30 settembre 2007
23 settembre 2007
Direzioni preferenziali per avversare il consorzio umano
Ora che piove si può dire la verità.
E allacciarsi le scarpe in modo convenzionale.
Ora che non piove più posso smettere di ascoltare.
Tolto ciò che c'è di alato in ciò che c'è di malato.
Mao aveva il suo libretto rosso, ma io non sono un gatto quindi tengo una agendina verde per i miei appunti. E tutte queste frasi alte come insetti, dovrei tornare a scrivercele su.
Siamo all'inizio, ma già cauterizzati.
Differenze mediate tra scrivere e scrittura.
Accuse ricamate su tessuti necrotizzanti. Imputare o amputare?
Nuoto in un fiume che non si accorge di me o sto cercando di tenere una sedia in equilibrio su di una gamba sola?
Vuoi una guida o qualcosa che ti indichi la strada.
Che sia un'etica o della segnaletica, non ti importa.
E' strano che proprio in quella occasione io abbia aspettato. Sarei dovuto scendere solo un attimo, fare ciò che ci si aspettava io facessi e risalire subito. Invece mi sono fermato, nell'isola spartitraffico, appoggiato ad un albero. C'era solo una donna di spalle, che si allontanava, tenuta al guinzaglio dal suo cane. E poi eccola, la foglia. Scendeva guardinga e ubriaca. Arriva lenta, mi sono detto. La posso prendere. Invece se la deve essere presa lei, perchè d'improvviso si butta giù a foglia morta. Mi tocca fare due passi di fretta, ma la colgo prima che tocchi terra. E' per metà gialla e per metà croccante. Impolverata e luccicante. Adesso vive con me.
E allacciarsi le scarpe in modo convenzionale.
Ora che non piove più posso smettere di ascoltare.
Tolto ciò che c'è di alato in ciò che c'è di malato.
Mao aveva il suo libretto rosso, ma io non sono un gatto quindi tengo una agendina verde per i miei appunti. E tutte queste frasi alte come insetti, dovrei tornare a scrivercele su.
Siamo all'inizio, ma già cauterizzati.
Differenze mediate tra scrivere e scrittura.
Accuse ricamate su tessuti necrotizzanti. Imputare o amputare?
Nuoto in un fiume che non si accorge di me o sto cercando di tenere una sedia in equilibrio su di una gamba sola?
Vuoi una guida o qualcosa che ti indichi la strada.
Che sia un'etica o della segnaletica, non ti importa.
E' strano che proprio in quella occasione io abbia aspettato. Sarei dovuto scendere solo un attimo, fare ciò che ci si aspettava io facessi e risalire subito. Invece mi sono fermato, nell'isola spartitraffico, appoggiato ad un albero. C'era solo una donna di spalle, che si allontanava, tenuta al guinzaglio dal suo cane. E poi eccola, la foglia. Scendeva guardinga e ubriaca. Arriva lenta, mi sono detto. La posso prendere. Invece se la deve essere presa lei, perchè d'improvviso si butta giù a foglia morta. Mi tocca fare due passi di fretta, ma la colgo prima che tocchi terra. E' per metà gialla e per metà croccante. Impolverata e luccicante. Adesso vive con me.
17 settembre 2007
Il mio nome è Harold Crick e quando esamino le pratiche in ufficio sento il suono di un oceano profondo e infinito
Quest'oggi avrei voluto parlarvi di me. Ma abbiamo scoperto che ci sono un sacco di me, tutti diversi, tutti in posti diversi. Ne abbiamo contati fino a sette, pensate un po'. Sarebbe troppo, allora, stare qui a narrarveli tutti. Presto detto, ho deciso quindi di parlarvi di io. Io è facile, un po' orso, dai modi forastici. (Avete visto? Ho detto forastico. L'ho detto perchè ho appena finito di leggere "L'isola di Arturo". Potete stare certi che, se sentite pronunciare quella parola a qualcuno, egli ha da poco voltato l'ultima pagina di quel romanzo.)
Tornando a noi, si diceva:
Io cerca l'amore della sua vita come una superstizione, e anche l'odio della sua vita.
Io, più per curiosità personale che per altro.
Cerca l'indifferenza della sua morte.
Cerca l'amore della vita degli altri.
Gli piacciono anche altre cose che appartengono agli altri.
Ad esempio le cose di carta, con la filigrana in mezzo, che si possono dare in cambio di beni e servizi.
Gli piace il sapore del fumo e l'odore delle sigarette sulle dita e la lieve ebrezza delle boccate di fumo trattenute troppo a lungo, ma gli piace anche sentirsi indipendente.
Gli piacciono le trame sonore epiche ed evocative.
Crede che non si possa vivere per sempre, insieme, ma da soli una speranza c'è.
Non gli piacciono i medici distratti, chi lavora in banca e i maestri svogliati.
Non gli piace essere malato e crede che la malattia sia una colpa e un diritto.
Io crede nel diritto alla colpa.
Non gli piace fare la fila e la gente che si fa aspettare.
Non capisce chi non riesce a ricevere un regalo senza sentire il disagio di doverlo ricambiare.
Mangia lo zucchero filato con sommo gusto, ma io non è il solo.
Va per strada a capo scoperto, quando piove.
Si, ce l'ha l'ombrello.
Ha anche il cappuccio sulla giacca, se volete saperlo.
No, non li usa.
Io è a suo agio anche quando è sporco, o vestito malamente.
Molti pensano di sapere chi sia veramente Io, ma Io si diverte spesso a prenderli di sorpresa.
Ah, e i compiti per casa. Ascoltare "Fuoco corri con me" e "Canzone della tolleranza e dell'amore universale" di Canali, Giorgio. E preparate anche la colonna sonora di "The fountain / L'albero della vita", che poi vi interrogo.
Tornando a noi, si diceva:
Io cerca l'amore della sua vita come una superstizione, e anche l'odio della sua vita.
Io, più per curiosità personale che per altro.
Cerca l'indifferenza della sua morte.
Cerca l'amore della vita degli altri.
Gli piacciono anche altre cose che appartengono agli altri.
Ad esempio le cose di carta, con la filigrana in mezzo, che si possono dare in cambio di beni e servizi.
Gli piace il sapore del fumo e l'odore delle sigarette sulle dita e la lieve ebrezza delle boccate di fumo trattenute troppo a lungo, ma gli piace anche sentirsi indipendente.
Gli piacciono le trame sonore epiche ed evocative.
Crede che non si possa vivere per sempre, insieme, ma da soli una speranza c'è.
Non gli piacciono i medici distratti, chi lavora in banca e i maestri svogliati.
Non gli piace essere malato e crede che la malattia sia una colpa e un diritto.
Io crede nel diritto alla colpa.
Non gli piace fare la fila e la gente che si fa aspettare.
Non capisce chi non riesce a ricevere un regalo senza sentire il disagio di doverlo ricambiare.
Mangia lo zucchero filato con sommo gusto, ma io non è il solo.
Va per strada a capo scoperto, quando piove.
Si, ce l'ha l'ombrello.
Ha anche il cappuccio sulla giacca, se volete saperlo.
No, non li usa.
Io è a suo agio anche quando è sporco, o vestito malamente.
Molti pensano di sapere chi sia veramente Io, ma Io si diverte spesso a prenderli di sorpresa.
Ah, e i compiti per casa. Ascoltare "Fuoco corri con me" e "Canzone della tolleranza e dell'amore universale" di Canali, Giorgio. E preparate anche la colonna sonora di "The fountain / L'albero della vita", che poi vi interrogo.
13 settembre 2007
I ricordi sono commestibili come le unghie delle dita maggiori
voglio essere annegato
voglio essere assecondato
voglio essere atterrito
voglio essere ascoltato
voglio essere allontanato
voglio essere avvicinato
voglio essere abbracciato
voglio essere accettato
voglio essere adescato
voglio essere adoperato
voglio essere aperto
voglio essere alato
voglio essere atterrato
voglio essere addobbato
voglio essere accomodato
voglio essere aviotrasportato
voglio essere abbindolato
voglio essere anticipato
voglio essere abbeverato
voglio essere affaticato
voglio essere affranto
voglio essere allenato
voglio essere attaccato
voglio essere arrivato
voglio essere allungato
voglio essere agguantato
voglio essere addolorato
voglio essere annerito
voglio essere ammaestrato
voglio essere attraversato
voglio essere arroventato
voglio essere arenato
voglio essere assonnato
voglio essere aggirato
voglio essere assassinato
voglio essere accreditato
voglio essere ammazzato
voglio essere appagato
voglio essere avventato
voglio essere alleato
voglio essere azzerato
voglio essere avvelenato
voglio essere ammanettato
voglio essere assolto
voglio essere ammattito
voglio essere a.
voglio essere assecondato
voglio essere atterrito
voglio essere ascoltato
voglio essere allontanato
voglio essere avvicinato
voglio essere abbracciato
voglio essere accettato
voglio essere adescato
voglio essere adoperato
voglio essere aperto
voglio essere alato
voglio essere atterrato
voglio essere addobbato
voglio essere accomodato
voglio essere aviotrasportato
voglio essere abbindolato
voglio essere anticipato
voglio essere abbeverato
voglio essere affaticato
voglio essere affranto
voglio essere allenato
voglio essere attaccato
voglio essere arrivato
voglio essere allungato
voglio essere agguantato
voglio essere addolorato
voglio essere annerito
voglio essere ammaestrato
voglio essere attraversato
voglio essere arroventato
voglio essere arenato
voglio essere assonnato
voglio essere aggirato
voglio essere assassinato
voglio essere accreditato
voglio essere ammazzato
voglio essere appagato
voglio essere avventato
voglio essere alleato
voglio essere azzerato
voglio essere avvelenato
voglio essere ammanettato
voglio essere assolto
voglio essere ammattito
voglio essere a.
