Parte tutto da Najla. Sono due traiettorie separate e speculari. Iniziano procedendo divergenti, linearmente. Poi la velocità con cui si allontano decresce dolcemente, arrivano a camminare parallelamente per un po'. Ad un certo punto nasce tra loro una forza attrattiva, si avvicinano, accelerando. Sembra vogliano scontrarsi. Ora la distanza che le separa da Najla è costante, ma quella tra loro diventa sempre più piccola. Ecco che a pochi istanti dalla fine prendono a rallentare, e ad avvicinarsi a lei. Najla saluta il loro incontro, lungo il piano che ha accompagnato la loro simmetria, con una volgare dimostrazione di denti.
Come si guarda un ascensore che sale, che oltrepassa il tuo piano. La luce che riempie la fessura tra le porte: come per una marea extralunare, seguita dal buio che fa la stessa cosa per non sentirsi dimenticato. Lo stesso modo che ha Najla di guardarti negli occhi: d'un interesse passeggero, come a chiedersi di chi sia l'ombra là dentro. Io, che finisco sempre per immedesimarmi, accendo i miei pensieri in sequenza, come spie che annunciano il susseguirsi dei piani. In un appartamento, due piani più sotto, esplode uno scaldabagno. L'ambiente si satura di particelle di vapore in sospensione che vanno ad attaccarsi a tutte le superfici fredde, rendendole opache, umide e umane. Ora che lei scruta lo spazio vuoto che tratteggio nella stanza, temo sia alla ricerca delle linee di un campo metamagnetico, sensibile solo a qualche suo senso felino. Credo sia il suo modo di orientarsi tra gli uomini.
Quando prende a girarmi la testa, non riesco a più a decifrare i segni del mondo. E l'edificio che sta scivolando lungo la strada ghiacciata? E' una delle sensazioni che mi trivella, vana ricerca di cose che prendono fuoco? Sono io la sua morbida scorza terrestre? Perchè ora Najla mi sembra così vuota di realtà, aliena alla struttura delle cose? Sei Najla o un sbuffo di cenere? Sono vittima di una maledizione, una malia, oppure si tratta della semplice interruzione del flusso sanguigno verso la corteccia cerebrale? Ora mi siederò qui e aspetterò che passi, strappandomi di dosso ogni sanguisuga. No, non sanguisughe: didascalie. Vorrei qualcuno che mi dicesse cosa fare di queste mani ingombranti, che non vanno bene neanche per coprirsi la faccia. La psicosi soffia ed io sono un mulino.
03 gennaio 2009
08 dicembre 2008
02 dicembre 2008
Fuori da ogni logistica
(cinquanta parole secondo il caso)
Caso I.
L'incontro di due corrisponde alla rottura di una simmetria, un inequilibrio, una deviazione assiomatica. Entrare nella vita di qualcuno è una piccola violenza, domestica più per senso di familiarità che collocazione. Due perfezioni non si troveranno, se una delle due non confuta se stessa e i propri asinini pudori sentimentali.
Caso II.
Seguono giorni di cambiamenti, che sono l'alibi dei sensi. Foglie che smettono l'aristocrazia del ramo, che decapitate raggiungono democraticamente terra. Un cielo senza altri colori da dire, silenzioso come l'incontro di pericolo e follia. Accade un giorno di Novembre, che il tramonto e le foglie del melograno indossino lo stesso colore.
Caso III.
Voleva dare un senso alla propria vita, e non si accorgeva di star applicando l'etica circense. Era equilibrista, cercando la misura tra lavoro e tempo libero. Era trapezista, bramando la cima della scala sociale. Era incantatore di serpenti, adulando i suoi capi, e domatore di bestie, educando i suoi figli.
Caso IV.
Memorie di un bambino euclideo: api che bucano le foglie, mal di testa da occhialini per proiezioni tridimensionali, lettere magnetiche sul frigorifero, erba che non cresce sotto una tenda da campeggio, lettere incastrate in una macchina da scrivere, nastro adesivo su tutta la pelle. Nelle conchiglie non si sentiva il mare.
Caso I.
L'incontro di due corrisponde alla rottura di una simmetria, un inequilibrio, una deviazione assiomatica. Entrare nella vita di qualcuno è una piccola violenza, domestica più per senso di familiarità che collocazione. Due perfezioni non si troveranno, se una delle due non confuta se stessa e i propri asinini pudori sentimentali.
Caso II.
Seguono giorni di cambiamenti, che sono l'alibi dei sensi. Foglie che smettono l'aristocrazia del ramo, che decapitate raggiungono democraticamente terra. Un cielo senza altri colori da dire, silenzioso come l'incontro di pericolo e follia. Accade un giorno di Novembre, che il tramonto e le foglie del melograno indossino lo stesso colore.
Caso III.
Voleva dare un senso alla propria vita, e non si accorgeva di star applicando l'etica circense. Era equilibrista, cercando la misura tra lavoro e tempo libero. Era trapezista, bramando la cima della scala sociale. Era incantatore di serpenti, adulando i suoi capi, e domatore di bestie, educando i suoi figli.
Caso IV.
Memorie di un bambino euclideo: api che bucano le foglie, mal di testa da occhialini per proiezioni tridimensionali, lettere magnetiche sul frigorifero, erba che non cresce sotto una tenda da campeggio, lettere incastrate in una macchina da scrivere, nastro adesivo su tutta la pelle. Nelle conchiglie non si sentiva il mare.
21 novembre 2008
Lettera di licenziamento al mio spleen
Provo a tirarmi su le maniche, ma i polsi della camicia sono troppo stretti e viene su solo il maglione. Ancora, sbagliando.
Da piccolo mi rifiutavo di mangiare i biscotti rotti. Dicevo che non mi piacevano, ma in realtà era solo l'ignavia dei gesti minimi: andarli a ripescare con il cucchiaino o trovarseli molli, contro i denti, bevendo il latte. Da grande continuo a scansare i biscotti rotti, per un motivo che oscilla tra l'estetico e l'anestetico. Estetico, perchè i biscotti si inzuppano in coppia, schiena contro schiena, e un biscotto rotto non si lascia accoppiare. E' inavvicinabile sia ai biscotti interi (evidente), sia agli altri biscotti rotti, perchè ogni biscotto è rotto a modo suo, diverso. Anestetico, perchè da grande ho scoperto i meccanismi dell'analogia. Non mangiamo quello che siamo, ma quello che vorremmo essere. Nessuno vuole essere un biscotto rotto.
Da piccolo mi rifiutavo di mangiare i biscotti rotti. Dicevo che non mi piacevano, ma in realtà era solo l'ignavia dei gesti minimi: andarli a ripescare con il cucchiaino o trovarseli molli, contro i denti, bevendo il latte. Da grande continuo a scansare i biscotti rotti, per un motivo che oscilla tra l'estetico e l'anestetico. Estetico, perchè i biscotti si inzuppano in coppia, schiena contro schiena, e un biscotto rotto non si lascia accoppiare. E' inavvicinabile sia ai biscotti interi (evidente), sia agli altri biscotti rotti, perchè ogni biscotto è rotto a modo suo, diverso. Anestetico, perchè da grande ho scoperto i meccanismi dell'analogia. Non mangiamo quello che siamo, ma quello che vorremmo essere. Nessuno vuole essere un biscotto rotto.
