Non voglio meravigliarmi di trovare tanta poesia nella sola stanza da bagno, tra tutti i vani dell'appartamento. Non voglio farmi influenzare dall'idea che essa porta in sè i segni del nostro sconveniente e biologico retaggio animale. Forse l'unico, insieme alla cucina, tra gli ambienti artificiali a ricordarci che siamo fatti di carne e sangue, e non possiamo fuggire. La finestra del bagno è esposta ad est. Se ci entro la mattina presto, rimango...
La luce del sole appena sorto è orizzontale e abbagliante. Entra attraverso le persiane di taglio, in fasci densi e corpuscolari. I raggi rifrangono nei vetri della profumeria, scivolano nelle curve della porcellana e si buttano sulle superfici metalliche di rubinetterie e manopole dell'acqua calda, sapendo di trovare un morbido atterraggio. Sul gesso delle pareti e le piastrelle del pavimento si formano figure luminose che vibrano e raccontano storie, se si volesse stare ad ascoltarle. Io mi siedo sul bordo della vasca, a contemplare. Sento delle gocce d'acqua che mi cadono sul braccio. Alzo lo sguardo e vedo tubi. Ipotizzo che l'umidità si sia condensata intorno alle tubature dell'acqua fredda, e mi sia caduta addosso come un'intuizione. Più semplicemente: tutta quell'acqua si è chiamata per fare pace, ma ha litigato di nuovo. Allora una parte è venuta a cercarmi: vuole che io sia il suo ambasciatore. Su uno dei ripiani giace un vecchio flacone di detersivo, ormai vuoto. L'etichetta dice esplicitamente di gettarlo oculatamente, una volta che abbia adempiuto al suo compito. Suggerisce di salvare il mondo da se stesso. Il flacone ora è senza testa e senza collo, riciclato comodamente come contenitore per l'acqua. Io sorrido, senza muovere le labbra, al pensiero che forse ci è concessa una terza via.
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