09 settembre 2007
Il lupo non c'è, però se vuoi crepo io
La chiarezza che solo una notte di settembre può portare. Io vado avanti e i dubbi si fanno ai lato, bisbigliando con rispetto. Mi scoppiano i polpacci e per avanzare ci devo mettere tutta la rabbia e le strettoie tra i denti. Ho sempre una canzone in testa e adesso questa parla bene di tanto niente. Rientro a casa e mi dico che le cose piccole le potrei fare senza pensare, come slacciarmi le scarpe o aprire il frigo. Ma no ma no io voglio esserci. Tanto ho un posto tutto mio dove me ne posso andare quando c'ho lo schifo sul collo che mi cola davanti e dietro. Fa stanco, non trovi? Con i soldi che ho mi ci posso comprare solo altre gabbie. A guardare i muri sembrerebbe di stare ancora coi piedi per terra. Ho la peste, non lo sapevi? Vi chiedo acqua ma ormai non c'è più niente da fare, potete solo starmi lontani. Sono ancora lì stanco, con gli occhi che fanno troppe domande. A volte i libri non sono come quando li avevi iniziati a leggere. Quello non lo puoi toccare, è troppo bello. Poi non è che sono cresciuto è solo che i miei giocattoli hanno smesso di parlare. Ora altre cose parlano, ma io ho un altro nome. Mi impegno quando faccio il morto a galla. Belle le vesti da saltimbanco, metà bianche e metà nere. Ti è stato utile il tempo guadagnato? Suvvia, era solo uno scherzo col mantello. Ma non di noia.
03 settembre 2007
Allthelovelessness
Mi ha tenuto sveglio un lavello
fuori tempo per tutta la notte
ho creduto sanguinasse
ogni goccia aveva un suono diverso
una melodia senza fine
dove alla fine sonnecchia la follia
Ancora da bambino pensavo al contrario delle lampadine. Accese nelle mia stanza in pieno giorno, avrebbero proiettato un cono di oscurità totale. Con dentro me.
Uno è biondo ed ha gli occhi chiari. L'altro, scuro di pelo, gli occhi non li ha. Qualcosa gli brucia nelle orbite e incenerisce tutto ciò su cui posa lo sguardo. Metaforicamente, o forse no. Potrebbero essere due angeli o due demoni o due persone normali. Sembrano troppo normali per essere due persone. Un'ancestrale mitologia deve averli messi qui, l'uno accanto all'altro, in piedi, sotto questo albero dai rami viola che al posto delle foglie ha piume blu. Il biondino è ferito lungo un fianco, e tiene in pressione la ferita, con una mano. Nasconde anche un'altra cicatrice sul collo, sotto una benda.
Dialogano i due.
Occhi di bragia sta gesticolando, lentamente. Si osserva il braccio mentre lo solleva a mezz'aria. Ha la manica sporca di sangue.
Parlano ancora. Sembra importante. Come se il compimento di un male, uno tra i tanti, e di un bene, uno tra i pochi, dipendessero dall'esito di questa discussione.
Mi parlano, ma tutto quello che sento è meta-rumore.
Qualche volta mi immagino una persona che infila una mano nel tritacarne. C'è questa mano che scompare fino al polso dentro la vorace macchina e in fondo la carne trita che viene raccolta e preparata per il ragù.
Qualche volta mi immagino anche come togliere la pelle da una faccia. Io inizierei da una incisione accanto all'orecchio, scenderei in verticale fino a dove si ancora la mascella e ne seguirei la curva fino alla punta del mento. Continuerei simmetricamente, a salire, fino all'altro orecchio, e poi è facile basta seguire l'attaccatura dei capelli.
Potrebbero essere i pensieri di un bambino che rompe il suo giocattolo preferito per vedere com'è fatto dentro.
Possiamo vivere con l'illusione che un cactus non abbia bisogno di un abbraccio, ogni tanto.
Continuano ad arrivarmi cartoline. Vengono dal futuro ed il mittente sono io. O almeno, dovrei essere io. Mi chiedo se, dal momento che tanto sono già arrivate, io debba ancora spedirle al me-passato dal me-futuro. Mi chiedo se il me-futuro che ha spedito le cartoline si è già posto questa domanda. E poi perchè continuo a mandarmi cartoline in bianco e nero?
Mi ero apparecchiato l'anima. Poi qualcuno si è imbucato.
E comunque, sì.
fuori tempo per tutta la notte
ho creduto sanguinasse
ogni goccia aveva un suono diverso
una melodia senza fine
dove alla fine sonnecchia la follia
Ancora da bambino pensavo al contrario delle lampadine. Accese nelle mia stanza in pieno giorno, avrebbero proiettato un cono di oscurità totale. Con dentro me.
Uno è biondo ed ha gli occhi chiari. L'altro, scuro di pelo, gli occhi non li ha. Qualcosa gli brucia nelle orbite e incenerisce tutto ciò su cui posa lo sguardo. Metaforicamente, o forse no. Potrebbero essere due angeli o due demoni o due persone normali. Sembrano troppo normali per essere due persone. Un'ancestrale mitologia deve averli messi qui, l'uno accanto all'altro, in piedi, sotto questo albero dai rami viola che al posto delle foglie ha piume blu. Il biondino è ferito lungo un fianco, e tiene in pressione la ferita, con una mano. Nasconde anche un'altra cicatrice sul collo, sotto una benda.
Dialogano i due.
Occhi di bragia sta gesticolando, lentamente. Si osserva il braccio mentre lo solleva a mezz'aria. Ha la manica sporca di sangue.
Parlano ancora. Sembra importante. Come se il compimento di un male, uno tra i tanti, e di un bene, uno tra i pochi, dipendessero dall'esito di questa discussione.
Mi parlano, ma tutto quello che sento è meta-rumore.
Qualche volta mi immagino una persona che infila una mano nel tritacarne. C'è questa mano che scompare fino al polso dentro la vorace macchina e in fondo la carne trita che viene raccolta e preparata per il ragù.
Qualche volta mi immagino anche come togliere la pelle da una faccia. Io inizierei da una incisione accanto all'orecchio, scenderei in verticale fino a dove si ancora la mascella e ne seguirei la curva fino alla punta del mento. Continuerei simmetricamente, a salire, fino all'altro orecchio, e poi è facile basta seguire l'attaccatura dei capelli.
Potrebbero essere i pensieri di un bambino che rompe il suo giocattolo preferito per vedere com'è fatto dentro.
Possiamo vivere con l'illusione che un cactus non abbia bisogno di un abbraccio, ogni tanto.
Continuano ad arrivarmi cartoline. Vengono dal futuro ed il mittente sono io. O almeno, dovrei essere io. Mi chiedo se, dal momento che tanto sono già arrivate, io debba ancora spedirle al me-passato dal me-futuro. Mi chiedo se il me-futuro che ha spedito le cartoline si è già posto questa domanda. E poi perchè continuo a mandarmi cartoline in bianco e nero?
Mi ero apparecchiato l'anima. Poi qualcuno si è imbucato.
E comunque, sì.
23 agosto 2007
Sarà una canzone di 5 minuti ad uccidermi
#Macrocosmo e microcosmo#
Utopia e imbarazzo:
Un giorno tutti gli uomini saranno uguali.
E non avranno più niente da dirsi.
Una cosa in comune di troppo:
Siamo uguali io e te. E non abbiamo niente da dirci.
-Mi farebbe piacere ricevere una lettera da te
disse l'ombra dell'uomo solitario.
-Certe cose vengono meglio quando sono spontanee
rispose la luce proveniente dalla finestra illuminata.
****
-Mi avevi già visto passare, vero?
-Cosa?
-No, niente
-Comunque sì
****
-Di lettere ne ho scritte molte
-Di cosa parlavano?
-Amore. O tassi d'interesse. Non ricordo.
-E ci hai mai creduto?
-All'amore o ai tassi?
-Importa in cosa credi, se credi in qualcosa?
-Direi di no
-E quindi?
-So solo che le ho firmate tutte, quelle lettere
-...
-Ed erano tutte anonime
Utopia e imbarazzo:
Un giorno tutti gli uomini saranno uguali.