04 novembre 2008
Prolegomeni ad ogni futura sonata per pianoforte che potrà presentarsi come espediente per rimorchiare le ragazze
A un cinghiale somiglia il mio umore.
Mi sono giustificato dicendo che è normale, per un bambino, sperimentare con il corpo. E' scritto in tutti i testi di psicologia infantile. Peccato che io non sia più un bambino e che il corpo, oggetto della sperimentazione, non fosse il mio.
Sono passato con la testa in mezzo ad un nugolo di moscerini ed uno mi è entrato nel naso. Ho provato a soffiarlo fuori, ma non so, non si sa mai come vanno a finire queste storie. A me la parola nugolo non piace, anzi mi fa proprio schifo. Più schifo dei moscerini, nonostante che da bambino, dei moscerini, ti insegnino solo la perversione scatologica. Strane cose, quelle che ti insegnano da bambino.
Di solito un nugolo di moscerini mi fa venire in mente gli elettroni che vorticano intorno al nucleo di un atomo. Sìsì, lo so, un attimo. Se avessi un scrittore dentro di me, adesso quello starebbe commentando: "metafora maldestra". Se invece ci fosse un fisico delle particelle, quest'altro direbbe: "vabbè, non ci hai capito un cazzo". Il fisico delle particelle è molto più diretto dello scrittore.
Qualche volta, in vita mia, mi sono chiesto come una comitiva di moscerini scelga il posto dove annugolarsi. Perchè non è che i nugoli si formino in presenza di, chessò, una carogna imputridita o una scultura di sterco: niente, nascono nei punti più anonimi possibili. E' per questo che ci finisco dentro con la testa, non me l'aspetto proprio un nugolo. Qualche volta mi sono chiesto anche se esista il verbo "nugolare" e se i moscerini lo usino.
Confesso però che mi capita raramente di pensare ai moscerini e ai loro nugoli. Prima mi devono entrare nel naso.
Mi sono giustificato dicendo che è normale, per un bambino, sperimentare con il corpo. E' scritto in tutti i testi di psicologia infantile. Peccato che io non sia più un bambino e che il corpo, oggetto della sperimentazione, non fosse il mio.
Sono passato con la testa in mezzo ad un nugolo di moscerini ed uno mi è entrato nel naso. Ho provato a soffiarlo fuori, ma non so, non si sa mai come vanno a finire queste storie. A me la parola nugolo non piace, anzi mi fa proprio schifo. Più schifo dei moscerini, nonostante che da bambino, dei moscerini, ti insegnino solo la perversione scatologica. Strane cose, quelle che ti insegnano da bambino.
Di solito un nugolo di moscerini mi fa venire in mente gli elettroni che vorticano intorno al nucleo di un atomo. Sìsì, lo so, un attimo. Se avessi un scrittore dentro di me, adesso quello starebbe commentando: "metafora maldestra". Se invece ci fosse un fisico delle particelle, quest'altro direbbe: "vabbè, non ci hai capito un cazzo". Il fisico delle particelle è molto più diretto dello scrittore.
Qualche volta, in vita mia, mi sono chiesto come una comitiva di moscerini scelga il posto dove annugolarsi. Perchè non è che i nugoli si formino in presenza di, chessò, una carogna imputridita o una scultura di sterco: niente, nascono nei punti più anonimi possibili. E' per questo che ci finisco dentro con la testa, non me l'aspetto proprio un nugolo. Qualche volta mi sono chiesto anche se esista il verbo "nugolare" e se i moscerini lo usino.
Confesso però che mi capita raramente di pensare ai moscerini e ai loro nugoli. Prima mi devono entrare nel naso.
02 novembre 2008
If you think my heart's a mess, you should take a look inside my head
Succede che alcuni pomeriggi, uscendo dal lavoro, io trovi una cavalletta accomodata sul parabrezza della mia macchina. Io non ho una coscienza, quindi la cavalletta non dice niente.
Entro in libreria. Sorvolo le ultime uscite, snob. Vado agli scaffali della narrativa, alla lettera G, leggo tutti i titoli sul dorso dei libri alla G. Li trovo insipidi, non prendo neanche un libro. Inizio a puntare libri a caso. Di sguincio guardo le ragazze carine. Sbircio i titoli dei libri in mano agli altri avventori. Prendo in braccio tanti libri che vorrei leggere, accudire, svezzare, a cui vorrei cambiare la vita. Ascolto indiscreto le parole senza sugo delle professoresse di italiano e delle loro amiche. Mi interrogo sulla natura dell'ordine alfabetico. Nella mia libreria ideale, i libri sono in ordine di interesse, crescente. Secondo il mio, di interesse. Così potrei entrare in libreria, adocchiare un libro: "uhm, interessante", e poi vederne un altro: "uhm, ancora più interessante", e così via fino al momento di dover andare via, avendo detto un sproposito di volte "uhm". Gli ultimi libri sarebbero quelli, quelli che ho sempre cercato. Rimango in silenzio e guardo. Guardo i libri che ho in mano e penso che idea ci si possa fare del loro lettore. Le cassiere mi mettono sempre addosso l'ansia da interrogazione alla cattedra, me le figuro acide che stanno lì a giudicarmi in base agli acquisti che faccio. "Ecco un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore". Rimetto sulla sua pila un testo di Calvino che non ho ancora letto, che avevo pensato di prendere e ora ho deciso di lasciare: adesso immagino di avere un debito nei suoi confronti, di Calvino intendo. Dalla porta automatica entra un ragazzino di otto o nove anni, insieme a quello che potrebbe essere il padre. Il ragazzino gli sta spiegando che "... se raccogli abbastanza punti, è come avere una vita in più...". Mi guardo intorno, cercando di incrociare lo sguardo di qualcun altro che abbia sentito. C'è solo un trentenne, giacca e camicia, occhiali dalla montatura nera, spessa, squadrata.
Lo guardo negli occhi.
Lui mi guarda di riflesso.
Non ha capito niente.
Deve essere un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore.
- E' come avere una vita in più -
Ecco, sì, più o meno.
