C'è stato un volta un piccolo spicchio di mandarino che si chiamava Pennellope. Un giorno d'inverno, Pennellope andò a fare una passeggiata con i suoi genitori. Aveva appena nevicato e papà Enginobaldo pensò che sarebbe stato bello che la piccola Pennellope vedesse per la prima volta il mondo innevato. Allora mamma Fifirella mise a Pennellope un lungo cappello verde, in cima al quale spuntava un vistoso pon-pon, fatto di tutti i colori dell'arcobaleno. Uscirono dal loro cesto della frutta e si avviarono per le strade della cittadella. Pennellope era meravigliata da tutto: il fiato che le usciva in nuvolette dalla bocca, gli alberi spogli di foglie e con i rami carichi di neve, il sole bianchiccio che le riscaldava la punta del naso. D'improvviso vide un grande e strano omone in mezzo alla neve. Si nascose dietro le gambe di papà Enginobaldo e con la voce tremante chiese:
"Aiuto! Cos'è quello, papà?"
Lui rispose:
"Non devi avere paura, Pennellope, è un pupazzo di neve!"
"Ah... e a cosa serve?"
"A festeggiare l'inverno!"
"Ma cos'ha al posto del naso?"
"Non vedi è una carota... è tua cugina Putrella"
"E' vero! Ciao Putrella!!!" urlò la piccola Pennellope rivolgendosi alla cugina. Putrella la guardò un attimo e le sorrise, poi riprese la sua posa seria da Carota Naso Di Pupazzo Di Neve. Pennellope dichiarò:
"Da grande voglio fare anche io una parte nel pupazzo di neve!"
Ma proprio mentre pronunciava queste parole, due allodole gigantesche, come spuntate dal nulla, si abbatterono su di lei. Mamma Fifirella cominciò ad urlare dal terrore, mentre papà Enginobaldo tentava inutilmente di togliere Pennellope dalle grinfie dei due terribili animali. La prima allodola riuscì solamente ad artigliare il bel cappello di Pennellope, riducendolo in brandelli. La seconda allodola ebbe, ahinoi, più fortuna e infilzò la succosa polpa di Pennellope, si levò in volo e la portò via per sempre dai suoi genitori.
Nessuno sa dove l'allodola portò Pennellope, nè quale destino le fu riservato.
Ancora oggi, tuttavia, le mamme raccontano ai figli la storia di Pennellope, per metterli in guardia e insegnare loro a non diventare mai, mai, spicchietti per le allodole.
24 novembre 2007
11 novembre 2007
Ok. Ok, ok, ok, ok, ok. (Ok). Ok.
- Ho assaggiato la libertà, e sa di pollo.
- "E poi c'è la televisione. Non posso interferire con la televisione."
- Credo che la vita sia come Ikea, piena di false credenze.
- Ho sempre avuto l'impressione che il corollario fosse quella cosa che avvicina la matematica ad un fiore.
- Vivo in una stanza perchè non posso permettermi una canzone tutta mia.
- Nella pronuncia di "troppo", la conta delle "p" è il metro dell'esagerazione.
- Che nutella sarebbe senza il mondo?
- Anche io studio filosofia, ma non all'università. Per strada, contromano.
- Tutto quello che non è strettamente compromettente, lo cancelliamo.
- La cosa che più sorprende, camminando per venezia, sono gli alberi. Che ci siano alberi.
- M'illumino di mensole.
- L'ennesima banalità: Tutti, alla fine, se ne vanno. Resta da decidere se essere uno che abbandona o un abbandonato.
- Posso essere così vago da farti credere che questa frase sia rivolta a te.
(squilli di una suoneria anonima)
"Pronto"
"Ciao, sono A."
"Ciao"
"Come va?"
"Boh, bene."
"Che mi racconti? Che novità?"
"No, in verità non bene. Sono morto."
"Come?"
"Sì, sono morto. Sai, di solito si risponde -bene- come in un riflesso, anche se non va affatto bene. Tu mi chiedi come va, io dico bene, io ti chiedo come va, tu mi..."
"Vabbè, ho capito"
"...dici bene. E' la formula."
"Se sei morto perchè hai risposto al telefono?"
"Perchè mi hai chiamato tu, che domande"
"Ma i morti non rispondono al telefono!"
"Sei sicuro? A quanti morti hai telefonato ultimamente?"
"Nessuno"
"A uno veramente, me. E infatti ti ho risposto. Come fai a dire che i morti non rispondono se non li chiami mai?"
"Ma è una follia! Perchè dovrei chiamare un morto se so che non può rispondere?"
"A. senti... è la tua logica ad essere sbagliata: se qualcuno non risponde mai al telefono, nè a te nè a nessun altro, allora lo puoi considerare morto. Ma non è detto che un morto non risponda. La morte è una condizione sufficiente, ma non necessaria, al non rispondere al telefono. Pensaci, vedrai che ho ragione."
"Ma... ma... che scherzo di cattivo gusto. Non ti chiamerò mai più, puoi starne sicuro. E non provare a richiamarmi, che non ti rispondo."
"Oh, mi dispiace! Eri giovane, avevi ancora tutta la vita davanti. Condoglianze A."
"Ma vaff..."
(click)
Sopravvivevamo all'errore di quel "noi".
Io ti raccontavo che stavo guidando, e invece impugnavo un grande anello e pestavo i piedi su piccole piattaforme.
Tu mi imponevi pic-nic lungo il confine. Confine tra regione e regione, confine tra un giorno e il precedente, confine tra "sei un angelo" e "c'è un pellicano che crede di essere il mio zaino".
Ci scambiavamo il colore degli occhi, i secondi sull'orologio e le foto fatte agli sconosciuti; poi ancora le foglie con i colori più improvvisati, i numeri di telefono di vecchi amori e il singhiozzo.
Io ti sfidavo: "Sii la stella che sei, fino in fondo, e vedi di cadere da qualche parte".
Tu mi riempivi di sentimenti segnaposto.
Ci riscaldava dentro accumulare oggetti per un bisogno che non avevamo ancora. Il primo fu la teiera da thé, vinta con i punti della benzina, per quella nostra casa che non c'era ancora.
Io cercavo di ipnotizzarti e intrattenevo il tuo respiro.
Tu volevi imparare a piovere, diluviare.
Discutevamo del ruolo della luna nella didattica dei sentimenti.
Io detestavo le tue magliette ingenuamente ironiche.
Tu rifiutavi di passare tra due specchi appesi l'uno di fronte all'altro. "E' pericoloso. Scomparirò." annunciavi.
Ci allacciavamo i bottoni a vicenda, ed era l'unico modo di farci promesse.
I was just a clown who was feeling down.
Tu eri "fermiamoci qui" e "perchè fai così?".
Giocavamo a fare finta di essere lì contro la nostra volontà.
Ha smesso di essere un gioco, poi, quando.
30 ottobre 2007
Delirium Aquarium
Manì le fa una domanda. Non vuole sapere la risposta, ma vuole sentirgliela dire. Hortencia inizia un racconto che dura due isolati, ma lungo come tutta la periferia intorno al nocciolo grinzoso della domanda. Ora Manì non parla, impegnato com'è a chiedersi come manterrà questa promessa infinita. Lei scappa avanti, lui non si ferma a raccogliere gli indizi, si stringe addosso l'impermeabile e si augura di non raggiungerla mai. E' il loro gioco. Si intrufolano in un cinema, o la tana di un enorme insetto. Le pareti devono essere coperte di bassorilievi, altrimenti sono i resti fossili di altre storie come quella di Manì e Hortencia. Si dimenticano l'una dell'altro, mentre i loro volti fanno l'eclisse di fiori che volano via e dello sguardo triste dell'uomo silenzioso che parla attraverso il tempo. Poi una rivoluzione: le risate sono le grida di protesta, le battute scontate sono la mano del boia. La folla è una immensa testa con il mento coperto di sabbia, gli occhi rivolti ad una trappola troppo scontata per non caderne vittima. Senza lasciarsi divorare, i due si fanno cuccioli e scivolano fuori. Hortencia si addormenta, Manì la protegge. Manì si dimentica di tenere fermi gli occhi, Hortencia si sveglia.
"Manì, dove siamo?"
"Sott'acqua"
"Mi fa paura!"
"Dimentica. Vedi quelle luci?"
"Si"
"Sono pesci predatori. Le due luci che portano davanti al muso servono per attirare le prede e per divorarle"
"Avevi detto che non c'era d'aver paura!"
"Siamo già stati mangiati."
"Vuoi dire che..."
"Sì, adesso siamo anche noi pesci predatori"
"Oddio cosa dobbiamo fare? Non so niente di come ci si comporta da pesci"
"Abbiamo un posto in fila, secondo un preciso ordine di grandezza. Avrai visto le figure."
"Riportami a casa"
"Sì. Nasconditi."
