23 maggio 2007

Di quando Amore divenne un avverbio

Nel mondo c'è la tribù di chi mette gli Afterhours in un posto speciale, in un recinto separato da tutte le altre band. Io sento di farne parte: ogni canzone degli after è un sentimento nuovo che, prima di ascoltarla, non sapevo di poter provare. Dopo -after- averla sentita, posso amare qualcuno anche di quella canzone.

Guidava con una sola mano sul volante, il gomito appoggiato contro la portiera della macchina. L'altra mano la teneva molle sopra la gamba destra, pronta ad impugnare la leva del cambio quando ce ne fosse stato bisogno. Da quando aveva preso la patente, l'unica disattenzione alla guida gli era costata il primo e l'unico incidente. Roba da poco, ma non poteva più dirsi immacolato. Adesso si era imposto di non lasciare mai la strada con lo sguardo, e questo era diventato l'unico modo in cui sapeva guidare. Ora che aveva accanto lei, lei che gli parlava, doverle rispondere senza poterla guardare negli occhi gli sembrava un immenso minuscolo tradimento; Di tutte le cose di cui si sarebbe potuto vergognare, questa era per lui la più importante.

Nuvolette di polvere e stelle disegnate male e soli e pianeti ingioiellati. Spaccature nel tessuto con cui è stato ricamato il cielo. Capricci di uomini avvolti come rotelle di liquirizia. Massi in caduta libera verso il fondo del canyon, faranno tremare la terra, vivono per sempre, su nel cielo, colombe supersoniche, ti tirano giù ti tirano giù abbassati! Mi fermo per una sigaretta ed un bicchierino, stasera a casa di Digsy, ci invita sempre tutti a cena, scivoliamo via, sposati con prole.
Il meglio deve sempre ancora venire.
La saggezza dello stilita riassunta nel suo rifiuto di scendere, ogni giorno tagliava un millimetro dal perimetro delle foglie della sua pianta di fiori preferita, sperando di farne un giorno un monumentale bonsai, non sapeva che non sarebbe mai cresciuto un albero. Lei invece sì, sarebbe presto diventata un albero, con le foglie rosse e le radici verdi e le unghie ben piantate nella terra, l'unico posto in cui le lucertole verranno a stemperare il loro sangue. "Se vuoi passare la tua esistenza a battere i tasti..." si sentiva dire mentre stringeva le lame delle cesoie intorno alle proprie dita, nel punto esatto in cui avrebbe dovuto indossare l'anello di fidanzamento di qualcun altro, certamente. Bevo solo succo di arancia e spero non ci sia nessun gatto a guardarmi in questo momento. Temo il gatto che sa capovolgersi in aria e non mostra il bianco degli occhi. Oh, stai zitta! 10.000 ahia, ti canteremo canzoni con intervalli di terza minore. Non ti faranno felice non ti faranno triste non ti faranno male non ti faranno niente non ti daranno da mangiare non ti daranno in pasto ai leoni non ti daranno sollievo non ti tireranno le pietre, a meno che tu non sia innocente. Dio ci riempiva le reti da pesca ed indirettamente approvava il nostro non essere vegetariani. L'ironia è che tutte le volte che vuole farsi un buco in testa, sul tavolo davanti a sè non ha che pistole cariche. Se solo tu sapessi dimostrare teoremi di logica con la stessa abilità con cui sai abbinare le scarpe al colore dei tuoi occhi. Ogni volta che penso a qualche frase d'amore da dirti, lo faccio in inglese e così posso spiegarti tutto e non sentirmi banale. Pare che il mondo vada a fuoco e io ci sto nuotando dentro.

16 maggio 2007

Eziologia di un rapimento: con più rabbia, meno cacao e mammiferi di piccola taglia

L'aleggiare è uguale per tutti.

Andare a cavallo mascherati, ovvero l'anonima equestri.

Aveva una fame tale che, dopo aver divorato la forma di parmigiano, si mangiò anche la sostanza.

Allenamento: esercitarsi giornalmente alla perdita dell'autocontrollo.

In mancanza di qualcosa di meglio della giovinezza.

Sempre nello stesso angolo della piazza grande, Ludovico McCarthy fa il venditore di sigarette, senza clamore. Ha i capelli bianchi, è taciturno, è un emigrante di ritorno. Nei mesi più freddi, con il paese barricato in casa, prima che faccia buio ha già consumato un terzo della merce esposta. Sulle quattro casse di frutta vuote e accatastate che compongono il suo banchetto, nella settimana che precede una festa di paese, compare sempre qualche fuoco d'artificio di contrabbando. Va a bere, periodicamente, in ognuno dei bar del paese e guadagna quel tanto che basta per non avere mai più di due mesi di bevute a credito.
Emigrato in Canada, aveva trovato lavoro come operaio di fabbrica. Una vita di risparmi e il ritorno, per comprare una casa e aprire un'attività cui dare il proprio nome. Era andata male. Neanche con i soldi della vendita della casa era riuscito ad evitare il disastro.
Adesso vive in una stanza dell'ultima locanda rimasta in paese. Antonio Riperi, un suo vecchio amico di infanzia e commerciante, uno che al cinematografo non si perde una pellicola western, ha preso a chiamarlo "il vecchio Lu". I figli di Riperi, ripetendo quanto sentito in casa, lo evocano nei loro giochi di cortile come il "vecchiulu". Per uno di quegli oscuri moti interni alla lingua dialettale, è diventato il suo vero nome. Anzi, il vecchiulu non è più solo l'anziano ambulante della piazza, ma definisce con precisione un modo di essere. Se uno degli adolescenti del paese, in uno scontato accesso di malinconia, si rintana in casa e non ne vuole più sapere di uscire, i suoi amici lo esortano al ritorno alla vita sociale dicendogli: "Forza, non fare il vecchiulu!".

Il futuro è già inevitabile; l'unico potere di cambiamento che ci è concesso è quello sopra gli eventi che appartengono al passato. Loverflow è la parola in codice per dire che è possibile dare vero piacere solo a chi non si ha paura di far male.

11 maggio 2007

Reincarnazione di un vegetariano

Io credo che la totale prevedibilità del mondo verrà un giorno ad accoltellarmi nel mio letto e mi troveranno così, morto affogato in me fuoriuscito.

M'immagino una storia di onore e combattimenti tra le coccinelle rosse con i punti neri contro le coccinelle nere con i punti rossi.
Le coccinelle hanno il coccige?

"Tutte le morti, ad un certo punto, contemplano l'arresto cardiaco"
"Ma io ti voglio bene"
"Tu confondi causa ed affetto"

Il racconto di quello che accadde dopo la fine.

Hai presente quando in una giornata di vento, al mare, si vedono gabbiani in cielo e sembrano immobili? Volano, eppure non si spostano di un metro, nè avanti nè indietro. Traboccano di sicura calma. Ecco, io vorrei stare così.
(era per MCp)

"Come vuoi che ti rimanga la cicatrice?"
"Per favore, circolare"

Il resto non lo posso dire. So solo che non lo voglio fare. Ne voglio uscire dissolto e levigato. Velleitario di quelli che lasciano le ustioni più gravi. Con la pelle accartocciata e che non si parli di animali da cortile. Oggi bevendo nuovamente glicerina non sentirei un cazzo di niente. E quella stazione della metro di parigi, e quel vagone. Non so quale dei due stia frenando, ma quella nota la riconoscerei tra mille, figuriamoci tra 7. E il cancello di casa tua che fa lo stesso rumore della intro di una canzone dei Cure. Pizzicore commovente, certo. Ma non mi vedrete mai con le lacrime agli occhi. Sulla lingua, forse. Il mio apparire e scomparire fumoso sarebbe dovuto venire alla maniera dei prodigi della pirotecnia, invece è una cazzata. Vino e foschie, trova la parola di mezzo. Oggi non riesco a infilarmi i guanti, non è incredibile? Ecco un aristocratico capezzolo da cui succhiare il lattice. Ora scrivo di quella vecchina che passa per il quartiere piegata in due nelle sue deformità, a passi piccolissimi e serratissimi, con le buste della spesa sempre azzurre e sul capo un fazzoletto sempre livido. Ora scrivo che un giorno sarà morta e io non la vedrò più passare e semplicemente non ci penserò più. Ora scrivo di come mi fa sentire amaro e apatico e farsesco. Ora vorrei riuscire a dire che il mio concetto di decenza è andare via in silenzio.

06 maggio 2007

Diaria delle eresie. Di aria.

A volte facciamo innocue concessioni alla lingua anglosassone.
"We came, we played, we drifted away"

E' una prigionia che fa il solletico, tra pezzi di pane nero e sorsate d'acqua torbida. Anche per divenire pazzo ho bisogno di certi rintocchi, di quelli lontani, di quelli che arrivano dal di là del mare; nel frattempo, una piccola scultura. Intaglio e scolpisco, mio proprio ed unico capolavoro. "Ma sono i tuoi denti!". Perfetto, e adesso ogni morso è un filo di dolore che parte dalla base del collo e rincula fino alla schiena ultima. Ogni pasto che mi ha reso più concretamente mortale non sarebbe dovuto passare inosservato, e non oserà più.

Si è fatta ancora una volta viva, quella sensazione. Siamo tutti in piedi, in cerchio. A turno si parla, e ciascuno si sforza di tenere il silenzio fuori dal giro. Il meglio di sè in una circostanza sociale. Circostanza, in cerchio stanti. Una mostra guidata nella brillantezza, le spiritosaggini, quale inoffensiva piacevolezza. Peccato che io me ne stia sopra le nostre teste a spiarci. Ovviamente io non faccio parte di tutto questo. Ovviamente, perchè non posso stare nel cerchio e sopra il cerchio contemporaneamente. E io preferisco che il mio punto di vista se ne vada a fare un giro fuori di me e poi torni a raccontarmi com'è il mondo di lato. Non è come essere l'anello debole di una catena, ma più il dente mancante di un ingranaggio: il meccanismo procede ugualmente, i denti prima e dopo di me sopperiscono alla mia assenza, lo spettacolo non si ferma. Non c'è danno, tranne che nella perduta simmetria radiale. Mi sento in colpa perchè mi sto perdendo qualcosa o perchè non mi importa veramente? Mi basta guardarli in volto, uno ad uno, per avere la stupida certezza di conoscere cosa gli passa per la mente. Vi ho studiato, sapete? Sono stato ciascuno di voi, nei miei sogni forse. Riesco a prevedere le vostre mosse. So su quale piede poggerete il peso del vostro corpo. So chi guarderete quando parlerete di un certo argomento. So come terrete occupate le mani. Più di tutto, conosco i desideri che non avete il coraggio di esprimivermi e l'architettura di bugie che vi imboccate per credere di vivere un'esistenza coerente. Perfettamente conscio che non c'è niente di vero in tutto ciò. Ma questo è il mio castello. L'ho costruito io e saprei resisterci ad un assedio lungo un lustro. Fin nei minimi particolari, progettato per non lasciarmi entrare.

29 aprile 2007

Le peripezie di Feticcio e Malmostoso

"Ti andrebbe di sfilarmi le scarpe?"
Ed io che neanche avevo cercato le parole.
Era una festa, era sabato ed era pieno di streghe. Io continuavo a fissare la strega più strana di tutte.
Soddisfazioni e aspettative hanno il loro posto naturale dentro una cartellina in cartone con tanto di elastico, non dentro una mente.
Circondato da fonti, la luce emessa collassa tutto intorno e mi bagna le scarpe.
Il distacco emozionale sperimentato dalle villette schierate come un plotone d'esecuzione addosso al mare.
Non seguo un piano, non rotolo lungo un piano. la parola al groviglio: dice che faccio bene.
Lei alzava la mano e il gesto che stava per compiere avrebbe registrato il loro passaggio. "Non ce n'è bisogno" Lui le disse. Scesero alla fermata successiva, smarcando il controllo. Lanciandomi un riflesso di vecchiaia.
Sarebbe sconvolgente pensare ad una grazia che non scende dall'alto, ma evapora dalle spaccature del terreno e nella quale potremmo muovere le gambe come cucchiai in un piatto di minestra.
Occhi chiari su un volto poco attraente. Meritano una punizione.
Sostituire la morale con l'estetica. Accedere al tempo attraverso una scala graduata. Sotto il rosso si nasconde la sicurezza, oltre il violetto s'apre l'umanità.

Le dicevano: "Togli le mani dalla neve". Le dicevano: "Resterai assiderata". Lei pensava alle stelle.

E' facile. E' anche bizzarro. Può apparire superfluo. Puoi ignorarlo. Non puoi farlo arrabbiare. Si lascia disprezzare. Si lascia cadere. Si ripete e diventa amichevole. Nasconde una massa nera d'infinita oscurità. Ha preso tutto il nero di cui si circondava un tempo e lo ha compresso e messo là, che si appoggia al muscolo diaframmatico. Respirando forte riesce ancora ad evocarlo. Ci sono dei brividi, come quelli che si provano sotto il sole d'agosto: toccare la massa glieli provoca. E lui, di tanto in tanto, tocca la propria massa, e trema. E' così che si costringe a non dimenticare.