Entro in libreria. Sorvolo le ultime uscite, snob. Vado agli scaffali della narrativa, alla lettera G, leggo tutti i titoli sul dorso dei libri alla G. Li trovo insipidi, non prendo neanche un libro. Inizio a puntare libri a caso. Di sguincio guardo le ragazze carine. Sbircio i titoli dei libri in mano agli altri avventori. Prendo in braccio tanti libri che vorrei leggere, accudire, svezzare, a cui vorrei cambiare la vita. Ascolto indiscreto le parole senza sugo delle professoresse di italiano e delle loro amiche. Mi interrogo sulla natura dell'ordine alfabetico. Nella mia libreria ideale, i libri sono in ordine di interesse, crescente. Secondo il mio, di interesse. Così potrei entrare in libreria, adocchiare un libro: "uhm, interessante", e poi vederne un altro: "uhm, ancora più interessante", e così via fino al momento di dover andare via, avendo detto un sproposito di volte "uhm". Gli ultimi libri sarebbero quelli, quelli che ho sempre cercato. Rimango in silenzio e guardo. Guardo i libri che ho in mano e penso che idea ci si possa fare del loro lettore. Le cassiere mi mettono sempre addosso l'ansia da interrogazione alla cattedra, me le figuro acide che stanno lì a giudicarmi in base agli acquisti che faccio. "Ecco un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore". Rimetto sulla sua pila un testo di Calvino che non ho ancora letto, che avevo pensato di prendere e ora ho deciso di lasciare: adesso immagino di avere un debito nei suoi confronti, di Calvino intendo. Dalla porta automatica entra un ragazzino di otto o nove anni, insieme a quello che potrebbe essere il padre. Il ragazzino gli sta spiegando che "... se raccogli abbastanza punti, è come avere una vita in più...". Mi guardo intorno, cercando di incrociare lo sguardo di qualcun altro che abbia sentito. C'è solo un trentenne, giacca e camicia, occhiali dalla montatura nera, spessa, squadrata.
Lo guardo negli occhi.
Lui mi guarda di riflesso.
Non ha capito niente.
Deve essere un altro sfigato che legge Carver e vuole fare lo scrittore.
- E' come avere una vita in più -
Ecco, sì, più o meno.
28 ottobre 2008
vedi alla voce: Astronomia del quotidiano
Adesso non so esattamente sotto che forma io possa apparire, ad un set di occhi standard. Forse bambino, forse cappellaio matto, forse simbologia floreale per carta da parati. Comunque dondolo, sopra un seggiolo di materia plastica. Dentro altalena, dentro sabbiera, dentro giardino, dentro cortile, dentro istituto educativo, dentro dentro dentro: qui reificata la condizione di dentro, la dicotomia delle appartenenze interiori.
Rincorro l'apogeo scalciando. Il bacucco e la bambina non vogliono guardare e si tappano le orecchie: dentro l'avvizzito secchio cerebrale del crapone due pensieri se ne vanno a letto insieme, -emulazione- e -fittizio-. Io vorrei solo quel male di cui tutti parlano, il male che si farà, il male che si è fatto, il male è la droga nei pensieri di loro che parlano di me. Per me quel male è sperimentale e collaterale, come una buca per la terra sotto le unghie.
Importa? Importare significherebbe prendere questa scena e sezionarla come uno scoiattolo sul tavolo operatorio: tirare fuori tutti gli organi, che sono attimi più fili d'erba più anelli metallici, e rimetterli dentro secondo un ordine di gusto arbitrario. Poi, sperare che lo scoiattolo torni ad accatastare ghiande e ad essere adorabile. E' una legge severa quella per cui l'accatastamento delle ghiande avverrà solamente quando non avrà alcuna importanza se ogni ghianda è accatastata o meno.
Millenni, la voglia di buttarsi dall'altalena in swing misinterpretata per desiderio di volare.
Ogni storia umana contempla ineluttabile un ginocchio sbucciato.
Rincorro l'apogeo scalciando. Il bacucco e la bambina non vogliono guardare e si tappano le orecchie: dentro l'avvizzito secchio cerebrale del crapone due pensieri se ne vanno a letto insieme, -emulazione- e -fittizio-. Io vorrei solo quel male di cui tutti parlano, il male che si farà, il male che si è fatto, il male è la droga nei pensieri di loro che parlano di me. Per me quel male è sperimentale e collaterale, come una buca per la terra sotto le unghie.
Importa? Importare significherebbe prendere questa scena e sezionarla come uno scoiattolo sul tavolo operatorio: tirare fuori tutti gli organi, che sono attimi più fili d'erba più anelli metallici, e rimetterli dentro secondo un ordine di gusto arbitrario. Poi, sperare che lo scoiattolo torni ad accatastare ghiande e ad essere adorabile. E' una legge severa quella per cui l'accatastamento delle ghiande avverrà solamente quando non avrà alcuna importanza se ogni ghianda è accatastata o meno.
Millenni, la voglia di buttarsi dall'altalena in swing misinterpretata per desiderio di volare.
Ogni storia umana contempla ineluttabile un ginocchio sbucciato.
15 ottobre 2008
Per lunghi tratti strumentale, poi gente che urla
Prima hai gli occhi chiusi e il mondo lo dividi orizzontale, facile, cielo e terra e orizzonte e così. Poi apri gli occhi e ci sono gli alberi che vanno da giu a su e si sfascia tutto un sistema e l'erba e le persone in piedi e così. Che poi ti viene da ridere per queste cose strane, come che l'unica cosa dritta dritta ma veramente dritta è l'acqua quando se ne sta dentro a qualcosa o quando non se ne sta dentro a niente ma comunque s'appoggia; e poi invece una cosa un poco meno dritta dritta come un filo penzoloni, l'acqua non te lo rimanda mai indietro dritta dritta, ma coi riflessi sempre un po' spezzettati e vibrolanti. Puoi andare a vedere i film, ma dei film non te ne frega niente. Niente, delle poltroncine rosse, niente dei popcorn mezzi coriandoli, niente delle pagliuzze volanti nel cono di luce del proiettante. A te importa solo di aprire la bocca e far aprire la bocca e quando si apre una bocca è bello come qualcuno che ha scritto col gessetto bianco sull'asfalto e poi ha piovuto e poi le foglie gialle. Poi dici che ti vorresti sposare la televisione e la prima notte di nozze deflorare la presa per l'antenna e rimanerci attaccato nell'amplesso elettrosciocco immediatico. Il canale della televisione alla fine lo cambi con il dito medio sui bottoni anche tu, perchè vaffanculo tivù. Hai pensato che in verità il paradiso, quello bianco con le nuvolette, è un campo di concentramento, primo perchè non te ne puoi andare e secondo perchè sì, bello Dio e la beatitudine, però che palle. Ma nessuno ci torna indietro dal paradiso, mica per niente, ma solo perchè è troppo ironico, ironico alla arbeit macht frei, sei in paradiso e ti rompi le palle. Invece poi hai pensato che il paradiso quello vero deve essere come un outlet di poltrone e sofà. Che di un divano non ti stanchi mai. E pure se ti stanchi, c'è sempre un altro divano per riposare.
29 settembre 2008
I sassi ci sorridono da due milioni di anni
I muscoli delle braccia sono contratti nel massimo sforzo. Le scapole, la base del collo, cominciano a tremare, vibrare prima debolmente, poi si abbandonano in scosse. Dentro la schiena non più scintille, non crepe elettriche, solo sfrigolare di vertebre, solo digrignare di denti. La carne è intossicata dal desiderio di essere strappata. E' una violenza contro tutte le forme del corpo avute sin adesso. Finalmente la fame tiene accesi tutti i sensi, e non è più nebbia che inghiotte il mare di notte.