Oggi Manì non tocchera Hortencia, perchè pensa che il suo sentimento la contaminerebbe. Le si infilerebbe sotto le unghie e poi dentro le mani, nei lacci del vestito e nel gancio della sua catenina. Se Hortencia gli aprisse la pancia e tirasse fuori i piccoli rotoli di carta quadrettata su cui lui ha scarabocchiato i suoi desideri prima di ingoiarli, le parrebbero così esagerati da finire per credere che lui stia fingendo. Manì ha bevuto latte per tutta la notte, sperando nel bianco. Invece blu qualunque, ovunque. Il desiderio di Manì per Hortencia gli dà il permesso del silenzio.
Allora tutto inizia da un piccolo brivido.
"Manì, dove siamo?"
"Sott'acqua"
"Mi fa paura!"
"Dimentica. Vedi quelle luci?"
"Si"
"Sono pesci predatori. Le due luci che portano davanti al muso servono per attirare le prede e per divorarle"
"Avevi detto che non c'era d'aver paura!"
"Siamo già stati mangiati."
"Vuoi dire che..."
"Sì, adesso siamo anche noi pesci predatori"
"Oddio cosa dobbiamo fare? Non so niente di come ci si comporta da pesci"
"Abbiamo un posto in fila, secondo un preciso ordine di grandezza. Avrai visto le figure."
"Riportami a casa"
"Sì. Nasconditi."
Oggi Manì non tocchera Hortencia, perchè pensa che il suo sentimento la contaminerebbe. Le si infilerebbe sotto le unghie e poi dentro le mani, nei lacci del vestito e nel gancio della sua catenina. Se Hortencia gli aprisse la pancia e tirasse fuori i piccoli rotoli di carta quadrettata su cui lui ha scarabocchiato i suoi desideri prima di ingoiarli, le parrebbero così esagerati da finire per credere che lui stia fingendo. Manì ha bevuto latte per tutta la notte, sperando nel bianco. Invece blu qualunque, ovunque. Il desiderio di Manì per Hortencia gli dà il permesso del silenzio.
Allora tutto inizia da un piccolo brivido.
26 ottobre 2007
Scritto perché una macchina lo legga, e solo accidentalmente affinché qualcuno lo esegua
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Per ottenere il giusto effetto dovrebbe essere la prima cosa ascoltata dopo il risveglio, ancora prima di sentire la voce di qualcuno, andare direttamente alla canzone. Dovrei anche aggiungerla in coda all'ultima audio-compilazione. Posso mandarvela se volete, tutto in perfetta illegalità. Non è singolare il modo in cui si usa il termine "colonna sonora"? Dal punto di vista del design d'interni scommetto che la Colonna Sonora si adagia sul Tappeto Musicale. Che qualcuno inventi l'Architrave Sinfonica così la facciamo finita.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Dove sono finito? Perchè non scrivo praticamente più? Ah, è colpa di questa canzone. Anche di altre, come lei. Continuo a fare il giro dell'isolato e non mi fermo mai davanti al portone, privo degli attributi necessari per suonare il citofono, diciamo così. Io cerco solo di tirarmi fuori qualcosa che assomigli a questa canzone. Mettere le parole nell'ordine giusto per evocare le stesse tensioni, lo stesso senso di risoluzione, gli angoli ciechi oltre cui si celano ampi viali o vicoli senza uscita, le zone di calma, i furiosi assalti. Una volta era più facile, potevo rompere i giocattoli per vedere come erano fatti dentro. Lo so che è una questione da esteti dei miei stivali, ma quando attacco a percuotere i tasti mi si presenta sotto forma di rampante domanda di senso. E come tutte le ricerche di senso, è questione da "esteta per hobby e per passione".
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho trattato male due persone. Solo le due persone più importanti della mia presente esistenza, quindi niente di che. Mi domando il perchè di certe mie uscite, a volte. Spesso invece non lo faccio, e combino guai. Dire "mi dispiace" non basta più.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho un contenzioso aperto con il tempo. Si nasconde in qualche piega ignota del mondo e io non so dove vada a cacciarsi. Ecco, lo ha fatto di nuovo. Faccio tardi a lavoro.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Dove sono finito? Perchè non scrivo praticamente più? Ah, è colpa di questa canzone. Anche di altre, come lei. Continuo a fare il giro dell'isolato e non mi fermo mai davanti al portone, privo degli attributi necessari per suonare il citofono, diciamo così. Io cerco solo di tirarmi fuori qualcosa che assomigli a questa canzone. Mettere le parole nell'ordine giusto per evocare le stesse tensioni, lo stesso senso di risoluzione, gli angoli ciechi oltre cui si celano ampi viali o vicoli senza uscita, le zone di calma, i furiosi assalti. Una volta era più facile, potevo rompere i giocattoli per vedere come erano fatti dentro. Lo so che è una questione da esteti dei miei stivali, ma quando attacco a percuotere i tasti mi si presenta sotto forma di rampante domanda di senso. E come tutte le ricerche di senso, è questione da "esteta per hobby e per passione".
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho trattato male due persone. Solo le due persone più importanti della mia presente esistenza, quindi niente di che. Mi domando il perchè di certe mie uscite, a volte. Spesso invece non lo faccio, e combino guai. Dire "mi dispiace" non basta più.
La colonna sonora di tutto questo sarebbe "Supernova Landslide" degli The American Dollar, traccia numero sette dell'album "The Technicolour Sleep". Ho un contenzioso aperto con il tempo. Si nasconde in qualche piega ignota del mondo e io non so dove vada a cacciarsi. Ecco, lo ha fatto di nuovo. Faccio tardi a lavoro.
21 ottobre 2007
Mixtape n.5
30 Seconds to Mars - From yesterday
Chopin - Nocturne no. 1, op. 55
Babyshambles - Carry up on the morning
Cappello a Cilindro - Quel che accade
Chet Baker - My funny valentine (long version)
Chris Botti - Ever since we met
Damien Rice - Me, my yoke and I
Daniele Silvestri - Io fortunatamente
Daniele Silvestri - Occhi da orientale
Giorgio Gaber - Io se fossi Dio
Giorgio Canali - Se viene il lupo
Giorgio Canali - Canzone della tolleranza e dell'amore universale
Giorgio Canali - Fuoco corri con me
Helios - In heaven
Looker - After my divorce
muxu - Journey to the city
Radiohead - True love waits
Radiohead - Idioteque
Radiohead - All I need
saycet - Dreamfactory
Skunk Anansie - Secretly
Suffocate For Fuck Sake - Twenty six and full of plans
The Boggs - Arm in arm (shy child remix)
The Starting Line - Are you alone
The Snake The Cross The Crown - The great american Smokeout
Verdena - Quaranta secondi di niente
Virginiana Miller - La verità sul tennis
The White Stripes - Icky Thump
Nelly Furtado - Maneater
Straylight Run - We'll never leave again
Gregor Samsa - Rock song
Mogwai - Black spider
Emanuel - Cottonomouth
Moneen - The last song I will ever want to sing
The Killers - Indie rock n' roll
Kanye West - Stronger
Plain White T's - Hey there Delilah
Gifts from Enola - Early morning ambulance
Joy Wants Eternity - For we had no road
Moving Mountains - Aphelion
Fabri Fibra - Su le mani
No Doubt - Spiderwebs
No Doubt - Sunday morning
Claude Debussy - Ce qu'a vu le vent d'ouest
Claude Debussy - La cathedrale engloutie
Trentemoller - Take me into your skin
Edit - Battling go-go yubari in downtown L.A.
Alcest - Printemps emeraude
As Cities Burn - The hoard
Battle of Mice - At the base of the giant's throat
Clint Mansell - The last man
Clint Mansell - Tree of life
Clint Mansell - Stay with me
Clint Mansell - Death is a disease
Clint Mansell - Together we will live forever
Cursive - Some red handed slight of hand
Devil Sold His Soul - Dawn of the first day
Do Make Say Think - Horns of a rabbit
Don't Look Back - Farewell to the bright side
Epic45 - The stars in spring
Gallows - Six years
George Doen Screams - Snow Lovers are dacing
Hrsta - Kotori
I Hear Sirens - This is the last time I'll say goodbye
Immanu El - Under your wings I'll hide
Justice - Genesis
Pg.Lost - Yes I am
Pygmy Lush - Hurt Everything
Scraps of Tape - Nashville's got hell to beat
Stars - The beginning after the end
Stars - Take me to the riot
The Angelic Process - Million year summer
The Gathering - Bad movie scene
The Severely Departed - A small divide
The Severely Departed - Thaw
The Severely Departed - Closer to home
E poi qualunque cosa di Eluvium, Stars of the Lid, Helios
Chopin - Nocturne no. 1, op. 55
Babyshambles - Carry up on the morning
Cappello a Cilindro - Quel che accade
Chet Baker - My funny valentine (long version)
Chris Botti - Ever since we met
Damien Rice - Me, my yoke and I
Daniele Silvestri - Io fortunatamente
Daniele Silvestri - Occhi da orientale
Giorgio Gaber - Io se fossi Dio
Giorgio Canali - Se viene il lupo
Giorgio Canali - Canzone della tolleranza e dell'amore universale
Giorgio Canali - Fuoco corri con me
Helios - In heaven
Looker - After my divorce
muxu - Journey to the city
Radiohead - True love waits
Radiohead - Idioteque
Radiohead - All I need
saycet - Dreamfactory
Skunk Anansie - Secretly
Suffocate For Fuck Sake - Twenty six and full of plans
The Boggs - Arm in arm (shy child remix)
The Starting Line - Are you alone
The Snake The Cross The Crown - The great american Smokeout
Verdena - Quaranta secondi di niente
Virginiana Miller - La verità sul tennis
The White Stripes - Icky Thump
Nelly Furtado - Maneater
Straylight Run - We'll never leave again
Gregor Samsa - Rock song
Mogwai - Black spider
Emanuel - Cottonomouth
Moneen - The last song I will ever want to sing
The Killers - Indie rock n' roll
Kanye West - Stronger
Plain White T's - Hey there Delilah
Gifts from Enola - Early morning ambulance
Joy Wants Eternity - For we had no road
Moving Mountains - Aphelion
Fabri Fibra - Su le mani
No Doubt - Spiderwebs
No Doubt - Sunday morning
Claude Debussy - Ce qu'a vu le vent d'ouest
Claude Debussy - La cathedrale engloutie
Trentemoller - Take me into your skin
Edit - Battling go-go yubari in downtown L.A.