23 aprile 2007

che s'è costretti, lo schifo, ad esalare

"Non ce la faccio", a denti serrati, con la fronte tumefatta dal dolore, avvolta nel sudore, i capelli incollati alle tempie. Contrazioni sempre più frequenti, accecanti e insostenibili.
"Neanche io", trascinando le parole, riverso, bevuto fino al cielo, bruciato dall'alcol e dalla nausea anche nello spazio tra i muscoli e le ossa.
E poi c'è il cane. Bello, alto, bianco, un bastardo a metà strada tra levriero e pastore maremmano. Sguardo intelligente, gli occhi come quelli di Liz Taylor, il ciuffo di James Dean. Il cane sta trascinando lo schifo di materasso su cui sono buttati entrambi. Cinque centimetri al minuto, verso il centro della strada. Ci vuole una piccola pausa per pensare ad un luogo peggiore, più sporco, in cui far nascere un bambino.
Nessuno dei tre, nessuno dei quattro, che possa mettere a fuoco un pensiero in questo momento. Se deve colmarsi la misura, questo è l'istante perfetto. Che finisca come deve finire, ma che finisca adesso.


-Perchè non hai più chiamato?
-Cosa?!? Avrei forse dovuto?
-Beh, sei tu che mi hai chiesto il numero, o no?
-Esatto
-Cosa lo hai preso a fare, allora?
-Per risentirti, mi pare ovvio.
-Eppure non hai richiamato...
-Non credevo ci fosse una data di scadenza.
-Certo sei proprio un bel tipo, tu. Mi sei stato addosso tutta la serata, praticamente ignorando tutti i presenti: e già il giorno dopo, come non esistessi.
-Ti sbagli, non mi sono dimenticato di te; e certamente ti ho pensata.
-Faresti prima ad ammettere che non ti andava di richiamare...
-In parte hai ragione. Vedi: appena qualcosa mi si profila davanti come un obbligo, io divento di pessimo umore. Dalla mattina dopo la volta che ci siamo incontrati, ho iniziato a pensare "forse dovrei richiamarla" e mi è subito sembrata un'azione poco spontanea. Sono rimasto per giorni a oscillare tra la voglia di risentirti e il desiderio di non fare qualcosa per il semplice motivo che "va fatto".
-E sei anche strano forte. Lo sai che io non pensato a tutto questo, ma solo che non intendevi più voler a che fare con me? A chiunque sarebbe apparso evidente che io sono stata il passatempo di una serata. Ti annoiavi e hai trovato qualcuno con cui flirtare un po'.
-Solo se ci vogliamo fermare alla apparenze. E' un po' più complicato di così.
-No, guarda, non è complicato per niente. A me sembra palese. Ti va di rivederci, mi chiami; se non ti va, allora non chiami. Non hai chiamato, quindi non ti andava.
-Non dovresti giudicarmi in base alle mie presunte intenzioni.
-Infatti lo sto facendo sulla base delle tue assunte azioni. Una settimana di silenzio.
-Mi spiace che il mio comportamento ti abbia dato da pensare. Comunque credo ancora di non aver fatto nulla di così grave, che, se deve nascere qualcosa, lo farà anche se scompaio dalla faccia della terra per qualche giorno.
-Ma come potevi aspettarti che io fossi già a conoscenza del modo in cui sei fatto, di questo tuo modo di comportarti? Avresti potuto darmi almeno una piccola spiegazione. Sai che sforzo dire: "faccio qualcosa che potrà apparire maleducato, ma so che tu capirai". Mi avrebbe aiutato a sentirmi meno stupida.
(termina così questo dialogo, privo di una vera) Fine

19 aprile 2007

Breve guida pratica alla felicità scritta in una familiare e convincente seconda persona

Solo due righe per introdurre l'argomento. Non è intenzione di questa guida fornire una definizione o una mappa dettagliata della felicità. L'autore ritiene che ogni lettore conservi la propria nozione di "sono felice" e "non sono felice" e sia in ogni momento ben conscio in quale si trovi. Si cercheranno allora piccoli accorgimenti pratici per minimizzare la percezione del tempo nei momenti di non felicità.

1) Guarda molta televisione
Ricorda: la tua mente è tua nemica. Ogni pensiero formulato equivale ad un possibile momento di felicità che non tornerà mai più. Ti interessa veramente perderne altri? Ognuno di noi, per vivere, ha bisogno di un modello della realtà con il quale fare i conti. La televisione te ne fornisce uno già bello e confenzionato, facile da digerire, senza chiederti nulla in cambio e senza il bisogno di alcuno sforzo critico. Inoltre la potenza ipnotica dei suoni sincronizzati alle immagini in movimento è in grado di alienarti da ogni percezione dolorosa proveniente dalla realtà. (Sostanze psicotrope -alcol, droghe, frittura di pesce- sono promosse come accettabili sostituti del tubo catodico)

2) Leggi il meno possibile ed evita di frequentare persone che non la pensino come te
Non dimenticare: la tua mente è tua nemica. Ora che hai creato la tua fortezza di certezze, non lasciare che qualcosa o qualcuno insinui in te il dubbio. Il mondo è pieno di egoisti che cercano di allontanarti dalla tua felicità per godere della loro. Non permettergli di farti credere che se ci rifletterai su, la tua vita migliorerà. Semplicemente non è vero.

3) Tratta le persone come se non avessero sentimenti
L'empatia è una cosa per mammolette. L'unica cosa che ottieni cercando di metterti nei panni altrui è di soffrire senza motivo quando anche loro soffrono. Al contrario non ha mai funzionato. Quando loro sono felici, si dimenticano di te e tu non riesci a condividere la loro felicità. E, dopo tutto, perchè dovrebbe importartene? Cosa hanno fatto loro per te? Pensi che ci sia qualcuno cui importi se tu sei felice o meno? Là fuori è una giungla, cerca di cavartela e lascia che gli altri se le cavino da soli.

4) Vesti come la maggioranza, parla come la maggioranza, pensa come la maggioranza
Questa è una tecnica che comporta diversi vantaggi. Primo, ti permette di essere accettato facilmente dalla tua comunità, nessuno sarà spaventato da qualche tua possibile diversità. Comunicherai agli altri un'idea di familiarità che incrementerà notevolemente la tua riuscita in campo sociale. Secondo, gli altri ti saranno inconsciamente grati, poichè grazie al tuo comportamento uniforme non intaccherai il loro sistema di certezze (vedi punto uno). Terzo, non avrai bisogno di mettere in moto la mente per compiere scelte, che siano quotidiane o di vita: fa' in ogni circostanza quello che farebbero gli altri e andrai diritto e a colpo sicuro.

5) Cura il tuo aspetto e l'apparenza in modo maniacale
Dare più importanza alla forma che alla sostanza è un passaggio chiave. La maggioranza (4) ti indicherà come muoverti e tu dovrai seguirla alla perfezione. Dovrà diventare la cosa più importante della tua vita e l'unica a cui presterai vera attenzione. Nel momento in cui cosa indossare in una certa situazione diventa più importante della situazione stessa, sappi che sei sulla strada giusta verso la felicità assoluta. E fai attenzione: chiunque ti accusi di essere una persona superficiale è qualcuno da cui tenersi alla larga.

6) Scegli sempre la strada più facile
Non farti scrupoli, è così comodo! Facciamo qualche esempio: Sei accusato di un delitto grave? Da' la colpa del tuo comportamento alla società, tanto lei non potrà difendersi! Sei a cena fuori con una ragazza e sei a corto di argomenti? Falla ridere prendendo in giro le persone meno attraenti di lei, parla malignamente alle spalle degli altri, prenditela gratuitamente con una minoranza qualsiasi oppure metti in ridicolo chi è diverso da voi: lei resterà affascinata! Hai dei problemi di coscienza? Ci sono tante religioni che si offrono di ripulirtela in cambio di una misera ora a settimana da passare seduto su una panca di legno e di una piccola offerta in denaro. Non ti sembra un'offerta troppo vantaggiosa per poterla rifiutare?

15 aprile 2007

Fin da bambino ho bevuto in bicchieri tetradecagonici

Nella sala d'aspetto di un ufficio comunale, sto seduto sopra una panchina di legno compensato e ferro verniciato nero. L'ufficio è chiuso ed io non sto aspettando il mio turno. Le gambe leggermente divaricate, i gomiti appoggiati sopra le ginocchia, la testa tra le mani, le dita tra i capelli, gli occhi chiusi. Contro il muro alla mia destra, riposa un distributore automatico di bibite calde e snack. All'improvviso si mette a vibrare rumorosamente; deve essere il compressore interno che si rimette in moto, servirà a mantenere la corretta temperatura interna. Faccio lo stesso anch'io. Cerco di scuotermi, restando immobile. Ho bisogno di ridare la giusta temperatura ai miei pensieri.
Lo guardo, esso inerme. Dentro, in bella fila, merendine che non avevo mai visto. Non so perchè, mi sembra ci sia un ordine sbagliato in quello che vedo. Il cibo mi è sempre sembrato anarchico, senza regole, accatastato, puzzolente, organico. Ora sembra la falange in formazione di un esercito macedone. La sua disposizione non è naturale. C'è una fila però, che ammicca nella mia direzione. Le schiacciatine al rosmarino. Come al liceo. Ci penso un po' su. 35 centesimi. Ci penso un altro po' su. A28. Infilo la mano in tasca, dove so di trovare qualche monetina (è tutta la mattina che tintinnano là dentro, tenendo il ritmo di ogni mio passo (una seconda parentesi ci vuole, anche solo per dire che è un blues)).
In tasca tocco anche un pezzo di cartoncino spiegazzato. Lo tiro fuori. E' il biglietto di un concerto. Devo essermelo dimenticato: di solito li ripongo tutti insieme, visto che mi piace conservarli. Non c'è scritto di chi sia il concerto, in compenso riporta luogo e data.
Chiedo che sia messo agli atti come prova, Vostro Onore.
Per un istante il termometro scende sotto lo zero, e tutto torna freddo e immobile e vuoto.
L'istante dopo c'è solo una pallina di carta, sul fondo di un cestino dei rifiuti, a far compagnia a bicchierini di plastica, sporchi di caffè istantaneo, e ricordi indesiderati.

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50 cent, 20 cent.

Eseguo.

Un meccanismo a vite compie due rotazioni complete intorno al proprio asse, lasciando cadere due confezioni (mi ricorda un'illustrazione della vite di Archimede di Siracusa, quella per sollevare l'acqua). Il rumore dei biscotti che si spaccano è meno acuto di quanto mi aspettassi, sarà per colpa del vetro divisorio. Non ho per niente voglia di mangiarle ora, e allora le infilo nella tasca della giacca. Ecco, proprio adesso non è il mio turno, non stanno chiamando il mio numero. E' meglio che mi dia una mossa.

07 aprile 2007

Candido, o dell'ammorbidente

Mi piacerebbe sapere come si sposta Alessandro Baricco. Ha una macchina? E che modello? Ha un autista? Si fa accompagnare? Usa l'autobus, o magari va in bicicletta? Prende la metro? Quando si sposta da una città all'altra, viaggia in aereo oppure preferisce il treno? Perchè dal modo in cui racconta le storie si vede che ha un rapporto atipico con le persone. E il modo con cui creiamo relazioni con le persone passa attraverso la gente che incontriamo o con cui veniamo in contatto sui mezzi di locomozione. E io sto ancora cercando di capire se i suoi sono personaggi poetici descritti prosaicamente o l'inverso.

Mi piacerebbe anche vedere come si muove Miss R. Come tiene le spalle quando cammina, insieme alle mani e alla testa. Come guarda gli oggetti e come guarda le persone. Come tiene in mano un bicchiere e lo avvicina alla bocca. Quale strada percorre la sua faccia quando parte da un sorriso e arriva alla maschera della serietà. Quanto dura un suo batter d'occhi. Dove guarda, quando è inquadrata da una telecamera. Se arrossisce. E' un'ossessione passeggera. Completamente asettica. Nessun danno arrecato. Quando gli osservatori rientrano nella casistica della normalità, uno zoo mostra le sbarre come i denti dell'atrocità personificata. Il contrario è il contratto che sono pronto a stipulare per garantire l'incolumità delle mie cavie.

E poi mi piacerebbe perdere la testa. Ridere in faccia al mio ultimo confessore e inginocchiarmi sul legno del patibolo. Ah ci sono agevoli istruzioni: "Infilare la testa nell'apposita fessura". C'è un bambino, tra la folla, che non riesce a tenere gli occhi aperti. La causa è il sole che si riflette accecante sulla lama, mia prossima decapitatrice. E' così bella e pulita e affilata che vien voglia di leccarla o sentirne in filo contro una guancia ispida. Come quella volta, che contro quell'asse da cui spuntavano tre chiodi arrugginiti, spinsi la mano atrocemente e la trapassai e puntualizzai la volontà di dolore e toccai un pensiero intoccabile con un'azione tabù. Eccola, scende. E' gelida ed è solo un attimo. Cade in un cesto e si macchia di sangue arterioso. La grottesca sede del mio Io. Anche se adesso sono un fontanile vandalizzato e arrugginito. Che liberazione. Tutta la vita con questa grumo carnifero che mi pende dal collo e non accenna a guarire. Metastatico, metafisicoideo, metà stitico. La mia impiccagione orizzontale e simbolica. Sotto quest'albero, non cresceranno margherite.