...ma quella cosa, quella cosa la tagliano col dolore, che il veleno per topi ne ammazza meno. Quella cosa non va via. Così la vuoi, la vuoi, la vuoi ancora: perchè se non c'è, vuol dire che stai precipitando, perchè se c'è, precipitare non vuol dire niente. Non così. Non la vuoi così. Il dolore è giusto così. Ottuso di poesie mandate a memoria. Umido. Allucinato. Senza freni.
...ma quella cosa, quella cosa la tagliano col dolore, che il veleno per topi ne ammazza meno. Quella cosa non va via. Così la vuoi, la vuoi, la vuoi ancora: perchè se non c'è, vuol dire che stai precipitando, perchè se c'è, precipitare non vuol dire niente. Non così. Non la vuoi così. Il dolore è giusto così. Ottuso di poesie mandate a memoria. Umido. Allucinato. Senza freni.
24 settembre 2008
07 settembre 2008
Storia del signor Epsilon: l'uomo piccolo a piacere, una presenza costante
Prometto che non sarò bravo. Bravo, come in "Oh, ma che bravo, fa tutto quello che gli si dice di fare". Buono forse sì, perchè atti di involontaria bontà nascono spontaneamente da atti di puro egoismo, ed io, senza falsa modestia, sono un vero egoista. Se la natura sa inventarsi il riflesso per giustificare l'impossibilità di un colore, allora io mi coprirò di cieca consapevolezza, e passerò attraverso. Non sarò dentro niente.
La pioggia, come l'impero, non esiste veramente. Per questo motivo la pioggia cade e l'impero decade, non hanno altrimenti. Il vento, una definizione orizzontale, spinge una goccia contro l'altra, un uomo contro un altro uomo; il vento fa sorgere leggeri rumori da scontri senza energia, il destino che è fatto di fruscii.
Misteri della fisiologia umana. La sola vista della libagione è in grado di renderci muti e farci inghiottire le urla che ci riempivano la bocca e svuotavano i polmoni. Appena preso parte al banchetto, poi, e già siamo sordi alle grida di altri noi.
L'autorità ha bisogno che il potere sia diviso in parti dispari, per garantirsi l'equilibrio e scongiurare lo stallo o il reciproco annichilimento. La verità è invece di natura pari, poiché necessita che ogni affermazione, per essere verificata, sia posta di fronte alla propria negazione. Non può, quindi, la verità essere partorita dall'autorità, nè l'autorità giustificarsi con la verità. Tutta colpa dell'insieme dei numeri razionali e dell'insieme degli uomini razionali.
Costantia, donna intersesso, mangiapane e serafica autoeccitante. Aggrappata a monomanie perse tra dentrifici e fluoriti, a suocere sfiorite, femmina con viscere di razza. Parodia di cross dalla fascia, palleggi al limite dell'area, ridicole brochure di tattica. Sprizzi socialismo e caviale eziotropico che guarisce la turpe affaristica, la borsistica criminosa. Niente trucco, solo pochi pittogrammi di sguardi cavapietre. Resti annacquata dalla sillaba impollinata, il verso aromaterapico, la flessione del muscolo pomicione. Ontologia della gestante burocratica, reiterate trattative per un bambino pacioccoso. Non genererai un figlio, ma uno sprezzante padroncino di laniccia.
La pioggia, come l'impero, non esiste veramente. Per questo motivo la pioggia cade e l'impero decade, non hanno altrimenti. Il vento, una definizione orizzontale, spinge una goccia contro l'altra, un uomo contro un altro uomo; il vento fa sorgere leggeri rumori da scontri senza energia, il destino che è fatto di fruscii.
Misteri della fisiologia umana. La sola vista della libagione è in grado di renderci muti e farci inghiottire le urla che ci riempivano la bocca e svuotavano i polmoni. Appena preso parte al banchetto, poi, e già siamo sordi alle grida di altri noi.
L'autorità ha bisogno che il potere sia diviso in parti dispari, per garantirsi l'equilibrio e scongiurare lo stallo o il reciproco annichilimento. La verità è invece di natura pari, poiché necessita che ogni affermazione, per essere verificata, sia posta di fronte alla propria negazione. Non può, quindi, la verità essere partorita dall'autorità, nè l'autorità giustificarsi con la verità. Tutta colpa dell'insieme dei numeri razionali e dell'insieme degli uomini razionali.
Costantia, donna intersesso, mangiapane e serafica autoeccitante. Aggrappata a monomanie perse tra dentrifici e fluoriti, a suocere sfiorite, femmina con viscere di razza. Parodia di cross dalla fascia, palleggi al limite dell'area, ridicole brochure di tattica. Sprizzi socialismo e caviale eziotropico che guarisce la turpe affaristica, la borsistica criminosa. Niente trucco, solo pochi pittogrammi di sguardi cavapietre. Resti annacquata dalla sillaba impollinata, il verso aromaterapico, la flessione del muscolo pomicione. Ontologia della gestante burocratica, reiterate trattative per un bambino pacioccoso. Non genererai un figlio, ma uno sprezzante padroncino di laniccia.
03 settembre 2008
Come ci siamo ossidoridotti
Perchè fidarsi delle persone quando tutta la verità di cui si ha bisogno la si può trovare dentro le canzoni.
E' cosi bello far scodella con le mani e riempirla d'acqua. Stringere le dita e sperare che non si svuoti mai.
Di quando sei solo e trovi qualcosa ch'è per te speciale. Di quando poi la condividi con gli altri e gli altri pensano che non sia poi questo granchè.
Sono mancino, ma ti stringo la mano con la destra. Quindi non vale.
Muori! ma aspettami.
23 agosto 2008
Psicodramma del cremino
Questa è storia nuova, ma la rabbia non s'azzera. La rabbia permane, aderisce e spolpa. La rabbia mi si condensa addosso. La rabbia mi permette di respirare anche quando ho la faccia spinta nel fango. La rabbia fa l'ironia così affilata che ci posso tagliare un giorno di pioggia. Mi serra i pugni e mi fa crescere le unghie dentro la carne delle mani. La rabbia mi spezza i denti sopra altri denti. Lei riempie il palcoscenico, ma non si cheta: invade la platea, colma le gallerie. La rabbia ostruisce. E' nella pancia che beata stramba. Imbastisce nodi neri come l'ardesia. Sfrigola pungigliosa e scintillante. E' un abbraccio rovesciato, che vuol dire lontano. La rabbia e io non mastico più.
19 agosto 2008
Esasperanto
(ripartire in seconda)
Tutti in TV hanno tre braccia e tu, infelice, ché ne hai solo due.
Il conto in banca a righe e gli scrupoli a quadretti.
Comunque questi non sono i miei occhi, è la parte ritagliata che ci vedi attraverso.
Mi hanno letto il futuro, ma hanno sbagliato tutti gli accenti.
L'ironia del mio costume da ape è il fiore che porto all'occhiello.
Tutti in TV hanno tre braccia e tu, infelice, ché ne hai solo due.
Il conto in banca a righe e gli scrupoli a quadretti.
Comunque questi non sono i miei occhi, è la parte ritagliata che ci vedi attraverso.
Mi hanno letto il futuro, ma hanno sbagliato tutti gli accenti.
L'ironia del mio costume da ape è il fiore che porto all'occhiello.
