L'operaio con la maglietta bianca è seduto sul tetto del palazzo di fronte. Lo vedo, di fianco, che mangia un panino, sorseggia la sua birra economica e si asciuga le mani unte contro i jeans macchiati di vernice chiara. Concluso il suo pasto, sfoglia un quotidiano di quelli che distribuiscono gratuitamente, in modo svogliato. Infine si rialza e rientra in casa.
Mentre guido lungo la strada in salita, faccio caso ai volti nelle macchine che pervengono dal senso opposto. Non mi interesso degli uomini, c'è molta più varietà nei volti femminili. C'è una donna anziana, a bordo della sua utilitaria azzurra, che a malapena sporge la testa al di sopra del volante. Ha capelli bianchi, tinti di castano chiaro, e procede lentamente portandosi dietro una processione di auto nervose. Porta un paio di occhiali spessi, con la montatura larga di tartaruga, legati al collo con una cordicella nera. La passo. Prima di arrivare al semaforo, vedo sul lato opposto della strada due persone dentro una piccola auto bianca. Discutono con un po' d'animazione. Lui è canuto, vecchio, Lei è giovane ma vestita e truccata in modo eccessivo. Forse sono padre e figlia, oppure amanti. Guardando lei, non mi accorgo che nel frattempo il semaforo è diventato rosso e l'auto che mi precede s'è fermata. Non freno, la tampono.
Sposto gli oggetti col pensiero. Non proprio. Altero la realtà, ma tutto quello che riesco a fare è spostare gli oggetti. Se mi concentro, riesco a trovarmi in una realtà in cui l'oggetto del mio pensiero non è mai stato in un certo luogo, ma in quello da me pensato. Nessuno si accorge della differenza tranne me. Se riuscissi a spiegarlo a qualcuno, a farglielo vedere, potrei dimostrare che la realtà non esiste, poichè non è univoca. Perchè io posso saltare da una realtà all'altra, e sono tutte possibili e plausibili. Ma nessuno si accorge di nulla, o forse fingono tutti.
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