Severely Departed - Thaw
The Severely Departed - Closer to home

E poi qualunque cosa di Eluvium, Stars of the Lid, Helios

10 ottobre 2007

Rainboh

Niente male, questi jeans. Anche la camicia non sarebbe malaccio, se non somigliasse ad una tovaglia da picnic. E poi i bottoni della camicia sono la prima cosa a saltare quando si fa a botte. No, per niente male, questi jeans. E' a causa di due blandi difetti che non si lasciano apprezzare fino alla fine. Primo, sono troppo lunghi. 20 centimetri di risvolto non fanno piacere a nessuno. Secondo, sono blu. Io ho qualche difficoltà a vestire il blu. Perchè ho poca immaginazione. Partorisco associazioni banali. Il blu simboleggia il mare e il cielo. E il mare e il cielo, per me, sono sinonimi di promesse non mantenute. Per il resto, niente male, questi jeans.

Quello che ho in bocca lo sposto contro la guancia sinistra, poi contro la destra. Sputo nel lavandino. L'azzurro chimico del dentifricio è accompagnato da perline di rosso-come-sono-fatto-dentro. Alzo la testa e mi rivolgo allo specchio uno di quei sorrisi forzati, da maniaco. Il sorriso è chiazzato di sangue. Mi faccio ridere ancora di più, stavolta sincero. Adesso che sono solo di nuovo posso smettere questa stupida presunzione di controllo, come un asciugamano dopo la doccia. Il male e il bene nel corso degli eventi non mi riguardano più. Acciuffo due conclusioni, le lego per bene e le traggo a me. Quanto ho da dare, quanto ancora da prendere, quanto sono grandi le mie mani. Forse, se mi metto ad ignorare il tempo con tutte le mie forze, scomparirà. Mentre scalo i piani protetto da un ascensore, nello spazio scuro tra un pianerottolo e l'altro vedo riflesse un paio di occhiaie troppo marcate, mie, prive di contropartita. Come si dice? Ah, sì, grazie.

30 settembre 2007

23 settembre 2007

Direzioni preferenziali per avversare il consorzio umano

Ora che piove si può dire la verità.
E allacciarsi le scarpe in modo convenzionale.
Ora che non piove più posso smettere di ascoltare.
Tolto ciò che c'è di alato in ciò che c'è di malato.
Mao aveva il suo libretto rosso, ma io non sono un gatto quindi tengo una agendina verde per i miei appunti. E tutte queste frasi alte come insetti, dovrei tornare a scrivercele su.
Siamo all'inizio, ma già cauterizzati.
Differenze mediate tra scrivere e scrittura.
Accuse ricamate su tessuti necrotizzanti. Imputare o amputare?
Nuoto in un fiume che non si accorge di me o sto cercando di tenere una sedia in equilibrio su di una gamba sola?
Vuoi una guida o qualcosa che ti indichi la strada.
Che sia un'etica o della segnaletica, non ti importa.

E' strano che proprio in quella occasione io abbia aspettato. Sarei dovuto scendere solo un attimo, fare ciò che ci si aspettava io facessi e risalire subito. Invece mi sono fermato, nell'isola spartitraffico, appoggiato ad un albero. C'era solo una donna di spalle, che si allontanava, tenuta al guinzaglio dal suo cane. E poi eccola, la foglia. Scendeva guardinga e ubriaca. Arriva lenta, mi sono detto. La posso prendere. Invece se la deve essere presa lei, perchè d'improvviso si butta giù a foglia morta. Mi tocca fare due passi di fretta, ma la colgo prima che tocchi terra. E' per metà gialla e per metà croccante. Impolverata e luccicante. Adesso vive con me.

17 settembre 2007

Il mio nome è Harold Crick e quando esamino le pratiche in ufficio sento il suono di un oceano profondo e infinito

Quest'oggi avrei voluto parlarvi di me. Ma abbiamo scoperto che ci sono un sacco di me, tutti diversi, tutti in posti diversi. Ne abbiamo contati fino a sette, pensate un po'. Sarebbe troppo, allora, stare qui a narrarveli tutti. Presto detto, ho deciso quindi di parlarvi di io. Io è facile, un po' orso, dai modi forastici. (Avete visto? Ho detto forastico. L'ho detto perchè ho appena finito di leggere "L'isola di Arturo". Potete stare certi che, se sentite pronunciare quella parola a qualcuno, egli ha da poco voltato l'ultima pagina di quel romanzo.)
Tornando a noi, si diceva:

Io cerca l'amore della sua vita come una superstizione, e anche l'odio della sua vita.
Io, più per curiosità personale che per altro.
Cerca l'indifferenza della sua morte.
Cerca l'amore della vita degli altri.
Gli piacciono anche altre cose che appartengono agli altri.
Ad esempio le cose di carta, con la filigrana in mezzo, che si possono dare in cambio di beni e servizi.
Gli piace il sapore del fumo e l'odore delle sigarette sulle dita e la lieve ebrezza delle boccate di fumo trattenute troppo a lungo, ma gli piace anche sentirsi indipendente.
Gli piacciono le trame sonore epiche ed evocative.
Crede che non si possa vivere per sempre, insieme, ma da soli una speranza c'è.
Non gli piacciono i medici distratti, chi lavora in banca e i maestri svogliati.
Non gli piace essere malato e crede che la malattia sia una colpa e un diritto.
Io crede nel diritto alla colpa.
Non gli piace fare la fila e la gente che si fa aspettare.
Non capisce chi non riesce a ricevere un regalo senza sentire il disagio di doverlo ricambiare.
Mangia lo zucchero filato con sommo gusto, ma io non è il solo.
Va per strada a capo scoperto, quando piove.
Si, ce l'ha l'ombrello.
Ha anche il cappuccio sulla giacca, se volete saperlo.
No, non li usa.
Io è a suo agio anche quando è sporco, o vestito malamente.
Molti pensano di sapere chi sia veramente Io, ma Io si diverte spesso a prenderli di sorpresa.

Ah, e i compiti per casa. Ascoltare "Fuoco corri con me" e "Canzone della tolleranza e dell'amore universale" di Canali, Giorgio. E preparate anche la colonna sonora di "The fountain / L'albero della vita", che poi vi interrogo.

13 settembre 2007

I ricordi sono commestibili come le unghie delle dita maggiori

voglio essere annegato
voglio essere assecondato
voglio essere atterrito
voglio essere ascoltato
voglio essere allontanato
voglio essere avvicinato
voglio essere abbracciato
voglio essere accettato
voglio essere adescato
voglio essere adoperato
voglio essere aperto
voglio essere alato
voglio essere atterrato
voglio essere addobbato
voglio essere accomodato
voglio essere aviotrasportato
voglio essere abbindolato
voglio essere anticipato
voglio essere abbeverato
voglio essere affaticato
voglio essere affranto
voglio essere allenato
voglio essere attaccato
voglio essere arrivato
voglio essere allungato
voglio essere agguantato
voglio essere addolorato
voglio essere annerito
voglio essere ammaestrato
voglio essere attraversato
voglio essere arroventato
voglio essere arenato
voglio essere assonnato
voglio essere aggirato
voglio essere assassinato
voglio essere accreditato
voglio essere ammazzato
voglio essere appagato
voglio essere avventato
voglio essere alleato
voglio essere azzerato
voglio essere avvelenato
voglio essere ammanettato
voglio essere assolto
voglio essere ammattito
voglio essere a.

09 settembre 2007

Il lupo non c'è, però se vuoi crepo io

La chiarezza che solo una notte di settembre può portare. Io vado avanti e i dubbi si fanno ai lato, bisbigliando con rispetto. Mi scoppiano i polpacci e per avanzare ci devo mettere tutta la rabbia e le strettoie tra i denti. Ho sempre una canzone in testa e adesso questa parla bene di tanto niente. Rientro a casa e mi dico che le cose piccole le potrei fare senza pensare, come slacciarmi le scarpe o aprire il frigo. Ma no ma no io voglio esserci. Tanto ho un posto tutto mio dove me ne posso andare quando c'ho lo schifo sul collo che mi cola davanti e dietro. Fa stanco, non trovi? Con i soldi che ho mi ci posso comprare solo altre gabbie. A guardare i muri sembrerebbe di stare ancora coi piedi per terra. Ho la peste, non lo sapevi? Vi chiedo acqua ma ormai non c'è più niente da fare, potete solo starmi lontani. Sono ancora lì stanco, con gli occhi che fanno troppe domande. A volte i libri non sono come quando li avevi iniziati a leggere. Quello non lo puoi toccare, è troppo bello. Poi non è che sono cresciuto è solo che i miei giocattoli hanno smesso di parlare. Ora altre cose parlano, ma io ho un altro nome. Mi impegno quando faccio il morto a galla. Belle le vesti da saltimbanco, metà bianche e metà nere. Ti è stato utile il tempo guadagnato? Suvvia, era solo uno scherzo col mantello. Ma non di noia.

03 settembre 2007

Allthelovelessness

Mi ha tenuto sveglio un lavello
fuori tempo per tutta la notte
ho creduto sanguinasse
ogni goccia aveva un suono diverso
una melodia senza fine
dove alla fine sonnecchia la follia

Ancora da bambino pensavo al contrario delle lampadine. Accese nelle mia stanza in pieno giorno, avrebbero proiettato un cono di oscurità totale. Con dentro me.

Uno è biondo ed ha gli occhi chiari. L'altro, scuro di pelo, gli occhi non li ha. Qualcosa gli brucia nelle orbite e incenerisce tutto ciò su cui posa lo sguardo. Metaforicamente, o forse no. Potrebbero essere due angeli o due demoni o due persone normali. Sembrano troppo normali per essere due persone. Un'ancestrale mitologia deve averli messi qui, l'uno accanto all'altro, in piedi, sotto questo albero dai rami viola che al posto delle foglie ha piume blu. Il biondino è ferito lungo un fianco, e tiene in pressione la ferita, con una mano. Nasconde anche un'altra cicatrice sul collo, sotto una benda.
Dialogano i due.
Occhi di bragia sta gesticolando, lentamente. Si osserva il braccio mentre lo solleva a mezz'aria. Ha la manica sporca di sangue.
Parlano ancora. Sembra importante. Come se il compimento di un male, uno tra i tanti, e di un bene, uno tra i pochi, dipendessero dall'esito di questa discussione.

Mi parlano, ma tutto quello che sento è meta-rumore.

Qualche volta mi immagino una persona che infila una mano nel tritacarne. C'è questa mano che scompare fino al polso dentro la vorace macchina e in fondo la carne trita che viene raccolta e preparata per il ragù.
Qualche volta mi immagino anche come togliere la pelle da una faccia. Io inizierei da una incisione accanto all'orecchio, scenderei in verticale fino a dove si ancora la mascella e ne seguirei la curva fino alla punta del mento. Continuerei simmetricamente, a salire, fino all'altro orecchio, e poi è facile basta seguire l'attaccatura dei capelli.
Potrebbero essere i pensieri di un bambino che rompe il suo giocattolo preferito per vedere com'è fatto dentro.

Possiamo vivere con l'illusione che un cactus non abbia bisogno di un abbraccio, ogni tanto.

Continuano ad arrivarmi cartoline. Vengono dal futuro ed il mittente sono io. O almeno, dovrei essere io. Mi chiedo se, dal momento che tanto sono già arrivate, io debba ancora spedirle al me-passato dal me-futuro. Mi chiedo se il me-futuro che ha spedito le cartoline si è già posto questa domanda. E poi perchè continuo a mandarmi cartoline in bianco e nero?

Mi ero apparecchiato l'anima. Poi qualcuno si è imbucato.

E comunque, sì.

23 agosto 2007

Sarà una canzone di 5 minuti ad uccidermi

#Macrocosmo e microcosmo#
Utopia e imbarazzo:
Un giorno tutti gli uomini saranno uguali.
E non avranno più niente da dirsi.
Una cosa in comune di troppo:
Siamo uguali io e te. E non abbiamo niente da dirci.