31 luglio 2008
La mia banda non conosce roccia
Certe volte lascio che in quello che dico cadano alcune parole, alcune parole diverse. Mi guardo intorno e cerco risposta in una pupilla che si dilata un millimetro di troppo, o una testa che si volta con eccessiva veemenza per nascondere disinteresse. Certe parole che dovrebbero risuonare come campane spaccate in altrui terremoti. Complicità miste rose. Desisterei, quando certi apostrofi apparentemente banali suscitano un'ilarità spiccia e immotivata. Faccio l'ultimo tentativo, appuntando una preda al mio vaniloquio. Vedo quelle stesse parole frangersi in schegge appena prima di colpirla, mancarla del tutto, e conficcarsi nella parete alle sue spalle, arrampicata di rose feroci. La trasmissione del pensiero fallisce in sguardi abbagliati dalle luci di scena.
Ci sono due tipi di persone che dicono "mai": quelli che, prima o poi, finiscono per non mantenerlo e quelli che, per mantenerlo, fanno cose ancora peggiori. Io non sarò mai una di queste.
La tua bella pelle che si rispecchia in tutta la lucidità necessaria all'odio. Il trucco trasforma parte di te nelle grazie di parole gotiche. Sovraesposti, i difetti... quali difetti? Io non vedo niente. Non capisco come tanta bellezza non ti faccia scoppiare i capillari: quando ci provi troppo forte diventi il mostro di te stessa. La passione è una tela e tu sei Penelope.
Fai bene, fai male e altre insostenibili dicotomie.
Sopracciglia orizzontali e ben distanziate.
Pensare di poter risolvere tutti i problemi con una cravatta.
Cosa vorresti sapere dei sudori freddi di Giulio Verne?
L'uomo dai capelli forforescenti diceva: "Hai voglia a filosofare se nessuno sta a ascoltare".
Pustole di felicità e vesciche di spensieratezza. Scoppiano gaie in attriti ladri di piacere.
E una borsa piena di misantropia (siete buoni nel modo sbagliato).
Il dubbio di spalle altrui e la tua testa che si appoggia su quegli stessi dubbi.
Per peccati più profondi, una croce bidimensionale non basta.
Credevo di essere sulla superficie di un nuovo pianeta e invece era una pesca.
Ci sono due tipi di persone che dicono "mai": quelli che, prima o poi, finiscono per non mantenerlo e quelli che, per mantenerlo, fanno cose ancora peggiori. Io non sarò mai una di queste.
La tua bella pelle che si rispecchia in tutta la lucidità necessaria all'odio. Il trucco trasforma parte di te nelle grazie di parole gotiche. Sovraesposti, i difetti... quali difetti? Io non vedo niente. Non capisco come tanta bellezza non ti faccia scoppiare i capillari: quando ci provi troppo forte diventi il mostro di te stessa. La passione è una tela e tu sei Penelope.
Fai bene, fai male e altre insostenibili dicotomie.
Sopracciglia orizzontali e ben distanziate.
Pensare di poter risolvere tutti i problemi con una cravatta.
Cosa vorresti sapere dei sudori freddi di Giulio Verne?
L'uomo dai capelli forforescenti diceva: "Hai voglia a filosofare se nessuno sta a ascoltare".
Pustole di felicità e vesciche di spensieratezza. Scoppiano gaie in attriti ladri di piacere.
E una borsa piena di misantropia (siete buoni nel modo sbagliato).
Il dubbio di spalle altrui e la tua testa che si appoggia su quegli stessi dubbi.
Per peccati più profondi, una croce bidimensionale non basta.
Credevo di essere sulla superficie di un nuovo pianeta e invece era una pesca.
13 luglio 2008
Il bosco è una opportunità
Najla siede nel parco. Tiene aperto davanti a sé "Le dodici sedie", forse legge. Intorno a lei si muovono bambini contenti di non sentirsi diversi. Sollevano polvere e rumori, che si infilano nella piega tra le pagine e graffiano la lettura. Settembre muore. Lei potrebbe dimenticarsi del tempo, se non fosse per quelle ciocche di capelli neri, che non smettono di divincolarlesi fin sotto gli occhi, e l'arrivo impacciato del sole, che la costringe a cambiare di posto, sotto ombre nuove.
Najla si perde distratta in sovrappensieri che non sono i suoi. Osserva chi si perde nella lettura, chi è solo, chi cerca sguardi di complicità isterica o metafisica. Sono come me. Non sono come me. Non sai mentire. Veste asimmetrica e senza cura, ricorda una calla. Alza e abbassa gli occhi, attende che non ci siano più occhi da guardare; un vezzo, riflesso di tempi più timidi.
Lui compare da nessun dove e le si siede accanto.
- Siediti pure, eh!
Vorrebbe spaventarlo e farlo scappare.
- Ciao
Non si dimostra affatto intimorito. Resta.
- Ciao
- Non c'è nulla di male in quello che sto facendo
- Perché, che cosa stai facendo?
- Attaccare bottone, intendo. Sarebbe sbagliato se la mia intenzione fosse quella di apparirti amichevole per ottenere qualcosa e poi portartela via, ma non è questo il caso. Non ci sono secondi fini, o ci sono solo secondi fini, dipende da come vuoi vederla. Dirai, come posso crederti? Il fatto è che non devi credermi, finché non ci sono limiti da oltrepassare. Comunque non ho intenzione di giocare con carte che non sono in tavola, conoscerai sempre tutto. Anche se definirlo gioco non lo trovo corretto. Sono abbastanza sicuro, però, che né la tua né la mia morale verranno messe in discussione
- Chi sei tu? Cosa vuoi da me?
- Per quel che conta, puoi chiamarmi Sinbad il marinaio. Oppure, se ti sembra ridicolo...
- Mi sembra molto ridicolo
- ...va bene anche Gregor. Aspetta ho una cosa per te
Si alza e si sfila da una tasca un foglio di carta piegato in quattro parti. Glielo porge.
- Ti ho fatto un ritratto
Najla prende il foglio, lo apre, lo squadra per qualche secondo.
- Non mi assomiglia molto. E poi questa ragazza porta gli occhiali scuri. Io non ne porto.
- Quando l'ho fatto non ti avevo ancora mai vista. Ho fatto del mio meglio.
Non sa se ridere o aver paura. Considera l'ipotesi di alzarsi e senza dire una parola, allontanarsi. Lui, mentre si risiede, continua:
- Il fatto è che ho un problema. C'è una lei, colpevole di seduzione con scasso, una lei con cui non posso parlare. Lei è la modella inconsapevole di un pittore che continua, senza saperlo, a dipingere solo lei. E io non so come... Lei non c'è, ma ci sei tu. Il favore che ti chiedo è di starmi ad ascoltare e io parlerò con te e sarà come se parlassi a lei. In cambio ti regalerò quel ritratto e potrai chiedermi un favore anche tu
- Sì. Cosa devi dirle? Dirmi?
