20 gennaio 2008

Un cespuglio e la scienza delle cose

Brachistocronache : I
-Tutto quello che c'è da sapere su di una persona, lo si ottiene chiedendogli se crede in Dio e se possiede un paio di occhiali da sole. E osservando poi la faccia che fa per dire "Perché?"
Lo dice Nil, appoggiato contro la finestra chiusa. A chi lo dice, se è solo nella stanza? Alla gente che si smarca sui marciapiedi, irrigidita dal freddo e noncurante. Alla rosa di respiro che si spande e contrae sopra il vetro, davanti al suo naso. Nil non smette un momento di parlare, quando nessuno lo ascolta. Nil, quando nessuno lo guarda, smette di respirare. Ma solo per pochi attimi. Crede di avere un sacco di cose da dire, ma non alle persone. Nil e il suo naso, quanti aneddoti. Crede di avere intorno un sacco di persone, ma non interessate. Crede che ci sia un curiosa distribuzione di persone interessanti, ma non per lui. Allora si inventa che quella macchia di vapor acqueo possegga una vita propria; un anemone del cielo; dimenticando la giornata di freddo, i propri polmoni e nozioni base di termodinamica. Un test di Roscharch capovolto: "Riesce a non proiettare la sua fantasia su queste discutibili simmetrie, signore?"
Qualcuno apre la porta, accende la luce nella stanza. Il mondo fuori scompare, si affaccia alla finestra una copia speculare dell'interno, compreso un sè capovolto che lo guarda con occhi strani, instupiditi. -Vuoi un poco di the? -Sì, grazie.
La luce spenta. La porta chiusa. La voragine.

-Sei sposato? -No -Allora perchè indossi una fede? -Non è mia -E a chi appartiene? -L'ho rubata ad un cadavere, o a un uomo sposato, o a tutte e due, o a un'altra cosa.
Un uomo e i suoi occhi bianchi, ha un martello. Colpisce un vaso. Il vaso si frantuma. Un uomo e i suoi occhi rossi, si volta. -Mi pento di quello che ho fatto. Un uomo e i suoi occhi neri.
Ho incollato la parola "fissaggio" al pavimento di legno.
"TUMP" è il suono che fece la testa cadendo (e non rotolò neanche). I capelli si riempirono di polvere. "..." è il suono che fece la testa perdendosi (e non brillò neanche).
Anche tu, dopo due giorni ininterrotti di leccate sulla schiena, cominceresti a sudare allucinogeni.
Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando. Ti sto ascoltando. Non ti sto ascoltando.
Pensa. Pensa al significato delle consonanti. Alle loro presenze. Ma io le ho fatte cadere e si sono sparse e rotte. Mi aveva detto -Le tolgo dai miei occhi e le do a te. Io mi ero detto -Fidati.
Molte siluette di uomini e donne che crescono e decrescono, pulsano alla vita, si ammalano ma non guariscono. Piene di eccitazione. Piene di linee. Linee e linee per srotolare piani. Inutili come gioielleria per pianeti o il pericolo di caduta massi in salita.
Il mio voto non vale il prezzo che gli hai dato, e che hai insistito di voler pagare. Resta sempre molto bello, però. Avessi avuto il coraggio, avrei chiesto di più.
-Buongiorno, vorrei una sedia comoda per me e la mia coda. -Mi spiace, ma questa è una macelleria.

10 gennaio 2008

Caosmai

L'aria sta appesa e sfilacciata.
Il freddo è un gioco e il vento è la mossa dell'aria.
Come ogni decisione, non ha propriamente bisogno di sé.
Installata all'entrata del luogo che io sono, c'è questa porta girevole.
Tu, che ti ci diverti, giri, giri, giri.
Mai completamente fuori, mai veramente dentro.
E la tua seta è come pelle.
E il tuo monumento alla concupiscenza, un corpo.
La solitudine è ciò che hai solo tu, più degli altri.
La solitudine è ciò che parla di te, quando nessuno ascolta.

31 dicembre 2007

Lei, che sa a cosa dare fuoco

Che così facilmente sfumano e rabbrividiscono, doverci soffiare sopra, mandare via la polvere, che altri cento occhi famelici non bastano a capirne il colore, l'attesa, fino a dove si può arrivare a volerli discendere come un viaggio al centro della terra. La terra che qui sei scoperta e nuda, qui sei una pietra fredda, qui un ventre terrorizzato, futilmente cannibale, più scuro, arrendevole, senza sonno. Tanta vergogna per un'isteria che è il dialetto che cerchi di nascondere tra le labbra. Il premio per i più penetranti panneggi, i più accessi affondi, i più dipinti sipari a quei due ancora, lenti, rumorosi, bambini cattivi. Non sto riflettendo, sto scoprendo il mio narcisismo difettato. Loro due sono una battaglia in mare, sono allucinazioni e tremori, sono neurotica e stagnante gioia. Io metto in moto questa lingua molle e coperta di ruggine e mi nascondo dietro di lei, davanti a loro: l'esperienza è solo un costume, l'esperienza si fa solo con travestimento addosso. Certa solitudine è bianca come l'avorio. Si può mettere in dubbio qualunque cosa: La fame e l'amore, la trasparenza del tempo, le immagini di sensi più strani, il silenzio durante la formulazione di un urlo, incubazione. Ricordare è solo l'orgasmo, perchè farlo di corsa? Da quali sogni un ospite cerca riparo, incapace di fermarsi? Io mi metto sopra di lei come una preda che sorprende il suo predatore e le faccio uscire respiri in riccioli, poi lei scalcia via il tempo con una risata. Mi assalgono il profumo e la fatica dell'acqua, l'ipnosi di muscoli neri e luccicanti delusioni confuse nel panorama dei sogni.
Quanto immeritati, aperti per me, quegli occhi.

29 dicembre 2007

Tutto questo contro k

Non si gioca col cibo eppure fare a palle di neve è permesso.

