28 dicembre 2015

seguendo, più o meno, esempi familiari

Io la strada l'ho percorsa ogni singola volta. Il dubbio che sia lei ad aver imparato a memoria me. C'è un difetto di continuità, come la faglia tra star ancora dormendo e star finendo il caffè. Una volta, su questa strada, mi si è gonfiata la lingua a tal punto da non riuscire più a stare in silenzio. Oppure quella volta che ho imparato che si può scivolare sull'acqua ed è stato un momento con la paura, ma no, la paura è una parola e quella cosa lì non era una parola. Io volevo guardarmi le mani e non vedere le mani e non vedere nemmeno dietro le mani e nemmeno il mondo dietro il dietro delle mani. Le mani come un posto in cui cadere attraverso e ascoltare buona musica. Spero solo di arrivare presto, che mentre sei seduta sul sedile posteriore a me preme ancora la lingua contro i denti e tutta questa strada è come se me la fossi ingoiata, piegata come una coperta mal riposta, si è presa dello spazio dentro, un altro organo con cui fare i conti durante le accelerazioni e queste luci, insopportabili queste luci, scaricato e ricaricato ogni dieci metri, magari tu ci vedi la poesia di un viaggio notturno in macchina di riflessi e luce gialla, ma ti sfugge l'urgenza di questi vestiti gelidi di sudore, non senti la metrica della mia lingua pulsante, gonfia di sangue e di mancanza di fiato, piena di respirare col naso, finché c'è spazio, una fessura per l'aria, finché il ronzio nelle orecchie trabocchi in un non vedo più. Ti prego rimani seduta dietro, che io non posso addormentarmi con te che galleggi là dietro. Distraimi, dimmi nuovi nomi per vecchi peccati. Raccontami di orbite non convenzionali e convenzioni non orbitali. Annoiami fino a salvarmi la vita. Forse tutto questo comincia a piacermi, forse è asfissia erotica.

01 novembre 2015

Esceîneuse

Su una sedia di legno, mangio una noce come un cretino, mi fa male la schiena, ma decido di non dirlo a nessuno, non ho niente da scambiare tantomeno parole, non ho pensieri per dio, è passato forse troppo tempo dall'ultima volta che ho sentito l'urgenza di orinare, potrei separarmi da questa sedia adesso e forse sarebbe il momento più giusto, guardare così avanti e così indietro nel tempo è un lusso che bisogna potersi permettere, io non so più che forma abbia la mia disciplina, volare non mi fa paura a meno che non stia in piedi ad aspettarmi sulla porta, i poster attaccati con la colla fanno le orecchie e mi viene voglia di tirarle, mi piacerebbe sapere chi si è inventato la parola santo, vorrei essere arguto ma sono sempre seduto qui su questo legno e l'arguzia credo stia nel ripiano alto forse mi dovrei alzare, non puoi scrivere how to disappear completely come se fosse un desiderio ed essere famoso e sbatterla in faccia al mondo intero, io qualcosa la scrivo ma ho mai asserito è una domanda, il richiamo accorato della femmina di fotocopiatrice, mi tocco la testa i capelli sono bagnati, tocco la gamba della sedia il legno ha un calore che non è mai grigio ma sempre un po' colorato penso a chi la piallò che forse voleva rasarla come fosse un giardino o un animale vivo ha le gambe dopo tutto potrebbe galoppare, non ricordo se ti ho salutato quando tu mi hai salutato od ho solo immaginato di farlo quando ci rincontreremo te lo chiederò e ti porgerò le mie scuse, ho delle idee che sono un grande edificio detto in senso dispregiativo, piccoli respiri applicabili ai dubbi e all'arte, posso avvolgere la mia gamba intorno alla gamba della sedia, posso mettere una bilancia sotto ciascuna delle gambe della sedia, posso stare qui e affannarmi, posso stare qui e affittarmi, una femmina - uova fritte - la gauche - crisantemi - carrellata d'immagine - desiderio macchiato espresso - mucillagine - antalgia canaglia - vienimi sopra - la scapolomimica da impazzire, quella tua maglietta darwinista, il tutorial per combattere aracne, dal tabulato telefonico risulta che noi, tornare indietro alla felicità e pensare a dove erano i piedi in quel momento, chissà se si può stare su di una sedia a scrocco, la chimica che provoca allucinazioni ti gratti la pelle fino a quando non rimanete che tu e il dipartimento per lo sviluppo delle infrastrutture e la manutenzione urbana, ci sono motivi geometrici per intervenire e motivi floreali per restare ad ascoltare, ti sfido a parlare di simbologia e non tirare fuori nemmeno un serpente ti sfido, stare seduti su una sedia è un fatto normale senza titolo si solleva il diaframma ma poi scende niente allergie niente convulsioni forse dà un po' fastidio la nuca e non sai veramente cosa fare con le braccia magari abbandonate lungo i fianchi e probabilmente ci vorrebbe anche un cuscino basterebbe uno di quelli sottili quelli che ci sono a casa di zia in cucina a casa di tutte le zie in tutte le cucine sanno di fritto e di persone anziane, sono seduto su una sedia di legno fa teatro.

