Mia quando si alzava di pomeriggio. Indossando le stesse cose nelle quali si era già svegliata e addormentata e svegliata di nuovo, usciva dalla camera da letto e a piedi nudi entrava in cucina. La luce del sole che entrava in casa loro, attraverso le spesse tende chiuse di pomeriggio, che aveva un aspetto diverso dal solito. Come se si appoggiasse su quei quattro mobili spelacchiati, invece che caderci sopra con la solita pesantezza. Forse la luce era veramente diversa, o forse era solo un'impressione: lo smarrimento di quando ci sveglia nel cuore del giorno. Mia che si avvicinava al piano del cucinino. Faceva riscaldare una teiera d'acqua sul fuoco e, posato il filtro di carta sulla sua tazza, lo riempiva di quella miscela di thé così amaro e scuro. Guardava il disordine con gentilezza: i piatti da lavare vecchi di tre giorni e accanto la spugna (una di quelle con un lato verde, più ruvido dell'altro); i cartoni vuoti di succo di frutta e le buste della spesa ancora non svuotate del tutto. Mia che saltellava da un piede all'altro sulle mattonelle fredde, in attesa che l'acqua raggiungesse una buona temperatura; I piedi di Mia, decisamente piatti e con le dita piccole e rannicchiate. Le unghie delle mani di Mia, mangiucchiate e smaltate con più ironia che malizia. Mia che versava lentamente l'acqua sulle foglie di thé triturate. Cos'altro si ricordava di lei?
Una cosa ancora: Quando si faceva il bagno ed infilava tutto il corpo sotto il pelo dell'acqua. Rimanevano fuori appena i suoi occhi lisci; che si facevano completamente scuri, velati, come si riempissero di petrolio. E a guardarci dentro, volute iridescenti. L'ultima cosa che gli aveva detto era stata: "Smettila di dire sempre -se c'è una cosa che odio-. Smettila di dimenticare tutte le cose che hai già odiato e che odierai. Credi ancora di essere ragionevole? Se solo non fossi così pieno d'odio e di dimenticanza."
Sì, proprio l'ultima.
Dopo c'era stato tanto silenzio invece, e poco d'altro.
Ma soprattutto frasi non dette e piante appassite.
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