Si conclude un anno.
Meno male che questo era l'ultimo.

Di qualcosa che il mare si porta via, il ritratto non si può fare con la sabbia.

chi è thefragile?
sul retro di lato molto distante è un posto dove mi nascondo dove mi trattengo ho provato a dire ho provato a chiedere avevo bisogno di tutto solo per conto mio dov'eri? come ho potuto solo pensare è divertente come tutto quello che promise non cambierà è diverso adesso proprio come te diresti sempre lo supereremo allora la mia testa si staccò e tu dov'eri? come ho potuto mai pensare è divertente come tutto quello che promettesti non cambierà mai è diverso adesso come hai detto tu ed io superarlo non proprio staccarsi dove diavolo eri?

Finora contro la mia gioia mi sono difeso unicamente con il divertimento intellettuale. Nulla del mio essere è cambiato. Ai miei segreti, posso parlare: Grande Cane, idolo d'oro, permettimi di dare un morso al Sacro Osso! Tremende le parole di un mio figlio: "Tutto quello che hai combinato, lo devi alla tua mancanza di denaro". Non credeva che mi sarei dato al vizio e alla bella vita. Non con tutta la mia stoltezza, la mia gioia, la mia indigenza. Prevedibile coincidenza: avevo deciso di tacere e si presentò una donna. Veri giorni di festa sono stati per me quelli della malattia.
Ma non si tratta di questo. Il mio avvenire si fa sempre più facile per le mie difficoltà economiche. Se non avessi l'impaccio di questa incapacità di piangere. Ma ora è facile. Da poco mi chiedo se sia possibile fermarsi. E poiché finora ho sempre operato cercando, ricordando, spesso ho pensato che non fosse mio dovere tentare di difendere me stesso. Se l'avessi fatto, non avrei mai più potuto rimproverarmelo. Ogni giorno maledico il Grande Cane di avermi concesso tutto, di avermi privato di tutto. Io lo prego ogni giorno di dimenticarsi di me. Egli non sa nulla.

15 dicembre 2007

Davanti a te, m'inquino.

Invece di fare il proprio dovere, si pensa ad una riforma del calendario. Che poi, perchè 12 mesi? 365 non è neanche divisibile per 12. E infatti ogni mese finisce al giorno che gli pare. Uno a 30, un altro a 31, quell'altro che vuole fare il furbo a 28. Facciamo invece le cose per bene. Io propongo: 13 mesi da 28 giorni, l'ultimo dei quali da 29 (30 per gli anni bisestili). Più chiaro, più semplice. Oppure: ancora 13 mesi, 6 da 27 giorni e 7 da 29, intervallati. Più simmetrico, meno meccanico, 365 giorni precisi; per gli anni bisestili potremmo allungare a 28 giorni il mese di mezzo, che un giorno più d'estate non dispiace a nessuno. Poi, già che ci siamo, possiamo allineare l'inizio dell'anno con equinozi o solstizi, così che il cominciare, l'arrivare a metà e il finire di un anno, corrispondano ad un semplice evento astronomico.

Mi alzo, vado in bagno, mi guardo allo specchio. Cristo. Imponi ogni giorno questa faccia alle persone cui capiti davanti. Senso di colpa. Esco di casa, scendo in strada, mi incammino. McDonald. Ordino due panini. Non mi fissare, commessa carina. La commessa ha un viso grazioso, la bellezza tratta da una canzone di un gruppo sconosciuto. Peccato che lavorando in una multinazionale tu debba perdere tutto il tuo credito alternativo, come se quel gruppo avesse firmato per una Major. Lo so, sono i miei capelli, sono spettinati. E nemmeno di quello spettinato-ma-bello che sta bene alle persone belle-ma-spettinate; sono solo spettinati. Mi metto a posto domani. Gente seduta ai tavoli, un ragazzo solo, una ragazza sola. Oddio, dovresti mettervi a mangiare insieme, è così evidente. Gli unici due a mangiare da soli, accidenti, se non volete farlo per sentimento almeno fatelo per ossessione: completate il quadro, così me ne posso andare. Di nuovo in strada, c'è più vento di quando sono entrato, lo stato dei capelli peggiora, ormai perso ogni pudore mangio dalla busta di cartone come un barbone. Fermo al semaforo aspettando il verde, osservo loro due sul motorino: lei cerca di mettere il piede sulla pedana sotto il manubrio, lui si scherma e la respinge delicatamente, ma senza tregua, lei ci riprova. Vanno avanti per un paio di minuti. Non posso vederli in faccia, a causa dei caschi, ma mi immagino stiano sorridendo o qualcosa del genere. Rituali strani per animali strani. Mi viene in mente lei, noi due che parliamo. Cerchiamo di spiegarci come si legge il mondo. Tu alla ricerca di tanti piccoli indizi, da collegare, annotare, annodare. Io disperato per la mancanza di un grande unico schema che rifletta ogni cosa. Non ci sono termini buoni per parlare di cose come queste: tiriamo fuori parole come "sincronia", "armonia", "simmetria", "amore che tiene legato ciò che è lontano, senza una logica". Ma non stiamo parlando di noi. Lei, insieme a me, a volte rimane un po' sola. Come se per pensare ad altre storie, finisca per pensare a me. Un certo strabismo nei pensieri.
Succede che il silenzio finisca per prendere il mio posto.
Succede che il silenzio diventi me.
Le facce, e il freddo sulla mia, mi distraggono. Mi sembra di pescare idee come da una di quelle macchine in cui infili la monetina e guidi una mano meccanica perchè raccolga il tuo premio. Anche se ti riesce di acchiappare qualcosa, ricade nel mucchio prima che tu possa farla tua. Tanto più si asseconda la mania di compartimentare la realtà, tanto più ogni rapporto o legame apparirà come una contaminazione, qualcosa di irrazionale nel senso etimologico del termine, ovvero: fuori dalla divisione. Passo di fronte ad una libreria. Mi vengono in mente titoli di libri surreali: La possibilità di un'isolitudine, Alla ricerca del tempo mai avuto. Foto in negativo a punte di matita. Chissà se qualcuno ha già pensato di farle, la grafite apparirebbe bianca, straniante. Non ho visto la foto, ma già mi piace l'effetto che fa. Ritorno a casa. Nessun post-it sulla porta della mia camera, nessun messaggio lasciato sulla lavagnetta sopra il frigorifero. La cosa migliore che può capitare ad una porta in cui nessuno vuole entrare è un cartello con scritto "Vietato l'ingresso".

