"Ti andrebbe di sfilarmi le scarpe?"
Ed io che neanche avevo cercato le parole.
Era una festa, era sabato ed era pieno di streghe. Io continuavo a fissare la strega più strana di tutte.
Soddisfazioni e aspettative hanno il loro posto naturale dentro una cartellina in cartone con tanto di elastico, non dentro una mente.
Circondato da fonti, la luce emessa collassa tutto intorno e mi bagna le scarpe.
Il distacco emozionale sperimentato dalle villette schierate come un plotone d'esecuzione addosso al mare.
Non seguo un piano, non rotolo lungo un piano. la parola al groviglio: dice che faccio bene.
Lei alzava la mano e il gesto che stava per compiere avrebbe registrato il loro passaggio. "Non ce n'è bisogno" Lui le disse. Scesero alla fermata successiva, smarcando il controllo. Lanciandomi un riflesso di vecchiaia.
Sarebbe sconvolgente pensare ad una grazia che non scende dall'alto, ma evapora dalle spaccature del terreno e nella quale potremmo muovere le gambe come cucchiai in un piatto di minestra.
Occhi chiari su un volto poco attraente. Meritano una punizione.
Sostituire la morale con l'estetica. Accedere al tempo attraverso una scala graduata. Sotto il rosso si nasconde la sicurezza, oltre il violetto s'apre l'umanità.
Le dicevano: "Togli le mani dalla neve". Le dicevano: "Resterai assiderata". Lei pensava alle stelle.
E' facile. E' anche bizzarro. Può apparire superfluo. Puoi ignorarlo. Non puoi farlo arrabbiare. Si lascia disprezzare. Si lascia cadere. Si ripete e diventa amichevole. Nasconde una massa nera d'infinita oscurità. Ha preso tutto il nero di cui si circondava un tempo e lo ha compresso e messo là, che si appoggia al muscolo diaframmatico. Respirando forte riesce ancora ad evocarlo. Ci sono dei brividi, come quelli che si provano sotto il sole d'agosto: toccare la massa glieli provoca. E lui, di tanto in tanto, tocca la propria massa, e trema. E' così che si costringe a non dimenticare.
29 aprile 2007
23 aprile 2007
che s'è costretti, lo schifo, ad esalare
"Non ce la faccio", a denti serrati, con la fronte tumefatta dal dolore, avvolta nel sudore, i capelli incollati alle tempie. Contrazioni sempre più frequenti, accecanti e insostenibili.
"Neanche io", trascinando le parole, riverso, bevuto fino al cielo, bruciato dall'alcol e dalla nausea anche nello spazio tra i muscoli e le ossa.
E poi c'è il cane. Bello, alto, bianco, un bastardo a metà strada tra levriero e pastore maremmano. Sguardo intelligente, gli occhi come quelli di Liz Taylor, il ciuffo di James Dean. Il cane sta trascinando lo schifo di materasso su cui sono buttati entrambi. Cinque centimetri al minuto, verso il centro della strada. Ci vuole una piccola pausa per pensare ad un luogo peggiore, più sporco, in cui far nascere un bambino.
Nessuno dei tre, nessuno dei quattro, che possa mettere a fuoco un pensiero in questo momento. Se deve colmarsi la misura, questo è l'istante perfetto. Che finisca come deve finire, ma che finisca adesso.
-Perchè non hai più chiamato?
-Cosa?!? Avrei forse dovuto?
-Beh, sei tu che mi hai chiesto il numero, o no?
-Esatto
-Cosa lo hai preso a fare, allora?
-Per risentirti, mi pare ovvio.
-Eppure non hai richiamato...
-Non credevo ci fosse una data di scadenza.
-Certo sei proprio un bel tipo, tu. Mi sei stato addosso tutta la serata, praticamente ignorando tutti i presenti: e già il giorno dopo, come non esistessi.
-Ti sbagli, non mi sono dimenticato di te; e certamente ti ho pensata.
