24 aprile 2006

Mai dire a Locke quello che non può fare

Una volta, prima di uscire, Catleia lasciò sul tavolo in sala un biglietto. Sopra ci scrisse: "Non ci sono". Al suo ritorno, accanto, ne trovò uno simile. La grafia le era sconosciuta e non seppe mai chi lo scrisse. Diceva: "Neanche io". Lei non se ne preoccupò. Quelle cose le capitavano. Non spesso, ma capitavano. Piccoli barlumi di significanza, senza autore, senza inizio, senza fine. Non vi faceva più neppure caso. Con il gomito posato sofficemente sul tavolo, posava i polpastrelli delle sue dita sul palmo della loro mano, mentre con il pollice e l'indice tracciava un piccolo anello. Poi vi adagiava il mento bianco e la potevi scorgere lanciare sguardi opalescenti dalla cella vibrante delle sue frange. La spaventosa verità era che un giorno avrebbe dovuto crescere e trovare un posto per quelle sue manie. La mania di increspare le sue labbra sottili e soffiarti addosso le parole che non le avresti permesso di dirti. La mania di arrampicarsi sulle sedie alla conquista di un trono che nessuno le avrebbe mai tolto. La mania di salutare chiunque con piccoli inchini, sporgendo in avanti il busto, facendosi finire i capelli sulla faccia. E poi, ogni volta con lo stesso gesto, ricacciarli indietro, ogni volta con lo stesso sorriso.




all'interno del corpo dell' acqua

il movimento

non dipende più dalla passiva resistenza
di altri corpi più grandi e stupidi
su cui premersi per venirne spinti via

è un esercizio di pura volontà

la giusta combinazione di:

rilassamento

*e*

contrazione

(di certi muscoli)


nella necessaria sequenza
nella necessaria intensità

Nessun commento: