Niente male, questi jeans. Anche la camicia non sarebbe malaccio, se non somigliasse ad una tovaglia da picnic. E poi i bottoni della camicia sono la prima cosa a saltare quando si fa a botte. No, per niente male, questi jeans. E' a causa di due blandi difetti che non si lasciano apprezzare fino alla fine. Primo, sono troppo lunghi. 20 centimetri di risvolto non fanno piacere a nessuno. Secondo, sono blu. Io ho qualche difficoltà a vestire il blu. Perchè ho poca immaginazione. Partorisco associazioni banali. Il blu simboleggia il mare e il cielo. E il mare e il cielo, per me, sono sinonimi di promesse non mantenute. Per il resto, niente male, questi jeans.
Quello che ho in bocca lo sposto contro la guancia sinistra, poi contro la destra. Sputo nel lavandino. L'azzurro chimico del dentifricio è accompagnato da perline di rosso-come-sono-fatto-dentro. Alzo la testa e mi rivolgo allo specchio uno di quei sorrisi forzati, da maniaco. Il sorriso è chiazzato di sangue. Mi faccio ridere ancora di più, stavolta sincero. Adesso che sono solo di nuovo posso smettere questa stupida presunzione di controllo, come un asciugamano dopo la doccia. Il male e il bene nel corso degli eventi non mi riguardano più. Acciuffo due conclusioni, le lego per bene e le traggo a me. Quanto ho da dare, quanto ancora da prendere, quanto sono grandi le mie mani. Forse, se mi metto ad ignorare il tempo con tutte le mie forze, scomparirà. Mentre scalo i piani protetto da un ascensore, nello spazio scuro tra un pianerottolo e l'altro vedo riflesse un paio di occhiaie troppo marcate, mie, prive di contropartita. Come si dice? Ah, sì, grazie.
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