Alcest - Printemps emeraude
As Cities Burn - The hoard
Battle of Mice - At the base of the giant's throat
Clint Mansell - The last man
Clint Mansell - Tree of life
Clint Mansell - Stay with me
Clint Mansell - Death is a disease
Clint Mansell - Together we will live forever
Cursive - Some red handed slight of hand
Devil Sold His Soul - Dawn of the first day
Do Make Say Think - Horns of a rabbit
Don't Look Back - Farewell to the bright side
Epic45 - The stars in spring
Gallows - Six years
George Doen Screams - Snow Lovers are dacing
Hrsta - Kotori
I Hear Sirens - This is the last time I'll say goodbye
Immanu El - Under your wings I'll hide
Justice - Genesis
Pg.Lost - Yes I am
Pygmy Lush - Hurt Everything
Scraps of Tape - Nashville's got hell to beat
Stars - The beginning after the end
Stars - Take me to the riot
The Angelic Process - Million year summer
The Gathering - Bad movie scene
The Severely Departed - A small divide
The Severely Departed - Thaw
The Severely Departed - Closer to home
E poi qualunque cosa di Eluvium, Stars of the Lid, Helios
10 ottobre 2007
Rainboh
Niente male, questi jeans. Anche la camicia non sarebbe malaccio, se non somigliasse ad una tovaglia da picnic. E poi i bottoni della camicia sono la prima cosa a saltare quando si fa a botte. No, per niente male, questi jeans. E' a causa di due blandi difetti che non si lasciano apprezzare fino alla fine. Primo, sono troppo lunghi. 20 centimetri di risvolto non fanno piacere a nessuno. Secondo, sono blu. Io ho qualche difficoltà a vestire il blu. Perchè ho poca immaginazione. Partorisco associazioni banali. Il blu simboleggia il mare e il cielo. E il mare e il cielo, per me, sono sinonimi di promesse non mantenute. Per il resto, niente male, questi jeans.
Quello che ho in bocca lo sposto contro la guancia sinistra, poi contro la destra. Sputo nel lavandino. L'azzurro chimico del dentifricio è accompagnato da perline di rosso-come-sono-fatto-dentro. Alzo la testa e mi rivolgo allo specchio uno di quei sorrisi forzati, da maniaco. Il sorriso è chiazzato di sangue. Mi faccio ridere ancora di più, stavolta sincero. Adesso che sono solo di nuovo posso smettere questa stupida presunzione di controllo, come un asciugamano dopo la doccia. Il male e il bene nel corso degli eventi non mi riguardano più. Acciuffo due conclusioni, le lego per bene e le traggo a me. Quanto ho da dare, quanto ancora da prendere, quanto sono grandi le mie mani. Forse, se mi metto ad ignorare il tempo con tutte le mie forze, scomparirà. Mentre scalo i piani protetto da un ascensore, nello spazio scuro tra un pianerottolo e l'altro vedo riflesse un paio di occhiaie troppo marcate, mie, prive di contropartita. Come si dice? Ah, sì, grazie.
Quello che ho in bocca lo sposto contro la guancia sinistra, poi contro la destra. Sputo nel lavandino. L'azzurro chimico del dentifricio è accompagnato da perline di rosso-come-sono-fatto-dentro. Alzo la testa e mi rivolgo allo specchio uno di quei sorrisi forzati, da maniaco. Il sorriso è chiazzato di sangue. Mi faccio ridere ancora di più, stavolta sincero. Adesso che sono solo di nuovo posso smettere questa stupida presunzione di controllo, come un asciugamano dopo la doccia. Il male e il bene nel corso degli eventi non mi riguardano più. Acciuffo due conclusioni, le lego per bene e le traggo a me. Quanto ho da dare, quanto ancora da prendere, quanto sono grandi le mie mani. Forse, se mi metto ad ignorare il tempo con tutte le mie forze, scomparirà. Mentre scalo i piani protetto da un ascensore, nello spazio scuro tra un pianerottolo e l'altro vedo riflesse un paio di occhiaie troppo marcate, mie, prive di contropartita. Come si dice? Ah, sì, grazie.
30 settembre 2007
23 settembre 2007
Direzioni preferenziali per avversare il consorzio umano
Ora che piove si può dire la verità.
E allacciarsi le scarpe in modo convenzionale.
Ora che non piove più posso smettere di ascoltare.
Tolto ciò che c'è di alato in ciò che c'è di malato.
Mao aveva il suo libretto rosso, ma io non sono un gatto quindi tengo una agendina verde per i miei appunti. E tutte queste frasi alte come insetti, dovrei tornare a scrivercele su.
Siamo all'inizio, ma già cauterizzati.
Differenze mediate tra scrivere e scrittura.
Accuse ricamate su tessuti necrotizzanti. Imputare o amputare?
Nuoto in un fiume che non si accorge di me o sto cercando di tenere una sedia in equilibrio su di una gamba sola?
Vuoi una guida o qualcosa che ti indichi la strada.
Che sia un'etica o della segnaletica, non ti importa.
E' strano che proprio in quella occasione io abbia aspettato. Sarei dovuto scendere solo un attimo, fare ciò che ci si aspettava io facessi e risalire subito. Invece mi sono fermato, nell'isola spartitraffico, appoggiato ad un albero. C'era solo una donna di spalle, che si allontanava, tenuta al guinzaglio dal suo cane. E poi eccola, la foglia. Scendeva guardinga e ubriaca. Arriva lenta, mi sono detto. La posso prendere. Invece se la deve essere presa lei, perchè d'improvviso si butta giù a foglia morta. Mi tocca fare due passi di fretta, ma la colgo prima che tocchi terra. E' per metà gialla e per metà croccante. Impolverata e luccicante. Adesso vive con me.
E allacciarsi le scarpe in modo convenzionale.
Ora che non piove più posso smettere di ascoltare.
Tolto ciò che c'è di alato in ciò che c'è di malato.
Mao aveva il suo libretto rosso, ma io non sono un gatto quindi tengo una agendina verde per i miei appunti. E tutte queste frasi alte come insetti, dovrei tornare a scrivercele su.
Siamo all'inizio, ma già cauterizzati.
Differenze mediate tra scrivere e scrittura.
Accuse ricamate su tessuti necrotizzanti. Imputare o amputare?
Nuoto in un fiume che non si accorge di me o sto cercando di tenere una sedia in equilibrio su di una gamba sola?
Vuoi una guida o qualcosa che ti indichi la strada.
Che sia un'etica o della segnaletica, non ti importa.
E' strano che proprio in quella occasione io abbia aspettato. Sarei dovuto scendere solo un attimo, fare ciò che ci si aspettava io facessi e risalire subito. Invece mi sono fermato, nell'isola spartitraffico, appoggiato ad un albero. C'era solo una donna di spalle, che si allontanava, tenuta al guinzaglio dal suo cane. E poi eccola, la foglia. Scendeva guardinga e ubriaca. Arriva lenta, mi sono detto. La posso prendere. Invece se la deve essere presa lei, perchè d'improvviso si butta giù a foglia morta. Mi tocca fare due passi di fretta, ma la colgo prima che tocchi terra. E' per metà gialla e per metà croccante. Impolverata e luccicante. Adesso vive con me.
17 settembre 2007
Il mio nome è Harold Crick e quando esamino le pratiche in ufficio sento il suono di un oceano profondo e infinito
Quest'oggi avrei voluto parlarvi di me. Ma abbiamo scoperto che ci sono un sacco di me, tutti diversi, tutti in posti diversi. Ne abbiamo contati fino a sette, pensate un po'. Sarebbe troppo, allora, stare qui a narrarveli tutti. Presto detto, ho deciso quindi di parlarvi di io. Io è facile, un po' orso, dai modi forastici. (Avete visto? Ho detto forastico. L'ho detto perchè ho appena finito di leggere "L'isola di Arturo". Potete stare certi che, se sentite pronunciare quella parola a qualcuno, egli ha da poco voltato l'ultima pagina di quel romanzo.)