E non avranno più niente da dirsi.
Una cosa in comune di troppo:
Siamo uguali io e te. E non abbiamo niente da dirci.
-Mi farebbe piacere ricevere una lettera da te
disse l'ombra dell'uomo solitario.
-Certe cose vengono meglio quando sono spontanee
rispose la luce proveniente dalla finestra illuminata.
****
-Mi avevi già visto passare, vero?
-Cosa?
-No, niente
-Comunque sì
****
-Di lettere ne ho scritte molte
-Di cosa parlavano?
-Amore. O tassi d'interesse. Non ricordo.
-E ci hai mai creduto?
-All'amore o ai tassi?
-Importa in cosa credi, se credi in qualcosa?
-Direi di no
-E quindi?
-So solo che le ho firmate tutte, quelle lettere
-...
-Ed erano tutte anonime
21 agosto 2007
I concetti fondamentali del condimento del surimi
Al crepuscolo, insonne, sulla cresta più alta di una collina. E' in funzione una giostra che sporca l'aria con le sue luminarie gialle ed arancioni. Nell'uragano di seggiolini che tiene legati a sè, infestano e siedono solo uomini adulti, scalzi, coperti da una tunica lattea e derubati della vista da una benda nera. Arriva il buio della notte, l'equivoco oscuro, senza farsi annunciare. Ora la giostra è spenta, dorme, i tentacoli pendono senza volontà alcuna lungo i fianchi. Gli uomini si sono liberati, e si muovono tutti verso di me. Non riesco più a distinguerli, sento l'erba venire schiacciata, trattenere il respiro, sempre più vicina, le bocche che si riempiono di saliva. I primi mi sono già addosso. Sono inghiottito.
Nell'elenco dei sintomi della depressione è incluso quello di sentirsi depressi quando si legge l'elenco dei sintomi della depressione.
Proprio per quella mattina Dio aveva convocato il Giudizio Universale. E proprio la sera prima io avevo dimenticato di puntare la sveglia. A ripensarci, fu sciocco credere di poter dormire un poco di più, almeno ora che era giunta la fine dei tempi. Fatto sta che dormii troppo, e me lo persi. Morale della favola: tutti vennero assunti in cielo, ed io restai disoccupato. Per mia fortuna incontrai un imprenditore, un tipo dall'aspetto caprino e dall'alito sulfureo.
Ora ho un posto fisso, in un locale underground.
Molto underground.
Mi seguiva sulla spiaggia, calpestando le mie impronte. Io ho i piedi più grandi, quindi non deve essere stato difficile. Quando me ne sono accorto ho preso a saltare, girare su me stesso, ballare improbabile. Siamo scoppiati a ridere, per colpa mia.
Un piatto che si riempie di segreti freddi, questo il mondo.
Con gli occhi chiusi, mandiamo giù.
Raggiungono l'inferno e lo fanno singhiozzare.
Gli ombrelli cuciti con la nostra pelle.
Servono a riparare dalla pioggia spremuta dei nostri umori.
Allora il vuoto dentro si fa grotta,
dove le lacrime filtrano lente, progettando stalattiti.
Ogni dente propaga le sue radici, e cresce albero del dolore.
Maturano frutti lucenti, esangui, marci e osceni.
Dolci bulbi oculari da succhiare e sputare.
In un luogo simile avevo la mia casa.
Oggi è stata seppellita, mentre ancora ringhiava.
Nell'elenco dei sintomi della depressione è incluso quello di sentirsi depressi quando si legge l'elenco dei sintomi della depressione.
Proprio per quella mattina Dio aveva convocato il Giudizio Universale. E proprio la sera prima io avevo dimenticato di puntare la sveglia. A ripensarci, fu sciocco credere di poter dormire un poco di più, almeno ora che era giunta la fine dei tempi. Fatto sta che dormii troppo, e me lo persi. Morale della favola: tutti vennero assunti in cielo, ed io restai disoccupato. Per mia fortuna incontrai un imprenditore, un tipo dall'aspetto caprino e dall'alito sulfureo.
Ora ho un posto fisso, in un locale underground.
Molto underground.
Mi seguiva sulla spiaggia, calpestando le mie impronte. Io ho i piedi più grandi, quindi non deve essere stato difficile. Quando me ne sono accorto ho preso a saltare, girare su me stesso, ballare improbabile. Siamo scoppiati a ridere, per colpa mia.
Un piatto che si riempie di segreti freddi, questo il mondo.
Con gli occhi chiusi, mandiamo giù.
Raggiungono l'inferno e lo fanno singhiozzare.
Gli ombrelli cuciti con la nostra pelle.
Servono a riparare dalla pioggia spremuta dei nostri umori.
Allora il vuoto dentro si fa grotta,
dove le lacrime filtrano lente, progettando stalattiti.
Ogni dente propaga le sue radici, e cresce albero del dolore.
Maturano frutti lucenti, esangui, marci e osceni.
Dolci bulbi oculari da succhiare e sputare.
In un luogo simile avevo la mia casa.
Oggi è stata seppellita, mentre ancora ringhiava.
16 agosto 2007
La neve esplosa
Sto seduto su questa poltrona rosso scuro, bordò, amaranto, granata, vinaccia, che ne so. Bassa, squadrata, macchiata del sudore del culo di chissà chi, mi sega la schiena in due.
Fumo, che mi frega.
Camel.
Due tizi, seduti su un divanetto accanto a me, ci danno di limone. Apparizioni di lingua in religioso sciacquettio, pesci rossi in un abbeveratoio fangoso.
Mi si avvicina una ragazza.
Non ha i capelli e nemmeno le sopracciglia. Mi si mette accanto, con due dita mi toglie la sigaretta di bocca, dà un tiro, ce la rinfila.
"Va tutto bene".
Se ne torna nel nulla sfilacciato da cui era uscita.
Chissà che sguardo da coglioncello, mi direi se mi vedessi adesso. Allora mi impongo di guardare altrove.
Una volta mi lamentavo della mancanza di ragazze così così. Dove le tengono nascoste le bruttine?
Un tipo sul palco piglia in mano un jack e prova a infilarselo nel basso. Dall'altoparlante esce prima un grigio fzzzz e poi un lurido stack. Si vede che gli piace, visto che lo tira fuori e ci riprova un altro paio di volte. Le mie orecchie lo mandano sinceramente a fanculo.
Una volta c'avevo ragione.
Non so a che cazzo pensare.
Allora cerco di autoconvincermi di essere fuori posto, di sentirmi a disagio, ma non funziona. Mi canto addosso Creep dei Radiohead, rigorosamente in versione acustica.
What the hell am I doing here?
Ci sono le zanzariere alle finestre.
I don't belong here.
Il che non impedisce alla sala di riempirsi di mosche. Ce ne sono giusto due che si stanno gustosamente ammucchiando sul mio bracciolo sinistro. La schifo-mosca di sopra si sfrega le mani. Facciamo collegamenti scontati, dai, ma mi viene da pensare alle api. Dentro l'alveare, comunicano alle altre api la posizione di un fiore lontano attraverso uno strano balletto. Me l'ha insegnato Sua Ignoranza la Tv.
A nord ovest, vola 14m e poi un terzo di giro intorno all'albero.
Lo dicono percorrendo un invisibile labirinto. Allora cerco con lo sguardo una figura femminile consona. Va bene questa, vitino da vespa, toppino giallo. Si muove come se fosse in preda alla febbre emorragica davanti ai bagni chimici dell'Oktoberfest. Che cosa mi vuoi dire, donna Maia? Dove devo andare a cercare il mio sacro pistillo quotidiano? Spero fuori di qui. No, neanche la parte di quello che non ce la fa più mi riesce.
Ma che cazzo significa va tutto bene?
Fumo, che mi frega.
Camel.
Due tizi, seduti su un divanetto accanto a me, ci danno di limone. Apparizioni di lingua in religioso sciacquettio, pesci rossi in un abbeveratoio fangoso.
Mi si avvicina una ragazza.
Non ha i capelli e nemmeno le sopracciglia. Mi si mette accanto, con due dita mi toglie la sigaretta di bocca, dà un tiro, ce la rinfila.
"Va tutto bene".
Se ne torna nel nulla sfilacciato da cui era uscita.
Chissà che sguardo da coglioncello, mi direi se mi vedessi adesso. Allora mi impongo di guardare altrove.
Una volta mi lamentavo della mancanza di ragazze così così. Dove le tengono nascoste le bruttine?
Un tipo sul palco piglia in mano un jack e prova a infilarselo nel basso. Dall'altoparlante esce prima un grigio fzzzz e poi un lurido stack. Si vede che gli piace, visto che lo tira fuori e ci riprova un altro paio di volte. Le mie orecchie lo mandano sinceramente a fanculo.
Una volta c'avevo ragione.
Non so a che cazzo pensare.
Allora cerco di autoconvincermi di essere fuori posto, di sentirmi a disagio, ma non funziona. Mi canto addosso Creep dei Radiohead, rigorosamente in versione acustica.