-Faresti prima ad ammettere che non ti andava di richiamare...
-In parte hai ragione. Vedi: appena qualcosa mi si profila davanti come un obbligo, io divento di pessimo umore. Dalla mattina dopo la volta che ci siamo incontrati, ho iniziato a pensare "forse dovrei richiamarla" e mi è subito sembrata un'azione poco spontanea. Sono rimasto per giorni a oscillare tra la voglia di risentirti e il desiderio di non fare qualcosa per il semplice motivo che "va fatto".
-E sei anche strano forte. Lo sai che io non pensato a tutto questo, ma solo che non intendevi più voler a che fare con me? A chiunque sarebbe apparso evidente che io sono stata il passatempo di una serata. Ti annoiavi e hai trovato qualcuno con cui flirtare un po'.
-Solo se ci vogliamo fermare alla apparenze. E' un po' più complicato di così.
-No, guarda, non è complicato per niente. A me sembra palese. Ti va di rivederci, mi chiami; se non ti va, allora non chiami. Non hai chiamato, quindi non ti andava.
-Non dovresti giudicarmi in base alle mie presunte intenzioni.
-Infatti lo sto facendo sulla base delle tue assunte azioni. Una settimana di silenzio.
-Mi spiace che il mio comportamento ti abbia dato da pensare. Comunque credo ancora di non aver fatto nulla di così grave, che, se deve nascere qualcosa, lo farà anche se scompaio dalla faccia della terra per qualche giorno.
-Ma come potevi aspettarti che io fossi già a conoscenza del modo in cui sei fatto, di questo tuo modo di comportarti? Avresti potuto darmi almeno una piccola spiegazione. Sai che sforzo dire: "faccio qualcosa che potrà apparire maleducato, ma so che tu capirai". Mi avrebbe aiutato a sentirmi meno stupida.
(termina così questo dialogo, privo di una vera) Fine
"Neanche io", trascinando le parole, riverso, bevuto fino al cielo, bruciato dall'alcol e dalla nausea anche nello spazio tra i muscoli e le ossa.
E poi c'è il cane. Bello, alto, bianco, un bastardo a metà strada tra levriero e pastore maremmano. Sguardo intelligente, gli occhi come quelli di Liz Taylor, il ciuffo di James Dean. Il cane sta trascinando lo schifo di materasso su cui sono buttati entrambi. Cinque centimetri al minuto, verso il centro della strada. Ci vuole una piccola pausa per pensare ad un luogo peggiore, più sporco, in cui far nascere un bambino.
Nessuno dei tre, nessuno dei quattro, che possa mettere a fuoco un pensiero in questo momento. Se deve colmarsi la misura, questo è l'istante perfetto. Che finisca come deve finire, ma che finisca adesso.
-Perchè non hai più chiamato?
-Cosa?!? Avrei forse dovuto?
-Beh, sei tu che mi hai chiesto il numero, o no?
-Esatto
-Cosa lo hai preso a fare, allora?
-Per risentirti, mi pare ovvio.
-Eppure non hai richiamato...
-Non credevo ci fosse una data di scadenza.
-Certo sei proprio un bel tipo, tu. Mi sei stato addosso tutta la serata, praticamente ignorando tutti i presenti: e già il giorno dopo, come non esistessi.
-Ti sbagli, non mi sono dimenticato di te; e certamente ti ho pensata.
-Faresti prima ad ammettere che non ti andava di richiamare...
-In parte hai ragione. Vedi: appena qualcosa mi si profila davanti come un obbligo, io divento di pessimo umore. Dalla mattina dopo la volta che ci siamo incontrati, ho iniziato a pensare "forse dovrei richiamarla" e mi è subito sembrata un'azione poco spontanea. Sono rimasto per giorni a oscillare tra la voglia di risentirti e il desiderio di non fare qualcosa per il semplice motivo che "va fatto".