Tornando a noi, si diceva:
Io cerca l'amore della sua vita come una superstizione, e anche l'odio della sua vita.
Io, più per curiosità personale che per altro.
Cerca l'indifferenza della sua morte.
Cerca l'amore della vita degli altri.
Gli piacciono anche altre cose che appartengono agli altri.
Ad esempio le cose di carta, con la filigrana in mezzo, che si possono dare in cambio di beni e servizi.
Gli piace il sapore del fumo e l'odore delle sigarette sulle dita e la lieve ebrezza delle boccate di fumo trattenute troppo a lungo, ma gli piace anche sentirsi indipendente.
Gli piacciono le trame sonore epiche ed evocative.
Crede che non si possa vivere per sempre, insieme, ma da soli una speranza c'è.
Non gli piacciono i medici distratti, chi lavora in banca e i maestri svogliati.
Non gli piace essere malato e crede che la malattia sia una colpa e un diritto.
Io crede nel diritto alla colpa.
Non gli piace fare la fila e la gente che si fa aspettare.
Non capisce chi non riesce a ricevere un regalo senza sentire il disagio di doverlo ricambiare.
Mangia lo zucchero filato con sommo gusto, ma io non è il solo.
Va per strada a capo scoperto, quando piove.
Si, ce l'ha l'ombrello.
Ha anche il cappuccio sulla giacca, se volete saperlo.
No, non li usa.
Io è a suo agio anche quando è sporco, o vestito malamente.
Molti pensano di sapere chi sia veramente Io, ma Io si diverte spesso a prenderli di sorpresa.
Ah, e i compiti per casa. Ascoltare "Fuoco corri con me" e "Canzone della tolleranza e dell'amore universale" di Canali, Giorgio. E preparate anche la colonna sonora di "The fountain / L'albero della vita", che poi vi interrogo.
Tornando a noi, si diceva:
Io cerca l'amore della sua vita come una superstizione, e anche l'odio della sua vita.
Io, più per curiosità personale che per altro.
Cerca l'indifferenza della sua morte.
Cerca l'amore della vita degli altri.
Gli piacciono anche altre cose che appartengono agli altri.
Ad esempio le cose di carta, con la filigrana in mezzo, che si possono dare in cambio di beni e servizi.
Gli piace il sapore del fumo e l'odore delle sigarette sulle dita e la lieve ebrezza delle boccate di fumo trattenute troppo a lungo, ma gli piace anche sentirsi indipendente.
Gli piacciono le trame sonore epiche ed evocative.
Crede che non si possa vivere per sempre, insieme, ma da soli una speranza c'è.
Non gli piacciono i medici distratti, chi lavora in banca e i maestri svogliati.
Non gli piace essere malato e crede che la malattia sia una colpa e un diritto.
Io crede nel diritto alla colpa.
Non gli piace fare la fila e la gente che si fa aspettare.
Non capisce chi non riesce a ricevere un regalo senza sentire il disagio di doverlo ricambiare.
Mangia lo zucchero filato con sommo gusto, ma io non è il solo.
Va per strada a capo scoperto, quando piove.
Si, ce l'ha l'ombrello.
Ha anche il cappuccio sulla giacca, se volete saperlo.
No, non li usa.
Io è a suo agio anche quando è sporco, o vestito malamente.
Molti pensano di sapere chi sia veramente Io, ma Io si diverte spesso a prenderli di sorpresa.
Ah, e i compiti per casa. Ascoltare "Fuoco corri con me" e "Canzone della tolleranza e dell'amore universale" di Canali, Giorgio. E preparate anche la colonna sonora di "The fountain / L'albero della vita", che poi vi interrogo.
13 settembre 2007
I ricordi sono commestibili come le unghie delle dita maggiori
voglio essere annegato
voglio essere assecondato
voglio essere atterrito
voglio essere ascoltato
voglio essere allontanato
voglio essere avvicinato
voglio essere abbracciato
voglio essere accettato
voglio essere adescato
voglio essere adoperato
voglio essere aperto
voglio essere alato
voglio essere atterrato
voglio essere addobbato
voglio essere accomodato
voglio essere aviotrasportato
voglio essere abbindolato
voglio essere anticipato
voglio essere abbeverato
voglio essere affaticato
voglio essere affranto
voglio essere allenato
voglio essere attaccato
voglio essere arrivato
voglio essere allungato
voglio essere agguantato
voglio essere addolorato
voglio essere annerito
voglio essere ammaestrato
voglio essere attraversato
voglio essere arroventato
voglio essere arenato
voglio essere assonnato
voglio essere aggirato
voglio essere assassinato
voglio essere accreditato
voglio essere ammazzato
voglio essere appagato
voglio essere avventato
voglio essere alleato
voglio essere azzerato
voglio essere avvelenato
voglio essere ammanettato
voglio essere assolto
voglio essere ammattito
voglio essere a.
voglio essere assecondato
voglio essere atterrito
voglio essere ascoltato
voglio essere allontanato
voglio essere avvicinato
voglio essere abbracciato
voglio essere accettato
voglio essere adescato
voglio essere adoperato
voglio essere aperto
voglio essere alato
voglio essere atterrato
voglio essere addobbato
voglio essere accomodato
voglio essere aviotrasportato
voglio essere abbindolato
voglio essere anticipato
voglio essere abbeverato
voglio essere affaticato
voglio essere affranto
voglio essere allenato
voglio essere attaccato
voglio essere arrivato
voglio essere allungato
voglio essere agguantato
voglio essere addolorato
voglio essere annerito
voglio essere ammaestrato
voglio essere attraversato
voglio essere arroventato
voglio essere arenato
voglio essere assonnato
voglio essere aggirato
voglio essere assassinato
voglio essere accreditato
voglio essere ammazzato
voglio essere appagato
voglio essere avventato
voglio essere alleato
voglio essere azzerato
voglio essere avvelenato
voglio essere ammanettato
voglio essere assolto
voglio essere ammattito
voglio essere a.
09 settembre 2007
Il lupo non c'è, però se vuoi crepo io
La chiarezza che solo una notte di settembre può portare. Io vado avanti e i dubbi si fanno ai lato, bisbigliando con rispetto. Mi scoppiano i polpacci e per avanzare ci devo mettere tutta la rabbia e le strettoie tra i denti. Ho sempre una canzone in testa e adesso questa parla bene di tanto niente. Rientro a casa e mi dico che le cose piccole le potrei fare senza pensare, come slacciarmi le scarpe o aprire il frigo. Ma no ma no io voglio esserci. Tanto ho un posto tutto mio dove me ne posso andare quando c'ho lo schifo sul collo che mi cola davanti e dietro. Fa stanco, non trovi? Con i soldi che ho mi ci posso comprare solo altre gabbie. A guardare i muri sembrerebbe di stare ancora coi piedi per terra. Ho la peste, non lo sapevi? Vi chiedo acqua ma ormai non c'è più niente da fare, potete solo starmi lontani. Sono ancora lì stanco, con gli occhi che fanno troppe domande. A volte i libri non sono come quando li avevi iniziati a leggere. Quello non lo puoi toccare, è troppo bello. Poi non è che sono cresciuto è solo che i miei giocattoli hanno smesso di parlare. Ora altre cose parlano, ma io ho un altro nome. Mi impegno quando faccio il morto a galla. Belle le vesti da saltimbanco, metà bianche e metà nere. Ti è stato utile il tempo guadagnato? Suvvia, era solo uno scherzo col mantello. Ma non di noia.
03 settembre 2007
Allthelovelessness
Mi ha tenuto sveglio un lavello
fuori tempo per tutta la notte
ho creduto sanguinasse
ogni goccia aveva un suono diverso
una melodia senza fine
dove alla fine sonnecchia la follia
Ancora da bambino pensavo al contrario delle lampadine. Accese nelle mia stanza in pieno giorno, avrebbero proiettato un cono di oscurità totale. Con dentro me.
Uno è biondo ed ha gli occhi chiari. L'altro, scuro di pelo, gli occhi non li ha. Qualcosa gli brucia nelle orbite e incenerisce tutto ciò su cui posa lo sguardo. Metaforicamente, o forse no. Potrebbero essere due angeli o due demoni o due persone normali. Sembrano troppo normali per essere due persone. Un'ancestrale mitologia deve averli messi qui, l'uno accanto all'altro, in piedi, sotto questo albero dai rami viola che al posto delle foglie ha piume blu. Il biondino è ferito lungo un fianco, e tiene in pressione la ferita, con una mano. Nasconde anche un'altra cicatrice sul collo, sotto una benda.
Dialogano i due.
Occhi di bragia sta gesticolando, lentamente. Si osserva il braccio mentre lo solleva a mezz'aria. Ha la manica sporca di sangue.