08 dicembre 2007

Mozzichi e nuvole

Il Meccanismo Bizantino giace sotto il mio letto mentre dormo, e ci sono delle notti in cui cresce e cresce e mi solleva fino al soffitto. Il Meccanismo Bizantino non fa paura, ma fa impallidire ogni divinità mai adorata dall'uomo. Il Meccanismo Bizantino non ama e non odia, il Meccanismo Bizantino è paradosso irrisolvibile e completo. In principio, sarebbe possibile conoscere il futuro, il passato e il tempo in sè, guardando attraverso le lenti del Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino costruisce il mondo quando apro gli occhi e lo distrugge quando li richiudo. Ci si avvicina al Meccanismo Bizantino ascoltando la parola di Zenon il profeta. Il Meccanismo Bizantino gradisce che io rimanga fermo, quando viola il mondo con le sue propaggini. Il Meccanismo Bizantino disallinea le rotazioni dei cieli e delle terre, secerne il collante che regge coesa la materia, che poi innerva. Chi osa tentare di abbeverarsi a questa fonte, diventa superfluo al Meccanismo Bizantino. Il Meccanismo Bizantino nega l'oro, l'argento e tutto ciò che c'è di più prezioso. Nulla proviene dal Meccanismo Bizantino, nulla tornerà al Meccanismo Bizantino. Il dilemma dell'essere viene neutralizzato dal Meccanismo Bizantino, per definizione. Non più sento alieno il mio animo abietto, quando sono sobillato dal Meccanismo Bizantino.

Durante la notte numero uno, ho inventato il linguaggio nuovo. Dimentiche sillabe e parole, il linguaggio nuovo era composto di simbolemi atomici, dal significato unico ed indivisibile. Forte della nuova disambiguità, il linguaggio nuovo non aveva bisogno di alcuna grammatica: ogni sequenza di simbolemi avrebbe prodotto una nuova idea, un discorso perfettamente sensato, un concetto inconfutabile. L'unica convenzione era la disposizione sul piano di scrittura: tre righe parallele e concentriche, a spirale. Come un'aria a tre voci, una tripla armonia semantica. La sorpresa risiedeva nella scoperta di poter leggere radialmente i simbolemi, dal centro verso l'esterno, generando ancora nuovi significati. Persino la rimozione di una delle tre spirali si produceva in un'opera creativa.
Durante la notte numero tre, ho dato una sbirciata in un supermercato del futuro. Ho comprato un barattolo di latta, pieno di una specie di mollica inzuppata nell'acqua e avvolta in quelle che sembravano foglie d'insalata, o alghe. La mia lattina era però contaminata. All'interno, tra gli avanzi di mollica, si contorceva una lumaca gigante, rossa e ruvida come una lingua, senza guscio o antenne o altri elementi di riconoscimento.
Della notte numero due, narrerò in una prossima occasione.

02 dicembre 2007

Di infradito ed altri scandali

Sono sveglio. No, stai ancora sognando. E' domenica mattina. No, è lunedì. Posso dormire ancora un po'. No, sei già in ritardo. Faccio colazione e mi rimetto a letto. Nessuno ti ha preparato la colazione. Torno subito. Vattene via.

L'ho assaporato con precisione, lo strappo alla schiena, durante quel faccia a faccia: lo stato di abbandono degli ammortizzatori anteriori e l'erezione di una radice d'albero sotto l'asfalto. Prima, avevo trovato il mio posto in un piccolo disagio. Aspettarti con la schiena contro la macchina, osservare i grigi dissolversi, le ombre nettarsi, mettere gli occhi negli occhi di chi imboccava e poi svoltava. Per ogni passaggio, una scossa. Il 10% delle foglie rimaste appese si riversava in aria, nell'indifferenza e ignoranza dell'elemento scatenante. Ad ogni ondata, io mi incatenavo ad una singola foglia. S'ostinava a voltarsi su se stessa, faccia in su, faccia in giu, faccia in su. Ero sicuro che credesse di star cambiando idea. Invece c'era già una aspettativa di destino sotto forma di pavimentazione stradale. Come per me.

Ho spiegato uno straccio verde sul tavolo. Ho preparato due mucchietti, uno di caffè solubile e uno di thé solubile. Ho sparso i grani, ho chiuso gli occhi e li ho raccolti con la lingua. Ho ascoltato la mia schiena socchiudersi all'inverosimile, ho dato attenzione allo sfrigolare delle due bevande nell'atto di reidratarsi. Ho puntellato amarezze, dolcezze e timidezze. Ho sentito l'alchimia scorrermi sotto la pelle, e mi stavo solo facendo un thé. Novecento secondi, le bollicine che si uniscono e si separano e si aggregano di nuovo e gravitano. Ancora più incrinato, ci ho letto la formazione di una galassia. Ho contratto gli occhi e spianato le palpebre, ho sentito belare poi gracidare. Ho un contratto per una malattia. Ho scritto decine di lettere, le ho riempite delle cose peggiori che potessero venirmi in mente per voi tutti miei sconosciuti destinatari. Le avrei avvolte in buste gialle e imbucate e quando mi sarebbero tornate indietro, mi sarebbe stato sconosciuto anche il mittente. Ho chiuso gli occhi e ho preso sonno, ma prima ho capito Chopin. Il sonno mi è caduto dalle mani ed è rotolato sotto il letto e l'ho perso. Ho camminato e incrociato momenti su momenti, sembra che facciano la mia stessa strada, sempre, al contrario. Ho preparato un nido per quando un giorno ritroveremo quel sonno e ne rideremo. Ho pensato adesso la interrompo e le spiego come è bella. Maledetto nido, maledetto intreccio, maledetto sonno, maledetta trivialità, maledetti luoghi, maledetto maledetto, maledette ritrattazioni, maledetto leggero, maledetto spirito. Ho invocato la sospensione della respirazione. Ho scaramanticamente evitato di mostrare i denti. Ho decretato la via più bella della città, ho soffocato la pioggia. Ho riso leggendo abbasso tutti. Ho capito che per lasciare un messaggio le lettere vanno grattate via con le unghie. Ho capito che per portarsi via un messaggio. Non ho capito cosa ci faccio nella tua bocca, se non mordi o non mi sputi. Ho apprezzato la preferenza per i fiori più semplici. Ho spiegato tutto col mio silenzio di prima. Ho aspettato che il freddo ti coprisse le spalle e le gambe. Ho piegato tutto il mio silenzio prima e l'ho chiuso nel niente.