29 marzo 2007

Dell'aria me ne affogo

La storia strana di un uomo che uccide altri uomini
mansueto (qui ci va il grafico spaccato
di un vagone della metropolitana)
alla sua vittima tiene la testa sott'acqua per troppo
troppo tempo
con una mano gli paralizza le mani
con una mano gli somministra
il suo secondo ed ultimo battesimo
con le gambe gli blocca le gambe
con il corpo gli ammutolisce il corpo
"Non ci siamo mai visti prima di oggi
e solo io ti sto volendo veramente bene
adesso amico"
...
"Non sei contento di essere arrivato al
traguardo? Non ti interessa vedere com'è
da qui in poi? Ridi amico che ci sei quasi"
...
"Rimango concentrato sulla mia mano e sulla tua nuca
Rimango concentrato sulle tue vie di fuga
Rimango concentrato a soffocare i tuoi tentativi di fuga
Niente può minare la perfezione del mio gesto
Un errore ed io divento te e tu diventi me
Ed io non voglio essere come te,
mio sfortunato amico"

Io me ne sto dentro il mio buco
amanuense di cosa poi
scrivo il mio codex un paragrafo al giorno
sarà finito per quando avrò i miei capelli indietro
sarò finito per molto molto meno

Non sapevo cosa fare
Allora ho impresso la fronte contro il muro
Segue la corsa in ospedale
(sono arrivato terzo)
Mi hanno dato tre punti di riferimento
gentilissimi

I miei capelli per pennacchio

Le parole se ne stanno tutte buttate lì in terra, sparse e disordinate. Loro sono pesanti, vedo alcune brutte occhiate provenire dal gruppo dei sinonimi di "pesante". Io sono fiacco e svogliato. Piuttosto che raccoglierle ci cammino sopra a piedi nudi. Una si rompe e fa "croc", la guardo ed era infatti un pezzo di "accrocchio". Mi rimangono un paio di parole attaccate sotto i piedi, come "ferrita", "taghlio", "l'acerazione". Sono sporche di sangue, errori da matita rossa. Metto il piede sinistro sopra "incautamente" e con quello destro calpesto "scivolare". Un'altra parola si incastra tra quelle che ho già attaccate sotto i piedi, credo sia "tetano". Metto in fila mille parole e poi prendo la prima e la porto in fondo e ripeto ad libitum. Raccolgo "via" che è una parola piccolina e delicata e mi sta facilmente nel palmo della mano. Me la metto in tasca. Io e la processione di parole ce ne andiamo.

23 marzo 2007

La contingente lotta tra Qui e Adesso

Cavalcare tori meccanicistici.
Riprendere il controllo.
Leccare l'interno di una scarpa e salivare copiosamente.
Avere un occhio nero e uno bianco.
Spiare le grate metalliche da sottoterra.
Piantare stelle alpine nella steppa.
Assomigliare a Shirley Manson, ma con p+ù trasparenze.
Mappare la trasformazione da zebra a mucca e ritorno.
Rimanere seri al telefono.
Cancellarla di nuovo.
Gonfiare palloncini fino a quando fanno male le mascelle.
Mettere in fila il giallo, il magenta, il nero e il grigio azzurro.
Incrociare le braccia per sfruttare assieme il linguaggio del corpo e la psicologia inversa.
Parlare a cena del test di Turing.
Spiegare un acronimo.
Scrivere sulla schiena di qualcuno come fosse una tastiera.
Disturbare la percezione del proprio corpo con rombi ed ellissi, ma soprattutto rombi.
Credere di essere i primi ad immaginare la bicicletta con la retromarcia.
Filtrare la luce con della cartilagine, ad esempio dell'orecchio.
Trovare l'alfa e l'omega in una salsiccia abbrustolita, adagiata su un letto di purea di patate.
Indossare la compassione con criterio.
Mettersi nei panni di qualcuno che è nudo.
Trattare gli oggetti come persone.
Liberaci dal male, in cambio di 5 talebani.
Cowabungalow.
Aspettare la propria stazione avendo gli occhi verdi.
Affitta allo stomaco.
Soffitto di cipolle.
Perchè tra il sì e il no, vince il sì.
Ma con un colpo di coda, far vincere il no a tavolinetto. Divanolinetto. Diavolometto?
All'ego non basta una sedia, pretende un divano.
C'è un regista teatrale che si chiama con un certo nome, che è proprio il suo. Il suo più grande problema attualmente è una attrice teatrale, che anche lei ha un certo nome, ma che non è proprio solo il suo perchè lo stesso nome ce l'ha anche un'altra, che però non fa l'attrice, ma è teatrale lo stesso. Beh, c'è questa scena in cui l'attrice dal nome proprio comune deve infilare le mani in una cesta piena di segni e messaggi raccolti nei letti del mondo. Capelli, brandelli di pelle, sopracciglia, macchie di sangue, di sperma, di urina, di saliva, peli di gambe, pezzi di unghie. E l'attrice interpreta la scena sempre con disgusto. Il regista invece si aspetta meraviglia e delirio.
Tatuare nel braccio interno l'atlante delle tempeste, degli assiomi, dei fuochi d'artificio, delle crociere, delle inondazioni, dei fori nelle orecchie, dei liquori clandestini, delle funzioni d'onda, dei denti devitalizzati, della mineralizzazione, delle armi da fuoco da terra da acqua da aria, delle schiene incancrenite, degli errori di grammatica, dei capelli rossi, delle foto sparse sopra un tavolo da biliardo, delle vesti di marche che imitano altre marche più costose ma che non ti puoi permettere e che scuci e ricuci di notte per farle sembrare sempre diverse, della ruggine sulle portiere delle automobili, delle tecniche giapponesi per disegnare i gatti, dei ragni soffiati via dalle loro ragnatele, delle scale metalliche che collegano esternamente i piani di tutti e solo gli edifici rossi, dei finti mal di testa per non andare in cielo, delle scelte sbagliate nell'accostamento dei colori, nelle notti in cui la fase della luna non ha un nome, delle vignette politiche che non fanno ridere, dei disegni fatti cambiando la direzione della peluria sul velluto, dei decessi programmati con ottimistico anticipo.
C'era una volta una principessa, ma era morta due anni prima.
L'amore per la logica produce lussuria per la meccanica.

22 marzo 2007

Mixtape n.4

Crime and The City Solution - Six Bell Chime
Rolling Stones - Ruby Tuesday
Nine Inch Nails - Hurt
The Beatles - Eleanor Rigby
Verdena - Non prendere l'acme, Eugenio
Verdena - Trovami un modo semplice per uscirne
Tre Allegri Ragazzi Morti - Il mondo prima
Tre Allegri Ragazzi Morti - Ninnanannapernina
Delicious 69 - La solitudine
Pennywise - Stand by me
The Go! Team - Get It Together
Evanescence - Lithium
Brad Mehldau - Intro
HIM - Killing Loneliness
Penguin Cafe Orchestra - Telephone and rubber band
Penguin Cafe Orchestra - Music for a found harmonium
Penguin Cafe Orchestra - Perpetuum Mobile
Sparklehorse - Wish you were here
Lost Prophets - Rooftops
Finch - Ender
Oasis - Whatever
Air - Le soleil est pres de moi
Air - All I need
Mates Of State - Nature and wreck
Bad Religion - Los Angeles is burning
Radiohead - Fake Plastic Trees
Radiohead - High and Dry
Blackfield - Once
Bear vs Shark - Kylie
Bear vs Shark - MPS
Bear vs Shark - Second
All About Yves - Fuck a loop instrumental
Caspian - Some are white light
Boards of Canada - Dayvan Cowboy
And You Will Know Us By The Trail Of Dead - Wasted state of mind
Genghis Tron - Rock Candy
Silversun Pickups - Melatonin
Explosions In The Sky - The only moment we were alone
Explosions In The Sky - The birth and the death of the day
Elliott - Calm americans
Lucio Dalla e Tiromancino - Come è profondo il mare
Daniele Silvestri - L'uomo col megafono
Brian Eno - By this river
The Appleseed Cast - Convict
The Appleseed Cast - Signal
The Album Leaf - Over the pond
The Weakerthans - Left and leaving
Mogwai - Take me somewhere nice
Babyshambles - Sedative
John Lennon - Instant Karma
Mr Phil Feat. Danno - Fango e piombo
Verbena - Baby got shot
Lou Reed - New york telephone conversation
Fort Minor - Remember the name
Jay Z - 99 problems
Arab Strap - Speed Date
Giorgio Canali - Precipito
Regina Spektor - Hotel Song
Stereophonics - Mr. Writer
Radiohead - Sit down, stand up
Tom Waits - You can never hold back spring
CSI - Intimisto
The Office (US) Theme Song
Tiziano Ferro - Ti scatterò una foto
John Murphy - Who are you
Norma Jean - Like swimming circles
Norma Jean - No passenger no parasite
Grandi Animali Marini - Tu mi fai stare male
Grandi Animali Marini - Io amo il rock
Damien Rice - 9 Crimes
Damien Rice - Me, my yoke and I
Elisa - Eppure sentire (un senso di te)
Deftones - Cherry Waves
My Chemical Romance - Welcome to the black parade
Ben Harper - By my side
Keith Jarrett - Carnagie Hall Concert Part IV
Keith Jarrett - My Song
Keith Jarrett - True Blues
Marta sui Tubi - Vecchi difetti
Marta sui Tubi - Post
Marta sui Tubi - Sei dicembre
Marta sui Tubi - L'abbandono
Marta sui Tubi - Via dante
The Shins - New Slang

19 marzo 2007

The twilight salad - Un'insalata al crepuscolo

Simul - acre
Sono così bravo a fare finta. Ipotizzo e temo che la mia faccia possa rivelare quello che vorrei dire veramente ma non dico: con un'occhiata sbagliata ad esempio, oppure alzando un sopracciglio nel momento meno adatto. Ma poi in un riflesso mi riconcilio con il me inespressivo, e non è più un problema. Spuntano come "fingo" dopo un temporale.

Dentro vs Fuori
A guardare la gente dall'alto, si vede che intorno ha un cerchiolino sottile. Avrà 80 centimetri di diametro e dovrebbe essere violetto. Un rapporto tra due persone è isomorfo ad un trattato rinascimentale sulle fortificazioni e le tecniche di assedio. "Fare breccia nel cuore di" è una metafora che non vuol dire niente. "Fare breccia nel suo cerchio viola", invece. Disadatto è l'equilibrata miscela tra inadatto e disadattato.

Così come il cibo, può avanzare anche un po' di fame
Se ti chiedo di andare via è perchè mi interessa sentirti rispondere no. Rassicurato sul tuo desiderio di restare. Siediti sul letto, perfavore, che ti scatto un po' di foto. Nella prima sfogli una stupida rivista. In una nascondi il naso in una tazza nera di ceramica, è la tua preferita e stai bevendo. In un'altra ti stai infilando un paio di calze veramente brutte e indossi un berretto militare, una scena ridicola e maliziosa.

Ci sono uno messaggi in attesa
"Buongiorno. O buonasera, a seconda delle circostanze. Sempre circostanze attenuanti. A rispondere è la segreteria telefonica attiva al numero di telefono che avete appena composto. Ovviamente non vi dirò chi sono, visto che, se riconoscete la mia voce, vuol dire che avete composto il numero corretto. Se mi riconoscete, ma non avevate intenzione di parlare con me, vuol dire che avete digitato il mio numero sovrappensiero e quindi avete una piccola ossessione nei miei confronti; e la cosa un po' mi lusinga, grazie. Ora, se avete qualcosa di breve ed interessante da dire, potete farlo lasciando il prevedibile messaggio dopo il prevedibile bip. Addio."

15 marzo 2007

"Va tutto bene" per sufficientemente circoscritte definizioni di "tutto" e "bene"

Con la faccia gonfia, le labbra che sembrano modellate con la sabbia e in bocca il sapore del fiele. Amaro e organico, la mia bile deve avere questo sapore. Vado fuori e in tasca ho una banconota da 5 euro, una moneta da un euro, una da 50 centesimi e una da 20. Insieme mi garantiscono un certo numero di combinazioni, e tutte insieme mi pare che bastino. Gli ascensori sono strani animali, figli di cabine telefoniche mute e piccole case di scena, tirate su e giù al passare degli atti, da lavoranti del teatro, legate a sacchi di sabbia. Ancora la sabbia. Entro nel mio, di ascensore, e mi ci chiudo dentro con 4 gesti automatici. La mia interpretazione in onore dell'efficienza dei movimenti, che lo spreco di energie ci perdoni. Premo il bottone numero cinque, sul quale è comprensibilmente intagliato un "4" senza grazie.
E non succede niente, perchè sono già al quarto piano.
Io volevo scendere.
Così la mia serie di movimenti pianificati e ingegnerizzati la posso buttare nel cesso e tirare la catena. Mando innocentemente una maledizione mentale allo scrittore di logiche per ascensori, ma è una debolezza che dura solo un attimo. Dipendesse da me, se uno che si trova al quarto piano preme il tasto del quarto piano, vuol dire che si è palesemente ingannato e intendeva dare il comando per scendere a terra. Tanto più se il quarto è incidentalmente anche l'ultimo dei piani raggiungibili con l'ascensore. Ma non fa differenza. Chiunque, tornando a casa la sera o uscendo la mattina per andare a lavoro, potrebbe azionare il meccanismo d'ascensione premendo sempre e solo un tasto.
Adesso sono fuori ed è questo l'importante.
C'è ancora luce in strada, ma l'illuminazione notturna è già stata messa in funzione.
Mi piace tantissimo quand'è così. E' una sensazione estiva e solitaria, una di quelle che anticipa una stagione che sta per dischiudersi.
Quando non riesco a dormire, metto la testa sotto il cuscino, sopra il materasso. Il peso è gentile e mi rilassa. Direi che è come essere accarezzati dalla privazione dei sensi. Con la testa sopra il cuscino, invece, si hanno strane visioni. Quello che si vede tenendo aperto un solo occhio, scompare quando si apre solo quell'altro. E tenendoli aperti entrambi, un po' si vede e un po' no. Da bambino, uno potrebbe anche pensare di avere il potere di vedere attraverso gli oggetti, ma solo nel dormiveglia. Una sorta di vista a raggi ICSonnoliti.
E poi era ieri che ti aspettavo in piedi e mi guardavo intorno. Mi sono scelto un angolo di marciapiede.
Nella macchina che mi era parcheggiata di fronte c'era una farfalla di carta, posata sul cruscotto.
Le luci sulla strada erano appese a cavi tesi tra i palazzi ai due lati della strada. E in corrispondenza di ogni luce, sul muro una targhetta numerata, e un numero di telefono da chiamare in caso di guasto. Un giorno andremo in caccia di lampioni guasti e potrò togliermi la soddisfazione di sentire chi risponde a quel telefono.
Il cinema ha un'insegna luminosa che sarà larga al massimo un metro e mezzo. E si ostinano a scriverci il nome completo del film proiettato, su una sola riga. E' divertente vedere quanto si possa far dimagrire una lettera. Un giorno ci andremo a vedere un film dal titolo incredibilmente lungo. Un altro giorno.