14 settembre 2015

Volevo essere il mio ghost writer

Io m'anguo, tu t'angui, egli.
Non so disegnare neanche vetri rotti sulla sabbia.
Certi pensieri, impiattati su un boschetto di rucola.
Certi pensieri, a fragor di logica.
Certi pensieri, che non ho più diciottempo.
Credevo fossimo felici, invece avevamo le braccia alzate per tenere aperta la saracinesca.
Non tengo un diario dei sogni, perché una mappa dei nei fa paura due volte.

22 agosto 2015

Si prega di arrendere

Ci mettevamo alla finestra a evaporare. Facevamo piani per sembrare sorpresi. Non tiravamo mai fuori la mappa, perché non andavamo mai da nessuna parte, ma non stavamo fermi mai. Con i fili strappati dai vestiti legavamo piccoli cappi, sognando microscopiche impiccagioni, il sangue che non arriva alla punta delle dita, le miniature del presepe che fanno bondage. Volevamo la rivoluzione così forte che dopo viene la nausea. Sbagliavamo, sbagliavamo così tanto che c'eravamo convinti che, togliendo lettere dalla fine delle parole, avremmo potuto volare. Dibattevamo sull'ordine di apparizione dei colori; tu insistevi che fosse comparso per primo il grigio, ma solo perché ti piaceva il té. Avremmo scambiato la pelle con qualcosa che a questo punto me la compro nuova. Rinvenivamo antiche iscrizioni in luoghi inaspettati, come il primo pomeriggio. Inarcavamo. Eravamo ogni singola parola, e non ci sopravviveva niente.

Così, fatto per giogo

L'innocente elefante crede che l'amore possa trovarsi ovunque. L'innocente elefante ogni giorno guarda sotto i sassi. L'innocente elefante ti chiede sempre qualcosa in più e ti fa sentire a disagio. L'innocente elefante rivolto a te: "non ti preoccupare". L'innocente elefante crede chi tu gli appartenga. L'innocente elefante ti prende la mano e se la mette sul cuore, poi ti dice: "conta". L'innocente elefante ti chiede: "ma io ti amo?". L'innocente elefante non ti spezzerà il cuore, lo lascerà solo chiuso dall'interno. All'innocente elefante a volte s'addormenta la proboscide.

07 luglio 2015

Un chiasmo allo stomaco

La nostalgia dei pipistrelli, io l'ho già.

vicenda prima - Era in trappola: lo costringevano a desiderare, e tutto ciò che riusciva a formulare era la voglia di stelle cadenti.

vicenda seconda - Se ne andò, e lasciò al suo posto un'edizione speciale della Settimana Enigmistica. Nessuno, per lungo tempo, si accorse della differenza.

vicenda terza - Dopo la sua morte allestirono una mostra con oltre 100 delle sue parole. Alcune inedite, molte provenienti da collezioni private.

