Allargo le braccia, e permetto alla macchina di girarmi tutto intorno. Quando entriamo in contatto, tremiamo insieme alla frequenza di rotazione del suo albero motore. La macchina si muove criptica e affilata verso il suo scopo, ché nelle sue direttive non è contemplato dare un senso al movimento. La sensazione è quella di osservare un illustratore che aggiunge righe al ritratto di un animale, prima che sia il ritratto di un animale. Quando la macchina avrà finito, io sarò ancora animale. Ora sono solo righe, e sono solo movimenti. Nessun lusso coreografico.
Nil non voleva evaporare, ma sapeva di essere vicino al punto di saturazione. Sentiva addosso le scanalature, che gli facevano paura perché aveva la certezza che presto si sarebbero riempite di infiltrazioni. Provò a censurarsi, a compensare coagulando. Fu allora che la Deplorazione si sollevò e, indicando lui, proruppe: Suturatelo. Venne allora ricucito e ricoperto di carta e colla, lordato di resina. Nil, con le sue due pelli, divenne un complemento umano, un misero telegramma sottocutaneo. La controfigura di qualcosa di nudo.
Quanti pronomi si possono cancellare dalla propria vita, prima che non rimanga neanche io?
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