-Mi farebbe piacere ricevere una lettera da te
disse l'ombra dell'uomo solitario.
-Certe cose vengono meglio quando sono spontanee
rispose la luce proveniente dalla finestra illuminata.
****
-Mi avevi già visto passare, vero?
-Cosa?
-No, niente
-Comunque sì
****
-Di lettere ne ho scritte molte
-Di cosa parlavano?
-Amore. O tassi d'interesse. Non ricordo.
-E ci hai mai creduto?
-All'amore o ai tassi?
-Importa in cosa credi, se credi in qualcosa?
-Direi di no
-E quindi?
-So solo che le ho firmate tutte, quelle lettere
-...
-Ed erano tutte anonime

21 agosto 2007

I concetti fondamentali del condimento del surimi

Al crepuscolo, insonne, sulla cresta più alta di una collina. E' in funzione una giostra che sporca l'aria con le sue luminarie gialle ed arancioni. Nell'uragano di seggiolini che tiene legati a sè, infestano e siedono solo uomini adulti, scalzi, coperti da una tunica lattea e derubati della vista da una benda nera. Arriva il buio della notte, l'equivoco oscuro, senza farsi annunciare. Ora la giostra è spenta, dorme, i tentacoli pendono senza volontà alcuna lungo i fianchi. Gli uomini si sono liberati, e si muovono tutti verso di me. Non riesco più a distinguerli, sento l'erba venire schiacciata, trattenere il respiro, sempre più vicina, le bocche che si riempiono di saliva. I primi mi sono già addosso. Sono inghiottito.

Nell'elenco dei sintomi della depressione è incluso quello di sentirsi depressi quando si legge l'elenco dei sintomi della depressione.

Proprio per quella mattina Dio aveva convocato il Giudizio Universale. E proprio la sera prima io avevo dimenticato di puntare la sveglia. A ripensarci, fu sciocco credere di poter dormire un poco di più, almeno ora che era giunta la fine dei tempi. Fatto sta che dormii troppo, e me lo persi. Morale della favola: tutti vennero assunti in cielo, ed io restai disoccupato. Per mia fortuna incontrai un imprenditore, un tipo dall'aspetto caprino e dall'alito sulfureo.
Ora ho un posto fisso, in un locale underground.
Molto underground.

Mi seguiva sulla spiaggia, calpestando le mie impronte. Io ho i piedi più grandi, quindi non deve essere stato difficile. Quando me ne sono accorto ho preso a saltare, girare su me stesso, ballare improbabile. Siamo scoppiati a ridere, per colpa mia.

Un piatto che si riempie di segreti freddi, questo il mondo.
Con gli occhi chiusi, mandiamo giù.
Raggiungono l'inferno e lo fanno singhiozzare.
Gli ombrelli cuciti con la nostra pelle.
Servono a riparare dalla pioggia spremuta dei nostri umori.
Allora il vuoto dentro si fa grotta,
dove le lacrime filtrano lente, progettando stalattiti.
Ogni dente propaga le sue radici, e cresce albero del dolore.
Maturano frutti lucenti, esangui, marci e osceni.
Dolci bulbi oculari da succhiare e sputare.
In un luogo simile avevo la mia casa.
Oggi è stata seppellita, mentre ancora ringhiava.