-E sei anche strano forte. Lo sai che io non pensato a tutto questo, ma solo che non intendevi più voler a che fare con me? A chiunque sarebbe apparso evidente che io sono stata il passatempo di una serata. Ti annoiavi e hai trovato qualcuno con cui flirtare un po'.
-Solo se ci vogliamo fermare alla apparenze. E' un po' più complicato di così.
-No, guarda, non è complicato per niente. A me sembra palese. Ti va di rivederci, mi chiami; se non ti va, allora non chiami. Non hai chiamato, quindi non ti andava.
-Non dovresti giudicarmi in base alle mie presunte intenzioni.
-Infatti lo sto facendo sulla base delle tue assunte azioni. Una settimana di silenzio.
-Mi spiace che il mio comportamento ti abbia dato da pensare. Comunque credo ancora di non aver fatto nulla di così grave, che, se deve nascere qualcosa, lo farà anche se scompaio dalla faccia della terra per qualche giorno.
-Ma come potevi aspettarti che io fossi già a conoscenza del modo in cui sei fatto, di questo tuo modo di comportarti? Avresti potuto darmi almeno una piccola spiegazione. Sai che sforzo dire: "faccio qualcosa che potrà apparire maleducato, ma so che tu capirai". Mi avrebbe aiutato a sentirmi meno stupida.
(termina così questo dialogo, privo di una vera) Fine
19 aprile 2007
Breve guida pratica alla felicità scritta in una familiare e convincente seconda persona
Solo due righe per introdurre l'argomento. Non è intenzione di questa guida fornire una definizione o una mappa dettagliata della felicità. L'autore ritiene che ogni lettore conservi la propria nozione di "sono felice" e "non sono felice" e sia in ogni momento ben conscio in quale si trovi. Si cercheranno allora piccoli accorgimenti pratici per minimizzare la percezione del tempo nei momenti di non felicità.
1) Guarda molta televisione
Ricorda: la tua mente è tua nemica. Ogni pensiero formulato equivale ad un possibile momento di felicità che non tornerà mai più. Ti interessa veramente perderne altri? Ognuno di noi, per vivere, ha bisogno di un modello della realtà con il quale fare i conti. La televisione te ne fornisce uno già bello e confenzionato, facile da digerire, senza chiederti nulla in cambio e senza il bisogno di alcuno sforzo critico. Inoltre la potenza ipnotica dei suoni sincronizzati alle immagini in movimento è in grado di alienarti da ogni percezione dolorosa proveniente dalla realtà. (Sostanze psicotrope -alcol, droghe, frittura di pesce- sono promosse come accettabili sostituti del tubo catodico)
2) Leggi il meno possibile ed evita di frequentare persone che non la pensino come te
Non dimenticare: la tua mente è tua nemica. Ora che hai creato la tua fortezza di certezze, non lasciare che qualcosa o qualcuno insinui in te il dubbio. Il mondo è pieno di egoisti che cercano di allontanarti dalla tua felicità per godere della loro. Non permettergli di farti credere che se ci rifletterai su, la tua vita migliorerà. Semplicemente non è vero.
3) Tratta le persone come se non avessero sentimenti
L'empatia è una cosa per mammolette. L'unica cosa che ottieni cercando di metterti nei panni altrui è di soffrire senza motivo quando anche loro soffrono. Al contrario non ha mai funzionato. Quando loro sono felici, si dimenticano di te e tu non riesci a condividere la loro felicità. E, dopo tutto, perchè dovrebbe importartene? Cosa hanno fatto loro per te? Pensi che ci sia qualcuno cui importi se tu sei felice o meno? Là fuori è una giungla, cerca di cavartela e lascia che gli altri se le cavino da soli.