11 marzo 2007

Questo è l'inferno e quella la porta: sei pregato di uscire

Lo sguardo arriva fino ad un determinato e preciso punto, ma crede di abbracciare qualunque cosa. Di questo inganno è figlia la supposizione che tutto si riduca ad una distesa di onde. Che si agitano, si toccano, si spintonano l'un l'altra. C'è veramente tanto che viene sospinto in superfice, ma ancora di più è quello che scorre sotto, sul fondale, velocissimo.
Eravamo abbracciati alla stessa piattaforma; io sono stato il primo ad andare sotto. Per un'ora, o quella che mi è sembrata lunga un'ora, sono riaffiorato e ridisceso, in ripetizioni mai uguali e mai intenzionali. Lottavo sì, ma ne' per galleggiare ne' per affondare. Alla fine le onde hanno sedotto anche te, ti hanno risucchiato via: hai provato ad affogare ed ha funzionato. "La sensazione di una morsa" e invece stavi solo soffocando.
Se solo tu riuscissi a restare qui sotto con me, nuoterei con te fino in fondo. Invece mi hai stretto un'ancora intorno al collo e hai riso. All'inizio credevo anch'io fosse divertente, e ho riso con te. Ma tu hai continuato a ridere e io ad andare giù. E più andavo giù e più il tuo riso era macabro. E' stato il nostro ultimo scambio di regali: io ti ho dato follia, tu inevitabilità. Quello che non ti ho detto: il solo punto di fuga è il più profondo possibile. Grazie a questo gentile scambio di prospettive scorrette, adesso nessuno dei due potrà raggiungerlo e attraversarlo e mettersi in salvo. Se vuoi tornare su, devi andare giu. E' così semplice che non ci siamo arrivati nè io nè te, nè ci arriveremo mai. Strano modo di esaudire un desiderio.

E' allo stesso tempo diabolicamente ironico e terribilmente triste che, sullo stesso pianeta, il paese più povero abbia troppo poco cibo per garantire la salute della sua popolazione e il paese più ricco troppo cibo per garantire la salute della sua popolazione. Più triste che ironico, però.

Quello NON è un pontile. E' un ponte, a tutti gli effetti. Non cercate di convincermi del contrario. E' stato progettato e costruito da un visionario, una persona che non si è lasciata fermare da secondari dettagli tecnici, come la mancanza di una riva opposta. E' successo che quello che gli altri guardano è uscito dai miei occhi, e ho potuto vedere, per una marginale frazione di tempo, la realtà denudata dai preconcetti dell'abitudine e dall'assuefazione. Non ho bisogno di crederci, ho solo osservato. Se ci sono rive che aspettano di essere raggiunte da un ponte, allora ci possono essere ponti che aspettano di essere raggiunti da una riva.

08 marzo 2007

In morte di Bob la spugna

Non un'altra stupida metafora sulla vita, per(perfavore)favore. Le tasche dei pantaloni. Serve una scelta attenta su cosa infilarci. Cosa potrebbe servire, in molte occasioni ma non in tutte. Ci infili troppe cose e rischi di apparire ridicolo. Le lasci vuote e finisce che ti trovi senza soldi, chiuso fuori di casa, senza telefono. Poi conviene mettere sempre le stesse cose nelle stesse tasche, che se vengono a mancare te ne accorgi con una strana sensazione. Ma ogni tanto è bene anche cambiare, per il gusto di farlo. Non si possono mettere in tasca le penne, che bucano e macchiano e scoppiano e macchiano. (sono due tipi di macchie diverse). Il piccolo taschino sopra la tasca anteriore è comodo per tenerci dentro le monetine da pochi centesimi, tranne quando ti fanno male le dita e allora tirare fuori qualcosa da lì può diventare un'operazione spiacevole.

Mi ero abituato a pensarti come a quelle carte che si mettono in orizzontale quando si fa un castello di carte. Mi interessa il giudizio di una persona fino al momento in cui arrivo a conoscerla bene, il punto dove so le sue debolezze o difetti e trovo un motivo per cui il suo giudizio non mi interessa più. Faccio ombra col corpo per colpa di una eclissi auto-inflitta. Dopo aver scritto la tua parola preferita, riempine le lettere con un colore pastello. Poi inspessisci i bordi e colorali di nero. Al posto del puntino, sopra la i, fa un piccolo disegno. Distanzia le lettere. Al posto di qualche vocale, mettici una stella. Non è meglio, così? Dicono che quando si fa una domanda ad una persona, questa sposterà lo sguardo alla sua sinistra richiamando un ricordo del passato, a destra invece se cercherà di inventare una bugia. Inoltre, in un ritratto, il soggetto guarderà a sinistra pensando al passato, a destra pensando al futuro, in alto se i suoi pensieri sono positivi, in basso se sono negativi. Adesso dovresti guardarmi e dirmi dove sono.

Riprendere violentemente coscienza sotto una valanga di sabbia, forse ancora vivi. Il corpo è immobilizzato e la pressione sembra voler schiacciare il petto come la corazza di un insetto. Gli occhi e la bocca e il naso e anche le orecchie sono piene di sabbia e bruciano e sono ferite e insanguinate e ogni movimento aumenta il dolore, che arriva a ondate e pulsante. Ci sono ferite ovunque che come sorgenti bagnano di sangue la sabbia intorno, che diventa calda e appiccicaticcia. Tentare di scavare si rivela uno sforzo inutile, perchè le unghie si spezzano ed ogni centimetro conquistato si riempie subito con altra sabbia. Ad ogni nuovo tentativo, la sabbia sembra sempre più pesante e compatta, e lo sforzo per attaccarla sempre più un ostacolo troppo grande. Dopo pochi minuti i più grandi rimpianti sono l'ossigeno e il senso dell'alto e del basso. Non c'è mai stata luce, ma adesso, che è quasi la fine, si percepisce che è lei che sta andando via. Che ne dovrebbe essere adesso dei sentimenti e delle emozioni, quando la luce non c'è più? E dei ricordi e del passare del tempo? Niente, non ce ne facciamo niente. Qui sotto è come la morte, tranne per la parte che fa ancora male, come la vita. Per(perfavore)favore, non un'altra stupida metafora sulla vita.

04 marzo 2007

Camponero

Un mostro viene oggi a graffiare il sonno dell'infanzia remota. Ha due teste, che si guardano negli occhi, che spuntano entrambe dallo stesso ammasso di carne. Una testa ha in testa capelli rosa lunghi e lisci, occhi azzurri, e una bocca di metallo. L'altra testa di carnagione e pelo scuro, soffia dalle narici vapori mortali. Il corpo è ricoperto di squame verdi e costellato di fauci aggiuntive che si aprono in mezzo alle membra. Sono rivestite di 3 fila circolari di denti triangolari e seghettati. Ne penzolano 117 paia di piedini da neonato ricoperti da scarpine di lana da neonato, cucite a mano con fili bianchi e neri.

Da piccolo fantasticavo di avere un ufficio. Da grande fantasticherò di non avere un ufficio.

Le nuvole sono bianche. Vagano per il cielo che è bianco e coprono il sole che irradia la sua luce, bianca. Passa uno stormo di uccelli dal piumaggio bianco, col becco e le zampe bianche e se da quaggiù riuscissi a vederne le pupille, giurerei che sono bianche. Le foglie dell'albero sotto cui mi sono seduto sono bianche e attaccate a rami bianchi che si staccano dal tronco bianco. Scavando via un po' di terra bianca troverei le radici dell'albero che si infilano bianche sempre più in profondità. Anche la sete dell'albero è bianca.
La mia pelle diventerebbe sempre più bianca stando alla luce del sole, ma preferisco stare nell'ombra bianca di questo albero. Mentre ti avvicini correndo, calpesti l'erba bianca e intanto l'abito bianco che indossi si anima di vita propria e mi saluta affettuosamente. Metto da parte i fogli bianchi che mi sono portato da leggere e ti guardo avvicinarti e allontanarti. Inizio a percepire il formicolio di tante zampette che mi corrono lungo le gambe. Con un gesto della mano scaccio qualche strano insetto bianco. Chiudo gli occhi e tutto fa finta di scomparire. Vengo disarcionato dai miei stessi pensieri. C'è solo tanto nero, completamente bianco.

01 marzo 2007

Alti e bassi dell'esperienza allucinatoria (e anche il pistacchio, certo)

Continuano ad arrivare telefonate destinate ad altri apparecchi telefonici. La giornata scorre in modo inverosimile, interrotta da sconosciuti che non vogliono parlare con te. Provi lo stesso un certo astio per colui che si presenterà sulla soglia della tua abitazione, identificandosi come "il tecnico dei telefoni". Potrebbe essere uscito di fresco da un racconto pseudo-pornografico di terza categoria. Ti rivengono in mente tutte quelle riviste al limite dell'insulso che qualcuno della tua famiglia usava comprare in estate, da sfogliare in mancanza di meglio da fare: Stop, Grand Hotel, D con Repubblica. I fotoromanzi erano qualcosa di volgarmente spettacolare. Poi quei piccoli racconti romanticoidi da due, tre paginette. Qualche volta hai pensato che da grande saresti potuto essere uno scrittore di soggetti spazzatura, pagato un tot a parola. Uno di quelli che stanno sempre scrivendo il loro capolavoro. Beh, in un certo senso sei già così. Va bene, non nel campo della scrittura, ma che importa? Hai sempre pensato che accumulare potenzialità inespresse fosse esteticamente corretto, no? E adesso perchè ti lamenti, eh? Che schiappa che sei. Vai via.

25 febbraio 2007

Il bene e il meglio e il male e il peggio escono insieme per un picnic

Due forze negative opposte si incontrano, si stringono la mano, si piegano ad un volere superiore e firmano insieme una lettera di dimissioni. Le motivazioni dei rispettivi psicologi curanti preoccupano più per la grammatica che per la chiarezza di pensiero. Un'allenza scritta molto simile ad una palude. I pensieri stratificati prendono l'aspetto di un progetto ben pianificato, mentre in realtà sono solo coincidenze, pure coincidenze. Possiedo dei pensieri che migrano nelle stagioni fredde verso territori più caldi, territori più a sud. Non li vedo per un certo periodo di tempo e poi rispuntano insieme a certe esternazioni del termometro. Qui abbiamo chiaramente un problema di stima del danno: il problema è che non c'è nessun danno e quindi non serve alcuna stima, nè attestati di. Potrebbe sembrare un girotondo ma anche un inseguimento in cui l'inseguito non si distingue dall'inseguitore, e ci si dà la mano per non rompere l'illusione. C'è un nucleo e una particella che ruota intorno al nucleo, ma non si sa chi è chi. Suppongo che il primo che va a sbattere e si procura una significante quantità di dolore da contatto può esternare senza remore: "ero io che mi stavo muovendo".

Oggi niente storia, mi dispiace.