24 novembre 2007

Benvenuto a chi viene per smontarmi

C'è stato un volta un piccolo spicchio di mandarino che si chiamava Pennellope. Un giorno d'inverno, Pennellope andò a fare una passeggiata con i suoi genitori. Aveva appena nevicato e papà Enginobaldo pensò che sarebbe stato bello che la piccola Pennellope vedesse per la prima volta il mondo innevato. Allora mamma Fifirella mise a Pennellope un lungo cappello verde, in cima al quale spuntava un vistoso pon-pon, fatto di tutti i colori dell'arcobaleno. Uscirono dal loro cesto della frutta e si avviarono per le strade della cittadella. Pennellope era meravigliata da tutto: il fiato che le usciva in nuvolette dalla bocca, gli alberi spogli di foglie e con i rami carichi di neve, il sole bianchiccio che le riscaldava la punta del naso. D'improvviso vide un grande e strano omone in mezzo alla neve. Si nascose dietro le gambe di papà Enginobaldo e con la voce tremante chiese:
"Aiuto! Cos'è quello, papà?"
Lui rispose:
"Non devi avere paura, Pennellope, è un pupazzo di neve!"
"Ah... e a cosa serve?"
"A festeggiare l'inverno!"
"Ma cos'ha al posto del naso?"
"Non vedi è una carota... è tua cugina Putrella"
"E' vero! Ciao Putrella!!!" urlò la piccola Pennellope rivolgendosi alla cugina. Putrella la guardò un attimo e le sorrise, poi riprese la sua posa seria da Carota Naso Di Pupazzo Di Neve. Pennellope dichiarò:
"Da grande voglio fare anche io una parte nel pupazzo di neve!"
Ma proprio mentre pronunciava queste parole, due allodole gigantesche, come spuntate dal nulla, si abbatterono su di lei. Mamma Fifirella cominciò ad urlare dal terrore, mentre papà Enginobaldo tentava inutilmente di togliere Pennellope dalle grinfie dei due terribili animali. La prima allodola riuscì solamente ad artigliare il bel cappello di Pennellope, riducendolo in brandelli. La seconda allodola ebbe, ahinoi, più fortuna e infilzò la succosa polpa di Pennellope, si levò in volo e la portò via per sempre dai suoi genitori.
Nessuno sa dove l'allodola portò Pennellope, nè quale destino le fu riservato.
Ancora oggi, tuttavia, le mamme raccontano ai figli la storia di Pennellope, per metterli in guardia e insegnare loro a non diventare mai, mai, spicchietti per le allodole.

11 novembre 2007

Ok. Ok, ok, ok, ok, ok. (Ok). Ok.


  • Ho assaggiato la libertà, e sa di pollo.
  • "E poi c'è la televisione. Non posso interferire con la televisione."
  • Credo che la vita sia come Ikea, piena di false credenze.
  • Ho sempre avuto l'impressione che il corollario fosse quella cosa che avvicina la matematica ad un fiore.
  • Vivo in una stanza perchè non posso permettermi una canzone tutta mia.
  • Nella pronuncia di "troppo", la conta delle "p" è il metro dell'esagerazione.
  • Che nutella sarebbe senza il mondo?
  • Anche io studio filosofia, ma non all'università. Per strada, contromano.
  • Tutto quello che non è strettamente compromettente, lo cancelliamo.
  • La cosa che più sorprende, camminando per venezia, sono gli alberi. Che ci siano alberi.
  • M'illumino di mensole.
  • L'ennesima banalità: Tutti, alla fine, se ne vanno. Resta da decidere se essere uno che abbandona o un abbandonato.
  • Posso essere così vago da farti credere che questa frase sia rivolta a te.

Sei mai stata dentro un abito con un'altra persona? Io no, però ci ho pensato, mi piacerebbe che accadesse prima o poi. Ho qualche maglione abbastanza grande che potrebbe racchiuderci entrambi. Anche se... troveremmo una strana meccanica ad accoglierci. Più opportuno sarebbe indossarlo faccia a faccia, ma poi non potremmo muovere le braccia. Allora dovremmo tirarci su le maniche fino ai gomiti, per avere le mani libere e opposte, come gemelle siamesi unite e abbracciate per la trasmissione del calore. Altrimenti, il mio petto contro la tua schiena e intraprendere gesti all'unisono, l'uno il burattinaio dell'altra, due scheletri ballerini. Non so.