What the hell am I doing here?
Ci sono le zanzariere alle finestre.
I don't belong here.
Il che non impedisce alla sala di riempirsi di mosche. Ce ne sono giusto due che si stanno gustosamente ammucchiando sul mio bracciolo sinistro. La schifo-mosca di sopra si sfrega le mani. Facciamo collegamenti scontati, dai, ma mi viene da pensare alle api. Dentro l'alveare, comunicano alle altre api la posizione di un fiore lontano attraverso uno strano balletto. Me l'ha insegnato Sua Ignoranza la Tv.
A nord ovest, vola 14m e poi un terzo di giro intorno all'albero.
Lo dicono percorrendo un invisibile labirinto. Allora cerco con lo sguardo una figura femminile consona. Va bene questa, vitino da vespa, toppino giallo. Si muove come se fosse in preda alla febbre emorragica davanti ai bagni chimici dell'Oktoberfest. Che cosa mi vuoi dire, donna Maia? Dove devo andare a cercare il mio sacro pistillo quotidiano? Spero fuori di qui. No, neanche la parte di quello che non ce la fa più mi riesce.
Ma che cazzo significa va tutto bene?
03 agosto 2007
Non c'è Dio che tenga Sei tu per me bestemmia
Non preoccupato, desolato. Che tedio preparare il bagaglio. L'acetilazione è il processo cui si sottopone il legno affinchè non assorba eccessiva umidità. L'acqua della doccia si stacca dal corpo all'altezza degli occhi. Vedo le gocce allontanarsi, farsi piccole, circoscrivere lo spazio in cui mi posso muovere in sicurezza. Era un problema con la messa a fuoco, per questo mi sembrava la scena di un film. Voglio vedere Heimat, Decalogo 6, Tideland, Lezioni di piano, La doppia vita di Veronica, Miriam si sveglia a mezzanotte. Insieme sarebbe meglio. E comunque quello non era bordeaux. Perchè un giorno ti lascerò un fantasma che ti prenderà per mano e ti accompagnerà attraverso l'estate.
Devo decidere cosa dimenticarmi.
Guidavo forte la macchina della banalità poi sei arrivata tu mio guard-rail e io ho perso il controllo e ho accelerato e mi sono schiantato e sono volato fuori attraversando il parabrezza mille schegge mille gocce una rete divisa negli spazi tra le maglie di una calza tutte intorno sparse col sangue sull'asfalto e i rivoli nei dossi. Catapultato e salvo Grazie.
Toccare e saggiare il punto di rottura. Reiterare, fino a compimento del danno. Ora sì, ti vedo priva del resto intorno. Mi dispiace, non mi dispiace, sì, no, bianco, nero, virato viola. Una parola così soffice che sembra si spezzi se dovessi pronuciarla. Credetti di strappare una rosa e mi trovai le mani strette nell'abbraccio del filo spinato. Tiravo appresso a me la sufficenza come un carretto che lasciava il suo tracciato nella neve. L'ombelico è un vanto, la prima cicatrice, aggiunge qualcosa al portamento.
Senza, vado e non so altro.
Devo decidere cosa dimenticarmi.
Guidavo forte la macchina della banalità poi sei arrivata tu mio guard-rail e io ho perso il controllo e ho accelerato e mi sono schiantato e sono volato fuori attraversando il parabrezza mille schegge mille gocce una rete divisa negli spazi tra le maglie di una calza tutte intorno sparse col sangue sull'asfalto e i rivoli nei dossi. Catapultato e salvo Grazie.
Toccare e saggiare il punto di rottura. Reiterare, fino a compimento del danno. Ora sì, ti vedo priva del resto intorno. Mi dispiace, non mi dispiace, sì, no, bianco, nero, virato viola. Una parola così soffice che sembra si spezzi se dovessi pronuciarla. Credetti di strappare una rosa e mi trovai le mani strette nell'abbraccio del filo spinato. Tiravo appresso a me la sufficenza come un carretto che lasciava il suo tracciato nella neve. L'ombelico è un vanto, la prima cicatrice, aggiunge qualcosa al portamento.
Senza, vado e non so altro.
25 luglio 2007
Succo di fretta
E' tornato l'affanno. Quella sensazione di perpetuo inseguirmi. Quel mio scodinzolarmi davanti al muso. Il pensiero che edifica cento edifici, progetti di cose da fare, persone da incontrare per la prima volta, esperienze da registrare, ancora incontri per l'ennesima prima volta. Tutto messo su carta, un piano dettagliato. Ma il corpo non segue. Il ritorno a casa, la testa lenta e le braccia pesanti, occhi che ad ogni battere fanno sempre più fatica a tornare aperti, lo so dovrei, ma no no non ce la faccio, domani promesso sì domani, recupererò. Il corpo rincorre la mente. Mi rincorro. Poi eventi inaspettati, sgradevoli contrattempi, meravigliose coincidenze. La vita che capita, ma che non era in programma. Che occupa il corpo in maniere non previste. E il pensiero che deve ricondurre tutto ai piani originali. Far collimare, che ci vuole, sarà facile; un nuovo paradigma e tutto sarà assimilato. La mente rincorre il corpo. Mi rincorro. Qualcosa deve cambiare.
Avessi una coda da sventolare e far leggere agli altri! Invece mi è stato dato un sorriso che non so usare.
A volte interrompo la lettura di un libro e resto imbambolato a guardare la pagina aperta. Allora le lettere scompaiono e dagli spazi bianchi tra le righe e dai contorni delle parole emergono figure prima invisibili. Spesso sono semplici suggestioni geometriche, come cerchi o triangoli. Più raramente dei volti stilizzati o figure di animali. In una occasione ho anche creduto di vedere un rudimentale paesaggio.
Acqua che scivola da una grondaia rossa e batte sorda sull'asfalto. La scambio per il ritmo di una musica remota.
E' un vecchio foglio. La carta è ingiallita, la quadrettatura sbiadita. E un foglio per raccoglitori ad anelli, sul lato ci sono due fori di mezzo centimetro. Sul bordo di uno dei buchi è rimasto attaccato un cerchiolino di carta, evirato da un qualche tipo di meccanismo rilegatore, ma dimenticato lì. Il perimetro è circondato dalla sottile peluria della carta strappata. A metà, lungo la linea di piega del foglio, c'è un minuscolo rigonfiamento, simbolo delle centinaia di volte in cui è stato piegato e dispiegato. In un angolo la superficie della carta si fa grinzosa, forse una mano emozionata ha stretto quel lembo con troppo ardore. Dove le gocce hanno baciato il foglio, l'inchiostro si è spanso in macchie diafane dai bordi frastagliati, come meduse azzurre sospese in un'enormità lattiginosa. Negli stessi tratti la scrittura si fa indecifrabile, le grazie della bella grafia corsiva iniziano a gonfiarsi e, prossimo agli abissi più profondi, ogni simbolo si confonde e fa misterioso. Ritenne giusto imparare a memoria non solo quelle parole e il loro suono, ma anche il corpo su cui erano state tatuate: per incatenare il ricordo alla gabbia in cui furono imprigionate, insieme al suo futuro.
Incastrati.
Le nostre teste accanto.
Orecchio contro orecchio, reciproci.
Denti di un ingranaggio da immaginare.
Inseriti ognuno nella fessura dell'altro,
una spalla sopra una testa,
una testa sopra una spalla.
Uno di noi due,
e non ti dirò chi,
è capovolto.
Leggeri particolari, è chiaro:
un lieve imporporarsi del viso,
bizzarro ricadere della stoffa dei vestiti,
lo sguardo stretto e la tensione
dei muscoli della mascella e del collo.
Stupida posa, per una fotografia.
Avessi una coda da sventolare e far leggere agli altri! Invece mi è stato dato un sorriso che non so usare.
A volte interrompo la lettura di un libro e resto imbambolato a guardare la pagina aperta. Allora le lettere scompaiono e dagli spazi bianchi tra le righe e dai contorni delle parole emergono figure prima invisibili. Spesso sono semplici suggestioni geometriche, come cerchi o triangoli. Più raramente dei volti stilizzati o figure di animali. In una occasione ho anche creduto di vedere un rudimentale paesaggio.
Acqua che scivola da una grondaia rossa e batte sorda sull'asfalto. La scambio per il ritmo di una musica remota.