- Ecco... io sono il venditore di palloncini sul luogo della catastrofe. Se una cattiva idea la si riconosce dalla tenacia con cui la si perseguita, io sono l'inquisizione spagnola. Ogni sistema in natura è destinato a diventare più grande, più complesso, più dipendente. Ergo, inevitabile è il raggiungimento di un livello critico, sia esso nel sistema stesso o nei sistemi periferici, dopo il quale resti l'estinzione come unico orizzonte possibile. Vorrei che prendessi in considerazione l'idea di diventare sistema insieme e condividere le nostre estinzioni come una. Prenditi pure il tuo tempo, se serve a farti prendere anche il mio. Sai quanti paesaggi identici sono in grado di sopportare per arrivare fin lì? Quanti divieti e segnali di pericolo e intimidazioni a rispettare i limiti sono in grado di ignorare? Dimentica il fatto che nella mia testa continuino ad essere evocati disastri o i peggiori scenari possibili: sono dilettantismi di autodifesa. Lo so che non ti piace sentirtelo dire, ma quantificare è il segreto e la fine del segreto. Che chi dice che nei numeri non c'è l'essenza delle cose, non conosce i numeri o non conosce l'essenza delle cose. Se in quello che dico, in quello che voglio dimostrare o in quello che credo di sentire c'è qualcosa che i numeri non possano significare, allora troverai che nascosti tra noi ci sono i numeri più grandi che chiunque abbia mai provato a contare
- E' una cosa molto bella da dire
- E' una cosa molto stupida da dire
Najla e lo sconosciuto restano in silenzio a guardare le proprie ombre crescere molte volte più alte di loro. Piccole lampadine si accendono tra i rami bassi degli alberi, rosse di sudore ed estate. Quando il buio scende, il parco è già scomparso.
Najla si perde distratta in sovrappensieri che non sono i suoi. Osserva chi si perde nella lettura, chi è solo, chi cerca sguardi di complicità isterica o metafisica. Sono come me. Non sono come me. Non sai mentire. Veste asimmetrica e senza cura, ricorda una calla. Alza e abbassa gli occhi, attende che non ci siano più occhi da guardare; un vezzo, riflesso di tempi più timidi.
Lui compare da nessun dove e le si siede accanto.
- Siediti pure, eh!
Vorrebbe spaventarlo e farlo scappare.
- Ciao
Non si dimostra affatto intimorito. Resta.
- Ciao
- Non c'è nulla di male in quello che sto facendo
- Perché, che cosa stai facendo?
- Attaccare bottone, intendo. Sarebbe sbagliato se la mia intenzione fosse quella di apparirti amichevole per ottenere qualcosa e poi portartela via, ma non è questo il caso. Non ci sono secondi fini, o ci sono solo secondi fini, dipende da come vuoi vederla. Dirai, come posso crederti? Il fatto è che non devi credermi, finché non ci sono limiti da oltrepassare. Comunque non ho intenzione di giocare con carte che non sono in tavola, conoscerai sempre tutto. Anche se definirlo gioco non lo trovo corretto. Sono abbastanza sicuro, però, che né la tua né la mia morale verranno messe in discussione
- Chi sei tu? Cosa vuoi da me?
- Per quel che conta, puoi chiamarmi Sinbad il marinaio. Oppure, se ti sembra ridicolo...
- Mi sembra molto ridicolo
- ...va bene anche Gregor. Aspetta ho una cosa per te
Si alza e si sfila da una tasca un foglio di carta piegato in quattro parti. Glielo porge.
- Ti ho fatto un ritratto
Najla prende il foglio, lo apre, lo squadra per qualche secondo.
- Non mi assomiglia molto. E poi questa ragazza porta gli occhiali scuri. Io non ne porto.
- Quando l'ho fatto non ti avevo ancora mai vista. Ho fatto del mio meglio.
Non sa se ridere o aver paura. Considera l'ipotesi di alzarsi e senza dire una parola, allontanarsi. Lui, mentre si risiede, continua:
- Il fatto è che ho un problema. C'è una lei, colpevole di seduzione con scasso, una lei con cui non posso parlare. Lei è la modella inconsapevole di un pittore che continua, senza saperlo, a dipingere solo lei. E io non so come... Lei non c'è, ma ci sei tu. Il favore che ti chiedo è di starmi ad ascoltare e io parlerò con te e sarà come se parlassi a lei. In cambio ti regalerò quel ritratto e potrai chiedermi un favore anche tu
- Sì. Cosa devi dirle? Dirmi?
- Ecco... io sono il venditore di palloncini sul luogo della catastrofe. Se una cattiva idea la si riconosce dalla tenacia con cui la si perseguita, io sono l'inquisizione spagnola. Ogni sistema in natura è destinato a diventare più grande, più complesso, più dipendente. Ergo, inevitabile è il raggiungimento di un livello critico, sia esso nel sistema stesso o nei sistemi periferici, dopo il quale resti l'estinzione come unico orizzonte possibile. Vorrei che prendessi in considerazione l'idea di diventare sistema insieme e condividere le nostre estinzioni come una. Prenditi pure il tuo tempo, se serve a farti prendere anche il mio. Sai quanti paesaggi identici sono in grado di sopportare per arrivare fin lì? Quanti divieti e segnali di pericolo e intimidazioni a rispettare i limiti sono in grado di ignorare? Dimentica il fatto che nella mia testa continuino ad essere evocati disastri o i peggiori scenari possibili: sono dilettantismi di autodifesa. Lo so che non ti piace sentirtelo dire, ma quantificare è il segreto e la fine del segreto. Che chi dice che nei numeri non c'è l'essenza delle cose, non conosce i numeri o non conosce l'essenza delle cose. Se in quello che dico, in quello che voglio dimostrare o in quello che credo di sentire c'è qualcosa che i numeri non possano significare, allora troverai che nascosti tra noi ci sono i numeri più grandi che chiunque abbia mai provato a contare
- E' una cosa molto bella da dire
- E' una cosa molto stupida da dire
Najla e lo sconosciuto restano in silenzio a guardare le proprie ombre crescere molte volte più alte di loro. Piccole lampadine si accendono tra i rami bassi degli alberi, rosse di sudore ed estate. Quando il buio scende, il parco è già scomparso.
07 luglio 2008
Volevo essere i Sunna
Questo è un post colloquiale perchè E mica posso sempre! e poi la penna con dentro le parole difficili mi è scoppiata in tasca e ha fatto una pozza verticale (la macchia), che chi mi incrocia per la via può dire Ti è scoppiata una penna in tasca o sei contento di vedermi? comunque poi la macchia è scomparsa, ma mi solletica pensare che si sia data alla macchia, la macchia rivoluzionaria, la macchia partigiana e io mi sono sempre immaginato il partigiano che mangia il parmigiano, perchè Ah, le associazioni fonetiche.
Io quando la gente mi chiede Che lavoro fai? vorrei dire sempre Spazzacamino ma finisce che non mi sovviene e allora dico la banale veritade. Dannate quelle situazioni che non si fanno annunciare, come quando dici qualcuno a qualcosa e poi vai via e poi ci pensi cento volte a quello che hai detto e sicuramente avresti potuto dirlo in cento modi migliori Ma! la prossima volta lo dico... e invece poi non lo dici mai.