Nel bazaar si può comprare di tutto. C'è un uomo, con il suo tappeto, che vende oggetti per meravigliare i bambini. Vende quello che uomini e donne acquistano per fare una sorpresa ai propri figli, o per portare un dono ai figli di amici lontani. L'articolo più ambito è il cielo da stellare. I bambini possono divertirsi a stellarlo stando dentro le righe tratteggiate o uscendo liberamente dal tracciato; alcuni seguono minuziosamente le istruzioni, altri inventano stellazioni surreali e impossibili. Per i bambini più piccoli si possono prendere i cieli già stellati. I grandi glieli illustrano ad alta voce, ne reinventano lo svolgimento, indicano con il dito dove si snoda la storia. A volte fanno anche le voci.

Il lettino disabbronzante che ti succhia fuori l'estate.

Se valgono i personaggi di fantasia, allora anche una perversione può essere una figura alla quale ispirarsi.

E' noto a pochi che, nei suoi anni giovanili, il famoso compositore Arnold Schoenberg si sia dedicato anche a generi musicali più popolari. In particolare, durante l'estate dei suoi ventisei anni, scrisse un brano che spopolò nelle sale da ballo. Ancora oggi è possibile sentir passare in radio quella canzone, il SuperDodecafone.

La missiva noiosa: un epistolotto.

L'etica lavoratrice protestante di Martin Luther King: I have a dremel.

Così affascinante, distesa al sole: eri la lucertola dei miei occhi.

Di tanto in tanto mi allungo per toccare le cose che non ci sono. E ci riesco.

Se l'insieme di quello che ricordiamo è un campo vettoriale, alcune forme di follia, oltre che certi sentimenti, devono assomigliare a curve chiuse. Così possiamo usare il teorema di Kelvin-Stokes per misurare quanto ci è girata la testa.

Il mio naso va a sbattere contro il tuo. Ci si appoggia da un lato, troppa foga. Si ritira e lo attacca sul fianco opposto. E' un moto di rivoluzione che bilancia altre rotazioni, altri mulinelli. E' una scherma e uno scherno. Sono le nostre proboscillazioni.

Eravamo più semplici di così, e le nostre parole erano rametti. Li sfrondavamo delle foglie più grandi per farne una confusione tagliente tra nerbo e verbo. Li spezzavamo in rametti più piccoli, in modo che potessero stare dentro una mano chiusa.

09 giugno 2015

Octapnea

come una casa di legno, paglia e carta di riso, il 5 agosto 1945
l'orlo della cravatta che spunta dalle caviglie
la prima volta che inviti un ragno a camminarti sul braccio e sono le gocce d'acqua rimaste, dopo la pioggia, appese a un cavo dell'alta tensione
togliere i fiori dai cannoni, scegliere quelli con il maggior potere calorifico, prendere l'arte floreale e metterla dentro le molotov.
ci distinguono i centimetri d'acqua che sono sufficienti a farci annegare
la potenza del tuo messaggio è inversamente proporzionale al numero di magliette su cui compare
io sono il furto e tu sei la finta telecamera che lo riprende, divisi dalla tua luce rossa.
l'emersione dell'idea di leccare la testa di Charlize Theron sporca di grasso e olio per motori
le linee di prospettiva, quelle che irradiano dal punto di fuga, lì proprio davanti al tuo naso, si richiudono dietro la tua testa. non te lo dice nessuno.

vorrei essere uno di quei robot per le operazioni chirurgiche, con decine di bracci, coperto di plastica monouso e metallo, con un ago lungo e affilato e sterilizzato a ciascuna estremità, di quelli che ti entrano dentro il corpo e si muovono come un'infestazione di parassiti. e baciarti.
come uno di quei test per scoprire il daltonismo, ma scolpito nei tuoi peli pubici

fluido cerebrospinale usato come lubrificante. la pornografia fatta con le grazie delle parole sottocutanee. l'aratura meccanica dell'endometrio. le solfatare nelle reni che non trovano sfiato. l'eterozigosi del colpito e del colpevole. dichiararsi con un cablogramma tendineo. lasciare al tempo i segni dell'addosso.