4) Vesti come la maggioranza, parla come la maggioranza, pensa come la maggioranza
Questa è una tecnica che comporta diversi vantaggi. Primo, ti permette di essere accettato facilmente dalla tua comunità, nessuno sarà spaventato da qualche tua possibile diversità. Comunicherai agli altri un'idea di familiarità che incrementerà notevolemente la tua riuscita in campo sociale. Secondo, gli altri ti saranno inconsciamente grati, poichè grazie al tuo comportamento uniforme non intaccherai il loro sistema di certezze (vedi punto uno). Terzo, non avrai bisogno di mettere in moto la mente per compiere scelte, che siano quotidiane o di vita: fa' in ogni circostanza quello che farebbero gli altri e andrai diritto e a colpo sicuro.
5) Cura il tuo aspetto e l'apparenza in modo maniacale
Dare più importanza alla forma che alla sostanza è un passaggio chiave. La maggioranza (4) ti indicherà come muoverti e tu dovrai seguirla alla perfezione. Dovrà diventare la cosa più importante della tua vita e l'unica a cui presterai vera attenzione. Nel momento in cui cosa indossare in una certa situazione diventa più importante della situazione stessa, sappi che sei sulla strada giusta verso la felicità assoluta. E fai attenzione: chiunque ti accusi di essere una persona superficiale è qualcuno da cui tenersi alla larga.
6) Scegli sempre la strada più facile
Non farti scrupoli, è così comodo! Facciamo qualche esempio: Sei accusato di un delitto grave? Da' la colpa del tuo comportamento alla società, tanto lei non potrà difendersi! Sei a cena fuori con una ragazza e sei a corto di argomenti? Falla ridere prendendo in giro le persone meno attraenti di lei, parla malignamente alle spalle degli altri, prenditela gratuitamente con una minoranza qualsiasi oppure metti in ridicolo chi è diverso da voi: lei resterà affascinata! Hai dei problemi di coscienza? Ci sono tante religioni che si offrono di ripulirtela in cambio di una misera ora a settimana da passare seduto su una panca di legno e di una piccola offerta in denaro. Non ti sembra un'offerta troppo vantaggiosa per poterla rifiutare?
1) Guarda molta televisione
Ricorda: la tua mente è tua nemica. Ogni pensiero formulato equivale ad un possibile momento di felicità che non tornerà mai più. Ti interessa veramente perderne altri? Ognuno di noi, per vivere, ha bisogno di un modello della realtà con il quale fare i conti. La televisione te ne fornisce uno già bello e confenzionato, facile da digerire, senza chiederti nulla in cambio e senza il bisogno di alcuno sforzo critico. Inoltre la potenza ipnotica dei suoni sincronizzati alle immagini in movimento è in grado di alienarti da ogni percezione dolorosa proveniente dalla realtà. (Sostanze psicotrope -alcol, droghe, frittura di pesce- sono promosse come accettabili sostituti del tubo catodico)
2) Leggi il meno possibile ed evita di frequentare persone che non la pensino come te
Non dimenticare: la tua mente è tua nemica. Ora che hai creato la tua fortezza di certezze, non lasciare che qualcosa o qualcuno insinui in te il dubbio. Il mondo è pieno di egoisti che cercano di allontanarti dalla tua felicità per godere della loro. Non permettergli di farti credere che se ci rifletterai su, la tua vita migliorerà. Semplicemente non è vero.
3) Tratta le persone come se non avessero sentimenti
L'empatia è una cosa per mammolette. L'unica cosa che ottieni cercando di metterti nei panni altrui è di soffrire senza motivo quando anche loro soffrono. Al contrario non ha mai funzionato. Quando loro sono felici, si dimenticano di te e tu non riesci a condividere la loro felicità. E, dopo tutto, perchè dovrebbe importartene? Cosa hanno fatto loro per te? Pensi che ci sia qualcuno cui importi se tu sei felice o meno? Là fuori è una giungla, cerca di cavartela e lascia che gli altri se le cavino da soli.