Io non indosso cravatta, ma se la indossassi avrebbe sempre una coda più lunga dell'altra. Che è come dovrebbe essere, ma le mie sarebbero sbagliate per partito preso. E qualcuno che dimostra meno anni della sua vera età e ha i capelli che sono un gran casino. Ed è una buona cosa. Le bottiglie di birra spuntano e crescono spontaneamente ai bordi delle spiagge tropicali e saltuariamente arriva portata dalla corrente una palma che contiene un messaggio d'aiuto. O d'addio. Tonno e fagioli non si raccoglie bene con la pinza per l'insalata. Ciotole decorate e i cucchiai abbinati. La moquette alle pareti e tavole di legno inchiodateci. Sopra le tavole, raffigurazioni monocromatiche di animali da fattoria: un'oca verde ad esempio. Scrivere tutti i segni d'interpuntazione che conosco uno accanto all'altro e chiedersi come si pronunciano; o che faccia dovrei fare recitandoli. Secondo me ogni punto e ogni virgola e punto esclamativo e due punti corrisponde ad una precisa configurazione di sopracciglia e angoli di bocca. Una sola coperta a coprire tutto il letto. La coperta è decorata con quadrati. Sedercisi sopra a gambe incrociate e a piedi nudi. Una posizione scomoda ma molto illuminante. Tenendo le ginocchia contro il petto aumento la mia capacità di riflettere di un tanto percento. Come potrebbe essere stare sul bordo di una voragine molto profonda, senza protezione? La gente crede a quello che dico e si forma un'opinione di me in base a questi elementi. E' un gioco ed è il motivo per cui non credo a quello che la gente dice. Alcuni punti non importanti, non ordinati:
1) Ci sono delle lacune nelle mie conoscenze e nella mia capacità di comportarmi, ma non sono qualcosa che accetto. "L'importante è essere se stessi" è solo una grande scusa tonda che è piacevole da far rotolare in pianura.
2) Guarda il sole direttamente e potresti danneggiarti gli occhi. Suona come una sfida.
3) Ciano è un bel nome. E' il corrispettivo maschile di Celeste.
4) Sarebbe bello ricevere in regalo uno strumento a fiato e avere la testa rasata.
6) Manca il punto 5.
7) Il mio nome è strano. Anche tutta una serie di cose altre sono strane. Ci deve essere un collegamento.
8) Cambiamo le regole della logica e vediamo cosa succede?
9 e ultimo) C'è questa immagine in cui a cominciare da lunedì ogni giorno è sul gradino superiore di una scala. Poi il sabato cade dalla scala, domenica giace a terra per un po' e poi ricomincia un'altra scalinata.
A chi, avendone il potere, non ti obbliga a vestire in un determinato modo, cosa dai in cambio? Manuali che insegnano ad avere successo. Una volta ad una cena con amici c'era una ragazza con un trucco "dark", tipo tanto nero intorno agli occhi. Qualcuno la derideva un po'. Io penso che renda chiunque più attraente, e l'ho detto ad alta voce. Ma credo sia suonato più come un'altra derisione che come un complimento. Trovare la morte in un incidente diplomatico. Quando è stata inventata la vasca con le palle in cui si mettono ad annoiarsi i bambini? Nomi di colori didascalicamente indipendenti: Blu singhiozzo di pesce, oppure nero violenza domestica. E quando in una clessidra anche l'ultimo granello di sabbia sia disceso nella metà inferiore, è allora che si ha la certezza che una promessa non è stata mantenuta.

22 febbraio 2007

La famiglia degli oboi

Sono dentro. Guardo fuori, fuori è buio, dentro è accesa la luce. Di fuori sono accese le luci di altri dentro. Io col naso contro la finestra. La mia parte tangibile si riflette nella parte nera di un fuori e ha la barba vecchia di tre giorni. Respiro addosso al vetro e si condensa una macchia d'anima grigia a forma di cuore. Cuore il muscolo, non il simbolo. Sono dentro. Io sono la falena - che picchia contro il vetro - che sbatte le ali sfrenata e inebriata dalla luce - che cerca di entrare: come se da questo inutile varco dipendesse la sua sopravvivenza o un orgasmo, che poi sono la stessa cosa. Io la falena mi sbaglio quando formulo pensieri sulla luce e sulla vita. Sono dentro. Sono dentro che guardo fuori e fuori che muoio di volare dentro. Ora dentro è acceso un buio che non assomiglia a nessun altro buio. Sono fuori.


Parte da una vecchia foto. C'è lui e il gruppo dei suoi amici, risale ai tempi del liceo. Una foto di gruppo, scattata in un parco della città in cui abitavano tutti.
Qualcuno cerca di aiutarlo a capire, affinché sia felice. Gli chiedono: "Chi vorresti che tu sia?".
Inizia tagliando via lo sfondo. Poi, con una punta di metallo, gratta via i suoi amici. Lascia solo sè stesso e lei, in questa sorta di alone bianco.
Per lungo tempo, ogni volta gli venisse rivolta questa domanda, lui capiva: "Chi lei vuole che tu sia?". Era un interprete invisibile, che traduceva a sua insaputa ogni parola egli udisse.
Con un pennarello nero indelebile cancella il proprio volto, le mani e tutta le parti esposte del suo corpo, quelle non protette dai leggeri vestiti estivi.
Accadde un giorno, e fu un solo istante, che egli intravide l'ombra di questo oscuro traduttore; e si accorse di quanto fosse tardi.
Strappa via la figura di lei. Inizia a piegare questo frammento a metà, poi ancora e ancora.
Imparò così quanto la lingua parlata da questo osceno e indecifrabile individuo fosse ancora bizzarramente discordante...
...che fino ad allora non aveva fatto altro che ripetergli "Chi saresti se lei ti volesse?"
Rimane un centimetro quadrato della pelle di lei, in scala 1 contro 22.

18 febbraio 2007

Il ricordo della linea di contatto tra il mio orecchio destro e la tua schiena

Mia quando si alzava di pomeriggio. Indossando le stesse cose nelle quali si era già svegliata e addormentata e svegliata di nuovo, usciva dalla camera da letto e a piedi nudi entrava in cucina. La luce del sole che entrava in casa loro, attraverso le spesse tende chiuse di pomeriggio, che aveva un aspetto diverso dal solito. Come se si appoggiasse su quei quattro mobili spelacchiati, invece che caderci sopra con la solita pesantezza. Forse la luce era veramente diversa, o forse era solo un'impressione: lo smarrimento di quando ci sveglia nel cuore del giorno. Mia che si avvicinava al piano del cucinino. Faceva riscaldare una teiera d'acqua sul fuoco e, posato il filtro di carta sulla sua tazza, lo riempiva di quella miscela di thé così amaro e scuro. Guardava il disordine con gentilezza: i piatti da lavare vecchi di tre giorni e accanto la spugna (una di quelle con un lato verde, più ruvido dell'altro); i cartoni vuoti di succo di frutta e le buste della spesa ancora non svuotate del tutto. Mia che saltellava da un piede all'altro sulle mattonelle fredde, in attesa che l'acqua raggiungesse una buona temperatura; I piedi di Mia, decisamente piatti e con le dita piccole e rannicchiate. Le unghie delle mani di Mia, mangiucchiate e smaltate con più ironia che malizia. Mia che versava lentamente l'acqua sulle foglie di thé triturate. Cos'altro si ricordava di lei?
Una cosa ancora: Quando si faceva il bagno ed infilava tutto il corpo sotto il pelo dell'acqua. Rimanevano fuori appena i suoi occhi lisci; che si facevano completamente scuri, velati, come si riempissero di petrolio. E a guardarci dentro, volute iridescenti. L'ultima cosa che gli aveva detto era stata: "Smettila di dire sempre -se c'è una cosa che odio-. Smettila di dimenticare tutte le cose che hai già odiato e che odierai. Credi ancora di essere ragionevole? Se solo non fossi così pieno d'odio e di dimenticanza."
Sì, proprio l'ultima.
Dopo c'era stato tanto silenzio invece, e poco d'altro.
Ma soprattutto frasi non dette e piante appassite.

15 febbraio 2007

Quest'anno mascherati da Panda Molestie Sessuali

Quando si presenta un problema, trovare la soluzione non basta. Ci sono sempre almeno due operazioni da svolgere: individuare la causa e scongiurare il ripetersi. L'eleganza di una soluzione consiste nel ridefinire tutta la procedura in modo da eliminare la causa, in modo che la seconda operazione segua naturalmente. Se necessario, anche attribuire responsabilità personali. Il modo sbagliato di affrontare una difficoltà è quello di "mettere una pezza". Ignorare l'origine di un problema e complicare la procedura in modo da arrivare ad un compimento efficace anche in presenza della causa d'errore. E generalmente il risultato che si ottiene in questo modo non è altro che quello di fare due volte il lavoro: la prima volta sbagliando, la seconda volta in modo corretto.

Credo che, invece di "coriandoli a natale", il titolo originale fosse "cavoli a merenda".

Idea per un fumetto di San Valentino:
Lui arriva sotto casa di lei.
Guarda in alto trasognato.
Nei suoi occhi cuoricini al posto delle pupille.
Lei si affaccia dall'esagerato-esimo piano e lo vede.
Intorno alla testa di lei cuoricini come bolle di sapone, alcuni scoppiano facendo POP.
Lui tira fuori una bomboletta spray.
Le scrive sul marciapiede "PROVIAMO A VOLARE".
Spazio bianco.
Primo piano sulla faccia di lui, sconvolta e distrutta.
Inquadratura del corpo di lei precipitato e fracassato sul marciapiede, in una pozza di sangue, cervella e interiora.

13 febbraio 2007

La troppo poca lisse: peripezie con l'accento sulla seconda e

Stamattina sono andato a lavoro come al solito ma niente di che... a pranzo ho cenato da solo con mio padre; poi oggi pomeriggio invece di andare alla posta ho fatto una passeggiata col cane. Stasera sono andato a basket con il mio amico Marco. Adesso ho finito di mangiare e mi metto a guardare un po' di tv.

11 febbraio 2007

Dormimmo in un hotel alla periferia di Adelaide

All'interno dell'occhio, sulla retina, ci sono due tipi di cellule fotorecettive: coni e bastoncelli. I coni permettono di vedere i colori, ma hanno bisogno di certa quantità di luce, mentre i bastoncelli percepiscono anche a basse intensità, ma non i colori. Al centro della retina c'è una zona chiamata fovea, nella quale c'è un'alta concentrazione di coni. L'elaborazione ad alta risoluzione delle immagini avviene lì. Questo spiega perchè di notte, guardando un cielo stellato, le stelle al centro del campo visivo sembrano scomparire mentre sono più brillanti ai lati. (A me, ad esempio, capita, spegnendo la luce per mettermi a letto, di riuscire a intravedere con la coda dell'occhio una leggera luminescenza della lampadina appena spenta, luminescenza che scompare appena guardo la lampada direttamente). Un'altra caratteristica della fovea è quella di essere praticamente priva di coni per la visione del colore blu. Per questo motivo è molto difficile leggere un testo di colore giallo chiaro su di una pagina bianca: l'unica differenza tra quei due colori è la quantità di blu. Ed è per lo stesso motivo per cui l'evidenziatore giallo funziona così bene: cattura l'attenzione sfruttando la visione periferica che riesce a "vedere" il blu; quando poi si sposta lo sguardo sulla parte evidenziata, ed entra in azione la fovea, il contrasto giallo/bianco diventa poco percebile e non intralcia la lettura.

Oggi, domenica undici febbraio duemilasette. Molti pensano che oggi sia stato preceduto da sabato dieci febbraio duemilasette, comunemente detto ieri, ma solo per oggi. E molti hanno ragione. Quella dei giorni è una serie. Quindi ogni giorno può essere visto come un elemento di una lista infinita. Per comodità di analisi noi riduciamo il sistema osservato: per un giorno, ci sono un giorno precedente e un giorno successivo. Così ogni caratteristica che si può dedurre per un giorno con queste caratteristiche, si può dedurre per ogni altro giorno. Per induzione, cara. Ora, consideriamo la sequenza di questi tre giorni come una sola entità, con oggi non distinguibile da ieri o da domani. Il nostro "esserci" sarebbe adagiato in questi tre contenitori e ne prenderebbe la forma come se fosse acqua. Il problema della percezione del qui ed adesso si può così ridurre ad una questione geometrica, la sezione generata dall'intersezione tra questo oggetto temporale e un piano perpendicolare alla direzione del tempo. Questa osservazione però comporta dei problemi di linguaggio: quello che noi chiamiamo "scorrere del tempo" sarebbe una percezione generata da una osservazione effettuata da un punto di vista che trascende il tempo stesso e lo deduce da qualcosa che tempo non è. Le implicazioni sono innumerevoli. Ma quello che volevo dire è che sono già le sei e tra poco è di nuovo lunedì.

09 febbraio 2007

Esco dal tunnel e la pioggia sul vetro è come una malattia della pelle in avanti veloce

Questo post è lasciato inintenzionalmente bianco.







Lo si consideri riempito con tutti i sinonimi di nulla; scelti tra i possibili, ma soprattutto tra gli impossibili.

06 febbraio 2007

Le mie labbra si sono addormentate

...e ho perso fiducia nell'aiuto del pubblico.
Introduzione melodica, ingredienti per due persone, condire con rumore a piacimento.
Non sono che frazioni trascurabili dell'unità di tempo, quelle in cui io mi trattengo immobile. Non sono modellate con le stesse particelle dell'aria, perchè non le respiro. Sono come flussi, campi invisibili, che mi attraversano quasi fossi a loro impalpabile e ogni volta abbandonano o portano via qualcosa. Invece di doni, pedaggi. Dovrei essere sollevato quando tutto questo accade e invece mi sento tirato giù. Anzi tirato in tondo, come se mi avessero legato le caviglie alla lancetta di un enorme orologio meccanico. Ed in ogni momento il braccio dei minuti indicasse il basso. Poi quando mi sento parlare, mi sembro un essere perfettamente razionale, uno di quelli che tengono nascosti in stanza bianche dalle pareti tempestate di cuscini. Lo so benissimo che ti piace discutere della libertà, ed è per questo che non tiro più fuori questo argomento. Una volta volevamo scrivere un libro e riempirlo di tutte le cose che riempivano il tempo passato insieme. E adesso siamo rimasti senza libro e senza tempo insieme. Gli intervalli delle nostre relazioni impersonali sono così leggeri, leggeri, e i passi fatti sulla strada verso dimenticare verso ricordare così pesanti, pesanti. Che se tu mi stessi lasciando delle mollichine di pane per trovare la strada, io starei andando in direzione opposta; e naturalmente dopo aver girato la testa alla prima mollica sarei già perso. Ci si sta consolando con forme trite quando entra in scena la vocina impertinente: ella fa domande elementari, chiede "ma chi?" "ma perchè?". E mette in crisi un sistema. Allora che la si spinga via, titubando: "Mmmmma, dai, non stare a cavillare, lascia fare, non ti preoccupare". Il problema di girare intorno alle cose è che poi si forma il solco per terra, diventa un binario e non se ne esce più. Io lo so come andrà a finire: Dal punto centrale entrambi si allontano, dandosi le spalle, come duellanti. Lui le ha lasciato scegliere l'arma e lei ha scelto se stessa. L'inquadratura da sopra la spalla di lui, che si gira e la vede andare via: "non si volterà". L'inquadratura da sopra la spalla di lei, che si gira e lo vede andare via: "non si è voltato". Tutto sfuma in un bianco accecante. Cos'è quella cosa che distilli e mi instilli, gocce soporifere o vanagloria?

04 febbraio 2007

Come sono stupidi i titoli delle canzoni inglesi tradotti in italiano

Qui dentro fa eccezionalmente caldo. Eppure in questa marea c'è un iceberg, uno di quelli di cui si vede solo la punta. E' gelido, è solido, così impenetrabile che basterebbe toccarlo per farlo scomparire. Al suo interno ogni cosa è cristallizzata e addormentata. La marea si muove disordinata sospinta da un tempo che viene interrotto, poi cambiato, poi interrotto di nuovo e ancora cambiato. Ci sono luci blu da un lato e luci rosse da un altro lato. Se lì ci fossero l'inferno e il paradiso vorrebbe dire che noi ci troviamo in un limbo (e io non avevo mai immaginato che il limbo potesse essere così buio e affollato). Andiamo ancora più addentro? Io tengo gli occhi spesso chiusi, per il fumo, per non dover sentire con niente altro che lo stomaco e le gambe. Ogni tanto guardo in basso verso lo spazio che ci sta in mezzo. Se apro la mano al massimo, c'entrerà magari due volte in questo spazio: quindi non ci dividono che 50 cm, al massimo. Io non permetto che siano di più e tu non permetti che siano di meno. Ogni tanto guardo te mentre sei girata verso chissà chi altro. A volte mi dici qualcosa e io intuisco che mi stai domandando della canzone che c'è adesso, ma non ti so decifrare, che come al solito il senso di riconoscere le parole è il primo ad andarsene; e allora annuisco, oppure scuoto la testa sconsolato, e ti sorrido. Quando andiamo via non ci sono rimpianti, che la musica tanto è finita.
In tutto ciò che fila così liscio, non manca un certo senso di crudeltà. Può capitare di spaventarsi intravedendo un uomo addormentato dentro un furgone, che non si capisce se ti stia guardando o meno. Può capitare che uno si attacchi all'uso improprio della persona di un pronome, o all'uso sottilmente chiarificatore. Può capitare che uno, dopo aver parcheggiato, si fermi ad ascoltare quei 9 minuti di canzone che il giorno dopo a leggerne il testo erano proprio azzeccati -ma ieri non lo sapevi e allora capisci che era pura ispirazione-. Può capitare che uno, appena sceso dalla macchina, senta impazzire gli uccelli nascosti dagli alberi ancora neri per la notte, e lo prenda il senso di sè e la giornata successiva che si stanno aspettando a vicenda per darsi il cambio. Può capitare che uno prima d'addormentarsi si figuri Oscar Wilde che proclama che la vita vada vissuta come un'opera d'arte, e a me il cyrano mi sta bene che è una gran bella opera: però questo può capitare per colpa di quel gin tonic in più preso perchè lo si era letto il giorno prima in un racconto di Hemingway e lo si voleva provare; ma che l'unico effetto sortito può essere stato quello di aver provocato stupidi pensieri d'amore e di pennacchi.

30 gennaio 2007

Cosa ho mangiato a colazione e altre inutili informazioni

Soggetto maschile n. uno: Conflittuale rapporto con il proprio status sociale, alterna episodi di ostentazione a momenti di dissimulazione.
Soggetto maschile n. due: E' solito attaccare verbalmente l'interlocutore per evitare il confronto personale.
Soggetto maschile n. tre: Sembra non riuscire ad applicare la sua grande mole di conoscenze e abilità ad alcuna attività concreta.
Soggetto maschile n. quattro: Intrattiene rapporti utilitaristici con gli amici e insinceri con le molte partner.
Soggetto maschile n. cinque: Infantile e ideologico, non conosce il senso della misura.
Soggetto femminile n. uno: Ha architettato una personalità tormentata e una vita disordinata, potrebbe avere già tutto quello che vuole.
Soggetto femminile n. due: Pretende sempre il giusto comportamento da chi le sta intorno, ma non lascia mai intuire quale sia.
Soggetto femminile n. tre: Chiede costante attenzione e nasconde una parte di sè, forse cruciale.
Soggetto femminile n. quattro: Grandissime potenzialità e senso del dovere, ha un enorme blocco psicologico verso il rischio e le situazioni incerte.
Soggetto femminile n. cinque: E' convinta che una quantità di principi astratti possano essere trasferiti alla vita reale senza compromessi, soffre nel tentativo.

Ho capito il controintuitivo senso d'orgoglio di portare addosso un difetto, una deformità. Da mostrare agli altri come una ferita di guerra, una cicatrice, una prova che, per un limitato periodo di tempo, si è vissuto. C'entra lontanamente anche il graffio che mi hanno premurosamente lasciato sulla carrozzeria. Ma ha senso solo se frutto delle conseguenze di altre azioni: immotivato, scollegato, un effetto collaterale. Nulla di autoinflitto, dunque. Nell'essere materialmente differenti non vedo alcuna colpa, nè merito.

Un poligono regolare, con un numero sufficientemente grande di lati, è praticamente indistinguibile da una circonferenza. Il singolo essere vivente più grande del pianeta è un bosco. Ricordo ore passate a discutere sull'esistenza dell'anno 0.

Ogni volta che si fanno puntualizzazioni analcoliche mi sembra di sentire in sottofondo gli shellac.
Se non sei una persona molto intelligente non dovresti osare/usare quella montatura per gli occhiali. Quella squadrata, nera, bassa e spessa, non so se hai presente.
Continuo a darti del tu.
E già che ci siamo, ti dico pure questa: se ti definisci una persona simpatica, un po' pazza, solare, stronza-ma-in-fondo-buona, romantica, sincera, estroversa/introversa, affidabile e disponibile, c'è una buona probabilità che tu non sia nessuna di queste cose. Prova di nuovo e più forte.

28 gennaio 2007

Ameba monocellulare che, in risposta alla mancanza di nutrienti, piange

Subito neo, subitaneo.
Un colpo di t'osserva.
Verità per grammi.
Tessere un mosaico con tessere di una tela.

Cominciarono con il toglierci le unghie dalle dita. Tutte le unghie da tutte le dita, anche quelle dei piedi. Un effetto fu meno immediato del dolore, ma più insopportabile: non sapemmo più raccogliere gli spilli caduti sul pavimento; e grattar via i nostri pruriti divenne una faccenda ingrata: ogni volta dovevamo munirci d'oggetti appuntiti o ruvidi, che i polpastrelli nudi non ci bastavano più.

Ogni impronta lasciata camminando sulla terra è l'inizio di un vulcano. Quando spuntano, il ghiaccio si scioglie e l'acqua è scartata in favore della polvere. Quando esplodono, nell'aria intorno viene lanciata materia in uno stato innaturale, un poco metafisico. Tutto quello che si sa è che è blu e cade come pioggia. Se in quei momenti si tira fuori la lingua non ci si disseta, ma almeno ci si commuove e per un po' si rimane convinti che, dopo tutto, un qualche tipo di battesimo non può essere così sbagliato. Dopo tutto però, non prima di tutto.

Non tocchiamoci. Non pensiamoci neanche. Non stiamo fermi davanti ad una lampada accesa di notte o all'uscita di un tunnel senza luce, che un osservatore causale potrebbe, passando, vederci come figure nere in controluce. Non accontentiamoci del fascino dell'infelicità. Non prendiamoci in giro, chiedendoci perchè a vicenda. Non iniziamo a bere preventivamente, per calmare una sete che non abbiamo. Non mettiamoci a parlare del tempo, del lavoro, dell'università, di cinema, di musica, di politica, di calcio, delle altre persone, della nostra infanzia, di quello che ci piace, di quello che non ci piace. Non chiediamoci quando di nuovo. Non fingiamo di apparire migliori e peggiori di quello che siamo. Non restiamo qua seduti. Non respiriamo troppo intensamente. Se tu non sei, allora non sono neanche io.

Se pensiamo le stesse cose non è che possiamo considerarci un coro.
Una delle mie immagini preferite è il guerriero che si siede in riva al fiume e attende passare il corpo esanime del nemico. La singola idea dell'attesa si rispecchia così meccanicalmente in quello che sono e in quello che faccio, e su così tanti livelli, che non saprei da dove cominciare a descriverla.

C'è così tanto sporco in quest'aula. Il cestino della spazzatura che non è stato ancora svuotato. La polvere di gesso che si materializza in una evanescente nuvoletta bianca, come se le parole scritte sulla lavagna prendessero vita e i concetti che esprimono decadessero con questa forma nel mondo materiale. Ci sono le gomme da masticare nascoste pigramente sotto i banchi, come microspie, e le scritte offensive e oscene incise nel legno degli schienali di quelle sediacce, scomode e incerte. Ma questo è il meno. Gli sguardi degli altri studenti, tutti rivolti religiosamente avanti verso la cattedra-altare, sono come fili di ragno. Entrare e sentirsi addosso questi occhi sporchi. Schifo, chissà su cos'altro si sono posati prima di venire a pungolarmi. Attraversare il campo d'inquadratura come una comparsa inetta e confusa. Passando, rompere tutte queste ragnatele, che rimangono addosso. Arrivare finalmente al proprio posto, oramai al sicuro, coperto di filamenti bianchi. Ricucirli, farne il proprio bozzolo. Dimenticarsi pensosi di adesso.

Lo assaggiarono, ed era gelato. Lo nascosero, e divenne celato.

Il solitario, è come un nuovo gioco, un uomo gioco. Tira in avanti la mascella e allinea i denti di sopra con i denti di sotto. L'uomo accanto al solitario gli chiede: "perchè fai così con la bocca?" e il solitario per tutta risposta gli fa annusare le mani. Le mani del solitario, se sono sudate e vengono a contatto con la lana, acquistano un odore singolare. Un odore che si riconosce provenire da qualcosa di vivo, ma non per questo sgradevole. L'uomo accanto al solitario non è molto intelligente e spesso inventa delle storie su di sè per sentirsi importante, o almeno questo è ciò che crede il solitario. Il solitario di solito scrive cose che non fa leggere a nessuno; spesso lo si può vedere iniziare nuovi paragrafi. Si diverte anche a bilanciare reazioni di ossidoriduzione, il solitario. Lui è il solitario perchè sospetta il peggio in chi gli vuole bene e si aspetta il bene dai peggiori, perchè non sa mai cosa rispondere e quando, perchè non sa perchè rispondere, e il tempo gli si presenta sempre in incognito. Il solitario, quando sa che sta per ripetersi un rituale, scappa via. In un tempo sepolto insieme ad altri passati, trascorreva le sue ore seduto su scalini di travertino bianco, da solo. Sfogliava riviste di cui conosceva già il contenuto o svolgeva sbrigativamente i compiti che gli erano stati assegnati. Il solitario fantasticava: credeva di vivere in un fumetto, ed era sicuro che non si sarebbe accorto dello spazio bianco tra le vignette, del tempo bianco tra i riquadri. Ipotizzava tutto ciò che gli altri non avrebbero avuto il coraggio di dirgli, e lo prendeva per vero. Il solitario scrive oggi indifferentemente in prosa come in poesia. Parla poche lingue, ma non si fida di nessuna. Ma alla fine tutto quello che occorre sapere è che c'è sempre una buona ragione, o una valida scusa, per ogni volta che un solitario non riesce.

Vicini di carne.
Litigherei a causa di centimetri.
Con piacere, per il piacere.
Invece erigere muri.
Soluzione universale a problema condominiale.
Non c'era bisogno, veramente.
Ti s'apre il sorriso e ci sarebbe da piangere.

24 gennaio 2007

Se non è puzza, è can bagnato

La differenza che c'è tra il movimento orizzontale e quello verticale è la differenza che c'è tra ciò che vuole e ciò che è voluto.

Quando mi immagino gli Dei dell'Olimpo impegnati in uno sport di squadra, Apollo è sempre un giocatore egoista, uno di quelli che non passa mai la palla.

Da una moda si può scendere, semplicemente, come da un autobus. L'autobus della moda è quello che si prende a fermate che non sono le tue.

Una volta l'arte era superba e la politica profittatrice. Oggi la superbia è dei politici e l'opportunismo degli artisti.

Al posto della grandine mi piacerebbero diamanti. Tutto soccomberebbe ai graffi e nulla si salverebbe da questa sparatoria. Tutto e nulla.

