Oh mio Dio, un cigno gigante! Accidenti, devo farmi un altro goccio, non ci posso credere. Come è possibile che una cosa del genere giri normalmente in città e nessuno abbia fatto ancora niente? Nessuno che urla, nessuno che fugge terrorizzata, nessuno che chiama la polizia, i pompieri, lo zoo, la guardia civile. Possibile che me ne sia accorto solo io? Mi sono perso qualcosa forse, o adesso è diventato normale incontrare nelle strade del centro un cigno di 4 metri? Che sia una allucinazione? No, non è possibile, è troppo reale. Cazzo, che mostro. Fa tremare la terra ad ogni passo, e certo che io mi tengo ben lontano! Non sembra poi così tanto innocuo ed elegante, in queste proporzioni. Anzi, quegli occhi neri senza vita mi fanno quasi paura. Sembrano quelli di uno squalo. Dio, sta venendo da questa parte. Mi deve aver puntato! Ecco, adesso si è messo pure a fare questo verso terrificante. Devo andarmene al più presto. Cazzo cazzo cazzo.
Un altro brutto caso di cattiva analogia.
Scrivere è come dare un pugno contro il muro quando sei in collera: non cambia nulla, ma ti fa sentire meglio. E il giorno dopo, ci ripensi e ti sembra stupido.
Trafitto da una punta di esibizionismo.
E poi arriva il giorno che la banalità ti prende per stanchezza. E vince lei.
Le pareti del vicolo, color terra, così strette. Sembrano due mondi che si sfiorano, che giocano a scommettiamo-che-mi-baci-prima-tu / credo-proprio-di-no. I mattoni in rilievo contro la schiena, come la gabbia toracica di un dinosauro infinito. Il nostro uomo, appoggiato al muro, dentro il suo cappotto nero, dietro il suo bavero sollevato, con la sigaretta in bocca, spenta. Pesca l'accendino da una tasca interna, piega la testa. Una smorfia di equilibrio e suzione, la fiamma illumina una maschera da decaduto. Torna a rilassarsi, composto. Si volta, si accorge di noi. Si avvicina.
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