(squilli di una suoneria anonima)
"Pronto"
"Ciao, sono A."
"Ciao"
"Come va?"
"Boh, bene."
"Che mi racconti? Che novità?"
"No, in verità non bene. Sono morto."
"Come?"
"Sì, sono morto. Sai, di solito si risponde -bene- come in un riflesso, anche se non va affatto bene. Tu mi chiedi come va, io dico bene, io ti chiedo come va, tu mi..."
"Vabbè, ho capito"
"...dici bene. E' la formula."
"Se sei morto perchè hai risposto al telefono?"
"Perchè mi hai chiamato tu, che domande"
"Ma i morti non rispondono al telefono!"
"Sei sicuro? A quanti morti hai telefonato ultimamente?"
"Nessuno"
"A uno veramente, me. E infatti ti ho risposto. Come fai a dire che i morti non rispondono se non li chiami mai?"
"Ma è una follia! Perchè dovrei chiamare un morto se so che non può rispondere?"
"A. senti... è la tua logica ad essere sbagliata: se qualcuno non risponde mai al telefono, nè a te nè a nessun altro, allora lo puoi considerare morto. Ma non è detto che un morto non risponda. La morte è una condizione sufficiente, ma non necessaria, al non rispondere al telefono. Pensaci, vedrai che ho ragione."
"Ma... ma... che scherzo di cattivo gusto. Non ti chiamerò mai più, puoi starne sicuro. E non provare a richiamarmi, che non ti rispondo."
"Oh, mi dispiace! Eri giovane, avevi ancora tutta la vita davanti. Condoglianze A."
"Ma vaff..."
(click)


Sopravvivevamo all'errore di quel "noi".
Io ti raccontavo che stavo guidando, e invece impugnavo un grande anello e pestavo i piedi su piccole piattaforme.
Tu mi imponevi pic-nic lungo il confine. Confine tra regione e regione, confine tra un giorno e il precedente, confine tra "sei un angelo" e "c'è un pellicano che crede di essere il mio zaino".
Ci scambiavamo il colore degli occhi, i secondi sull'orologio e le foto fatte agli sconosciuti; poi ancora le foglie con i colori più improvvisati, i numeri di telefono di vecchi amori e il singhiozzo.
Io ti sfidavo: "Sii la stella che sei, fino in fondo, e vedi di cadere da qualche parte".
Tu mi riempivi di sentimenti segnaposto.
Ci riscaldava dentro accumulare oggetti per un bisogno che non avevamo ancora. Il primo fu la teiera da thé, vinta con i punti della benzina, per quella nostra casa che non c'era ancora.
Io cercavo di ipnotizzarti e intrattenevo il tuo respiro.
Tu volevi imparare a piovere, diluviare.
Discutevamo del ruolo della luna nella didattica dei sentimenti.
Io detestavo le tue magliette ingenuamente ironiche.
Tu rifiutavi di passare tra due specchi appesi l'uno di fronte all'altro. "E' pericoloso. Scomparirò." annunciavi.
Ci allacciavamo i bottoni a vicenda, ed era l'unico modo di farci promesse.
I was just a clown who was feeling down.
Tu eri "fermiamoci qui" e "perchè fai così?".
Giocavamo a fare finta di essere lì contro la nostra volontà.
Ha smesso di essere un gioco, poi, quando.

30 ottobre 2007

Delirium Aquarium

Manì le fa una domanda. Non vuole sapere la risposta, ma vuole sentirgliela dire. Hortencia inizia un racconto che dura due isolati, ma lungo come tutta la periferia intorno al nocciolo grinzoso della domanda. Ora Manì non parla, impegnato com'è a chiedersi come manterrà questa promessa infinita. Lei scappa avanti, lui non si ferma a raccogliere gli indizi, si stringe addosso l'impermeabile e si augura di non raggiungerla mai. E' il loro gioco. Si intrufolano in un cinema, o la tana di un enorme insetto. Le pareti devono essere coperte di bassorilievi, altrimenti sono i resti fossili di altre storie come quella di Manì e Hortencia. Si dimenticano l'una dell'altro, mentre i loro volti fanno l'eclisse di fiori che volano via e dello sguardo triste dell'uomo silenzioso che parla attraverso il tempo. Poi una rivoluzione: le risate sono le grida di protesta, le battute scontate sono la mano del boia. La folla è una immensa testa con il mento coperto di sabbia, gli occhi rivolti ad una trappola troppo scontata per non caderne vittima. Senza lasciarsi divorare, i due si fanno cuccioli e scivolano fuori. Hortencia si addormenta, Manì la protegge. Manì si dimentica di tenere fermi gli occhi, Hortencia si sveglia.
"Manì, dove siamo?"
"Sott'acqua"
"Mi fa paura!"
"Dimentica. Vedi quelle luci?"
"Si"
"Sono pesci predatori. Le due luci che portano davanti al muso servono per attirare le prede e per divorarle"
"Avevi detto che non c'era d'aver paura!"
"Siamo già stati mangiati."
"Vuoi dire che..."
"Sì, adesso siamo anche noi pesci predatori"
"Oddio cosa dobbiamo fare? Non so niente di come ci si comporta da pesci"
"Abbiamo un posto in fila, secondo un preciso ordine di grandezza. Avrai visto le figure."
"Riportami a casa"
"Sì. Nasconditi."
Oggi Manì non tocchera Hortencia, perchè pensa che il suo sentimento la contaminerebbe. Le si infilerebbe sotto le unghie e poi dentro le mani, nei lacci del vestito e nel gancio della sua catenina. Se Hortencia gli aprisse la pancia e tirasse fuori i piccoli rotoli di carta quadrettata su cui lui ha scarabocchiato i suoi desideri prima di ingoiarli, le parrebbero così esagerati da finire per credere che lui stia fingendo. Manì ha bevuto latte per tutta la notte, sperando nel bianco. Invece blu qualunque, ovunque. Il desiderio di Manì per Hortencia gli dà il permesso del silenzio.
Allora tutto inizia da un piccolo brivido.

26 ottobre 2007

Scritto perché una macchina lo legga, e solo accidentalmente affinché qualcuno lo esegua

La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Per ottenere il giusto effetto dovrebbe essere la prima cosa ascoltata dopo il risveglio, ancora prima di sentire la voce di qualcuno, andare direttamente alla canzone. Dovrei anche aggiungerla in coda all'ultima audio-compilazione. Posso mandarvela se volete, tutto in perfetta illegalità. Non è singolare il modo in cui si usa il termine "colonna sonora"? Dal punto di vista del design d'interni scommetto che la Colonna Sonora si adagia sul Tappeto Musicale. Che qualcuno inventi l'Architrave Sinfonica così la facciamo finita.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Dove sono finito? Perchè non scrivo praticamente più? Ah, è colpa di questa canzone. Anche di altre, come lei. Continuo a fare il giro dell'isolato e non mi fermo mai davanti al portone, privo degli attributi necessari per suonare il citofono, diciamo così. Io cerco solo di tirarmi fuori qualcosa che assomigli a questa canzone. Mettere le parole nell'ordine giusto per evocare le stesse tensioni, lo stesso senso di risoluzione, gli angoli ciechi oltre cui si celano ampi viali o vicoli senza uscita, le zone di calma, i furiosi assalti. Una volta era più facile, potevo rompere i giocattoli per vedere come erano fatti dentro. Lo so che è una questione da esteti dei miei stivali, ma quando attacco a percuotere i tasti mi si presenta sotto forma di rampante domanda di senso. E come tutte le ricerche di senso, è questione da "esteta per hobby e per passione".
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho trattato male due persone. Solo le due persone più importanti della mia presente esistenza, quindi niente di che. Mi domando il perchè di certe mie uscite, a volte. Spesso invece non lo faccio, e combino guai. Dire "mi dispiace" non basta più.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho un contenzioso aperto con il tempo. Si nasconde in qualche piega ignota del mondo e io non so dove vada a cacciarsi. Ecco, lo ha fatto di nuovo. Faccio tardi a lavoro.

21 ottobre 2007

Mixtape n.5

30 Seconds to Mars - From yesterday
Chopin - Nocturne no. 1, op. 55
Babyshambles - Carry up on the morning
Cappello a Cilindro - Quel che accade
Chet Baker - My funny valentine (long version)
Chris Botti - Ever since we met
Damien Rice - Me, my yoke and I
Daniele Silvestri - Io fortunatamente
Daniele Silvestri - Occhi da orientale
Giorgio Gaber - Io se fossi Dio
Giorgio Canali - Se viene il lupo
Giorgio Canali - Canzone della tolleranza e dell'amore universale
Giorgio Canali - Fuoco corri con me
Helios - In heaven
Looker - After my divorce
muxu - Journey to the city
Radiohead - True love waits
Radiohead - Idioteque
Radiohead - All I need
saycet - Dreamfactory
Skunk Anansie - Secretly
Suffocate For Fuck Sake - Twenty six and full of plans
The Boggs - Arm in arm (shy child remix)
The Starting Line - Are you alone
The Snake The Cross The Crown - The great american Smokeout
Verdena - Quaranta secondi di niente
Virginiana Miller - La verità sul tennis
The White Stripes - Icky Thump
Nelly Furtado - Maneater
Straylight Run - We'll never leave again
Gregor Samsa - Rock song
Mogwai - Black spider
Emanuel - Cottonomouth
Moneen - The last song I will ever want to sing
The Killers - Indie rock n' roll
Kanye West - Stronger
Plain White T's - Hey there Delilah
Gifts from Enola - Early morning ambulance
Joy Wants Eternity - For we had no road
Moving Mountains - Aphelion
Fabri Fibra - Su le mani
No Doubt - Spiderwebs
No Doubt - Sunday morning
Claude Debussy - Ce qu'a vu le vent d'ouest
Claude Debussy - La cathedrale engloutie
Trentemoller - Take me into your skin
Edit - Battling go-go yubari in downtown L.A.
Alcest - Printemps emeraude
As Cities Burn - The hoard
Battle of Mice - At the base of the giant's throat
Clint Mansell - The last man
Clint Mansell - Tree of life
Clint Mansell - Stay with me
Clint Mansell - Death is a disease
Clint Mansell - Together we will live forever
Cursive - Some red handed slight of hand
Devil Sold His Soul - Dawn of the first day
Do Make Say Think - Horns of a rabbit
Don't Look Back - Farewell to the bright side
Epic45 - The stars in spring
Gallows - Six years
George Doen Screams - Snow Lovers are dacing
Hrsta - Kotori
I Hear Sirens - This is the last time I'll say goodbye
Immanu El - Under your wings I'll hide
Justice - Genesis
Pg.Lost - Yes I am
Pygmy Lush - Hurt Everything
Scraps of Tape - Nashville's got hell to beat
Stars - The beginning after the end
Stars - Take me to the riot
The Angelic Process - Million year summer
The Gathering - Bad movie scene
The Severely Departed - A small divide
The Severely Departed - Thaw
The Severely Departed - Closer to home

E poi qualunque cosa di Eluvium, Stars of the Lid, Helios

10 ottobre 2007

Rainboh

Niente male, questi jeans. Anche la camicia non sarebbe malaccio, se non somigliasse ad una tovaglia da picnic. E poi i bottoni della camicia sono la prima cosa a saltare quando si fa a botte. No, per niente male, questi jeans. E' a causa di due blandi difetti che non si lasciano apprezzare fino alla fine. Primo, sono troppo lunghi. 20 centimetri di risvolto non fanno piacere a nessuno. Secondo, sono blu. Io ho qualche difficoltà a vestire il blu. Perchè ho poca immaginazione. Partorisco associazioni banali. Il blu simboleggia il mare e il cielo. E il mare e il cielo, per me, sono sinonimi di promesse non mantenute. Per il resto, niente male, questi jeans.