4) Vesti come la maggioranza, parla come la maggioranza, pensa come la maggioranza
Questa è una tecnica che comporta diversi vantaggi. Primo, ti permette di essere accettato facilmente dalla tua comunità, nessuno sarà spaventato da qualche tua possibile diversità. Comunicherai agli altri un'idea di familiarità che incrementerà notevolemente la tua riuscita in campo sociale. Secondo, gli altri ti saranno inconsciamente grati, poichè grazie al tuo comportamento uniforme non intaccherai il loro sistema di certezze (vedi punto uno). Terzo, non avrai bisogno di mettere in moto la mente per compiere scelte, che siano quotidiane o di vita: fa' in ogni circostanza quello che farebbero gli altri e andrai diritto e a colpo sicuro.
5) Cura il tuo aspetto e l'apparenza in modo maniacale
Dare più importanza alla forma che alla sostanza è un passaggio chiave. La maggioranza (4) ti indicherà come muoverti e tu dovrai seguirla alla perfezione. Dovrà diventare la cosa più importante della tua vita e l'unica a cui presterai vera attenzione. Nel momento in cui cosa indossare in una certa situazione diventa più importante della situazione stessa, sappi che sei sulla strada giusta verso la felicità assoluta. E fai attenzione: chiunque ti accusi di essere una persona superficiale è qualcuno da cui tenersi alla larga.
6) Scegli sempre la strada più facile
Non farti scrupoli, è così comodo! Facciamo qualche esempio: Sei accusato di un delitto grave? Da' la colpa del tuo comportamento alla società, tanto lei non potrà difendersi! Sei a cena fuori con una ragazza e sei a corto di argomenti? Falla ridere prendendo in giro le persone meno attraenti di lei, parla malignamente alle spalle degli altri, prenditela gratuitamente con una minoranza qualsiasi oppure metti in ridicolo chi è diverso da voi: lei resterà affascinata! Hai dei problemi di coscienza? Ci sono tante religioni che si offrono di ripulirtela in cambio di una misera ora a settimana da passare seduto su una panca di legno e di una piccola offerta in denaro. Non ti sembra un'offerta troppo vantaggiosa per poterla rifiutare?
15 aprile 2007
Fin da bambino ho bevuto in bicchieri tetradecagonici
Nella sala d'aspetto di un ufficio comunale, sto seduto sopra una panchina di legno compensato e ferro verniciato nero. L'ufficio è chiuso ed io non sto aspettando il mio turno. Le gambe leggermente divaricate, i gomiti appoggiati sopra le ginocchia, la testa tra le mani, le dita tra i capelli, gli occhi chiusi. Contro il muro alla mia destra, riposa un distributore automatico di bibite calde e snack. All'improvviso si mette a vibrare rumorosamente; deve essere il compressore interno che si rimette in moto, servirà a mantenere la corretta temperatura interna. Faccio lo stesso anch'io. Cerco di scuotermi, restando immobile. Ho bisogno di ridare la giusta temperatura ai miei pensieri.
Lo guardo, esso inerme. Dentro, in bella fila, merendine che non avevo mai visto. Non so perchè, mi sembra ci sia un ordine sbagliato in quello che vedo. Il cibo mi è sempre sembrato anarchico, senza regole, accatastato, puzzolente, organico. Ora sembra la falange in formazione di un esercito macedone. La sua disposizione non è naturale. C'è una fila però, che ammicca nella mia direzione. Le schiacciatine al rosmarino. Come al liceo. Ci penso un po' su. 35 centesimi. Ci penso un altro po' su. A28. Infilo la mano in tasca, dove so di trovare qualche monetina (è tutta la mattina che tintinnano là dentro, tenendo il ritmo di ogni mio passo (una seconda parentesi ci vuole, anche solo per dire che è un blues)).
In tasca tocco anche un pezzo di cartoncino spiegazzato. Lo tiro fuori. E' il biglietto di un concerto. Devo essermelo dimenticato: di solito li ripongo tutti insieme, visto che mi piace conservarli. Non c'è scritto di chi sia il concerto, in compenso riporta luogo e data.