01 maggio 2015

Divenergenza

Fare snorkeling appena sotto la superficie di Dio
Neurogonia passeggiando nel gelseto
Chini sulla cruda terra a piantare plug anali
Eterosessualità proiettiva, o del fraseggio a centrocampo
Un intero phylum si mette insieme per trovare i soldi
Gli occhi solo attraverso lo specchio, per evitare paradossi
L'agenzia immobiliare che affitta i tuoi sogni
Il movimento per occupare il vento
Lo strano cucchiaio semisferico del gelataio, per solo un assaggio di cervello
Ti assicuro che, dall'ultima volta che ci siamo visti, sono fermentato
Se solo tu potessi sentire la potenza del mio arrugginire
La mia voglia di ossidarti addosso
I gesti osceni messi ad asciugare sotto la lingua
E tutte le cose incostituzionali che vorrei farti

26 aprile 2015

reductio ad libitum

Il brusio è una piscina che si riempie di spugnette in lana d'acciaio. Il brusio sale e le pagliuzze di metallo s'accomodano, sotto il proprio peso, addosso a. La spinta d'Archimede sotto forma di sanguinaccio che s'arrampica dalle caviglie. Il brusio è il precursore del diavolio e, per ragioni teologiche, ha una verso preferenziale. In mezzo a questo, le nostre conversazioni, misurate in vasche.

25 aprile 2015

Senza reggisenso

- Sembri una persona in attesa della sua punizione
- Noi gente di palude sappiamo aspettare
- Il momento giusto?
- L'inevitabile
- L'inevitabile non esiste
- Essere sommersi lo è. Chi viene dalla palude lo sa
- Comunque intendevo qualcuno che la sua punizione la desidera
- Ho tutto con me e niente per cui tornare indietro
- Brucia?
- Cosa?
- Essere sommersi
- Non fa nemmeno male. Quello che non ci si aspetta è il suono sordo che ingoia tutto. Come essere rinchiusi in una campana che diventa sempre più stretta, insopportabilmente stretta. Alla fine la campana si fonde con le ossa della tua testa e a quel punto cercare di capire è un gesto superfluo. Solo gli arrabbiati e i sofisti ci provano
- Prendi questo, credo che ti sarà d'aiuto

Lei gli passò un cartoncino piegato a metà. Nil lo aprì e vide tanti riquadri di colore giallo. Ogni riquadro era di una tonalità diversa, e all'interno ne riportava il nome: oro, limone, senape, miele, fuoco, giunchiglia, canarino, banana, biondo, dente di leone. Nil era in disaccordo con tutte le sfumature, ma non disse nulla. Le indicò con la mano la luce che cambiava. Desiderò che le parole si fossero esaurite, che fossero migrate via, invece di restare appollaiate sui fili neri stesi tra di loro. Provò ad immaginarsi il suono di quelle parole, e gli sembrarono come colpi di martello, di quelli che si danno alle ruote d'un treno fermo in stazione. Il suono che fa la decisione di restare.

19 aprile 2015

Politopi di campagna

Mi hanno puntato una parola alla tempia

Se ogni foglia che cade rivive la scena iniziale de L'Odio

Ciao sono la gabbia toracica di Faraday

Accessori da polso per divinità orfiche

La vita sentimentale dal punto di vista della rotazione triennale delle colture

L'orchestra finale è l'orchestra dopo la quale non v'è più alcuna orchestra. L'orchestra finale suona una musica drenante, come un'infezione, che lascia agli ascoltatori una febbre altissima. Il pubblico sente di essere stato tradito, di aver subito la delazione totale del proprio più intimo sentire. La musica dell'orchestra finale attraversa come un raggio elementare, che non brucia, ma legge e altera. La musica dell'orchestra finale comincia a masturbarti dopo che sei già venuto. La musica dell'orchestra finale estrae il barocco con la tenaglia e l'odontoiatria. L'orchestra finale si sbriciola. Niente bis.

18 aprile 2015

Una volta qui erano tutti archi

Inspirare e fermarsi ad aspettare. Provare a capire l'aria e il sapore dell'aria. I grappoli dentro ai polmoni, la tensione laringea, il petto che vorrebbe esplodere e implodere con un movimento solo. Dentro questi bronchi ci si può inventare una casa, e andare e venire e staccare il telefono. Certo che puoi restare. Mi piaci perché sei una polvere sottilmente. Sulla pelle ci sono i segni della cellulite e della ribellione. Gli oroscopi basati sulle costellazioni di peli incarniti. I tatuaggi in cui dici di non temere la toxoplasmosi. Quello che dentro ti tiene su, mi racconti, potrebbe benissimo essere legno. Che l'albero lo hai guardato bene, senza riuscire a distinguervi. Uno specchio lungo un'altra direttrice, che scambia il dentro col fuori. Tutto questo dopo un sogno in cui eri legno e sotto processo. La sensazione di essere sul banco degli imputati ed essere il banco degli imputati. Io ti ho visto, avevi una gamba fuori dalle coperte. Deve essere stata una semplice distrazione idrogeologica.