Quello che ho in bocca lo sposto contro la guancia sinistra, poi contro la destra. Sputo nel lavandino. L'azzurro chimico del dentifricio è accompagnato da perline di rosso-come-sono-fatto-dentro. Alzo la testa e mi rivolgo allo specchio uno di quei sorrisi forzati, da maniaco. Il sorriso è chiazzato di sangue. Mi faccio ridere ancora di più, stavolta sincero. Adesso che sono solo di nuovo posso smettere questa stupida presunzione di controllo, come un asciugamano dopo la doccia. Il male e il bene nel corso degli eventi non mi riguardano più. Acciuffo due conclusioni, le lego per bene e le traggo a me. Quanto ho da dare, quanto ancora da prendere, quanto sono grandi le mie mani. Forse, se mi metto ad ignorare il tempo con tutte le mie forze, scomparirà. Mentre scalo i piani protetto da un ascensore, nello spazio scuro tra un pianerottolo e l'altro vedo riflesse un paio di occhiaie troppo marcate, mie, prive di contropartita. Come si dice? Ah, sì, grazie.

30 settembre 2007

23 settembre 2007

Direzioni preferenziali per avversare il consorzio umano

Ora che piove si può dire la verità.
E allacciarsi le scarpe in modo convenzionale.
Ora che non piove più posso smettere di ascoltare.
Tolto ciò che c'è di alato in ciò che c'è di malato.
Mao aveva il suo libretto rosso, ma io non sono un gatto quindi tengo una agendina verde per i miei appunti. E tutte queste frasi alte come insetti, dovrei tornare a scrivercele su.
Siamo all'inizio, ma già cauterizzati.
Differenze mediate tra scrivere e scrittura.
Accuse ricamate su tessuti necrotizzanti. Imputare o amputare?
Nuoto in un fiume che non si accorge di me o sto cercando di tenere una sedia in equilibrio su di una gamba sola?
Vuoi una guida o qualcosa che ti indichi la strada.
Che sia un'etica o della segnaletica, non ti importa.

E' strano che proprio in quella occasione io abbia aspettato. Sarei dovuto scendere solo un attimo, fare ciò che ci si aspettava io facessi e risalire subito. Invece mi sono fermato, nell'isola spartitraffico, appoggiato ad un albero. C'era solo una donna di spalle, che si allontanava, tenuta al guinzaglio dal suo cane. E poi eccola, la foglia. Scendeva guardinga e ubriaca. Arriva lenta, mi sono detto. La posso prendere. Invece se la deve essere presa lei, perchè d'improvviso si butta giù a foglia morta. Mi tocca fare due passi di fretta, ma la colgo prima che tocchi terra. E' per metà gialla e per metà croccante. Impolverata e luccicante. Adesso vive con me.

17 settembre 2007

Il mio nome è Harold Crick e quando esamino le pratiche in ufficio sento il suono di un oceano profondo e infinito

Quest'oggi avrei voluto parlarvi di me. Ma abbiamo scoperto che ci sono un sacco di me, tutti diversi, tutti in posti diversi. Ne abbiamo contati fino a sette, pensate un po'. Sarebbe troppo, allora, stare qui a narrarveli tutti. Presto detto, ho deciso quindi di parlarvi di io. Io è facile, un po' orso, dai modi forastici. (Avete visto? Ho detto forastico. L'ho detto perchè ho appena finito di leggere "L'isola di Arturo". Potete stare certi che, se sentite pronunciare quella parola a qualcuno, egli ha da poco voltato l'ultima pagina di quel romanzo.)
Tornando a noi, si diceva:

Io cerca l'amore della sua vita come una superstizione, e anche l'odio della sua vita.
Io, più per curiosità personale che per altro.
Cerca l'indifferenza della sua morte.
Cerca l'amore della vita degli altri.
Gli piacciono anche altre cose che appartengono agli altri.
Ad esempio le cose di carta, con la filigrana in mezzo, che si possono dare in cambio di beni e servizi.
Gli piace il sapore del fumo e l'odore delle sigarette sulle dita e la lieve ebrezza delle boccate di fumo trattenute troppo a lungo, ma gli piace anche sentirsi indipendente.
Gli piacciono le trame sonore epiche ed evocative.
Crede che non si possa vivere per sempre, insieme, ma da soli una speranza c'è.
Non gli piacciono i medici distratti, chi lavora in banca e i maestri svogliati.
Non gli piace essere malato e crede che la malattia sia una colpa e un diritto.
Io crede nel diritto alla colpa.
Non gli piace fare la fila e la gente che si fa aspettare.
Non capisce chi non riesce a ricevere un regalo senza sentire il disagio di doverlo ricambiare.
Mangia lo zucchero filato con sommo gusto, ma io non è il solo.
Va per strada a capo scoperto, quando piove.
Si, ce l'ha l'ombrello.
Ha anche il cappuccio sulla giacca, se volete saperlo.
No, non li usa.
Io è a suo agio anche quando è sporco, o vestito malamente.
Molti pensano di sapere chi sia veramente Io, ma Io si diverte spesso a prenderli di sorpresa.

Ah, e i compiti per casa. Ascoltare "Fuoco corri con me" e "Canzone della tolleranza e dell'amore universale" di Canali, Giorgio. E preparate anche la colonna sonora di "The fountain / L'albero della vita", che poi vi interrogo.

13 settembre 2007

I ricordi sono commestibili come le unghie delle dita maggiori

voglio essere annegato
voglio essere assecondato
voglio essere atterrito
voglio essere ascoltato
voglio essere allontanato
voglio essere avvicinato
voglio essere abbracciato
voglio essere accettato
voglio essere adescato
voglio essere adoperato
voglio essere aperto
voglio essere alato
voglio essere atterrato
voglio essere addobbato
voglio essere accomodato
voglio essere aviotrasportato
voglio essere abbindolato
voglio essere anticipato
voglio essere abbeverato
voglio essere affaticato
voglio essere affranto
voglio essere allenato
voglio essere attaccato
voglio essere arrivato
voglio essere allungato
voglio essere agguantato
voglio essere addolorato
voglio essere annerito
voglio essere ammaestrato
voglio essere attraversato
voglio essere arroventato
voglio essere arenato
voglio essere assonnato
voglio essere aggirato
voglio essere assassinato
voglio essere accreditato
voglio essere ammazzato
voglio essere appagato
voglio essere avventato
voglio essere alleato
voglio essere azzerato
voglio essere avvelenato
voglio essere ammanettato
voglio essere assolto
voglio essere ammattito
voglio essere a.