Chiedo che sia messo agli atti come prova, Vostro Onore.
Per un istante il termometro scende sotto lo zero, e tutto torna freddo e immobile e vuoto.
L'istante dopo c'è solo una pallina di carta, sul fondo di un cestino dei rifiuti, a far compagnia a bicchierini di plastica, sporchi di caffè istantaneo, e ricordi indesiderati.
Inserire
l'importo,
scegliere il
prodotto
e premere
il pulsante.
50 cent, 20 cent.
Eseguo.
Un meccanismo a vite compie due rotazioni complete intorno al proprio asse, lasciando cadere due confezioni (mi ricorda un'illustrazione della vite di Archimede di Siracusa, quella per sollevare l'acqua). Il rumore dei biscotti che si spaccano è meno acuto di quanto mi aspettassi, sarà per colpa del vetro divisorio. Non ho per niente voglia di mangiarle ora, e allora le infilo nella tasca della giacca. Ecco, proprio adesso non è il mio turno, non stanno chiamando il mio numero. E' meglio che mi dia una mossa.
Lo guardo, esso inerme. Dentro, in bella fila, merendine che non avevo mai visto. Non so perchè, mi sembra ci sia un ordine sbagliato in quello che vedo. Il cibo mi è sempre sembrato anarchico, senza regole, accatastato, puzzolente, organico. Ora sembra la falange in formazione di un esercito macedone. La sua disposizione non è naturale. C'è una fila però, che ammicca nella mia direzione. Le schiacciatine al rosmarino. Come al liceo. Ci penso un po' su. 35 centesimi. Ci penso un altro po' su. A28. Infilo la mano in tasca, dove so di trovare qualche monetina (è tutta la mattina che tintinnano là dentro, tenendo il ritmo di ogni mio passo (una seconda parentesi ci vuole, anche solo per dire che è un blues)).
In tasca tocco anche un pezzo di cartoncino spiegazzato. Lo tiro fuori. E' il biglietto di un concerto. Devo essermelo dimenticato: di solito li ripongo tutti insieme, visto che mi piace conservarli. Non c'è scritto di chi sia il concerto, in compenso riporta luogo e data.
Chiedo che sia messo agli atti come prova, Vostro Onore.
Per un istante il termometro scende sotto lo zero, e tutto torna freddo e immobile e vuoto.
L'istante dopo c'è solo una pallina di carta, sul fondo di un cestino dei rifiuti, a far compagnia a bicchierini di plastica, sporchi di caffè istantaneo, e ricordi indesiderati.
Inserire
l'importo,
scegliere il
prodotto
e premere
il pulsante.
50 cent, 20 cent.
Eseguo.
Un meccanismo a vite compie due rotazioni complete intorno al proprio asse, lasciando cadere due confezioni (mi ricorda un'illustrazione della vite di Archimede di Siracusa, quella per sollevare l'acqua). Il rumore dei biscotti che si spaccano è meno acuto di quanto mi aspettassi, sarà per colpa del vetro divisorio. Non ho per niente voglia di mangiarle ora, e allora le infilo nella tasca della giacca. Ecco, proprio adesso non è il mio turno, non stanno chiamando il mio numero. E' meglio che mi dia una mossa.
07 aprile 2007
Candido, o dell'ammorbidente
Mi piacerebbe sapere come si sposta Alessandro Baricco. Ha una macchina? E che modello? Ha un autista? Si fa accompagnare? Usa l'autobus, o magari va in bicicletta? Prende la metro? Quando si sposta da una città all'altra, viaggia in aereo oppure preferisce il treno? Perchè dal modo in cui racconta le storie si vede che ha un rapporto atipico con le persone. E il modo con cui creiamo relazioni con le persone passa attraverso la gente che incontriamo o con cui veniamo in contatto sui mezzi di locomozione. E io sto ancora cercando di capire se i suoi sono personaggi poetici descritti prosaicamente o l'inverso.