Trame adiacenti che vanno formandosi, arrampicandosi:
Il giullare sfortunato completa le parole crociate. Gradi di separazione pulsano adiacenti all'idea romantica che le cose hanno delle cose. Suo fratello esautora il dentista. Davanti ad uno specchio tentatore, i generali si eccitano con i loro nudi corpi cosparsi di ipocrisia. L'opposto della grana fine è sparso tutto intorno da una banda di paese. Bandiere bandite e fotocopiate che annoiano. Apatia elettrica fuoriesce dal di dietro di un tubero. Può un legame forzare l'emergere di una saggezza? Il mio spazio avverte il territorio, e lo annienta. Il suono dell'immerso, versatile, copre il suono dell'immersione. Tragedie arcane crescono ai crocicchi come fa l'erba gramigna. Una regola d'emissione difende involontariamente la causa del filatelista, note alla fine del paragrafo. Può una sbirciata provare lussuria? Il mostro valuta l'avvocato sostituto prima come meccanico, poi come avvocato sostitutivo. Il di lei teorema affligge una particella sopravvenuta d'argento. Nel retro, audio-cassette si uniscono piegandosi in un congresso di nastri in cima ad un vantaggioso manto di corpi di persone che fanno 'Manto' di cognome. Coincidenza, fissa senz'arte! Al di qua della pellicola si scherza sul controllo. La vice-cultura che lava la fantasia. Quando le strade si srotoleranno una sopra l'altra, l'una e l'altra una terribile lumaca? Il ritiro del contrasto pretende di essere il suo più vicino equilibrio. Un altro giullare disegna il geloso opposto porpora della traccia.

Una gatta ha detto che gli psicofarmaci non fanno più effetto, sospirando.

23 gennaio 2007

Io per far star su le nuvole avrei suonato un do e un mi minore

Sì è vero. Troppo timido, ma ci sono mille buoni motivi. E poi la timidezza è come un liceale che compie 18 anni, si giustifica da sola. Ogni volta che parlo con una ragazza tradisco quella parte di me che ripete allo sfinimento: "ma dove cazzo vai?" "te lo ricordi chi sei?" "te lo ricordi come sei?". Quella parte di me che mi alimenta con palate di rabbia, quella parte che durante certe notti mi tiene sveglio okkupando il mio stomaco, quella che mentre cammina per strada si guarda riflessa nei vetri opachi di tutte le macchine parcheggiate e si vede deformata, deforme. E che tornerà a specchiarsi all'auto successiva. "Io ti sono amico, poi tu ti trovi un ragazzo e io mi devo uccidere" e io nel buio della sala sono diventato rosso, completamente rosso, come mi accade tutte le volte che si parla di me. L'unica differenza è che io non mi uccido, io faccio finta che non è successo niente. Quando ho cercato di insegnarmi a non averci mai creduto, è successo che ho imparato a non crederci mai più. E quando subito dopo si sono accese le luci in sala, ho sperato che non te ne fossi accorta.

La scena dell'ubriacatura era brutalmente sincera. Ho sentito i suoni della festa appannati e la musica ne usciva come un sovrappensiero. Ed è la prima cosa che noto ogni volta che bevo: gli effetti sul mio senso dell'udito.

Gli ultimi istanti del film non li ho visti, eppure avevo gli occhi aperti e fissavo lo schermo. Ero dentro di me a pensare che: "sì, è vero". Che non c'è lieto fine e va bene così. Che dover stare a rincorrere se stessi quando ci si sente sbagliati non risolve niente, anzi peggiora, e che la solitudine, in fondo, va bene così. Che se voglio veramente qualcosa e l'unico modo per averla è prendermela, allora preferisco non averla, che tanto farebbe felice solo me; e se non dovesse arrivare mai, va bene così.

Lui disse "prendimi la mano, non riesco a dormire". Lei gli prese le mano. Lui si addormentò.

20 gennaio 2007

L'antro del distorco cattivo

Non si può rispondere male, non si può rispondere 'male'. Sono solo canzoni, vero? Lo sapevo. Mi volevano ingannare. Distaccato e deragliato. E' l'immaginazione che mente. E' la mente, che immaginazione! Mi vengono foto oscure, oscure come una strada buia, con gli alberi ai lati, percorsa velocemente, troppo lentamente. Non dovrebbe essere dolorosa, è bella perchè fa paura, è brutta perchè fa paura. Non ho più voglia di dormire. Dimentico facile, quindi potrei già aver scritto tutto questo. Alcune persone mi lasciano degli sguardi che mi gelano. Vorrei spiegar loro che non è come pensano, ma poi negherebbero di averlo pensato.

Tutto questo avviene nelle situazioni che potrebbero richiedere un certo comportamento, ma io mi ribello.

Ri-bello e ri-buttante. Urla in silenzio perchè le parole sono violenza. Partecipe è una parola oscura, una parola scure. Io soffio. Mi batte il cuore, strano. Sul muro c'era scritto 'grande cuggiolo'. Sono andato fuori tema, sono andato fuori strada.

Ho sognato dei quadratini, ma nel mio sogno erano cerchietti.

-Ho finito, grazie
-T'è piaciuto?
-Sì
-(ha un brivido)
-Sei triste?
-Non mi sento triste
-Mh
-Ma sono triste, come in "una scena triste"
-Dove la differenza?
-Procuro una tristezza che non è mia
(pausa)
-Vado via
-E dove? (respira)
-Torno in gabbia...
-(no)
-...almeno da dietro le sbarre mi possono volere bene
-Ma anche così
-...
-Io te ne voglio
-Solo perchè sto dentro una gabbia
-Tanto ci sto pure io
-Posso solo camminare in cerchio e guardare fuori
-Ma mi stai ascoltando?
-Io ti inviterei nella mia gabbia
-...
-Ti puliresti i piedi sullo zerbino all'entrata
-...
-Ti direi "non fare caso al disordine"
-Io: "Ma che bella gabbia"
-"Vero? L'ho fatta arredare da un mio amico architetto"
-"E' notevole"
-"L'architetto è uno struzzo"

Ogni ellisse ha due fuochi, che sono come i suoi due centri. Ellittica è anche la triettoria della terra intorno al sole, ma rispetto all'orbita terrestre, il sole si trova in uno solo dei due fuochi. Tu in quale fuoco sei?

17 gennaio 2007

La canzone che ho decomposto per te

Io e la mia ombra siamo due persone completamente diverse. La mia ombra non prova mai vergogna. Si allunga in zone oscene. Non ha il pudore di nascondere le sue forme, perché è solo forma. Se io mi fermo davanti un limite invalicabile, un cancello chiuso, un passaggio proibito, lei mi precede e ci entra senza esitazione. Se io cammino sul pontile di un lago, lei si getta subito nell'acqua gelida. E mi sfida: non vuole uscire. Poniamo che io mi metta ad aspettarla sulla riva, al calar del sole: lei, anzi, si allontana ancora di più. Di notte non torna mai a casa, non l'ho mai vista dormire. Ma le va dato atto che ogni mattina ritorna, non ha mai saltato un giorno di lavoro. La mia ombra non ride mai con la bocca, nè con gli occhi: qualche volta si batte il pugno contro il ginocchio, ma è più un'eccezione. A entrambi non piace ballare, è vero, ma va sempre a finire che lei mi giri intorno più di quanto io giri intorno a lei. Un po' ci sono affezionato, anche se non è l'unica ombra che ho. Ma tutte le volte che l'osservo ho la certezza che lei abbia capito qualcosa di importante; lei che fa quello che sente. Io so che non sarò mai trasparente, finchè la mia ombra sarà presente.

Massì, va! (ttack)

15 gennaio 2007

Mi sveglio presto e ingoio nebbia

"Adesso qual è la prossima mossa, genio?"
"Hai mai notato che in ogni goccia di pioggia che si ferma sul vetro è riflesso capovolto tutto quello che c'è oltre il vetro?"
"Non ho imparato nulla. Ché quando ne ebbi l'occasione dissi -non mi serve-."
"Come? ti sei giocato le mani e hai perso?"
"La Trasformazione è arrivata. Piccoli indizi: il cielo è viola. Grandi segni: se ha una lama e un manico, non è più un coltello."
"Se piego il braccio, sulla punta del gomito spuntano denti."
"Sono sicuro che riesci a far rimanere molti uomini in mutande, ma io mi ci sentivo già prima di conoscerti."
"Ma vedi, come posso non essere sincero? Io, io che ti mostro il collo?"
"Di casa mia mi mancano tutti i giochi finiti e rimasti sotto gli elettrodomestici."
"E questo te lo avrebbe insegnato un cane?!?"
"La mia faccia è accaduta un giorno che ero steso sulla sabbia e un'ombra mi è finita addosso."
"Se tu riveli subito dov'è il palazzo non puoi citare il fatto che abbia molte finestre, è gratuito."
"Ho intruppato"
"Da grande voglio fare il capo del mondo. E' un obiettivo plausibile, se nessun altro ci pensa. Zero concorrenza."
"Ogni cubo che tieni in mano è una stanza al contrario."

14 gennaio 2007

La metensomatosi nascosta sotto il letto

Le rose si impollinano solo tra rose. Capita anche a tutte le altre piante, ma fatto da loro sembra un atteggiamento così altezzoso.

Sono nella schiuma. Circondato dalla schiuma. Immerso nella schiuma. Sommerso dalla schiuma. Vedo solo schiuma. Annuso la schiuma, ho in bocca il sapore della schiuma. Nelle orecchie ho il rumore che fa la schiuma. Non ho freddo perchè la schiuma mi tiene caldo. Non ho paura di farmi male, perchè mi protegge la schiuma. Schiuma sotto e schiuma sopra, schiuma a sinistra e destra: davanti e dietro, schiuma. Ora so tutto della schiuma. Riconosco la schiuma vecchia dalla schiuma nuova. Mi accorgo quando mi rubi o cerchi di rubarmi la schiuma. La schiuma aderisce alla mia pelle e vi entra dentro. Sono coperto di bolle, bolle di schiuma. Su ogni bolla di schiuma si riflette il tutto intorno e il resto della schiuma. E su ogni bolla di schiuma c'è un arcobaleno. Che non è proprio un arco, solo un baleno. Nella schiuma non sono mai triste e non sono mai felice. Nella schiuma tutto è bianco dello stesso bianco della schiuma. Nella schiuma posso respirare, eppure mi sento soffocare. Nessuno sa di quello che c'è tra me e la schiuma. Perchè non c'è niente. Ci siamo solo io e la schiuma.

E ho intravisto una ironica asimmetria. Se c'è una cosa che non può accadere per sempre, la stessa cosa può non accadere per sempre.

L'arbitro fischia la fine.
Entro in campo.
Attendo l'arrivo di colui del quale sarò il sostituto.
Aspetto l'interrompersi del gioco.
Comunico ai direttori di gara che sto per entrare.
Mi riscaldo.
Mi alzo dalla panchina.
L'ho scritto al contrario perchè contiene una metafora dozzinale a tal punto che me ne vergogno. Però vorrei essere di nuovo la persona che ero quando avevi sedici anni. Ero migliore, io, accidenti.

Non capisco perchè da sotto la mia pelle risaltino le vene, mentre sotto la tua si intravedano fiori.

Sai cosa ne faccio dei tuoi nei? Costellazioni.
Sai come ci riesco? Fingo che il tuo corpo sia un cielo.
Sai dov'è la finzione? Che invece di circondare tutto, ha tutto intorno.

Insegnami quello che di importante c'è da sapere. E "insegnami" non vuol dire solo "dimmelo", significa "trasformami".

12 gennaio 2007

Post Rock Post

Se per quel breve lasso di felicità passata, io provo gioia invece di tristezza, va bene uguale? Vi va bene mettervi nei miei panni anche se non mi lavo da una settimana? Posso considerarmi un fuorilegge perchè mi scarico le canzoni da internet e supero il limite di velocità quando è a 50km/h? Vi arrabbiate se mangio l'ultima fetta di pane? La mia coscienza è a posto anche se non possiedo un telefono cellulare da 500 euro. Anche perchè l'apice della telefonia mobile è stato il Nokia 3310, rimasto da allora ineguagliato. Il mio anno non è un fallimento se non passo l'estate in un villaggio turistico. Dove "animazione" ha una strana assonanza con "reparto di rianimazione". Non mi avrete mai. Tu, birra analcolica: prodotta negli impianti industriali per l'imbottigliamento degli ossimori. Tu, navigatore satellitare: togli il divertimento da una attività altrimenti divertente, privandola della parte difficile. Come finire doom con i trucchi. Come giocare a pallone con i bimbetti cinquenni. Ma se usare una guida stradale cartacea è da considerarsi difficile, allora, come genere umano, stiamo messi decisamente male.