09 settembre 2007

Il lupo non c'è, però se vuoi crepo io

La chiarezza che solo una notte di settembre può portare. Io vado avanti e i dubbi si fanno ai lato, bisbigliando con rispetto. Mi scoppiano i polpacci e per avanzare ci devo mettere tutta la rabbia e le strettoie tra i denti. Ho sempre una canzone in testa e adesso questa parla bene di tanto niente. Rientro a casa e mi dico che le cose piccole le potrei fare senza pensare, come slacciarmi le scarpe o aprire il frigo. Ma no ma no io voglio esserci. Tanto ho un posto tutto mio dove me ne posso andare quando c'ho lo schifo sul collo che mi cola davanti e dietro. Fa stanco, non trovi? Con i soldi che ho mi ci posso comprare solo altre gabbie. A guardare i muri sembrerebbe di stare ancora coi piedi per terra. Ho la peste, non lo sapevi? Vi chiedo acqua ma ormai non c'è più niente da fare, potete solo starmi lontani. Sono ancora lì stanco, con gli occhi che fanno troppe domande. A volte i libri non sono come quando li avevi iniziati a leggere. Quello non lo puoi toccare, è troppo bello. Poi non è che sono cresciuto è solo che i miei giocattoli hanno smesso di parlare. Ora altre cose parlano, ma io ho un altro nome. Mi impegno quando faccio il morto a galla. Belle le vesti da saltimbanco, metà bianche e metà nere. Ti è stato utile il tempo guadagnato? Suvvia, era solo uno scherzo col mantello. Ma non di noia.

03 settembre 2007

Allthelovelessness

Mi ha tenuto sveglio un lavello
fuori tempo per tutta la notte
ho creduto sanguinasse
ogni goccia aveva un suono diverso
una melodia senza fine
dove alla fine sonnecchia la follia

Ancora da bambino pensavo al contrario delle lampadine. Accese nelle mia stanza in pieno giorno, avrebbero proiettato un cono di oscurità totale. Con dentro me.

Uno è biondo ed ha gli occhi chiari. L'altro, scuro di pelo, gli occhi non li ha. Qualcosa gli brucia nelle orbite e incenerisce tutto ciò su cui posa lo sguardo. Metaforicamente, o forse no. Potrebbero essere due angeli o due demoni o due persone normali. Sembrano troppo normali per essere due persone. Un'ancestrale mitologia deve averli messi qui, l'uno accanto all'altro, in piedi, sotto questo albero dai rami viola che al posto delle foglie ha piume blu. Il biondino è ferito lungo un fianco, e tiene in pressione la ferita, con una mano. Nasconde anche un'altra cicatrice sul collo, sotto una benda.
Dialogano i due.
Occhi di bragia sta gesticolando, lentamente. Si osserva il braccio mentre lo solleva a mezz'aria. Ha la manica sporca di sangue.
Parlano ancora. Sembra importante. Come se il compimento di un male, uno tra i tanti, e di un bene, uno tra i pochi, dipendessero dall'esito di questa discussione.

Mi parlano, ma tutto quello che sento è meta-rumore.

Qualche volta mi immagino una persona che infila una mano nel tritacarne. C'è questa mano che scompare fino al polso dentro la vorace macchina e in fondo la carne trita che viene raccolta e preparata per il ragù.
Qualche volta mi immagino anche come togliere la pelle da una faccia. Io inizierei da una incisione accanto all'orecchio, scenderei in verticale fino a dove si ancora la mascella e ne seguirei la curva fino alla punta del mento. Continuerei simmetricamente, a salire, fino all'altro orecchio, e poi è facile basta seguire l'attaccatura dei capelli.
Potrebbero essere i pensieri di un bambino che rompe il suo giocattolo preferito per vedere com'è fatto dentro.

Possiamo vivere con l'illusione che un cactus non abbia bisogno di un abbraccio, ogni tanto.

Continuano ad arrivarmi cartoline. Vengono dal futuro ed il mittente sono io. O almeno, dovrei essere io. Mi chiedo se, dal momento che tanto sono già arrivate, io debba ancora spedirle al me-passato dal me-futuro. Mi chiedo se il me-futuro che ha spedito le cartoline si è già posto questa domanda. E poi perchè continuo a mandarmi cartoline in bianco e nero?

Mi ero apparecchiato l'anima. Poi qualcuno si è imbucato.

E comunque, sì.

23 agosto 2007

Sarà una canzone di 5 minuti ad uccidermi

#Macrocosmo e microcosmo#
Utopia e imbarazzo:
Un giorno tutti gli uomini saranno uguali.
E non avranno più niente da dirsi.
Una cosa in comune di troppo:
Siamo uguali io e te. E non abbiamo niente da dirci.


-Mi farebbe piacere ricevere una lettera da te
disse l'ombra dell'uomo solitario.
-Certe cose vengono meglio quando sono spontanee
rispose la luce proveniente dalla finestra illuminata.
****
-Mi avevi già visto passare, vero?
-Cosa?
-No, niente
-Comunque sì
****
-Di lettere ne ho scritte molte
-Di cosa parlavano?
-Amore. O tassi d'interesse. Non ricordo.
-E ci hai mai creduto?
-All'amore o ai tassi?
-Importa in cosa credi, se credi in qualcosa?
-Direi di no
-E quindi?
-So solo che le ho firmate tutte, quelle lettere
-...
-Ed erano tutte anonime