Parlano ancora. Sembra importante. Come se il compimento di un male, uno tra i tanti, e di un bene, uno tra i pochi, dipendessero dall'esito di questa discussione.
Mi parlano, ma tutto quello che sento è meta-rumore.
Qualche volta mi immagino una persona che infila una mano nel tritacarne. C'è questa mano che scompare fino al polso dentro la vorace macchina e in fondo la carne trita che viene raccolta e preparata per il ragù.
Qualche volta mi immagino anche come togliere la pelle da una faccia. Io inizierei da una incisione accanto all'orecchio, scenderei in verticale fino a dove si ancora la mascella e ne seguirei la curva fino alla punta del mento. Continuerei simmetricamente, a salire, fino all'altro orecchio, e poi è facile basta seguire l'attaccatura dei capelli.
Potrebbero essere i pensieri di un bambino che rompe il suo giocattolo preferito per vedere com'è fatto dentro.
Possiamo vivere con l'illusione che un cactus non abbia bisogno di un abbraccio, ogni tanto.
Continuano ad arrivarmi cartoline. Vengono dal futuro ed il mittente sono io. O almeno, dovrei essere io. Mi chiedo se, dal momento che tanto sono già arrivate, io debba ancora spedirle al me-passato dal me-futuro. Mi chiedo se il me-futuro che ha spedito le cartoline si è già posto questa domanda. E poi perchè continuo a mandarmi cartoline in bianco e nero?
Mi ero apparecchiato l'anima. Poi qualcuno si è imbucato.
E comunque, sì.
fuori tempo per tutta la notte
ho creduto sanguinasse
ogni goccia aveva un suono diverso
una melodia senza fine
dove alla fine sonnecchia la follia
Ancora da bambino pensavo al contrario delle lampadine. Accese nelle mia stanza in pieno giorno, avrebbero proiettato un cono di oscurità totale. Con dentro me.
Uno è biondo ed ha gli occhi chiari. L'altro, scuro di pelo, gli occhi non li ha. Qualcosa gli brucia nelle orbite e incenerisce tutto ciò su cui posa lo sguardo. Metaforicamente, o forse no. Potrebbero essere due angeli o due demoni o due persone normali. Sembrano troppo normali per essere due persone. Un'ancestrale mitologia deve averli messi qui, l'uno accanto all'altro, in piedi, sotto questo albero dai rami viola che al posto delle foglie ha piume blu. Il biondino è ferito lungo un fianco, e tiene in pressione la ferita, con una mano. Nasconde anche un'altra cicatrice sul collo, sotto una benda.
Dialogano i due.
Occhi di bragia sta gesticolando, lentamente. Si osserva il braccio mentre lo solleva a mezz'aria. Ha la manica sporca di sangue.
Parlano ancora. Sembra importante. Come se il compimento di un male, uno tra i tanti, e di un bene, uno tra i pochi, dipendessero dall'esito di questa discussione.
Mi parlano, ma tutto quello che sento è meta-rumore.
Qualche volta mi immagino una persona che infila una mano nel tritacarne. C'è questa mano che scompare fino al polso dentro la vorace macchina e in fondo la carne trita che viene raccolta e preparata per il ragù.
Qualche volta mi immagino anche come togliere la pelle da una faccia. Io inizierei da una incisione accanto all'orecchio, scenderei in verticale fino a dove si ancora la mascella e ne seguirei la curva fino alla punta del mento. Continuerei simmetricamente, a salire, fino all'altro orecchio, e poi è facile basta seguire l'attaccatura dei capelli.
Potrebbero essere i pensieri di un bambino che rompe il suo giocattolo preferito per vedere com'è fatto dentro.
Possiamo vivere con l'illusione che un cactus non abbia bisogno di un abbraccio, ogni tanto.
Continuano ad arrivarmi cartoline. Vengono dal futuro ed il mittente sono io. O almeno, dovrei essere io. Mi chiedo se, dal momento che tanto sono già arrivate, io debba ancora spedirle al me-passato dal me-futuro. Mi chiedo se il me-futuro che ha spedito le cartoline si è già posto questa domanda. E poi perchè continuo a mandarmi cartoline in bianco e nero?
Mi ero apparecchiato l'anima. Poi qualcuno si è imbucato.
E comunque, sì.
23 agosto 2007
Sarà una canzone di 5 minuti ad uccidermi
#Macrocosmo e microcosmo#
Utopia e imbarazzo:
Un giorno tutti gli uomini saranno uguali.
E non avranno più niente da dirsi.
Una cosa in comune di troppo:
Siamo uguali io e te. E non abbiamo niente da dirci.
-Mi farebbe piacere ricevere una lettera da te
disse l'ombra dell'uomo solitario.
-Certe cose vengono meglio quando sono spontanee
rispose la luce proveniente dalla finestra illuminata.
****
-Mi avevi già visto passare, vero?
-Cosa?
-No, niente
-Comunque sì
****
-Di lettere ne ho scritte molte
-Di cosa parlavano?
-Amore. O tassi d'interesse. Non ricordo.
-E ci hai mai creduto?
-All'amore o ai tassi?
-Importa in cosa credi, se credi in qualcosa?
-Direi di no
-E quindi?
-So solo che le ho firmate tutte, quelle lettere
-...
-Ed erano tutte anonime
Utopia e imbarazzo:
Un giorno tutti gli uomini saranno uguali.
E non avranno più niente da dirsi.
Una cosa in comune di troppo:
Siamo uguali io e te. E non abbiamo niente da dirci.
-Mi farebbe piacere ricevere una lettera da te
disse l'ombra dell'uomo solitario.
-Certe cose vengono meglio quando sono spontanee
rispose la luce proveniente dalla finestra illuminata.
****
-Mi avevi già visto passare, vero?
-Cosa?
-No, niente
-Comunque sì
****
-Di lettere ne ho scritte molte
-Di cosa parlavano?
-Amore. O tassi d'interesse. Non ricordo.
-E ci hai mai creduto?
-All'amore o ai tassi?
-Importa in cosa credi, se credi in qualcosa?
-Direi di no
-E quindi?
-So solo che le ho firmate tutte, quelle lettere
-...
-Ed erano tutte anonime
21 agosto 2007
I concetti fondamentali del condimento del surimi
Al crepuscolo, insonne, sulla cresta più alta di una collina. E' in funzione una giostra che sporca l'aria con le sue luminarie gialle ed arancioni. Nell'uragano di seggiolini che tiene legati a sè, infestano e siedono solo uomini adulti, scalzi, coperti da una tunica lattea e derubati della vista da una benda nera. Arriva il buio della notte, l'equivoco oscuro, senza farsi annunciare. Ora la giostra è spenta, dorme, i tentacoli pendono senza volontà alcuna lungo i fianchi. Gli uomini si sono liberati, e si muovono tutti verso di me. Non riesco più a distinguerli, sento l'erba venire schiacciata, trattenere il respiro, sempre più vicina, le bocche che si riempiono di saliva. I primi mi sono già addosso. Sono inghiottito.
Nell'elenco dei sintomi della depressione è incluso quello di sentirsi depressi quando si legge l'elenco dei sintomi della depressione.
Proprio per quella mattina Dio aveva convocato il Giudizio Universale. E proprio la sera prima io avevo dimenticato di puntare la sveglia. A ripensarci, fu sciocco credere di poter dormire un poco di più, almeno ora che era giunta la fine dei tempi. Fatto sta che dormii troppo, e me lo persi. Morale della favola: tutti vennero assunti in cielo, ed io restai disoccupato. Per mia fortuna incontrai un imprenditore, un tipo dall'aspetto caprino e dall'alito sulfureo.
Ora ho un posto fisso, in un locale underground.
Molto underground.
Mi seguiva sulla spiaggia, calpestando le mie impronte. Io ho i piedi più grandi, quindi non deve essere stato difficile. Quando me ne sono accorto ho preso a saltare, girare su me stesso, ballare improbabile. Siamo scoppiati a ridere, per colpa mia.
Un piatto che si riempie di segreti freddi, questo il mondo.
Con gli occhi chiusi, mandiamo giù.
Raggiungono l'inferno e lo fanno singhiozzare.
Gli ombrelli cuciti con la nostra pelle.
Servono a riparare dalla pioggia spremuta dei nostri umori.
Allora il vuoto dentro si fa grotta,
dove le lacrime filtrano lente, progettando stalattiti.
Ogni dente propaga le sue radici, e cresce albero del dolore.
Maturano frutti lucenti, esangui, marci e osceni.
Dolci bulbi oculari da succhiare e sputare.
In un luogo simile avevo la mia casa.
Oggi è stata seppellita, mentre ancora ringhiava.
Nell'elenco dei sintomi della depressione è incluso quello di sentirsi depressi quando si legge l'elenco dei sintomi della depressione.