Mi piacerebbe anche vedere come si muove Miss R. Come tiene le spalle quando cammina, insieme alle mani e alla testa. Come guarda gli oggetti e come guarda le persone. Come tiene in mano un bicchiere e lo avvicina alla bocca. Quale strada percorre la sua faccia quando parte da un sorriso e arriva alla maschera della serietà. Quanto dura un suo batter d'occhi. Dove guarda, quando è inquadrata da una telecamera. Se arrossisce. E' un'ossessione passeggera. Completamente asettica. Nessun danno arrecato. Quando gli osservatori rientrano nella casistica della normalità, uno zoo mostra le sbarre come i denti dell'atrocità personificata. Il contrario è il contratto che sono pronto a stipulare per garantire l'incolumità delle mie cavie.
E poi mi piacerebbe perdere la testa. Ridere in faccia al mio ultimo confessore e inginocchiarmi sul legno del patibolo. Ah ci sono agevoli istruzioni: "Infilare la testa nell'apposita fessura". C'è un bambino, tra la folla, che non riesce a tenere gli occhi aperti. La causa è il sole che si riflette accecante sulla lama, mia prossima decapitatrice. E' così bella e pulita e affilata che vien voglia di leccarla o sentirne in filo contro una guancia ispida. Come quella volta, che contro quell'asse da cui spuntavano tre chiodi arrugginiti, spinsi la mano atrocemente e la trapassai e puntualizzai la volontà di dolore e toccai un pensiero intoccabile con un'azione tabù. Eccola, scende. E' gelida ed è solo un attimo. Cade in un cesto e si macchia di sangue arterioso. La grottesca sede del mio Io. Anche se adesso sono un fontanile vandalizzato e arrugginito. Che liberazione. Tutta la vita con questa grumo carnifero che mi pende dal collo e non accenna a guarire. Metastatico, metafisicoideo, metà stitico. La mia impiccagione orizzontale e simbolica. Sotto quest'albero, non cresceranno margherite.
Mi piacerebbe anche vedere come si muove Miss R. Come tiene le spalle quando cammina, insieme alle mani e alla testa. Come guarda gli oggetti e come guarda le persone. Come tiene in mano un bicchiere e lo avvicina alla bocca. Quale strada percorre la sua faccia quando parte da un sorriso e arriva alla maschera della serietà. Quanto dura un suo batter d'occhi. Dove guarda, quando è inquadrata da una telecamera. Se arrossisce. E' un'ossessione passeggera. Completamente asettica. Nessun danno arrecato. Quando gli osservatori rientrano nella casistica della normalità, uno zoo mostra le sbarre come i denti dell'atrocità personificata. Il contrario è il contratto che sono pronto a stipulare per garantire l'incolumità delle mie cavie.
E poi mi piacerebbe perdere la testa. Ridere in faccia al mio ultimo confessore e inginocchiarmi sul legno del patibolo. Ah ci sono agevoli istruzioni: "Infilare la testa nell'apposita fessura". C'è un bambino, tra la folla, che non riesce a tenere gli occhi aperti. La causa è il sole che si riflette accecante sulla lama, mia prossima decapitatrice. E' così bella e pulita e affilata che vien voglia di leccarla o sentirne in filo contro una guancia ispida. Come quella volta, che contro quell'asse da cui spuntavano tre chiodi arrugginiti, spinsi la mano atrocemente e la trapassai e puntualizzai la volontà di dolore e toccai un pensiero intoccabile con un'azione tabù. Eccola, scende. E' gelida ed è solo un attimo. Cade in un cesto e si macchia di sangue arterioso. La grottesca sede del mio Io. Anche se adesso sono un fontanile vandalizzato e arrugginito. Che liberazione. Tutta la vita con questa grumo carnifero che mi pende dal collo e non accenna a guarire. Metastatico, metafisicoideo, metà stitico. La mia impiccagione orizzontale e simbolica. Sotto quest'albero, non cresceranno margherite.
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