Dicevamo post colloquiale come se io e te (ti devo dare del te) stessimo arrampicati su due di quegli alti sgabelli scomodi che ci sono nei bar scomodi a parlare del per e del diviso, ma io il caffè non lo prendo grazie che mi fa addormentare, preferisco un chinotto oppure ti faccio compagnia, come se lo avessi accettato, figurati, a buon rendere.
incidendo,
Quando, in virtù delle mie virtù, sono stato proscritto. Per questa ma solo per questa volta la colpa è di NigroClavel, che come solo lei, stila una lista di sette elementi con soli sei elementi. E il quinto elemento non è Milla Jovovich: se però ha i capelli arancioni non lo so. Dicevamo, c'affibbia il premio Brilloco Weblog 2008, patto che noi si faccia iccome lei. Pronti, via.
i. NigroClavel, Una Naviciuella Spaziuale. Perchè entrambi sappiamo e vogliamo che da questo circolare e ricorsivo scambio di link nasca una smagliatura nella pancia dello spazio-tempo, nella quale verrà inghiottito tutto l'universo, accompagnato da un sonoro rutto. Costei vince.
ii. XorlandoX, parolechetornanocarezze. Perchè mi piace quando scrive e quando esiste. Spero che non smetta.
iii. oraDem, trepassinellaneve. Perchè a volte capisce. E chissà se lo sa.
iv. k13utterfly, k13utterfly. Perchè questo posto assomiglia tanto ad una sua idea, e nessuno le chiede mai il permesso quando si frega le sue idee. Però scrivi, ciccia.
v. gracer, green eyes bloom goodbyes. A volte non ci vorresti entrare in quel blog per paura di rompere qualcosa. Cose fragili.
vi. momo, momonkey. New entry. Ne ho scoperto il blog via Naviciuella Spaziuale, e NigroClavel raramente toppa. Mi fa ridere quando è ironica e mi fa venire voglia di prenderci un caffe insieme quando si lamenta del creato tutto, fermo restando che io niente caffe al massimo un chinotto. Ah, "zero" c'est moi. Il pubblico rumoreggia.
vii. poligraf poligrafovic, corniciconcentriche. Newer than new entry. Cola classe come grasso da una bistecca sulla griglia, e che altro volete.
Io rompo la catena, eh.
inciso.
Che uno alla fine dell'inciso si aspetta un tocco di testo grosso almeno come quello prima dell'inciso e invece colpo di scena come nei film di M. Night Shyamalan. Alza la mano per chiedere la parola, si alza in piedi Comunque io volevo solo dire che lo spazio pensiero è bianco e quasi totalmente vuoto ma costellato di solidi platonici che rappresentano le idee. Le parole sono le dita con cui tocchiamo e veniamo a conoscere queste idee forme, nello stesso modo in cui un cieco impara a conoscere il mondo. Si siede.
Io quando la gente mi chiede Che lavoro fai? vorrei dire sempre Spazzacamino ma finisce che non mi sovviene e allora dico la banale veritade. Dannate quelle situazioni che non si fanno annunciare, come quando dici qualcuno a qualcosa e poi vai via e poi ci pensi cento volte a quello che hai detto e sicuramente avresti potuto dirlo in cento modi migliori Ma! la prossima volta lo dico... e invece poi non lo dici mai.
Dicevamo post colloquiale come se io e te (ti devo dare del te) stessimo arrampicati su due di quegli alti sgabelli scomodi che ci sono nei bar scomodi a parlare del per e del diviso, ma io il caffè non lo prendo grazie che mi fa addormentare, preferisco un chinotto oppure ti faccio compagnia, come se lo avessi accettato, figurati, a buon rendere.
incidendo,
Quando, in virtù delle mie virtù, sono stato proscritto. Per questa ma solo per questa volta la colpa è di NigroClavel, che come solo lei, stila una lista di sette elementi con soli sei elementi. E il quinto elemento non è Milla Jovovich: se però ha i capelli arancioni non lo so. Dicevamo, c'affibbia il premio Brilloco Weblog 2008, patto che noi si faccia iccome lei. Pronti, via.
i. NigroClavel, Una Naviciuella Spaziuale. Perchè entrambi sappiamo e vogliamo che da questo circolare e ricorsivo scambio di link nasca una smagliatura nella pancia dello spazio-tempo, nella quale verrà inghiottito tutto l'universo, accompagnato da un sonoro rutto. Costei vince.
ii. XorlandoX, parolechetornanocarezze. Perchè mi piace quando scrive e quando esiste. Spero che non smetta.
iii. oraDem, trepassinellaneve. Perchè a volte capisce. E chissà se lo sa.
iv. k13utterfly, k13utterfly. Perchè questo posto assomiglia tanto ad una sua idea, e nessuno le chiede mai il permesso quando si frega le sue idee. Però scrivi, ciccia.
v. gracer, green eyes bloom goodbyes. A volte non ci vorresti entrare in quel blog per paura di rompere qualcosa. Cose fragili.
vi. momo, momonkey. New entry. Ne ho scoperto il blog via Naviciuella Spaziuale, e NigroClavel raramente toppa. Mi fa ridere quando è ironica e mi fa venire voglia di prenderci un caffe insieme quando si lamenta del creato tutto, fermo restando che io niente caffe al massimo un chinotto. Ah, "zero" c'est moi. Il pubblico rumoreggia.
vii. poligraf poligrafovic, corniciconcentriche. Newer than new entry. Cola classe come grasso da una bistecca sulla griglia, e che altro volete.
Io rompo la catena, eh.
inciso.
Che uno alla fine dell'inciso si aspetta un tocco di testo grosso almeno come quello prima dell'inciso e invece colpo di scena come nei film di M. Night Shyamalan. Alza la mano per chiedere la parola, si alza in piedi Comunque io volevo solo dire che lo spazio pensiero è bianco e quasi totalmente vuoto ma costellato di solidi platonici che rappresentano le idee. Le parole sono le dita con cui tocchiamo e veniamo a conoscere queste idee forme, nello stesso modo in cui un cieco impara a conoscere il mondo. Si siede.
15 giugno 2008
Apocatastasi degli invisibili
Son gigante nano, umano troppo umano,
Son primo ballerino, vacuo canterino,
Son senza disdoro, sono un sicomoro,
Sono il probo viro, sono sotto tiro.
Sono un'entità, sono sua maestà,
Sono un infingardo, primo baluardo,
Sono un mastodonte, son Bellerofonte,
Sono il tuo sensei, sono chi per lei.
Sono ben vestito, son disinibito,
Sono acculturato, son disoccupato,
Sono surrettizio, sono caio e tizio,
Sono l'entropia, nel cappello della zia.
Ma tutto quel che sono,
non ve lo posso dire,
a dirlo non son buono,
mi proverò a cantar.
***
Un mostro salato, ecco cosa. Dopo che è evaporata la fatica di sollevarsi, mi rimane sulla pelle questo sapore alcalino. L'attaccapanni di me stesso, riflesso attaccabrighe e la superiorità delle bretelle. Vuoi sapere quali canzoni non posso fare a meno di ascoltare in questo periodo? Desideri conoscere i titoli dei libri che ho appena comprato?