Proprio per quella mattina Dio aveva convocato il Giudizio Universale. E proprio la sera prima io avevo dimenticato di puntare la sveglia. A ripensarci, fu sciocco credere di poter dormire un poco di più, almeno ora che era giunta la fine dei tempi. Fatto sta che dormii troppo, e me lo persi. Morale della favola: tutti vennero assunti in cielo, ed io restai disoccupato. Per mia fortuna incontrai un imprenditore, un tipo dall'aspetto caprino e dall'alito sulfureo.
Ora ho un posto fisso, in un locale underground.
Molto underground.
Mi seguiva sulla spiaggia, calpestando le mie impronte. Io ho i piedi più grandi, quindi non deve essere stato difficile. Quando me ne sono accorto ho preso a saltare, girare su me stesso, ballare improbabile. Siamo scoppiati a ridere, per colpa mia.
Un piatto che si riempie di segreti freddi, questo il mondo.
Con gli occhi chiusi, mandiamo giù.
Raggiungono l'inferno e lo fanno singhiozzare.
Gli ombrelli cuciti con la nostra pelle.
Servono a riparare dalla pioggia spremuta dei nostri umori.
Allora il vuoto dentro si fa grotta,
dove le lacrime filtrano lente, progettando stalattiti.
Ogni dente propaga le sue radici, e cresce albero del dolore.
Maturano frutti lucenti, esangui, marci e osceni.
Dolci bulbi oculari da succhiare e sputare.
In un luogo simile avevo la mia casa.
Oggi è stata seppellita, mentre ancora ringhiava.
16 agosto 2007
La neve esplosa
Sto seduto su questa poltrona rosso scuro, bordò, amaranto, granata, vinaccia, che ne so. Bassa, squadrata, macchiata del sudore del culo di chissà chi, mi sega la schiena in due.
Fumo, che mi frega.
Camel.
Due tizi, seduti su un divanetto accanto a me, ci danno di limone. Apparizioni di lingua in religioso sciacquettio, pesci rossi in un abbeveratoio fangoso.
Mi si avvicina una ragazza.
Non ha i capelli e nemmeno le sopracciglia. Mi si mette accanto, con due dita mi toglie la sigaretta di bocca, dà un tiro, ce la rinfila.
"Va tutto bene".
Se ne torna nel nulla sfilacciato da cui era uscita.
Chissà che sguardo da coglioncello, mi direi se mi vedessi adesso. Allora mi impongo di guardare altrove.
Una volta mi lamentavo della mancanza di ragazze così così. Dove le tengono nascoste le bruttine?
Un tipo sul palco piglia in mano un jack e prova a infilarselo nel basso. Dall'altoparlante esce prima un grigio fzzzz e poi un lurido stack. Si vede che gli piace, visto che lo tira fuori e ci riprova un altro paio di volte. Le mie orecchie lo mandano sinceramente a fanculo.
Una volta c'avevo ragione.
Non so a che cazzo pensare.
Allora cerco di autoconvincermi di essere fuori posto, di sentirmi a disagio, ma non funziona. Mi canto addosso Creep dei Radiohead, rigorosamente in versione acustica.
What the hell am I doing here?
Ci sono le zanzariere alle finestre.
I don't belong here.
Il che non impedisce alla sala di riempirsi di mosche. Ce ne sono giusto due che si stanno gustosamente ammucchiando sul mio bracciolo sinistro. La schifo-mosca di sopra si sfrega le mani. Facciamo collegamenti scontati, dai, ma mi viene da pensare alle api. Dentro l'alveare, comunicano alle altre api la posizione di un fiore lontano attraverso uno strano balletto. Me l'ha insegnato Sua Ignoranza la Tv.
A nord ovest, vola 14m e poi un terzo di giro intorno all'albero.
Lo dicono percorrendo un invisibile labirinto. Allora cerco con lo sguardo una figura femminile consona. Va bene questa, vitino da vespa, toppino giallo. Si muove come se fosse in preda alla febbre emorragica davanti ai bagni chimici dell'Oktoberfest. Che cosa mi vuoi dire, donna Maia? Dove devo andare a cercare il mio sacro pistillo quotidiano? Spero fuori di qui. No, neanche la parte di quello che non ce la fa più mi riesce.
Ma che cazzo significa va tutto bene?
Fumo, che mi frega.
Camel.
Due tizi, seduti su un divanetto accanto a me, ci danno di limone. Apparizioni di lingua in religioso sciacquettio, pesci rossi in un abbeveratoio fangoso.
Mi si avvicina una ragazza.
Non ha i capelli e nemmeno le sopracciglia. Mi si mette accanto, con due dita mi toglie la sigaretta di bocca, dà un tiro, ce la rinfila.
"Va tutto bene".
Se ne torna nel nulla sfilacciato da cui era uscita.
Chissà che sguardo da coglioncello, mi direi se mi vedessi adesso. Allora mi impongo di guardare altrove.
Una volta mi lamentavo della mancanza di ragazze così così. Dove le tengono nascoste le bruttine?
Un tipo sul palco piglia in mano un jack e prova a infilarselo nel basso. Dall'altoparlante esce prima un grigio fzzzz e poi un lurido stack. Si vede che gli piace, visto che lo tira fuori e ci riprova un altro paio di volte. Le mie orecchie lo mandano sinceramente a fanculo.
Una volta c'avevo ragione.
Non so a che cazzo pensare.
Allora cerco di autoconvincermi di essere fuori posto, di sentirmi a disagio, ma non funziona. Mi canto addosso Creep dei Radiohead, rigorosamente in versione acustica.
What the hell am I doing here?
Ci sono le zanzariere alle finestre.
I don't belong here.
Il che non impedisce alla sala di riempirsi di mosche. Ce ne sono giusto due che si stanno gustosamente ammucchiando sul mio bracciolo sinistro. La schifo-mosca di sopra si sfrega le mani. Facciamo collegamenti scontati, dai, ma mi viene da pensare alle api. Dentro l'alveare, comunicano alle altre api la posizione di un fiore lontano attraverso uno strano balletto. Me l'ha insegnato Sua Ignoranza la Tv.
A nord ovest, vola 14m e poi un terzo di giro intorno all'albero.
Lo dicono percorrendo un invisibile labirinto. Allora cerco con lo sguardo una figura femminile consona. Va bene questa, vitino da vespa, toppino giallo. Si muove come se fosse in preda alla febbre emorragica davanti ai bagni chimici dell'Oktoberfest. Che cosa mi vuoi dire, donna Maia? Dove devo andare a cercare il mio sacro pistillo quotidiano? Spero fuori di qui. No, neanche la parte di quello che non ce la fa più mi riesce.
Ma che cazzo significa va tutto bene?
03 agosto 2007
Non c'è Dio che tenga Sei tu per me bestemmia
Non preoccupato, desolato. Che tedio preparare il bagaglio. L'acetilazione è il processo cui si sottopone il legno affinchè non assorba eccessiva umidità. L'acqua della doccia si stacca dal corpo all'altezza degli occhi. Vedo le gocce allontanarsi, farsi piccole, circoscrivere lo spazio in cui mi posso muovere in sicurezza. Era un problema con la messa a fuoco, per questo mi sembrava la scena di un film. Voglio vedere Heimat, Decalogo 6, Tideland, Lezioni di piano, La doppia vita di Veronica, Miriam si sveglia a mezzanotte. Insieme sarebbe meglio. E comunque quello non era bordeaux. Perchè un giorno ti lascerò un fantasma che ti prenderà per mano e ti accompagnerà attraverso l'estate.
Devo decidere cosa dimenticarmi.
Guidavo forte la macchina della banalità poi sei arrivata tu mio guard-rail e io ho perso il controllo e ho accelerato e mi sono schiantato e sono volato fuori attraversando il parabrezza mille schegge mille gocce una rete divisa negli spazi tra le maglie di una calza tutte intorno sparse col sangue sull'asfalto e i rivoli nei dossi. Catapultato e salvo Grazie.
Toccare e saggiare il punto di rottura. Reiterare, fino a compimento del danno. Ora sì, ti vedo priva del resto intorno. Mi dispiace, non mi dispiace, sì, no, bianco, nero, virato viola. Una parola così soffice che sembra si spezzi se dovessi pronuciarla. Credetti di strappare una rosa e mi trovai le mani strette nell'abbraccio del filo spinato. Tiravo appresso a me la sufficenza come un carretto che lasciava il suo tracciato nella neve. L'ombelico è un vanto, la prima cicatrice, aggiunge qualcosa al portamento.
Senza, vado e non so altro.
Devo decidere cosa dimenticarmi.
Guidavo forte la macchina della banalità poi sei arrivata tu mio guard-rail e io ho perso il controllo e ho accelerato e mi sono schiantato e sono volato fuori attraversando il parabrezza mille schegge mille gocce una rete divisa negli spazi tra le maglie di una calza tutte intorno sparse col sangue sull'asfalto e i rivoli nei dossi. Catapultato e salvo Grazie.
Toccare e saggiare il punto di rottura. Reiterare, fino a compimento del danno. Ora sì, ti vedo priva del resto intorno. Mi dispiace, non mi dispiace, sì, no, bianco, nero, virato viola. Una parola così soffice che sembra si spezzi se dovessi pronuciarla. Credetti di strappare una rosa e mi trovai le mani strette nell'abbraccio del filo spinato. Tiravo appresso a me la sufficenza come un carretto che lasciava il suo tracciato nella neve. L'ombelico è un vanto, la prima cicatrice, aggiunge qualcosa al portamento.
Senza, vado e non so altro.
25 luglio 2007
Succo di fretta
E' tornato l'affanno. Quella sensazione di perpetuo inseguirmi. Quel mio scodinzolarmi davanti al muso. Il pensiero che edifica cento edifici, progetti di cose da fare, persone da incontrare per la prima volta, esperienze da registrare, ancora incontri per l'ennesima prima volta. Tutto messo su carta, un piano dettagliato. Ma il corpo non segue. Il ritorno a casa, la testa lenta e le braccia pesanti, occhi che ad ogni battere fanno sempre più fatica a tornare aperti, lo so dovrei, ma no no non ce la faccio, domani promesso sì domani, recupererò. Il corpo rincorre la mente. Mi rincorro. Poi eventi inaspettati, sgradevoli contrattempi, meravigliose coincidenze. La vita che capita, ma che non era in programma. Che occupa il corpo in maniere non previste. E il pensiero che deve ricondurre tutto ai piani originali. Far collimare, che ci vuole, sarà facile; un nuovo paradigma e tutto sarà assimilato. La mente rincorre il corpo. Mi rincorro. Qualcosa deve cambiare.
Avessi una coda da sventolare e far leggere agli altri! Invece mi è stato dato un sorriso che non so usare.
A volte interrompo la lettura di un libro e resto imbambolato a guardare la pagina aperta. Allora le lettere scompaiono e dagli spazi bianchi tra le righe e dai contorni delle parole emergono figure prima invisibili. Spesso sono semplici suggestioni geometriche, come cerchi o triangoli. Più raramente dei volti stilizzati o figure di animali. In una occasione ho anche creduto di vedere un rudimentale paesaggio.
Acqua che scivola da una grondaia rossa e batte sorda sull'asfalto. La scambio per il ritmo di una musica remota.
E' un vecchio foglio. La carta è ingiallita, la quadrettatura sbiadita. E un foglio per raccoglitori ad anelli, sul lato ci sono due fori di mezzo centimetro. Sul bordo di uno dei buchi è rimasto attaccato un cerchiolino di carta, evirato da un qualche tipo di meccanismo rilegatore, ma dimenticato lì. Il perimetro è circondato dalla sottile peluria della carta strappata. A metà, lungo la linea di piega del foglio, c'è un minuscolo rigonfiamento, simbolo delle centinaia di volte in cui è stato piegato e dispiegato. In un angolo la superficie della carta si fa grinzosa, forse una mano emozionata ha stretto quel lembo con troppo ardore. Dove le gocce hanno baciato il foglio, l'inchiostro si è spanso in macchie diafane dai bordi frastagliati, come meduse azzurre sospese in un'enormità lattiginosa. Negli stessi tratti la scrittura si fa indecifrabile, le grazie della bella grafia corsiva iniziano a gonfiarsi e, prossimo agli abissi più profondi, ogni simbolo si confonde e fa misterioso. Ritenne giusto imparare a memoria non solo quelle parole e il loro suono, ma anche il corpo su cui erano state tatuate: per incatenare il ricordo alla gabbia in cui furono imprigionate, insieme al suo futuro.
Incastrati.
Le nostre teste accanto.
Orecchio contro orecchio, reciproci.
Denti di un ingranaggio da immaginare.
Inseriti ognuno nella fessura dell'altro,
una spalla sopra una testa,
una testa sopra una spalla.
Uno di noi due,
e non ti dirò chi,
è capovolto.
Leggeri particolari, è chiaro:
un lieve imporporarsi del viso,
bizzarro ricadere della stoffa dei vestiti,
lo sguardo stretto e la tensione
dei muscoli della mascella e del collo.
Stupida posa, per una fotografia.
Avessi una coda da sventolare e far leggere agli altri! Invece mi è stato dato un sorriso che non so usare.
A volte interrompo la lettura di un libro e resto imbambolato a guardare la pagina aperta. Allora le lettere scompaiono e dagli spazi bianchi tra le righe e dai contorni delle parole emergono figure prima invisibili. Spesso sono semplici suggestioni geometriche, come cerchi o triangoli. Più raramente dei volti stilizzati o figure di animali. In una occasione ho anche creduto di vedere un rudimentale paesaggio.
Acqua che scivola da una grondaia rossa e batte sorda sull'asfalto. La scambio per il ritmo di una musica remota.
E' un vecchio foglio. La carta è ingiallita, la quadrettatura sbiadita. E un foglio per raccoglitori ad anelli, sul lato ci sono due fori di mezzo centimetro. Sul bordo di uno dei buchi è rimasto attaccato un cerchiolino di carta, evirato da un qualche tipo di meccanismo rilegatore, ma dimenticato lì. Il perimetro è circondato dalla sottile peluria della carta strappata. A metà, lungo la linea di piega del foglio, c'è un minuscolo rigonfiamento, simbolo delle centinaia di volte in cui è stato piegato e dispiegato. In un angolo la superficie della carta si fa grinzosa, forse una mano emozionata ha stretto quel lembo con troppo ardore. Dove le gocce hanno baciato il foglio, l'inchiostro si è spanso in macchie diafane dai bordi frastagliati, come meduse azzurre sospese in un'enormità lattiginosa. Negli stessi tratti la scrittura si fa indecifrabile, le grazie della bella grafia corsiva iniziano a gonfiarsi e, prossimo agli abissi più profondi, ogni simbolo si confonde e fa misterioso. Ritenne giusto imparare a memoria non solo quelle parole e il loro suono, ma anche il corpo su cui erano state tatuate: per incatenare il ricordo alla gabbia in cui furono imprigionate, insieme al suo futuro.
Incastrati.
Le nostre teste accanto.
Orecchio contro orecchio, reciproci.
Denti di un ingranaggio da immaginare.
Inseriti ognuno nella fessura dell'altro,
una spalla sopra una testa,
una testa sopra una spalla.
Uno di noi due,
e non ti dirò chi,
è capovolto.
Leggeri particolari, è chiaro:
un lieve imporporarsi del viso,
bizzarro ricadere della stoffa dei vestiti,
lo sguardo stretto e la tensione
dei muscoli della mascella e del collo.
Stupida posa, per una fotografia.
19 luglio 2007
A pelle dritta
Fotografare è inzuppare nello spettro del visibile, fare la scarpetta in un piatto di radiazioni al sugo, pulirsi i lati della bocca con un tovagliolo fotosensibile. Resi simili ed unici dalla capacità con cui riflettiamo la luce, non avevamo pensato di essere ad immagine e somiglianza, nella somiglianza alle immagini, di un Dio specchio, e il paradiso si contempla ogni mattina, in bagno, sopra il lavandino. Non puoi vedere Dio se lui è lo specchio perfetto: noi siamo quelli che veniamo in tutte le foto con gli occhi chiusi. Testimonianza di cecità. La più grande espressione di conforto che mi sia mai sentito dire è stata: "la gente non vede".
Di quel sogno ricordo solo le dita che si staccano dalle mie mani e scappano via, strisciando come bruchi. Ed io mentre mi avvito la pancia, con tanto di cacciavite e viti di metallo da 5cm.
Ha occhi grandi, grandi come cattedrali. Le ciglia travestite da guglie, che accompagnano via lo sguardo. Ti guarda e pensi che la tua immagine risuoni lì dentro come un'eco, che si rifletta due, tre, quattro volte in copie di te sempre più brevi e indecifrabili e alla fine vada a nascondersi in un angolo buio. Un giorno, un ocularcheologo paziente e certosino ti scoverà, con uno strumento ipersensibile, eco di eco.
Due nei gemelli sulla spalla sinistra, particelle che gravitano l'una intorno all'altra assecondando qualche misteriosa, ma sfrenata, forza di attrazione.
I capelli sono l'opera di Efesto: spire di ossidiana forgiate nello stomaco ribollente della terra.
I difetti più evidenti: il labbro superiore spicca dalle curve del volto con violenza -come un singhiozzo nella grazia- e gli incavi ai lati del tendine dietro la caviglia, quasi invisibili.
Le orecchie buffe.
I segreti nascosti nella pelle levigata e fragrante, quante pozioni e incantesimi!
Si addormenta e una vena sopra la clavicola prende a sussultare in modo sconclusionato, dimentica del ritmo del respiro e delle pulsioni del cuore. Sogna e piega leggermente le dita, in piccoli sussulti. Il ritmico alzarsi e abbassarsi delle ciglia rivela il moto lento degli occhi all'interno delle palpebre chiuse, ricorda il beccheggiare elegante di una nave. Le sopracciglia si increspano, come farebbe la piuma di un gabbiano scossa dal vento, messa a pennacchio di un castello di sabbia dal gioco di un bambino; lo sguardo si fa corrucciato, appena amaro.