E' un vecchio foglio. La carta è ingiallita, la quadrettatura sbiadita. E un foglio per raccoglitori ad anelli, sul lato ci sono due fori di mezzo centimetro. Sul bordo di uno dei buchi è rimasto attaccato un cerchiolino di carta, evirato da un qualche tipo di meccanismo rilegatore, ma dimenticato lì. Il perimetro è circondato dalla sottile peluria della carta strappata. A metà, lungo la linea di piega del foglio, c'è un minuscolo rigonfiamento, simbolo delle centinaia di volte in cui è stato piegato e dispiegato. In un angolo la superficie della carta si fa grinzosa, forse una mano emozionata ha stretto quel lembo con troppo ardore. Dove le gocce hanno baciato il foglio, l'inchiostro si è spanso in macchie diafane dai bordi frastagliati, come meduse azzurre sospese in un'enormità lattiginosa. Negli stessi tratti la scrittura si fa indecifrabile, le grazie della bella grafia corsiva iniziano a gonfiarsi e, prossimo agli abissi più profondi, ogni simbolo si confonde e fa misterioso. Ritenne giusto imparare a memoria non solo quelle parole e il loro suono, ma anche il corpo su cui erano state tatuate: per incatenare il ricordo alla gabbia in cui furono imprigionate, insieme al suo futuro.
Incastrati.
Le nostre teste accanto.
Orecchio contro orecchio, reciproci.
Denti di un ingranaggio da immaginare.
Inseriti ognuno nella fessura dell'altro,
una spalla sopra una testa,
una testa sopra una spalla.
Uno di noi due,
e non ti dirò chi,
è capovolto.
Leggeri particolari, è chiaro:
un lieve imporporarsi del viso,
bizzarro ricadere della stoffa dei vestiti,
lo sguardo stretto e la tensione
dei muscoli della mascella e del collo.
Stupida posa, per una fotografia.
19 luglio 2007
A pelle dritta
Fotografare è inzuppare nello spettro del visibile, fare la scarpetta in un piatto di radiazioni al sugo, pulirsi i lati della bocca con un tovagliolo fotosensibile. Resi simili ed unici dalla capacità con cui riflettiamo la luce, non avevamo pensato di essere ad immagine e somiglianza, nella somiglianza alle immagini, di un Dio specchio, e il paradiso si contempla ogni mattina, in bagno, sopra il lavandino. Non puoi vedere Dio se lui è lo specchio perfetto: noi siamo quelli che veniamo in tutte le foto con gli occhi chiusi. Testimonianza di cecità. La più grande espressione di conforto che mi sia mai sentito dire è stata: "la gente non vede".
Di quel sogno ricordo solo le dita che si staccano dalle mie mani e scappano via, strisciando come bruchi. Ed io mentre mi avvito la pancia, con tanto di cacciavite e viti di metallo da 5cm.
Ha occhi grandi, grandi come cattedrali. Le ciglia travestite da guglie, che accompagnano via lo sguardo. Ti guarda e pensi che la tua immagine risuoni lì dentro come un'eco, che si rifletta due, tre, quattro volte in copie di te sempre più brevi e indecifrabili e alla fine vada a nascondersi in un angolo buio. Un giorno, un ocularcheologo paziente e certosino ti scoverà, con uno strumento ipersensibile, eco di eco.
Due nei gemelli sulla spalla sinistra, particelle che gravitano l'una intorno all'altra assecondando qualche misteriosa, ma sfrenata, forza di attrazione.
I capelli sono l'opera di Efesto: spire di ossidiana forgiate nello stomaco ribollente della terra.
I difetti più evidenti: il labbro superiore spicca dalle curve del volto con violenza -come un singhiozzo nella grazia- e gli incavi ai lati del tendine dietro la caviglia, quasi invisibili.
Le orecchie buffe.
I segreti nascosti nella pelle levigata e fragrante, quante pozioni e incantesimi!
Si addormenta e una vena sopra la clavicola prende a sussultare in modo sconclusionato, dimentica del ritmo del respiro e delle pulsioni del cuore. Sogna e piega leggermente le dita, in piccoli sussulti. Il ritmico alzarsi e abbassarsi delle ciglia rivela il moto lento degli occhi all'interno delle palpebre chiuse, ricorda il beccheggiare elegante di una nave. Le sopracciglia si increspano, come farebbe la piuma di un gabbiano scossa dal vento, messa a pennacchio di un castello di sabbia dal gioco di un bambino; lo sguardo si fa corrucciato, appena amaro.
Finchè non appariranno nuove stelle, sarà sempre pieno di X.
Ogni bisogno sboccia dall'incontro di due sogni.
Ogni volta che un cuore si spezza, raddoppia la sua capacità di amare e dimezza l'intesità con cui può farlo: il sentimento è una cassetta di regoli.
Di quel sogno ricordo solo le dita che si staccano dalle mie mani e scappano via, strisciando come bruchi. Ed io mentre mi avvito la pancia, con tanto di cacciavite e viti di metallo da 5cm.
Ha occhi grandi, grandi come cattedrali. Le ciglia travestite da guglie, che accompagnano via lo sguardo. Ti guarda e pensi che la tua immagine risuoni lì dentro come un'eco, che si rifletta due, tre, quattro volte in copie di te sempre più brevi e indecifrabili e alla fine vada a nascondersi in un angolo buio. Un giorno, un ocularcheologo paziente e certosino ti scoverà, con uno strumento ipersensibile, eco di eco.
Due nei gemelli sulla spalla sinistra, particelle che gravitano l'una intorno all'altra assecondando qualche misteriosa, ma sfrenata, forza di attrazione.
I capelli sono l'opera di Efesto: spire di ossidiana forgiate nello stomaco ribollente della terra.
I difetti più evidenti: il labbro superiore spicca dalle curve del volto con violenza -come un singhiozzo nella grazia- e gli incavi ai lati del tendine dietro la caviglia, quasi invisibili.
Le orecchie buffe.
I segreti nascosti nella pelle levigata e fragrante, quante pozioni e incantesimi!
Si addormenta e una vena sopra la clavicola prende a sussultare in modo sconclusionato, dimentica del ritmo del respiro e delle pulsioni del cuore. Sogna e piega leggermente le dita, in piccoli sussulti. Il ritmico alzarsi e abbassarsi delle ciglia rivela il moto lento degli occhi all'interno delle palpebre chiuse, ricorda il beccheggiare elegante di una nave. Le sopracciglia si increspano, come farebbe la piuma di un gabbiano scossa dal vento, messa a pennacchio di un castello di sabbia dal gioco di un bambino; lo sguardo si fa corrucciato, appena amaro.
Finchè non appariranno nuove stelle, sarà sempre pieno di X.
Ogni bisogno sboccia dall'incontro di due sogni.
Ogni volta che un cuore si spezza, raddoppia la sua capacità di amare e dimezza l'intesità con cui può farlo: il sentimento è una cassetta di regoli.
11 luglio 2007
(mondo rettile) Innocenza e squame
Insostenibili, tutte le distanze dopo i 30cm.
Ogni misura inferiore, di 30cm troppo grande.
Violabile la legge di impenetrabilità dei corpi.
Due corpi solidi non possono occupare lo stesso spazio nello stesso istante, recita.
A meno che non siano i nostri, sussurra.
Sono isole, celle, che galleggiano in un liquido trasparente. Vengono a contatto, estemporanee, con lacci, stringhe, trecce, ragnatele, nodi, tessiture sottili. A volta riescono a decodificare quello che incontrano, a volte no. Da un singolo filo nasce un'idea, una sensazione, un pensiero semplice. Nelle trecce ci sono emozioni più convolute, dalle quali non si divincolano faticose le componenti prime. Rivelazioni e trappole logiche emergono invece dalle strutture a ragnatela, dove tutte le linee convergono verso un centro, un gorgo, insieme a tratteggi ortogonali con i quali sono possibili ardite associazioni di idee. E' con linee come queste che tracciamo figure che non rappresentano niente.
Un santo apocrifo vestito di nero, pronto a comandare una rivoluzione.
Un grappolo d'uva scolpito in pietre preziose, opalescenti, con le asperità sfumate dal lavorio sonnolento del mare. Sollevato da una mano nera, spinto verso labbra bianche.
Stiamo a guardare le stelle e l'apparenza dell'universo ci muore addosso. La crosta terrestre serve allora a sanare una ferita antica. Le nuvole sono macchie di sangue.
Non posso più sorridere perchè ho la bocca colma di sabbia e non intendo farne cadere un granello. Mio latte, il fango.
Avverti che non tornerai. Distenditi su un letto bianco, come l'orizzonte, di cui non si veda la fine. Poggia la testa su un grazioso cuscino, decorato con ampie strisce di tessuto arancione e rosa. Accavalla le gambe, e con il piede che dondola a mezz'aria, reggi un margherita dal lungo stelo ruvido. Nascondi la faccia tra i capelli. Sogna.
Ogni misura inferiore, di 30cm troppo grande.
Violabile la legge di impenetrabilità dei corpi.
Due corpi solidi non possono occupare lo stesso spazio nello stesso istante, recita.
A meno che non siano i nostri, sussurra.
Sono isole, celle, che galleggiano in un liquido trasparente. Vengono a contatto, estemporanee, con lacci, stringhe, trecce, ragnatele, nodi, tessiture sottili. A volta riescono a decodificare quello che incontrano, a volte no. Da un singolo filo nasce un'idea, una sensazione, un pensiero semplice. Nelle trecce ci sono emozioni più convolute, dalle quali non si divincolano faticose le componenti prime. Rivelazioni e trappole logiche emergono invece dalle strutture a ragnatela, dove tutte le linee convergono verso un centro, un gorgo, insieme a tratteggi ortogonali con i quali sono possibili ardite associazioni di idee. E' con linee come queste che tracciamo figure che non rappresentano niente.