Sono morto, in tutti i modi in cui è possibile morire se ci si muove ancora.
Per quanto mi riguarda, abbiamo infranto tutte le regole dell'abbandono. Ieri ho preso per mano una turista giapponese (i giapponesi si riconoscono perché, rispetto ai cinesi, sanno posare uno sguardo meno disilluso, meno ancestralmente esausto, sulle cose sconosciute) e le ho fatto fare una giravolta. Spero che metta una buona parola per me con il signore degli accadimenti statisticamente improbabili.
Per sempre fermi nel pomeriggio dell'ultimo giorno di scuola.
Son primo ballerino, vacuo canterino,
Son senza disdoro, sono un sicomoro,
Sono il probo viro, sono sotto tiro.
Sono un'entità, sono sua maestà,
Sono un infingardo, primo baluardo,
Sono un mastodonte, son Bellerofonte,
Sono il tuo sensei, sono chi per lei.
Sono ben vestito, son disinibito,
Sono acculturato, son disoccupato,
Sono surrettizio, sono caio e tizio,
Sono l'entropia, nel cappello della zia.
Ma tutto quel che sono,
non ve lo posso dire,
a dirlo non son buono,
mi proverò a cantar.
***
Un mostro salato, ecco cosa. Dopo che è evaporata la fatica di sollevarsi, mi rimane sulla pelle questo sapore alcalino. L'attaccapanni di me stesso, riflesso attaccabrighe e la superiorità delle bretelle. Vuoi sapere quali canzoni non posso fare a meno di ascoltare in questo periodo? Desideri conoscere i titoli dei libri che ho appena comprato?
Sono morto, in tutti i modi in cui è possibile morire se ci si muove ancora.
Per quanto mi riguarda, abbiamo infranto tutte le regole dell'abbandono. Ieri ho preso per mano una turista giapponese (i giapponesi si riconoscono perché, rispetto ai cinesi, sanno posare uno sguardo meno disilluso, meno ancestralmente esausto, sulle cose sconosciute) e le ho fatto fare una giravolta. Spero che metta una buona parola per me con il signore degli accadimenti statisticamente improbabili.
Per sempre fermi nel pomeriggio dell'ultimo giorno di scuola.
08 giugno 2008
Guerriglierotica
Sono giorni di n'ubi e s'ole.
Resto abbastanza sicuro che i Garbage non cantassero "The trick is to keep briefing".
Le femmine scelgono i maschi in base al numero di cubetti nel sangue e a colpi di Dimmi che starai con me.
Vola alto sopra la tua testa e poi ti attacca alle spalle, subdolo, il voltagabbiano.
Dove sono andate a nascondersi le ragazze con i fiori tra i capelli?
Anarch'io, anarch'io! E se mi arrabbio, ti spacco il centro del loto.
Se dura così poco non è felicità, ma autoipnosi.
Ci chiamavano allievi, ma non avevamo nulla di lieve. Eravamo, piuttosto, animali da allievamento.
Tu, che sei la mia campagna di russia.
Sì, vabbè, ma che insomma.
Resto abbastanza sicuro che i Garbage non cantassero "The trick is to keep briefing".
Le femmine scelgono i maschi in base al numero di cubetti nel sangue e a colpi di Dimmi che starai con me.
Vola alto sopra la tua testa e poi ti attacca alle spalle, subdolo, il voltagabbiano.
Dove sono andate a nascondersi le ragazze con i fiori tra i capelli?
Anarch'io, anarch'io! E se mi arrabbio, ti spacco il centro del loto.
Se dura così poco non è felicità, ma autoipnosi.
Ci chiamavano allievi, ma non avevamo nulla di lieve. Eravamo, piuttosto, animali da allievamento.
Tu, che sei la mia campagna di russia.
Sì, vabbè, ma che insomma.
25 maggio 2008
La decadenza dei costumi è una caratteristica delle società dell'abbondanza
Tanta gente in questo posto crede che io sia figlio di un incubo. Ci sono delle mattine in cui la mia pelle è troppo bianca e trasparente. Sotto, le vene scure mi sembrano le screpolature del muro dietro di me. A volte penso che sarebbe sufficiente che qualcuno mi soffiasse contro. Io cadrei, spaccato come un vecchio intonaco. Ci sono delle sere, quando resta solo il buio, che il soffitto della camera in cui dormo prende fuoco. Non sento il calore, ma vedo le fiamme. Quando succede, mi basta chiudere gli occhi: quando li riapro, il fuoco non c'è più. Una sera ho tenuto gli occhi aperti. Il fuoco è sceso lungo le pareti. Quando stava per toccarmi ho provato paura e freddo e non sapevo se avevo più paura o più freddo e allora ho chiuso subito gli occhi. Ora, ogni volta che va a fuoco il soffitto, chiudo sempre gli occhi.
Quando viene la pioggia, vado a sedermi sulla panchina in veranda. Guardo piovere. Mi piace la pioggia, perchè rende le cose più scure, e più scuri anche i movimenti di chi l'attraversa. Najla viene a sedersi con me. Guarda la pioggia con me. Dice: "E' bella la pioggia". E anche se non si potrebbe, io capisco che ne sta parlando come di qualcuno, non di qualcosa. Per lei la pioggia ha un corpo, che comincia e finisce in un dove, e non in un quando. Dovunque piova, cade la stessa pioggia. Come una donna, si lascia aspettare o ama tragicamente, e allora non se ne vuole più andare. Io non dico niente, così lei sa che le sto dando ragione. Restiamo in silenzio, guardiamo solo davanti a noi. Se non è lei la prima a rientrare a casa, sono io ad alzarmi e ad andare a camminare sotto la pioggia. Non mi volto indietro fino a quando non c'è più differenza tra quello che i miei occhi sentono e quello che la mia pelle vede. Allora torno a casa, mi spoglio nudo, stendo i vestiti ad asciugare e mi addormento, con in testa una rivoluzione.
Quando viene la pioggia, vado a sedermi sulla panchina in veranda. Guardo piovere. Mi piace la pioggia, perchè rende le cose più scure, e più scuri anche i movimenti di chi l'attraversa. Najla viene a sedersi con me. Guarda la pioggia con me. Dice: "E' bella la pioggia". E anche se non si potrebbe, io capisco che ne sta parlando come di qualcuno, non di qualcosa. Per lei la pioggia ha un corpo, che comincia e finisce in un dove, e non in un quando. Dovunque piova, cade la stessa pioggia. Come una donna, si lascia aspettare o ama tragicamente, e allora non se ne vuole più andare. Io non dico niente, così lei sa che le sto dando ragione. Restiamo in silenzio, guardiamo solo davanti a noi. Se non è lei la prima a rientrare a casa, sono io ad alzarmi e ad andare a camminare sotto la pioggia. Non mi volto indietro fino a quando non c'è più differenza tra quello che i miei occhi sentono e quello che la mia pelle vede. Allora torno a casa, mi spoglio nudo, stendo i vestiti ad asciugare e mi addormento, con in testa una rivoluzione.
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