Finchè non appariranno nuove stelle, sarà sempre pieno di X.
Ogni bisogno sboccia dall'incontro di due sogni.
Ogni volta che un cuore si spezza, raddoppia la sua capacità di amare e dimezza l'intesità con cui può farlo: il sentimento è una cassetta di regoli.
Di quel sogno ricordo solo le dita che si staccano dalle mie mani e scappano via, strisciando come bruchi. Ed io mentre mi avvito la pancia, con tanto di cacciavite e viti di metallo da 5cm.
Ha occhi grandi, grandi come cattedrali. Le ciglia travestite da guglie, che accompagnano via lo sguardo. Ti guarda e pensi che la tua immagine risuoni lì dentro come un'eco, che si rifletta due, tre, quattro volte in copie di te sempre più brevi e indecifrabili e alla fine vada a nascondersi in un angolo buio. Un giorno, un ocularcheologo paziente e certosino ti scoverà, con uno strumento ipersensibile, eco di eco.
Due nei gemelli sulla spalla sinistra, particelle che gravitano l'una intorno all'altra assecondando qualche misteriosa, ma sfrenata, forza di attrazione.
I capelli sono l'opera di Efesto: spire di ossidiana forgiate nello stomaco ribollente della terra.
I difetti più evidenti: il labbro superiore spicca dalle curve del volto con violenza -come un singhiozzo nella grazia- e gli incavi ai lati del tendine dietro la caviglia, quasi invisibili.
Le orecchie buffe.
I segreti nascosti nella pelle levigata e fragrante, quante pozioni e incantesimi!
Si addormenta e una vena sopra la clavicola prende a sussultare in modo sconclusionato, dimentica del ritmo del respiro e delle pulsioni del cuore. Sogna e piega leggermente le dita, in piccoli sussulti. Il ritmico alzarsi e abbassarsi delle ciglia rivela il moto lento degli occhi all'interno delle palpebre chiuse, ricorda il beccheggiare elegante di una nave. Le sopracciglia si increspano, come farebbe la piuma di un gabbiano scossa dal vento, messa a pennacchio di un castello di sabbia dal gioco di un bambino; lo sguardo si fa corrucciato, appena amaro.
Finchè non appariranno nuove stelle, sarà sempre pieno di X.
Ogni bisogno sboccia dall'incontro di due sogni.
Ogni volta che un cuore si spezza, raddoppia la sua capacità di amare e dimezza l'intesità con cui può farlo: il sentimento è una cassetta di regoli.
11 luglio 2007
(mondo rettile) Innocenza e squame
Insostenibili, tutte le distanze dopo i 30cm.
Ogni misura inferiore, di 30cm troppo grande.
Violabile la legge di impenetrabilità dei corpi.
Due corpi solidi non possono occupare lo stesso spazio nello stesso istante, recita.
A meno che non siano i nostri, sussurra.
Sono isole, celle, che galleggiano in un liquido trasparente. Vengono a contatto, estemporanee, con lacci, stringhe, trecce, ragnatele, nodi, tessiture sottili. A volta riescono a decodificare quello che incontrano, a volte no. Da un singolo filo nasce un'idea, una sensazione, un pensiero semplice. Nelle trecce ci sono emozioni più convolute, dalle quali non si divincolano faticose le componenti prime. Rivelazioni e trappole logiche emergono invece dalle strutture a ragnatela, dove tutte le linee convergono verso un centro, un gorgo, insieme a tratteggi ortogonali con i quali sono possibili ardite associazioni di idee. E' con linee come queste che tracciamo figure che non rappresentano niente.
Un santo apocrifo vestito di nero, pronto a comandare una rivoluzione.
Un grappolo d'uva scolpito in pietre preziose, opalescenti, con le asperità sfumate dal lavorio sonnolento del mare. Sollevato da una mano nera, spinto verso labbra bianche.
Stiamo a guardare le stelle e l'apparenza dell'universo ci muore addosso. La crosta terrestre serve allora a sanare una ferita antica. Le nuvole sono macchie di sangue.
Non posso più sorridere perchè ho la bocca colma di sabbia e non intendo farne cadere un granello. Mio latte, il fango.
Avverti che non tornerai. Distenditi su un letto bianco, come l'orizzonte, di cui non si veda la fine. Poggia la testa su un grazioso cuscino, decorato con ampie strisce di tessuto arancione e rosa. Accavalla le gambe, e con il piede che dondola a mezz'aria, reggi un margherita dal lungo stelo ruvido. Nascondi la faccia tra i capelli. Sogna.
Ogni misura inferiore, di 30cm troppo grande.
Violabile la legge di impenetrabilità dei corpi.
Due corpi solidi non possono occupare lo stesso spazio nello stesso istante, recita.
A meno che non siano i nostri, sussurra.
Sono isole, celle, che galleggiano in un liquido trasparente. Vengono a contatto, estemporanee, con lacci, stringhe, trecce, ragnatele, nodi, tessiture sottili. A volta riescono a decodificare quello che incontrano, a volte no. Da un singolo filo nasce un'idea, una sensazione, un pensiero semplice. Nelle trecce ci sono emozioni più convolute, dalle quali non si divincolano faticose le componenti prime. Rivelazioni e trappole logiche emergono invece dalle strutture a ragnatela, dove tutte le linee convergono verso un centro, un gorgo, insieme a tratteggi ortogonali con i quali sono possibili ardite associazioni di idee. E' con linee come queste che tracciamo figure che non rappresentano niente.
Un santo apocrifo vestito di nero, pronto a comandare una rivoluzione.
Un grappolo d'uva scolpito in pietre preziose, opalescenti, con le asperità sfumate dal lavorio sonnolento del mare. Sollevato da una mano nera, spinto verso labbra bianche.
Stiamo a guardare le stelle e l'apparenza dell'universo ci muore addosso. La crosta terrestre serve allora a sanare una ferita antica. Le nuvole sono macchie di sangue.
Non posso più sorridere perchè ho la bocca colma di sabbia e non intendo farne cadere un granello. Mio latte, il fango.
Avverti che non tornerai. Distenditi su un letto bianco, come l'orizzonte, di cui non si veda la fine. Poggia la testa su un grazioso cuscino, decorato con ampie strisce di tessuto arancione e rosa. Accavalla le gambe, e con il piede che dondola a mezz'aria, reggi un margherita dal lungo stelo ruvido. Nascondi la faccia tra i capelli. Sogna.
04 luglio 2007
Compassione per il lato B delle audiocassette e dell'estate
Julian è un bambino, e gli piace raccontare storie. Non si interessa ai giochi dei suoi coetanei, non vede che divertimento ci possa essere in un mondo con delle regole sempre uguali, come quello del gioco, come quello dei grandi. Nelle sue storie le regole cambiano sempre, e una storia non si ripete mai due volte nello stesso modo. A volte inizia a raccontare e gli altri bambini gli si fanno intorno e lo ascoltano in silenzio, a volte facendo domande senza importanza. Nelle storie di Julian gli uomini non sono uomini, gli animali non sono animali, nella magia non c'è nulla di magico e il tempo non ha bisogno di procedere in un verso solo. Una volta aveva sentito dire a suo padre che "il tempo scorre nel suo letto come un fiume". E a Julian era sembrata un'enorme sciocchezza perchè nelle sue storie i fiumi potevano anche fermarsi, tornare indietro, scomparire e volare, amare e rincorrersi. Dei personaggi che vivevano con lui, nelle sue storie, Julian non aveva paura. Ma gli altri bambini sì. A volte raccontava storie terribili, piene di dettagli sconvolgenti, semplicemente come gli si presentavano alla finestra dei suoi pensieri. E il suo piccolo auditorio tornava a casa turbato, a volte in lacrime, col sonno infestato da incubi per molte notti a seguire. Quando i genitori di uno di questi marmocchi riusciva a estorcere dalla bocca del figlio cosa fosse a tormentarlo, questi correvano a lamentarsi col padre di Julian, chiedendosi dove un ragazzo tanto giovane e per bene potesse aver udito storie di tal genere e lasciando alle malelingue il compito di dare una risposta. Il padre di Julian, uomo religioso e pieno di quei sani principi che riescono a distruggere un'esistenza, prese a riempirgli la stanza di crocefissi e a batterlo devotamente. Lo costringeva a imparare a memoria i passi della Bibbia che preferiva, sperando che lo facessero rinsavire. Non si accorse che invece fecero l'effetto di un soffio di vento contro una scintilla, promessa d'incendio. Dopo la tristezza di Julian, dopo la mortificazione delle sue storie, tante cose sono cambiate. Come in quel suo racconto, in cui c'era un lombrico che, ad ognuna di quelle onde che sono il passo di un lombrico, diceva "cambia, cambia, cambia" e non smise mai. Come quella volta in cui egli disse "Incubi, fantasmi, scheletri, mostri e sogni, regali, feste, musica sono cibo fatto con la carne dello stesso animale".
Iscriviti a:
Post (Atom)