16 agosto 2007

La neve esplosa

Sto seduto su questa poltrona rosso scuro, bordò, amaranto, granata, vinaccia, che ne so. Bassa, squadrata, macchiata del sudore del culo di chissà chi, mi sega la schiena in due.
Fumo, che mi frega.
Camel.
Due tizi, seduti su un divanetto accanto a me, ci danno di limone. Apparizioni di lingua in religioso sciacquettio, pesci rossi in un abbeveratoio fangoso.
Mi si avvicina una ragazza.
Non ha i capelli e nemmeno le sopracciglia. Mi si mette accanto, con due dita mi toglie la sigaretta di bocca, dà un tiro, ce la rinfila.
"Va tutto bene".
Se ne torna nel nulla sfilacciato da cui era uscita.
Chissà che sguardo da coglioncello, mi direi se mi vedessi adesso. Allora mi impongo di guardare altrove.
Una volta mi lamentavo della mancanza di ragazze così così. Dove le tengono nascoste le bruttine?
Un tipo sul palco piglia in mano un jack e prova a infilarselo nel basso. Dall'altoparlante esce prima un grigio fzzzz e poi un lurido stack. Si vede che gli piace, visto che lo tira fuori e ci riprova un altro paio di volte. Le mie orecchie lo mandano sinceramente a fanculo.
Una volta c'avevo ragione.
Non so a che cazzo pensare.
Allora cerco di autoconvincermi di essere fuori posto, di sentirmi a disagio, ma non funziona. Mi canto addosso Creep dei Radiohead, rigorosamente in versione acustica.
What the hell am I doing here?
Ci sono le zanzariere alle finestre.
I don't belong here.
Il che non impedisce alla sala di riempirsi di mosche. Ce ne sono giusto due che si stanno gustosamente ammucchiando sul mio bracciolo sinistro. La schifo-mosca di sopra si sfrega le mani. Facciamo collegamenti scontati, dai, ma mi viene da pensare alle api. Dentro l'alveare, comunicano alle altre api la posizione di un fiore lontano attraverso uno strano balletto. Me l'ha insegnato Sua Ignoranza la Tv.
A nord ovest, vola 14m e poi un terzo di giro intorno all'albero.
Lo dicono percorrendo un invisibile labirinto. Allora cerco con lo sguardo una figura femminile consona. Va bene questa, vitino da vespa, toppino giallo. Si muove come se fosse in preda alla febbre emorragica davanti ai bagni chimici dell'Oktoberfest. Che cosa mi vuoi dire, donna Maia? Dove devo andare a cercare il mio sacro pistillo quotidiano? Spero fuori di qui. No, neanche la parte di quello che non ce la fa più mi riesce.
Ma che cazzo significa va tutto bene?

03 agosto 2007

Non c'è Dio che tenga Sei tu per me bestemmia

Non preoccupato, desolato. Che tedio preparare il bagaglio. L'acetilazione è il processo cui si sottopone il legno affinchè non assorba eccessiva umidità. L'acqua della doccia si stacca dal corpo all'altezza degli occhi. Vedo le gocce allontanarsi, farsi piccole, circoscrivere lo spazio in cui mi posso muovere in sicurezza. Era un problema con la messa a fuoco, per questo mi sembrava la scena di un film. Voglio vedere Heimat, Decalogo 6, Tideland, Lezioni di piano, La doppia vita di Veronica, Miriam si sveglia a mezzanotte. Insieme sarebbe meglio. E comunque quello non era bordeaux. Perchè un giorno ti lascerò un fantasma che ti prenderà per mano e ti accompagnerà attraverso l'estate.

Devo decidere cosa dimenticarmi.

Guidavo forte la macchina della banalità poi sei arrivata tu mio guard-rail e io ho perso il controllo e ho accelerato e mi sono schiantato e sono volato fuori attraversando il parabrezza mille schegge mille gocce una rete divisa negli spazi tra le maglie di una calza tutte intorno sparse col sangue sull'asfalto e i rivoli nei dossi. Catapultato e salvo Grazie.

Toccare e saggiare il punto di rottura. Reiterare, fino a compimento del danno. Ora sì, ti vedo priva del resto intorno. Mi dispiace, non mi dispiace, sì, no, bianco, nero, virato viola. Una parola così soffice che sembra si spezzi se dovessi pronuciarla. Credetti di strappare una rosa e mi trovai le mani strette nell'abbraccio del filo spinato. Tiravo appresso a me la sufficenza come un carretto che lasciava il suo tracciato nella neve. L'ombelico è un vanto, la prima cicatrice, aggiunge qualcosa al portamento.

Senza, vado e non so altro.