Un santo apocrifo vestito di nero, pronto a comandare una rivoluzione.
Un grappolo d'uva scolpito in pietre preziose, opalescenti, con le asperità sfumate dal lavorio sonnolento del mare. Sollevato da una mano nera, spinto verso labbra bianche.
Stiamo a guardare le stelle e l'apparenza dell'universo ci muore addosso. La crosta terrestre serve allora a sanare una ferita antica. Le nuvole sono macchie di sangue.
Non posso più sorridere perchè ho la bocca colma di sabbia e non intendo farne cadere un granello. Mio latte, il fango.
Avverti che non tornerai. Distenditi su un letto bianco, come l'orizzonte, di cui non si veda la fine. Poggia la testa su un grazioso cuscino, decorato con ampie strisce di tessuto arancione e rosa. Accavalla le gambe, e con il piede che dondola a mezz'aria, reggi un margherita dal lungo stelo ruvido. Nascondi la faccia tra i capelli. Sogna.
04 luglio 2007
Compassione per il lato B delle audiocassette e dell'estate
Julian è un bambino, e gli piace raccontare storie. Non si interessa ai giochi dei suoi coetanei, non vede che divertimento ci possa essere in un mondo con delle regole sempre uguali, come quello del gioco, come quello dei grandi. Nelle sue storie le regole cambiano sempre, e una storia non si ripete mai due volte nello stesso modo. A volte inizia a raccontare e gli altri bambini gli si fanno intorno e lo ascoltano in silenzio, a volte facendo domande senza importanza. Nelle storie di Julian gli uomini non sono uomini, gli animali non sono animali, nella magia non c'è nulla di magico e il tempo non ha bisogno di procedere in un verso solo. Una volta aveva sentito dire a suo padre che "il tempo scorre nel suo letto come un fiume". E a Julian era sembrata un'enorme sciocchezza perchè nelle sue storie i fiumi potevano anche fermarsi, tornare indietro, scomparire e volare, amare e rincorrersi. Dei personaggi che vivevano con lui, nelle sue storie, Julian non aveva paura. Ma gli altri bambini sì. A volte raccontava storie terribili, piene di dettagli sconvolgenti, semplicemente come gli si presentavano alla finestra dei suoi pensieri. E il suo piccolo auditorio tornava a casa turbato, a volte in lacrime, col sonno infestato da incubi per molte notti a seguire. Quando i genitori di uno di questi marmocchi riusciva a estorcere dalla bocca del figlio cosa fosse a tormentarlo, questi correvano a lamentarsi col padre di Julian, chiedendosi dove un ragazzo tanto giovane e per bene potesse aver udito storie di tal genere e lasciando alle malelingue il compito di dare una risposta. Il padre di Julian, uomo religioso e pieno di quei sani principi che riescono a distruggere un'esistenza, prese a riempirgli la stanza di crocefissi e a batterlo devotamente. Lo costringeva a imparare a memoria i passi della Bibbia che preferiva, sperando che lo facessero rinsavire. Non si accorse che invece fecero l'effetto di un soffio di vento contro una scintilla, promessa d'incendio. Dopo la tristezza di Julian, dopo la mortificazione delle sue storie, tante cose sono cambiate. Come in quel suo racconto, in cui c'era un lombrico che, ad ognuna di quelle onde che sono il passo di un lombrico, diceva "cambia, cambia, cambia" e non smise mai. Come quella volta in cui egli disse "Incubi, fantasmi, scheletri, mostri e sogni, regali, feste, musica sono cibo fatto con la carne dello stesso animale".
27 giugno 2007
Poi mi giro e mangio un albero
Specchietto riassuntivo di una settimana guadata dove il fondale è più basso e la corrente meno veemente.
Specchietto per allodole personali, che ti svolazzano nel petto/gabbietta di metallo, niente di particolarmente acuto, figuriamoci.
Mi prendo una pausa da questa storia del "dormire", un'altra di quelle mode passeggere pompate dallo spirito di emulazione. (Lo spirito di fare come i muli. Tirare avanti finchè non crepi. Impuntarti finchè non crepi. L'elogio della fatica e di non fare quello che ti dicono di fare. Concerto di legnate sulla groppa.)
Una frase che mi è venuta in mente: Polluzioni industriali notturne.
Un'altra frase che mi è venuta in mente: Maledetta maladonna.
Non sono proprio frasi, più simili a molecole linguistiche.
C'è il lettore immaginario che chiede: ma come ti senti? E lo scrittore immaginario risponde: C'è una macchina rossa ferma sui binari di una ferrovia sesquipedale. Sinistra, non arriva alcun treno. Destra, come sinistra. Io sono illanguidito, all'interno dell'autoveicolo in sosta non autorizzata in prossimità di passaggio a livello ferroviario non preannunciato da segnale luminoso o sonoro o croce di sant'andrea. Mi acciambello sonnolento sul sedile del passeggero. Presagio di pericolo nel dormiveglia: se mi addormento capiterà qualcosa di terribile. Mi addormento lo stesso.
E poi ho pensato che ci sono quattro tartarughe in frac che camminano in posizione eretta e portano sulle spalle la mia bara vuota. E' mia nonostante la vuotezza, la vuotezza particolare da me. Il tutto accompagnato da una vibrante melodia per basso e batteria, dall'incedere marziale. Non trasuda nessuna emozione dalle facce delle tartarughe, probabilmente perchè sono tartarughe con la faccia da tartarughe. E stranamente non portano gli occhiali.
Ancora quei botta e risposta immaginari. Ormai li tratto alla stregua di tranelli, o lava-vetri nei-miei-pensieri-attaccabrighe. Testa pensante? ma quale pensante e pensante. Pesante, al massimo. Avessi sul resto del corpo i muscoli che ho sul collo. Ho il collo lungo, io. Diversa cosa è saperla lunga.
Ti vedo lontano. Ti sento lontano. Escludendo tatto e gusto, frenati dalla necessità del contatto, come si ti posso odorare lontano?
Ero in macchina, aspettavo il verde. Piegavo la testa perchè la mia macchina è bassa e io sono alto e se mi infilo troppo sotto il semaforo non lo vedo più. Alla ragazza sotto il mare di capelli corvini, dagli occhi circondati con la notte, con la maglia verde dalle spalline vaporose, che era a bordo del 310, in piazzale 21 aprile, alle 18:30 di martedì 26 giugno 2007, mentre guardava il cielo, volevo dire: ciao. Lo volevo dire minuscolo.
Specchietto per allodole personali, che ti svolazzano nel petto/gabbietta di metallo, niente di particolarmente acuto, figuriamoci.
Mi prendo una pausa da questa storia del "dormire", un'altra di quelle mode passeggere pompate dallo spirito di emulazione. (Lo spirito di fare come i muli. Tirare avanti finchè non crepi. Impuntarti finchè non crepi. L'elogio della fatica e di non fare quello che ti dicono di fare. Concerto di legnate sulla groppa.)
Una frase che mi è venuta in mente: Polluzioni industriali notturne.
Un'altra frase che mi è venuta in mente: Maledetta maladonna.
Non sono proprio frasi, più simili a molecole linguistiche.
C'è il lettore immaginario che chiede: ma come ti senti? E lo scrittore immaginario risponde: C'è una macchina rossa ferma sui binari di una ferrovia sesquipedale. Sinistra, non arriva alcun treno. Destra, come sinistra. Io sono illanguidito, all'interno dell'autoveicolo in sosta non autorizzata in prossimità di passaggio a livello ferroviario non preannunciato da segnale luminoso o sonoro o croce di sant'andrea. Mi acciambello sonnolento sul sedile del passeggero. Presagio di pericolo nel dormiveglia: se mi addormento capiterà qualcosa di terribile. Mi addormento lo stesso.
E poi ho pensato che ci sono quattro tartarughe in frac che camminano in posizione eretta e portano sulle spalle la mia bara vuota. E' mia nonostante la vuotezza, la vuotezza particolare da me. Il tutto accompagnato da una vibrante melodia per basso e batteria, dall'incedere marziale. Non trasuda nessuna emozione dalle facce delle tartarughe, probabilmente perchè sono tartarughe con la faccia da tartarughe. E stranamente non portano gli occhiali.
Ancora quei botta e risposta immaginari. Ormai li tratto alla stregua di tranelli, o lava-vetri nei-miei-pensieri-attaccabrighe. Testa pensante? ma quale pensante e pensante. Pesante, al massimo. Avessi sul resto del corpo i muscoli che ho sul collo. Ho il collo lungo, io. Diversa cosa è saperla lunga.
Ti vedo lontano. Ti sento lontano. Escludendo tatto e gusto, frenati dalla necessità del contatto, come si ti posso odorare lontano?