Ti ordino di assomigliare ad un gatto, o ad un vecchio lupo di mare. Di guardare in uno di quei giocattoli di plastica rossa che assomiglia ad una macchina polaroid, nella quale ruotano dischi di diapositive con immagini di luoghi famosi. Di recitare in un teatro di ghiaccio. Di inventare una nuova pseudo-medicina che curi la gente mettendo forchette in equilibrio sopra bottiglie. Di sostituire alla tua pelle un tessuto con motivi tartan. Di guidare una specie animale nella sua guerra di indipendenza. Di guidare una specie di macchina verso la sua dolce meta, verso la sua dolce metà. Di scrivere la recensione di un disco e farlo inventandoti un nuovo genere musicale. Di comportarti come se gli oggetti avessero sentimenti umani. Di lasciare un commento. Di credere nella magia di alcuni numeri. Di scendere da un autobus e salire su un treno che è pronto per partire, incontrare una persona persa di vista da tempo e affermare "che coincidenza!". Di smettere di scrivere in Arial. Di indossare l'abito verde di qualcun altro. Di non fare quella faccia. Di non fare quell'affare. Di toglierti finalmente la maschera che indossi tra la gente e mostrare a tutti il tuo volto tentacolare. Di assumere sostanze da stupefazione con contratto a tempo determinato. Di mentire con tutto tranne che con i polpastrelli. Di abbiare ad un perfetto estraneo. Di abbagliare un estraneo perfetto. Di volare al di sopra della coltre di nubi e di farla morire d'invidia. Ti ordino di tornare in disordine.

10 gennaio 2007

Manducanti agli angoli delle strade

Einstein mi sta antipatico e per questo affermo: Dio gioca a dadi. Ogni volta che chiudo gli occhi, è lanciato un dado. Il numero uscito stabilisce e fissa quanti secondi devono passare prima che io chiuda gli occhi di nuovo.

Premessa: oggi ho visto la tv per la prima volta dopo parecchio, per pochi minuti, il tempo di un panino. Per la serie "cose realmente accadute che dopo che sono accadute ti lasciano col dubbio che siano realmente accadute". Tg1 dell'ora di pranzo. Intervista marchetta a Silvestro Stallone per l'uscita in Italia di Rocky Balboa.
Domanda dell'intervistatore:
"Ma tra Rocky e Rambo, chi vincerebbe?"
Risposta di Stallone:
"Rambo, perchè spara."
Cose che fanno venire voglia di pagare il canone.
(Lo so che parlare male della televisione è inutile e più facile che sparare ad un bradipo zoppo e addormentato, da mezzo metro, mentre indossa una giacca della croce rossa. Ma seriamente. Mah.) ((Intendiamoci, il fatto di sparare ai bradipi è solo a fin d'iperbole. Non mi permetterei mai, il bradipo è un signor animale.))

Dalle ghiandole lacrimali è secreto acido. Ogni lacrima è un nuovo solco sul volto, di nuovo pelle bruciata, altre cicatrici verticali e sfiguranti, il dolore che provoca la disgregazione dell'intima struttura della materia. Accumulando sufficienti dispiaceri, un giorno una striscia di pelle sarà totalmente consumata e la faccia si aprirà come un quadernino segreto senza lucchetto. Quel giorno compariranno due bocche. Una piccola con labbra piatte ed esangui, una dentatura bianca e immacolata. Una enorme e cafona, sempre coperta da troppo rossetto, colma di denti marci e gengive purulente. La bocca nobile si morderà sempre le labbra e non oserà mai sputare. L'altra bocca ingiurierà, vomiterà, bestemmierà, mangerà con la bocca aperta, sbaverà e parlerà sempre nel momento sbagliato. Si dirà: sfiorami qui. e qui.

THIS SIDE UP e una freccia diretta verso l'alto. Tatuato su qualche mio appezzamento di pelle. Al contrario. Ad ufficializzare l'esser perennemente sottosopra.

08 gennaio 2007

L'obbligo di frequenza nella sospensione dei punti

Si spengono le luci in sala, il pubblico rumorosamente zittisce, si apre il sipario e sul palco un cono di luce gialla illumina parole casuali. Il comando che aziona i tergicristallo è fuori uso, la macchina accelera affinchè nulla si depositi sul parabrezza e tutto scivoli via verso l'alto: dal cielo, piovono parole casuali. Antiche statue di pietra opalescente per raffigurare l'infanzia, dai cui occhi è stata asetticamente aspirata la vita: nelle crepe di questa pietra crescono parole casuali che si arrampicano, la conquistano e la macchiano di verde. Il mercante romano, paonazzo in volta, gesticola teatralmente nel mezzo della piazza straniera. Inventa nomignoli che rifila ai passanti stralunati che lo squadrano come si fa con uno animale mai visto. Nelle sue mani grandi e bonarie, tra le dita, attorciglia parole casuali. Quando vibra, la corda può accedere al cuore segreto della sua armatura di legno: insieme, con un accordo che è tutto fuorché tacito, sollevano in aria la razionale precisione del loro rapporto. Sul leggìo, bianchi, fogli di carta. Sul leggìo, nere, parole casuali.

Un uomo ed una donna giacciono nudi e immobili sopra un letto bianco, l'un sull'altra. Ogni secondo che passa -come fotogrammi- parti dei loro corpi si fondono insieme. La superficie di questa nuova entità prende una colorazione verde scuro e una consistenza squamosa. Le due teste si assottigliano e rimangono separate, diventando capo e mascella del nuovo essere. Le quattro gambe si uniscono in una coda lunga e muscolosa. Dalle braccia prendono forma le zampe anteriori, mentre quelle posteriori spuntano dagli antichi fianchi come germogli primaverili. Il nuovo essere è ora formato, stupido, cammina a quattro zampe e ha il ventre basso che sfiora il terreno. Scende dal letto e con la sua andatura forzata si avvia verso la palude. Nella melma, nuota.

Uomini travestiti da antichi guerrieri giapponesi, con armature di paglia, alzano le braccia per impedirmi il cammino, mentre attraverso il mercato del quartiere dove abitavo un tempo. Li oltrepasso senza neanche sfiorarli e, quando mi volto indietro, mi accorgo che stanno confabulando. Riconosco qualche parola di cinese. Due giovani asiatici sono seduti all'ingresso di una bancherella e vorrebbero vendermi la riproduzione di una spada katana per 24 euro e 49. Io però sto cercando un bastone per il bushido.

Le Persone Quasi Famose hanno un addetto stampa. L'addetto stampa riassume la Persona Quasi Famosa in un paragrafo di parole neutre, ma velatamente elogiative. Il lavoro dell'addetto stampa è quello di permettere alla Persona Quasi Famosa di essere conosciuta senza dover passare attraverso tutta la Procedura Per Conoscere Una Persona. Come dire: andrà ora in onda una versione ridotta di me per venire incontro alle vostre capacità mentali, disponibilità temporali, abilità sociali.

La giovane donna edicolante siede tutto il giorno sul suo sgabello, dentro una grotta di carta e plastica da imballaggio. La giovane donna edicolante indossa sempre una tuta di marca, nera con righe bianche. La giovane donna edicolante ha i capelli neri sempre curati, ma la lampada della sua edicola la illumina dall'alto e sembra sempre che porti in testa una corona bianca senza diamanti. La giovane donna edicolante non fuma, ma dal suo modo nervoso di muoversi sembra che il suo organismo non desideri altro. A volte viene a darle il cambio la madre, la vecchia donna edicolante. La giovane donna edicolante tiene davanti a sè un calcolatrice con cui si aiuta a decidere quanto dare di resto. La giovane donna edicolante tiene sempre la faccia piegata in avanti, e quando entra qualcuno lo guarda senza curiosità, senza alzare lo sguardo, sollevando solo le sopracciglia. La giovane donna edicolante scherza con tutti, tranne che non lui. La giovane donna edicolante non ride mai, ma a lui sorride sempre. Forse è per questo motivo che, anche se deve fare più strada, ora lui va sempre in un'altra edicola.

06 gennaio 2007

Portami un sasso da metà strada per la luna

"Male" si traduce con "maschio", ma si scrive come "male", contrario di "bene".
"Female" si traduce con "femmina", ma si scrive quasi come "fa male".

E' solo una teoria, ma: L'amore non esiste. E' stato inventato. E' stato ipotizzato, definito, tramandato, impartito, santificato, mercificato, imbellettato, commercializzato. Qualcuno ci crede ancora. L'amore è morto. Come Dio, con un saluto al nostro amico comune Fede.

Eravamo a bordo di una nave, in gita scolastica per studenti di nessuna scuola. La nave era il Titanic, ma era piccola, poco sfarzosa, e non sarebbe mai affondata. Mi imbattevo in te mentre salivo di ponte in ponte, eri con le tue amiche. Avevi gli occhi mascherati con trucco nero, la pelle bianchissima e i capelli ti nascondevano metà del volto. La più insulsa e maligna delle tue amiche ti sfida a venir nella mia cabina. Eravate come streghe. Sarcastica accetti. Ti faccio strada e non ho coraggio di toccarti. Mi segui in silenzio e mi sembra di intravedere un sorriso, cui non do significato. Quando arriviamo alla mia porta sei grandissima e completamente coperta di veli. Ti metto un braccio intorno alla vita e con forza ti tiro dentro, sei pesante ma non fai resistenza. Ti adagio sopra la mia cuccetta, che sembra la cameretta di un mio vecchio compagno delle scuole elementari. Inizio a toglierti i veli di dosso. E tu non ci sei. Al tuo posto un materasso. Torno indietro a cercarti, ti trovo. La mia espressione ti fa ridere. Ora è un gioco. Dici ok, basta trucchi. Vengo in camera tua, ma come un tavolo Spingimi. Ti porto, sotto forma di tavolo, lungo metà della nave, di nuovo fino alla mia camera. Ti faccio entrare a fatica, manovre impossibili. Ora sembra la mia di cameretta, quando andavo alle elementari. Il tavolo è a posto, ma tu non sei più il tavolo. Fai capolino attraverso la mia porta aperta. Entri accompagnata dalla tua corte. Le tue amiche ed una donna anziana. La donna apparecchia il tavolo che io ho portato con tanta fatica. Ceneremo insieme. Io e te, e tutti gli altri intorno a guardarci. Mi siedo a tavola, c'è un calice ad aspettarci. La donna anziana ci invita a bere. Io so che stai cercando di avvelenarmi e faccio solo finta di bere. Tu non bevi. Mangiamo e io prendo una bottiglia di vino delle mie. Verso per entrambi. Bevo. Tu no. La donna anziana interrompe: "Sapevo che la mia ragazza non è stupida. Ti aspettavi che avvelenasse il vino?". Tu mi guardi orgogliosa, i tuoi occhi sembrano voler prendere fuoco. Chissà se anche tu provi la stessa cosa.

Ti fisso alla volta del cielo con una puntina da disegno divino

Commettere errori.
Fare finta di niente.
Non voler stare al proprio posto, ma non saper fare altro.
Se mi mangiassi sarei più simile a me di quanto non sono stato mai.
Mi spaventa un ritmo reggae che mi spinge indietro e mi graffia l'addome.

Vorrei andare via anche io.
Completamente e crudelmente.
Cambiare pelle.
No no, meglio, restare senza pelle.
Insieme: non funziona.
Da solo: non funziona.
Una noiosa lenta tragedia teatrale.
Speriamo che il dramma si consumi presto che non ce la facciamo più.
L'ho ripetuto così tante volte che non so più come spiegarlo e non ci credo più neanche io.

Qui entra la chitarra elettrica ed è bello e mi fa male lo stomaco.

Qualcuno sta cercando di dividerci per un numero irrazionale.

Ti penserò, te che vai in guerra.

02 gennaio 2007

Tutto va secondo il piano, in secondo piano, in seconda, piano.

Rio conosce il disagio di vivere in un luogo meta di pellegrinaggio.
Non è stata una scelta di Rio.
La prima persona ha bussato alla sua porta circa 4 mesi fa.
Mancava poco all'ora di cena e gli si presenta una ragazza dai capelli castani, sulla trentina.
Gli chiede di poter vedere il bagno.
Rio le chiede il motivo, ma lei si rifiuta di darlo.
Rio non capisce.
La ragazza insiste.
E' sull'orlo delle lacrime.
Rio le chiude la porta in faccia.
La seconda volta, il giorno dopo, è un coppia.
Stessa richiesta.
Stessa insistenza.
Rio ancora non capisce, ma questi due hanno un'aria innocua.
Li conduce in bagno.
Chiedono di essere lasciati soli.
Ne escono 20 minuti dopo, come niente fosse.
Ringraziano e fuggono via.
E' successo tante altre volte.
Ora la porta della casa di Rio è sempre aperta.
La mattina, d'abitudine, si sveglia e offre la colazione allo sconosciuto che trova in casa sua.
Arriva gente da tutte le parti del paese, soprattutto coppie, ma anche singoli, tra i 18 e i 40.
Entrano e vanno diritti verso la stanza da bagno, come sapessero già dove si trovi.
Si chiudono dentro e ne riescono dopo qualche tempo.
Poi vanno via.
E non tornano più.
Non parlano quasi mai, non portano via nulla, non lasciano nulla.
Eppure non si forma mai una fila.
Mai che qualcuno sia arrivato con altri già dentro.
Rio all'inizio è stato curioso.
Curioso ed esterrefatto.
Ne ha spiati alcuni, attraverso il buco della serratura.
Certe coppie si tenevano per mano.
Li ha visti sedersi sul bordo della vasca da bagno.
Li ha visti restare immobili, senza dire una parola, quasi senza respirare.
Li ha visti fissarsi riflessi nel piccolo specchio sporco sopra il lavabo.
E niente altro.
Ora Rio non fa più domande.
Non si fa più domande.
Non si ribella, vive come un gatto: libero, in luogo pubblico.
Solo certe volte gli capita di provare qualcosa di simile ad un melanconico fastidio.
Rio conosce il disagio di entrare nel tempio e non essere parte del sacro.