17 marzo 2015

Io, se fossi un architetto, annegherei

Invidio le piante che crescono sul tetto degli edifici. Invidio la cosa che hanno gli insetti al posto della bocca. Invidio le fiamme che nascono all'inferno. Invidio la luce che arriva da tre punti. Invidio le lettere degli alfabeti non ancora inventati. Invidio la terra con gli alberi aggrappati. Invidio la cronometria dei muscoli involontari. Invidio anche i muscoli preterintenzionali. Invidio l'odio dei gabbiani. Invidio le forme irregolari che tessellano il piano. Invidio le parole che si scambiano il vento e i vetri delle case abbandonate. Invidio i nomi propri che iniziano con una lettera minuscola. Invidio la corda stretta intorno ai polsi. Le manie nascono sui polsi e ci tornano per morire, come certi animali stanchi.

08 febbraio 2015

La scomparsa del prima

Anton Chekhov ama bere il caffè. Lo ama così tanto che ogni mattina, dopo essersi svegliato, si dirige al bar per fare colazione, lasciando che tutti i plumcake scadano intoccati nella dispensa. Nel caffè mette sempre un solo, esatto, cucchiaino di zucchero e ha escogitato una precisa tecnica: riempie due cucchiaini di zucchero e poi li versa contemporaneamente sopra un terzo, permettendo che lo zucchero in eccesso vada perso. La situazione dei plumcake si fa ogni giorno più grave. Anton Chekhov si è laureato con il massimo dei voti, ma non ha ottenuto la lode, poiché ha offerto alla commissione dei plumcake scaduti. Si è laureato in teatrura letterale, con una tesi su Anton Chekhov e l'importanza del caffè nella sua opera.

28 gennaio 2015

Sedie che possono già cominciare

Nil ha questo pensiero martellante, di andare sottoterra a cucinare. Anche non possedendo alcuna nozione pratica di cucina, se ne sente attratto irrimediabilmente. Sente che più andrà in profondità, più ne verrà fuori un pranzetto succulento. Se ne avesse la possibilità, continuerebbe a scendere e scavare. Fino a quando la temperatura si fa insopportabile. Fino ad avere occhi inutili. Fino a dove lo spazio e l'umidità non chiedono più il permesso per soffocarti. Tirerebbe fuori il suo fornello da campo e strisce di pancetta dalla giubba. Gratterebbe pepe e sale dal fondo delle tasche. Strizzerebbe fuori l'olio dal suo fazzoletto di stoffa. Nil annuserebbe poi le pareti di pietra, e avrebbe un capogiro.

Di come viene trattato Nil non è necessario parlare, ma a lui viene sempre dato il beneficio della carta.

Nil vorrebbe che tu lo guardassi da vicino un albero, una volta tanto. Con tuoi i capelli a fare concorrenza alle foglie, per la sua attenzione. Vorrebbe che gli lasciassi togliere le grandi parole rosse, dai tuo capelli. Nil sarebbe anche disposto a tagliare via dal vetro tutte le grandi parole, tutte quelle che sarebbe possibile spalmarci sopra con le dita. Nil ti guarda e non capisce perché le sottili circonferenze rosa che si irradiano dal tuo profilo sono interrotte dal lampo del tuo primo piano. Nil vorrebbe che tu non t'incollerissi, quando lui scambia la tua faccia per un microhabitat e il suo trucco per il suo microclima. Nil cerca sempre un posto dove ripararsi, quando fuori fa tanto freddo che anche la geometria s'incrina.

12 gennaio 2015

Subdolalia

Le gare di poesia. Le poesie sono affamate, e hanno gli occhi iniettati di sangue. Vengono liberate. Scompaiono, dentro una nube di polvere.