Ero in macchina, aspettavo il verde. Piegavo la testa perchè la mia macchina è bassa e io sono alto e se mi infilo troppo sotto il semaforo non lo vedo più. Alla ragazza sotto il mare di capelli corvini, dagli occhi circondati con la notte, con la maglia verde dalle spalline vaporose, che era a bordo del 310, in piazzale 21 aprile, alle 18:30 di martedì 26 giugno 2007, mentre guardava il cielo, volevo dire: ciao. Lo volevo dire minuscolo.
21 giugno 2007
La notte che fummo inventati
Ho voglia di correre tanto, e come succede ai maratoneti, che il mio corpo prenda a mangiare se stesso per sopravvivere allo sforzo.
L'unione di tutto ciò che è ironico e tutto ciò che è vero.
Le foto fatte insieme alla gente famosa sono la prova di quanto poco stimi te stesso importante.
Sarai pure intelligente, ma con che criterio scegli le persone da tenerti accanto? Che poi giudicare qualcuno dalle persone di cui si circonda è impossibile, nascono solo paradossi.
Il sonno della regione genera mostri architettonici.
Io sono la gomma, tu la colla.
Mi disprezzo. Mi sputo in bocca da solo.
Ancora non posso scrivere una storia; prima mangerei il mondo.
Potrei spiegarti come mi sento, ma dovrei prenderti a pugni nello stomaco.
Sono arrabbiato. E non mi passa.
Questa era una pelle, questo era uno sfogo.
L'unione di tutto ciò che è ironico e tutto ciò che è vero.
Le foto fatte insieme alla gente famosa sono la prova di quanto poco stimi te stesso importante.
Sarai pure intelligente, ma con che criterio scegli le persone da tenerti accanto? Che poi giudicare qualcuno dalle persone di cui si circonda è impossibile, nascono solo paradossi.
Il sonno della regione genera mostri architettonici.
Io sono la gomma, tu la colla.
Mi disprezzo. Mi sputo in bocca da solo.
Ancora non posso scrivere una storia; prima mangerei il mondo.
Potrei spiegarti come mi sento, ma dovrei prenderti a pugni nello stomaco.
Sono arrabbiato. E non mi passa.
Questa era una pelle, questo era uno sfogo.
17 giugno 2007
Imbratto carte a tradimento con nuvole a mano libera
Scappavo da piccole gomitate per farmi capire.
La disapparenza inganna. Non parla, muta, cambia.
L'intorno si stacca a pezzi come intonaco.
Rimane il centro, luogo della perdita.
Occhi bassi.
Scaffalature metalliche per catalogare pensieri.
Facciamo pulizia.
Ripostiglio dei ricordi a lungo termine.
Aspirapolvere.
Nessuna pietà.
Piccola preoccupazione, non guardarmi con quegli occhi.
Sovrappensieri incrostati.
Pensieri trasparenti e grandi come biglie.
Lividi e giocattoli dimenticati.
Che traffico, nel risucchio.
Hai spina dorsale, figliolo?
Allora fai fuori quella bottiglia di mandarinetto.
Tsk, medicina di basso profilo.
Non aggiustato poichè non rotto.
Polverone, diversivo per qualcuno che fugge.
Polverone, accordo di polmoni violentati.
C'erano le parole e qualcuno che le sposava.
O taccia per sempre: sì, ma come?
Perchè l'approccio peggiore si moltiplica e si moltiplica?
E si moltiplica e si moltiplica e si moltiplica?
Mi sono svegliato con un brusio nella testa.
Credevo fosse una zanzara.
La zanzara sicura che verrà uccisa.
Ma non resiste al richiamo della carne.
Ci diamo pacche sulle spalle per le stelle morenti.
Invece era il telescopio che stava per morire.
Torta sul sedile posteriore.
Il traffico la fa esplodere.
Emicrania in briciole: due schegge.
Una capriola è domani.
Fanne un'altra è dopodomani.
Con una sete brutta come la fame.
Addosso:
La leggerezza delle spalle di una trapezista di Berlino.
Dentro:
Lussuria per nuova ironia.
Il futuro della nazione.
Letto nelle viscere del Presidente.
Fenomenale mutaforme, vali meno di un avvocato.
Ai blocchi di partenza pronti ad erompere in lacrime.
L'oceano non è un vantaggio.
Da consumarsi preferibilmente entro: vade retro.
Che se io sono una cattiva notizia ...
... tu menti.
La disapparenza inganna. Non parla, muta, cambia.
L'intorno si stacca a pezzi come intonaco.
Rimane il centro, luogo della perdita.
Occhi bassi.
Scaffalature metalliche per catalogare pensieri.
Facciamo pulizia.
Ripostiglio dei ricordi a lungo termine.
Aspirapolvere.
Nessuna pietà.
Piccola preoccupazione, non guardarmi con quegli occhi.
Sovrappensieri incrostati.
Pensieri trasparenti e grandi come biglie.
Lividi e giocattoli dimenticati.
Che traffico, nel risucchio.
Hai spina dorsale, figliolo?
Allora fai fuori quella bottiglia di mandarinetto.
Tsk, medicina di basso profilo.
Non aggiustato poichè non rotto.
Polverone, diversivo per qualcuno che fugge.
Polverone, accordo di polmoni violentati.
C'erano le parole e qualcuno che le sposava.
O taccia per sempre: sì, ma come?
Perchè l'approccio peggiore si moltiplica e si moltiplica?
E si moltiplica e si moltiplica e si moltiplica?
Mi sono svegliato con un brusio nella testa.
Credevo fosse una zanzara.
La zanzara sicura che verrà uccisa.
Ma non resiste al richiamo della carne.
Ci diamo pacche sulle spalle per le stelle morenti.
Invece era il telescopio che stava per morire.
Torta sul sedile posteriore.
Il traffico la fa esplodere.
Emicrania in briciole: due schegge.
Una capriola è domani.
Fanne un'altra è dopodomani.
Con una sete brutta come la fame.
Addosso:
La leggerezza delle spalle di una trapezista di Berlino.
Dentro:
Lussuria per nuova ironia.
Il futuro della nazione.
Letto nelle viscere del Presidente.
Fenomenale mutaforme, vali meno di un avvocato.
Ai blocchi di partenza pronti ad erompere in lacrime.
L'oceano non è un vantaggio.
Da consumarsi preferibilmente entro: vade retro.
Che se io sono una cattiva notizia ...
... tu menti.
12 giugno 2007
L’atto respiratorio non va mai forzato immaginando di odorare un fiore
Quando il caccia da combattimento ruppe il muro del suono, il pilota fu poi costretto a ripagarlo.
C'è stato un tempo in cui riuscivo a stare tutto nella vasca da bagno. E' durato finchè sono stato piccolo. Nella vasca piena, potevo lasciarmi scivolare dentro e fingere di essere sempre vissuto là, sott'acqua. Inspiravo, e galleggiavo; Espiravo, e andavo giù. Il rumore della tv, trasportato dalle mura di casa mia, arrivava peculiare e confuso fin nel fondo di quel lago ingabbiato di porcellana. Quel suono camuffato e l'aria piena di vapore, che respirare era quasi doloroso, sono i ricordi di tante domeniche pomeriggio. E il soffocato senso di colpa per i compiti non fatti, ovviamente. Mi ricordo la prima volta che, con la testa completamente immersa, ebbi il coraggio di aprire le palpebre. Non concepivo l'idea che qualcosa potesse toccare i miei occhi: là fuori, nel mondo dell'aria, sarebbe stato inconcepibile. Mi ricordo la debole delusione di riconoscere la lampada del bagno, immagine traballante, e di non scoprire niente di prima invisibile.
Orogenesi, parte I: La collina nasce dall'invidia della terra per le onde del mare.
E' successo che giorni fa mi sono meravigliato per l'operosità inascoltata di una colonia di formiche, sopra un'aiuola spartitraffico inaridita. Ma solo perchè ero bloccato dal traffico e alla guida della macchina dietro la mia c'era una ragazza carina: io mi facevo bello con pensieri cosmologici.
Charlie Brown Nun Te Temo.
Sulle pareti di casa tua ci sono solo quadri e stampe di barche, perchè piacciono a tuo padre. Invece tua madre mi chiede di rimetterle tutti gli orologi di casa, quando arriva l'ora legale. Perchè "tu sei alto". E le sveglie? E il videoregistratore? Perchè "tu ci capisci". Ah, ok. In camera tua, chi-lo-avrebbe-mai-detto, ci sono le tue foto. Quasi tutta la tua vita oltre me. Un'ombra di gelosia. Che poi le foto sul muro sono qualcosa che io non architetterei mai. Mi sembrerebbe di far finta di avere bei ricordi. Però, se me lo dici tu, io ci credo. Tuo fratello non c'è mai, e quando c'è, non c'è lo stesso.
Tu, invece, non esisti.
Sei l'immagine evocata da tutte quelle canzoni in inglese che pure se non hanno proprio senso, le canti lo stesso. Ho ricordi di cose che non sono successe a me.
C'è stato un tempo in cui riuscivo a stare tutto nella vasca da bagno. E' durato finchè sono stato piccolo. Nella vasca piena, potevo lasciarmi scivolare dentro e fingere di essere sempre vissuto là, sott'acqua. Inspiravo, e galleggiavo; Espiravo, e andavo giù. Il rumore della tv, trasportato dalle mura di casa mia, arrivava peculiare e confuso fin nel fondo di quel lago ingabbiato di porcellana. Quel suono camuffato e l'aria piena di vapore, che respirare era quasi doloroso, sono i ricordi di tante domeniche pomeriggio. E il soffocato senso di colpa per i compiti non fatti, ovviamente. Mi ricordo la prima volta che, con la testa completamente immersa, ebbi il coraggio di aprire le palpebre. Non concepivo l'idea che qualcosa potesse toccare i miei occhi: là fuori, nel mondo dell'aria, sarebbe stato inconcepibile. Mi ricordo la debole delusione di riconoscere la lampada del bagno, immagine traballante, e di non scoprire niente di prima invisibile.
Orogenesi, parte I: La collina nasce dall'invidia della terra per le onde del mare.
E' successo che giorni fa mi sono meravigliato per l'operosità inascoltata di una colonia di formiche, sopra un'aiuola spartitraffico inaridita. Ma solo perchè ero bloccato dal traffico e alla guida della macchina dietro la mia c'era una ragazza carina: io mi facevo bello con pensieri cosmologici.
Charlie Brown Nun Te Temo.
Sulle pareti di casa tua ci sono solo quadri e stampe di barche, perchè piacciono a tuo padre. Invece tua madre mi chiede di rimetterle tutti gli orologi di casa, quando arriva l'ora legale. Perchè "tu sei alto". E le sveglie? E il videoregistratore? Perchè "tu ci capisci". Ah, ok. In camera tua, chi-lo-avrebbe-mai-detto, ci sono le tue foto. Quasi tutta la tua vita oltre me. Un'ombra di gelosia. Che poi le foto sul muro sono qualcosa che io non architetterei mai. Mi sembrerebbe di far finta di avere bei ricordi. Però, se me lo dici tu, io ci credo. Tuo fratello non c'è mai, e quando c'è, non c'è lo stesso.
Tu, invece, non esisti.
Sei l'immagine evocata da tutte quelle canzoni in inglese che pure se non hanno proprio senso, le canti lo stesso. Ho ricordi di cose che non sono successe a me.
07 giugno 2007
Sono sveglio, ma è tutta una messa in scena
Oh mio Dio, un cigno gigante! Accidenti, devo farmi un altro goccio, non ci posso credere. Come è possibile che una cosa del genere giri normalmente in città e nessuno abbia fatto ancora niente? Nessuno che urla, nessuno che fugge terrorizzata, nessuno che chiama la polizia, i pompieri, lo zoo, la guardia civile. Possibile che me ne sia accorto solo io? Mi sono perso qualcosa forse, o adesso è diventato normale incontrare nelle strade del centro un cigno di 4 metri? Che sia una allucinazione? No, non è possibile, è troppo reale. Cazzo, che mostro. Fa tremare la terra ad ogni passo, e certo che io mi tengo ben lontano! Non sembra poi così tanto innocuo ed elegante, in queste proporzioni. Anzi, quegli occhi neri senza vita mi fanno quasi paura. Sembrano quelli di uno squalo. Dio, sta venendo da questa parte. Mi deve aver puntato! Ecco, adesso si è messo pure a fare questo verso terrificante. Devo andarmene al più presto. Cazzo cazzo cazzo.
Un altro brutto caso di cattiva analogia.
Scrivere è come dare un pugno contro il muro quando sei in collera: non cambia nulla, ma ti fa sentire meglio. E il giorno dopo, ci ripensi e ti sembra stupido.
Trafitto da una punta di esibizionismo.
E poi arriva il giorno che la banalità ti prende per stanchezza. E vince lei.
Le pareti del vicolo, color terra, così strette. Sembrano due mondi che si sfiorano, che giocano a scommettiamo-che-mi-baci-prima-tu / credo-proprio-di-no. I mattoni in rilievo contro la schiena, come la gabbia toracica di un dinosauro infinito. Il nostro uomo, appoggiato al muro, dentro il suo cappotto nero, dietro il suo bavero sollevato, con la sigaretta in bocca, spenta. Pesca l'accendino da una tasca interna, piega la testa. Una smorfia di equilibrio e suzione, la fiamma illumina una maschera da decaduto. Torna a rilassarsi, composto. Si volta, si accorge di noi. Si avvicina.
Un altro brutto caso di cattiva analogia.
Scrivere è come dare un pugno contro il muro quando sei in collera: non cambia nulla, ma ti fa sentire meglio. E il giorno dopo, ci ripensi e ti sembra stupido.
Trafitto da una punta di esibizionismo.
E poi arriva il giorno che la banalità ti prende per stanchezza. E vince lei.
Le pareti del vicolo, color terra, così strette. Sembrano due mondi che si sfiorano, che giocano a scommettiamo-che-mi-baci-prima-tu / credo-proprio-di-no. I mattoni in rilievo contro la schiena, come la gabbia toracica di un dinosauro infinito. Il nostro uomo, appoggiato al muro, dentro il suo cappotto nero, dietro il suo bavero sollevato, con la sigaretta in bocca, spenta. Pesca l'accendino da una tasca interna, piega la testa. Una smorfia di equilibrio e suzione, la fiamma illumina una maschera da decaduto. Torna a rilassarsi, composto. Si volta, si accorge di noi. Si avvicina.
03 giugno 2007
Sublime, mi diedero del maledetto ed accettai
Qui comincia la negazione del mondo. Ancora una volta mai così giovane. I'm just a boy. And what do you expect from just a boy? Credo di averti visto sorridere. Lo sai quanto conta? E' che non so da dove cominciare a spiegarti quanto sei importante. Quante parole non dette? Va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene. It's not ok. Io faccio così ed è il modo sbagliato. Io faccio sbagli ed è un modo così. Ma allora è un vizio? Grazie, lo prendo come un insulto. Sì, ahaha, che ridere, è divertente. deh. In una notte di parole mezz'esatte, mezzanotte di parole storte, estorte. La vendita delle intransigenze.
Il mattino ha loro in bocca e li mastica e li sputa. Non è loro tutto quel che luccica, ma loro se lo prendono lo stesso. Ma non lo farei lo stesso, per tutti i loro del mondo.
Il silenzio è un proiettile. Per questo un colpo di pistola fa tanto rumore. Lancia il silenzio ad una velocità abbastanza alta e risuonerà fin dove non ti immagini neanche. Fuori piove, ma non a dirotto, e sembra dire: scusate, permesso. Le nuvole omertose coprono tutto, le nuvole curiose scoprono tutto, ed è impossibile immaginare che non siano ovunque, sempre. Il sole si nasconde perchè si allarga su tutta la superficie possibile. Dove celerai le tue cose, se non in bella vista? Così tacerai, bella vista. Ricordami, ma non oggi. I tuoi occhi, falli brillare. Non come gioielli d'oro in un giorno di sole, ma come una mina inesplosa di una guerra dimenticata. Il mio legittimo diritto alla superficialità, mai esercitato. Alla guida di un esercito di templi, inerti ma intoccabili. Un giorno, casa mia sarà piena di chiunque. Ed io pensando il contrario di ogni cosa credevo di dire ironia e invece dicevo eresia.
La bellezza sta negli occhi di legge, non sulla faccia di chi scrive. Per fortuna?
Il mattino ha loro in bocca e li mastica e li sputa. Non è loro tutto quel che luccica, ma loro se lo prendono lo stesso. Ma non lo farei lo stesso, per tutti i loro del mondo.
Il silenzio è un proiettile. Per questo un colpo di pistola fa tanto rumore. Lancia il silenzio ad una velocità abbastanza alta e risuonerà fin dove non ti immagini neanche. Fuori piove, ma non a dirotto, e sembra dire: scusate, permesso. Le nuvole omertose coprono tutto, le nuvole curiose scoprono tutto, ed è impossibile immaginare che non siano ovunque, sempre. Il sole si nasconde perchè si allarga su tutta la superficie possibile. Dove celerai le tue cose, se non in bella vista? Così tacerai, bella vista. Ricordami, ma non oggi. I tuoi occhi, falli brillare. Non come gioielli d'oro in un giorno di sole, ma come una mina inesplosa di una guerra dimenticata. Il mio legittimo diritto alla superficialità, mai esercitato. Alla guida di un esercito di templi, inerti ma intoccabili. Un giorno, casa mia sarà piena di chiunque. Ed io pensando il contrario di ogni cosa credevo di dire ironia e invece dicevo eresia.
La bellezza sta negli occhi di legge, non sulla faccia di chi scrive. Per fortuna?
Iscriviti a:
Post (Atom)